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Autore: Soly_D    29/07/2018    1 recensioni
Sasuke aveva salvato lei, Juugo e Suigetsu dal covo di Orochimaru: li aveva uniti, aveva dato loro forza, uno scopo e un futuro.
Ora toccava al loro salvatore essere salvato.
[Sasuke/Karin♥]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Juugo, Karin, Sasuke Uchiha, Suigetsu | Coppie: Sasuke/Karin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Dopo numerose NaruSaku (una OTP è per la vita ♥) ritorno in questo fandom dopo 2 anni con una coppia su cui non ho scritto quasi niente ma che in realtà ho sempre tifato. Ho scritto questa storia molto tempo fa e ora il manga di Naruto non mi ispira più, ma ho voglia di completare le mie storie lasciate in sospeso quindi potrei presto tornare con qualche altra storia. Buona lettura, spero vi piaccia!



Redemption
[Nessuno si salva da solo]



Sasuke si aprì un varco in mezzo alle foglie con la katana e superò un masso in un agile balzo, emergendo lì dove il bosco si faceva meno fitto.
Non aveva una meta precisa. Voleva solo allontanarsi il più possibile da Konoha, da casa, perché era lì che giaceva il suo passato, era lì che si conservavano intatti tutti i suoi ricordi migliori ma anche quelli peggiori, e non avrebbe mai potuto riscoprire se stesso se avesse ricominciato a vivere nella stessa casa in cui aveva visto morire i suoi genitori e per anni aveva vissuto in solitudine crogiolandosi nel dolore e meditando vendetta verso la persona che − come poteva saperlo, Sasuke? − lo aveva amato più di tutti.
Doveva tagliare i ponti con il passato. La guerra era finita, la parte buona aveva vinto, lui era vivo, i suoi amici erano vivi. Li aveva salutati con la promessa che si sarebbero rivisti, ma non era sicuro di tornare poi così presto. Aveva bisogno di osservare, riflettere, interrogarsi.
Il suo viaggio di redenzione era appena iniziato e sembrava andare tutto per il verso giusto quando si ritrovò il cammino letteralmente sbarrato dai membri del vecchio team Taka. Non che rivederli lo infastidisse − erano pur sempre stati i suoi unici compagni nel suo periodo più buio e lo avevano seguito ovunque nonostante i suoi propositi di vendetta e i pericoli che essi comportavano − ma Sasuke era determinato a portare a termine la sua redenzione da solo.
Suigetsu fu il primo ad uscire allo scoperto, andandogli incontro con un largo sorriso che mostrava i denti aguzzi. «Ti abbiamo trovato, finalmente».
Dietro di lui veniva Juugo con un’espressione serena in volto e un uccellino sulla spalla.
Per ultima, una Karin insolitamente silenziosa ma dallo sguardo profondamente deciso dietro le spesse lenti degli occhiali.
«Avete fatto strada inutile», decretò Sasuke, capendo al volo le loro intenzioni.
«Ciao anche a te, Sasuke. Sì, siamo vivi. Sì, stiamo bene. E sì, ci sei mancato anche tu», lo schernì Suigetsu, senza smettere di ghignare.
«Se avete intenzione di seguirmi, be’... potete scordarvelo», puntualizzò Sasuke, schietto.
Suigetsu si alterò. «Stai scherzando, vero? Dopo che ti abbiamo seguito anche in capo al mondo, ci molli così?!».
Juugo assunse uno sguardo vagamente dispiaciuto. «Cos’hai intenzione di fare, ora, Sasuke?».
«Starò lontano per un po’, da solo, per... redimermi. Voi siete liberi di fare ciò che volete. Ve la caverete benissimo senza di me».
Detto questo, li superò e continuò il suo cammino attraverso il bosco.
I due rimasero ad osservarlo, inermi e delusi, mentre Karin − che era rimasta in silenzio fino a quel momento − cominciò a camminare verso l’Uchiha, lasciandosi i compagni alle spalle. Un tempo si sarebbe sciolta nel rivedere Sasuke sano e salvo, e lo avrebbe circondato con moine e frasi smielate. Ma non ora, non dopo una guerra, non dopo essere maturata nel dolore e nel continuo rischio di morire.
Insieme a lei erano cambiati anche i suoi sentimenti per Sasuke: non si trattava più di una semplice infatuazione, di attrazione fisica e ammirazione per la sua tenacia, forza e intelligenza. Karin era determinata ad aiutarlo a rifarsi una vita e, perché no, anche a riscoprire il valore dei sentimenti, se lui glielo avesse mai permesso.
Una volta raggiuntolo, gli si parò davanti costringendolo a fermarsi e lo fissò dritto negli occhi. Uno era nero pece, l’altro era dotato del misterioso Rinnegan. E gli mancava un braccio. Quel suo nuovo aspetto le incuteva quasi paura, ma al tempo stesso la affascinava.
«Portami con te».
A quelle parole Sasuke rievocò l’immagine di Sakura che gli chiedeva la stessa identica cosa poche ore prima a Konoha. La differenza era che quello di Karin sembrava più un ordine. «Ho detto che devo continuare questo viaggio da solo», si limitò a rispondere.
La ragazza strinse i pugni lungo i fianchi. Non poteva sopportare di lasciarlo andare così.
«Nessuno si salva da solo», scandì lentamente, dando peso ad ogni singola parola. Sasuke aveva salvato lei, Juugo e Suigetsu dal covo di Orochimaru: li aveva uniti, aveva dato loro forza, uno scopo e un futuro. Ora toccava al loro salvatore essere salvato.
L’Uchiha rimase colpito da quelle parole, ma non lo diede a vedere. «Non ho bisogno di essere salvato».
La ragazza, per nulla scoraggiata, gli si avvicinò ancora di più. I suoi occhi rossi brillavano.
«Come pretendi di redimerti senza qualcuno che ti guidi, che ti appoggi?».
«Sono sempre stato solo, Karin. Non sarà più difficile di come è stato negli anni precedenti».
Karin scosse la testa. «È qui che ti sbagli. Non ti libererai mai del fardello del tuo passato se non cambi il tuo modo di vivere il presente».
Ridusse la distanza che li separava e, sotto lo sguardo confuso di Sasuke, gli cinse lentamente il collo con le braccia, stringendolo piano a sé, fino ad accostare la bocca al suo orecchio. «Permettimi di salvarti, Sasuke. Fallo per te, solo per te stesso», gli sussurrò, chiudendo gli occhi.
Sasuke rimase immobile come una statua di marmo, le braccia stese lungo i fianchi. Non aveva mai permesso a Karin di trattarlo con così tanta confidenza, con così tanta intimità, tuttavia quel gesto non gli diede fastidio perché lei non gli stava dimostrando il suo amore, come aveva spesso tentato – piuttosto stupidamente – di fare, ma si stava semplicemente offrendo di rendergli più facile il suo cammino di redenzione. Lo stava facendo per lui, non per stessa. Ma non poteva accettare una simile richiesta.
Sasuke aveva già fatto la sua scelta, per cui tentò di essere il più chiaro possibile.
«Io ho sbagliato, io ne pago le conseguenze. Non permetterò a nessuno di essere coinvolto nell’espiazione dei miei peccati. Non farmelo ripetere».
Karin riaprì gli occhi, concedendosi ancora qualche secondo con il mento poggiato sulla spalla di Sasuke. Si allontanò lentamente per poi fissarlo ancora una volta negli occhi. Capì che doveva lasciarlo andare, che Sasuke aveva le sue buone ragioni per intraprendere quel viaggio da solo, ma in cuor suo si ripromise che quella non sarebbe stata la fine di tutto.
«Se è questo che vuoi davvero, allora non insisterò. Fa’ buon viaggio, Sasuke».
Karin sorrise con un velo di tristezza ad offuscarle gli occhi, poi sparì dalla visuale dell’Uchiha, il quale si limitò ad un «Grazie» appena udibile, che si perse subito nell’aria. Con un sospiro stanco, Sasuke si voltò a sua volta per continuare il cammino. Fatti pochi passi, però, non resistette alla voglia di voltarsi ancora in direzione di Karin. La sua figura si allontanava nel verde del bosco, i capelli rossi ondeggiavano sulla sua schiena ad ogni passo e scintillavano alla luce del sole.
«Karin».
Lei si voltò, speranzosa. «Sì?».
«Al mio ritorno sarai ancora qui?».
Karin sorrise, consapevole che quelle parole significassero “Tornerò presto, aspettami”.
Forse non era tutto perduto, forse la chiave di tutto era davvero l’attesa.
«Sì, Sasuke, anche se dovessero passare anni», rispose, poi riprese a camminare nella direzione opposta a quella del ragazzo.
Anche Sasuke continuò il suo cammino, ma con una consapevolezza nuova e inaspettata: qualcosa stava decisamente cambiando nella sua vita.




Primo passo
«Tu non sei nostro figlio, non più». Suo padre lo guardava con astio. Sua madre piangeva per la delusione.

«Non meriti il perdono». Lo sguardo di Itachi era impassibile, freddo. Gli divorava l’anima.
«Sei un mostro, solo un mostro». Tutte le sue vittime, lì riunite, gli rinfacciavano i peccati commessi.
«Basta, basta!», urlava Sasuke, tappandosi le orecchie, ma era tutto inutile.
Le voci si facevano più persistenti e il buio lo avvolgeva, stringendolo in una morsa ferrea.

Sasuke si risvegliò di soprassalto. Respirò a pieni polmoni, asciugandosi il sudore che gli imperlava la fronte, e scese dal letto diretto verso la finestra. La luna piena, grande e luminosa, dominava il cielo puntinato di stelle, e lui aveva avuto un altro incubo, l’ennesimo di una lunga serie.
Aveva cominciato a sognare le sue vittime quando aveva scoperto la verità su Itachi, rendendosi conto della vanità del suo piano di vendetta, e da allora quegli incubi si ripresentavano ogni notte, ogni singola notte. Non lo aveva detto a nessuno, nemmeno a Naruto. Non voleva la commiserazione di nessuno, era una cosa che doveva affrontare e vincere da solo.
Trascorse le ultime ore della notte a fissare il cielo, immobile, chiedendosi se Naruto o Sakura stessero facendo lo stesso in attesa di vederlo tornare. E poi, quasi senza accorgersene, gli rimbombarono nella mente le parole di Karin come se in quel momento si trovasse proprio lì, accanto a lui.
“Io te l’avevo detto”.
La vide: le mani poggiate sui fianchi a mo’ di sfida, un sopracciglio inarcato, gli occhi rossi che lo fissavano con insistenza.
Lei glielo aveva detto, che la solitudine sarebbe stata un duro avversario in quella lotta interiore, ma lui non aveva voluto darle retta.
“Fai ancora in tempo a tornare indietro, Sasuke!”.

«Aaah, stupida donna...», si lamentò, massaggiandosi le tempie con le dita.
Karin c’era persino quando non era fisicamente presente. Lo seguiva dappertutto, era la voce della sua coscienza. Ma Sasuke non si sarebbe lasciato andare: avrebbe portato a termine la sua redenzione da solo, con o senza l’approvazione di Karin.
All’alba raccolse le sue cose e lasciò la locanda in cui aveva alloggiato. Non riusciva mai a stare più di una sola notte nello stesso posto, aveva sempre bisogno di cambiare aria. Era costantemente insoddisfatto.
Il suo cammino era appena iniziato e già si rivelava più difficile del previsto.




Secondo passo
Quando Sasuke entrò nella locanda, alle voci e alle risate amplificate dall’alcol si sostituì un improvviso silenzio, e tutti gli sguardi dei clienti puntarono su di lui. Chiuse gli occhi e cominciò a contare.
Uno. Avvertì il rumore di sedie che si spostavano.
Due. Passi frettolosi, la parola “nukenin” sussurrata come fosse una maledizione.
Tre. La porta della locanda che si chiudeva, cigolando.
Quando riaprì gli occhi, non c’era più nessuno: se n’era andato pure il proprietario.
Sospirò, ormai ci era abituato. Si diresse verso il bancone, pronto a servirsi da solo, quando si accorse che in fondo alla locanda, vicino alla finestra, era seduta un’anziana signora dal volto rugoso e rilassato che sorseggiava un bicchiere.
«Non va via anche lei?», le chiese, sorpreso.
La donna poggiò il bicchiere sul tavolo. «Perché sarei dovuta andarmene?».
Sasuke si accigliò. «Non sa chi ha davanti?».
«Avrebbe qualche importanza?».
Quella donna cominciava ad infastidirlo. Non gli piaceva quando qualcuno rispondeva alle sue domande con altre domande.
Rimasero in silenzio fin quando lei non si decise a parlare. «Sono cieca».
Sasuke capì. «Ed io un assassino», volle ribattere, ma la vecchia donna non si scompose.
«Non importa. A me basta sentire», rispose lei sorridendo. «Ed io sento che non mi farai del male, altrimenti me lo avresti già fatto».
Sasuke sgranò gli occhi: la soluzione era sempre stata lì, a un passo da lui.
Se voleva farsi accettare da quel mondo cieco, che non riusciva ad andare oltre le apparenze, che non riusciva a credere senza prima vedere, doveva semplicemente dimostrare di essere cambiato, che la guerra aveva spazzato via il Nukenin della Foglia e lasciato il posto a... Sasuke Uchiha, ninja di Konoha.



Terzo passo
Sasuke sentiva il gelo pungente penetrargli nelle ossa, intorpidendole.
Aveva bisogno di fare una sosta in qualche locanda, al caldo, o sarebbe morto di freddo.
Emise un sospiro, provocando una nuvoletta che si dissolse rapidamente nell’aria, e abbassò lo sguardo sui suoi scarponi che affondavano nella neve, ma fu un errore che gli costò caro: una palla di neve lo centrò in pieno viso, gelandogli la fronte e il naso.
Mise istintivamente la mano sulla katana, pronto a vendicarsi del crudele affronto, ma quando risollevò lo sguardo, un ragazzino di appena dieci anni lo fissava dall’alto del suo metro e trenta centimetri circa, le mani congiunte in segno di supplica e lo sguardo letteralmente terrorizzato.
«S-Sasuke U-Uchiha... M-mi scusi tanto, è s-stato un i-incidente! M-mi risparmi, la p-prego!».
Sasuke allungò un braccio verso il ragazzino che istintivamente strizzò gli occhi, preparandosi a una morte lenta e dolorosa, ma con sua grande sorpresa la mano del nukenin gli scompigliò semplicemente i capelli.
«Non sono più quel genere di persona».
Quando il ragazzino riaprì gli occhi, l’ex nukenin era già scomparso.
Sorrise: i suoi compagni sarebbero morti d’invidia quando avrebbe raccontato di essersi imbattuto in Sasuke Uchiha e di esserne uscito illeso.


****


«Fermiamoci a Konoha», aveva proposto Karin quel giorno, dopo aver salutato Sasuke ed essere tornata indietro da Suigetsu e Juugo.
«Ma sei impazzita?!», aveva esclamato l’Hozuki, infervorandosi. «Chi ce li passa i soldi, eh?!».
«Mi troverò un lavoro. Per i primi mesi possiamo chiedere aiuto a Naruto, in fondo siamo amici di Sasuke».
Suigetsu l’aveva scrutata attentamente. «Perché, Karin?».
«Ho promesso a Sasuke che lo aspetterò qui e non ho intenzione di muovermi».
Non c’era stato bisogno di altre spiegazioni.
All’inizio era sembrata un’idea campata in aria, poi Naruto aveva realmente trovato un piccolo appartamento per i membri dell’ex team Taka. Le giornate trascorrevano velocemente: la ragazza aveva il suo nuovo lavoro all’ospedale, Juugo si occupava delle faccende domestiche e Suigetsu beneficiava dei loro sforzi, troppo interessato a far la corte a ogni ragazza nuova che incontrava a Konoha. Tuttavia questo non gli impedì di accorgersi che la sera Karin rincasava troppo tardi per essere solo di ritorno da lavoro. Una volta decise di appostarsi nei pressi dell’ospedale e, quando la vide uscire, la seguì di nascosto, ritrovandosi nel bosco, lo stesso in cui avevano visto Sasuke l’ultima volta.
Karin era seduta su un masso a fissare l’orizzonte, in attesa di qualcosa, o meglio, di qualcuno, che per il momento non sarebbe arrivato.
«Non ti hanno mai raccontato che tocca alla principessa aspettare il principe azzurro e non alla strega?».
Karin si voltò, la vena sulla tempia che pulsava violentemente. «Chi ti ha dato il permesso di seguirmi, brutto pesce lesso?!».
Suigetsu rise e in tutta risposta si beccò un bel calcio negli stinchi.
Karin incrociò le braccia al petto, indignata, e si voltò a fissare nuovamente gli alberi in fondo al bosco. Calò il silenzio, rotto appena dal fruscio delle foglie. Suigetsu si sedette sul masso, poggiando la schiena contro quella di Karin.
«Lo sai che non tornerà per il momento, vero?».
Sentì Karin schioccare la lingua sul palato. «E tu che ne sai?».
«Oh, avanti, lo sai anche tu. Un viaggio di redenzione, per uno come Sasuke, non è una cosa facile».
«Ma io gli ho promesso che al suo ritorno mi avrebbe trovata qui, capisci?», ribatté Karin.
Suigetsu non rispose. Aveva sempre pensato che quella di Karin fosse solo una stupida cotta adolescenziale, ma a quel punto si rese conto che i suoi sentimenti per Sasuke erano andati ben oltre. Passarono diversi minuti in silenzio, quando l’Hozuki si decise a parlare.
«Cosa farai, quando lui tornerà?».
“Ci lascerai soli anche tu?”, avrebbe voluto chiederle, ma non ne ebbe il coraggio.
Karin non lo degnò di risposta. Suigetsu la toccò con il gomito nel tentativo di farla parlare, ma lei continuò a rimanere in silenzio.
«Karin?».
Si era addormentata contro la sua schiena. Be’, era comprensibile: Karin aveva lavorato tutto il giorno e ormai si era fatta una certa ora. Suigetsu fece una smorfia. Doveva farlo, non poteva mica lasciarla dormire lì. La prese in braccio, non credendo che potesse essere così leggera, e imboccò la strada di casa. Abbassando per un momento lo sguardo su quel viso rilassato, si chiese se Sasuke, un giorno, si sarebbe mai accorto della tenacia con cui Karin tentava di entrargli nel cuore.



Quarto passo
Una bambina di quattro anni o poco più piangeva inginocchiata per terra.
Sasuke si bloccò, spaesato. «Cosa ti è successo?».
«I-il mio g-gattino», singhiozzò la piccola, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano e indicando l’albero poco distante. «S-sono ore che è l-lì sopra... n-non vuole scendere».
A Sasuke venne da sorridere, ripensando alle prime missioni del team 7 il cui scopo era proprio acchiappare un maledetto gattaccio che non voleva proprio saperne di essere catturato. Senza nemmeno pensarci troppo, raggiunse l’albero e cominciò a camminare lungo il tronco – quanto avevano faticato, lui e Naruto, per imparare a farlo! Il gatto se ne stava appollaiato su un ramo, ronfando. Sasuke lo raccolse con un braccio e scese dall’albero. Quando lo porse alla proprietaria, quest’ultima smise di disperarsi e sorrise raggiante.
«Qual è il tuo nome?».
L’Uchiha sollevò un sopracciglio. E come avrebbe potuto conoscere il suo nome, quella creatura innocente?
«Sasuke Uchiha», rispose, atono.
«Grazie, Sosuko Uhicia!», esclamò la piccola, e Sasuke avrebbe tanto voluto mettersi ad urlare per il modo in cui la bambina aveva storpiato il suo bel nome, ma poi avvertì quelle piccole braccia stringersi intorno alla sua gamba e non potè che godere del calore che si era espanso in tutte le membra del suo corpo [sciogliendo lentamente quel cuore rimasto intrappolato nel ghiaccio per troppo tempo].



Quinto passo
Sasuke attraversò molti boschi, percorse numerose strade, visitò diversi villaggi, svolse svariate missioni grazie alle quali guadagnò denaro e una buona reputazione.
Osservò il mondo ninja da una prospettiva nuova, quella migliore, quella che gli aveva mostrato Naruto, e scoprì che non era come se l’era sempre immaginato. O per lo meno, era cambiato: c’era meno odio e più unione. Tutti parlavano con entusiasmo e ammirazione dell’eroe, Naruto Uzumaki, e inaspettatamente Sasuke sentiva pronunciare qua e là anche il proprio nome: l’ultimo Uchiha, l’ex nukenin che aveva contribuito alla salvezza del mondo ninja. Per questo aveva deciso di girare con un cappuccio sulla testa: non voleva essere riconosciuto e quindi riempito di attenzioni, gli bastava sapere che il mondo avesse già perdonato tutti i suoi errori. Il vero obiettivo era perdonare se stesso e si rivelò più difficile del previsto.
Non aveva mai provato pietà per le sue vittime, Sasuke, ma il silenzio della notte sapeva essere parecchio fastidioso quando ripensava a tutte le vite che aveva tentato di stroncare. «Assassino! Traditore!», lo additavano ogni notte.
C’erano voluti mesi, ma alla fine aveva trovato il modo di affrontare quegli incubi. Se prima si lasciava semplicemente tormentare dalle voci del suo passato, ora trovava la forza di reagire, di contrastarle. «Lo ero, un tempo, ma sono cambiato! Sono cambiato!».
Allora le voci sparivano e le tenebre diventavano luce, la disperazione speranza.
Cominciava a sentirsi più in pace con se stesso, come se la solitudine e l’isolamento avessero alleviato il peso dei suoi peccati. I piccoli gesti quotidiani avevano acquistato maggiore valore: ringraziare il proprietario della locanda in cui aveva passato la notte, raccogliere la mela caduta per terra dalla busta di una signora che aveva appena fatto la spesa, accennare un sorriso ad un bimbo stretto tra le braccia della madre e ricevere in risposta una risatina curiosa. Quei gesti non avrebbero potuto certamente cancellare tutto il male che aveva fatto al mondo, ma Sasuke aveva come la sensazione che, partendo dalle piccole cose e arrivando in futuro a quelle più grandi, più profonde, avrebbe potuto mettere da parte gli errori e i fallimenti del passato per impegnarsi con tutto se stesso nel raggiungimento di un nuovo obiettivo.
Prima della fine della guerra credeva di poter rendere migliore il mondo ninja diventando Hokage per sobbarcarsi il dolore degli altri. Si sbagliava: la sofferenza faceva parte del corso della vita di ogni persona ma, se affrontata, se combattuta con i mezzi giusti – volontà, forza, coraggio e... sentimento – avrebbe potuto portare alla felicità. Sasuke capì che, se voleva davvero rendere migliore il mondo ninja, egli stesso doveva cominciare a comportarsi in modo diverso e solo allora avrebbe potuto dare l’esempio agli altri. Solo allora sarebbe potuto diventare Hokage, non come l’aveva inteso fino a quel momento, ma nel modo in cui lo intendeva Naruto: mettersi al servizio del villaggio, proteggerlo, guidarlo.
Ad un anno di distanza dall’inizio del viaggio, la sua redenzione risultava quasi completa: quasi, perché Sasuke aveva la vaga impressione che mancasse ancora qualcosa. Quando si trovava per strada, il suo sguardo andava alla ricerca di qualcosa, qualcosa di non ben definito: saettava da un passante all’altro, da una donna all’altra.
«Karin?». La sua mano si posò sulla spalla di una ragazza dalla capigliatura rossa e scalata, la quale si voltò, osservandolo stupita. Era una bella ragazza, indubbiamente, ma gli occhi erano scuri e non si riflettevano nelle spesse lenti di un paio d’occhiali. La sua espressione era confusa, indagatrice, non decisa e consapevole. Le sue braccia erano nivee, non tempestate di morsi.
Gli tornarono in mente le parole di Karin. Nessuno si salva da solo. Forse lei aveva ragione.
Quell’illuminazione improvvisa movimentò qualcosa nel suo animo. Fu come respirare di nuovo, riaprire gli occhi dopo un lungo sogno. Decise che sarebbe tornato a casa per cercare il tassello mancante della sua redenzione e terminare quel tortuoso cammino interiore.


****


«Questo kimono ti fa sembrare grassa!», le aveva detto Suigetsu, dopo averla scrutata a lungo, e Karin, rossa in volto, gli aveva sbattuto la testa contro il muro, imprecando poi a denti stretti quando il suo pugno era affondato nell’acqua schizzandole il bel vestito viola. C’era voluto Juugo affinché i due si calmassero per poter andare alla festa di Konoha.
Lì, comunque, non era andata tanto meglio: Suigetsu era stato schiaffeggiato da un paio di ragazze per complimenti poco decenti rivolti al loro decolleté, Karin aveva a sua volta pestato un ragazzo che le aveva versato un bicchiere di chissà cosa sullo sfortunato kimono viola e Juugo aveva fatto amicizia con un cane randagio che non aveva più smesso di seguirli.
Poi la musica era stata sostituita dai fuochi d’artificio e i tre avevano deciso di raggiungere la collina insieme agli altri abitanti di Konoha.
«Questo villaggio non è poi così male, in fin dei conti», commentò Suigetsu, stendendosi sull’erba.
Juugo, al suo fianco, annuì, accarezzando la testa del cane che scodinzolò contento.
«Come potrebbe non piacerti?!», commentò ironica Karin, colpendolo sulla spalla. «Io porto il pane a casa e Juugo si occupa delle faccende domestiche, mentre tu non fai nulla dalla mattina alla sera».
«Ti stai per caso lamentando?! Ti ricordo che sei stata tu a voler venire qui, strega!».
«Brutto merluzzo ammuffito!», urlò Karin, bloccandolo per la gola contro il suolo e preparandosi a colpirlo in pieno viso con un pugno ben assestato, ma... fu costretta a bloccarsi. Calò il silenzio: Suigetsu teneva ancora le mani avanti per ripararsi e Karin, il pugno sospeso a mezz’aria, fissava un punto imprecisato in lontananza.
«Karin, cos’hai?», le chiese Juugo, preoccupato.
«Ehm... niente», rispose lei, lasciando andare uno stralunato Suigetsu e mettendosi in piedi. Si riaggiustò il kimono, mandando via un po’ di polvere. «Mi sono ricordata di una commissione che dovevo fare. Credo... credo che me ne andrò».
«Oh, questa sì che è una buona notizia!», esclamò l’Hozuki, fingendosi esasperato. «Potrò finalmente godermi la serata in santa pace».
Con suo grande stupore, però, Karin non rispose alla provocazione.
«Ti accompagno», le disse Juugo, ma Karin lo bloccò prima che potesse alzarsi.
«Non serve, posso andare da sola. Ci vediamo a casa». Detto questo, la ragazza si allontanò scendendo dalla collina e riavviandosi verso il centro di Konoha: lo trovò deserto e ne approfittò per prendere una delle tante lanterne che quella sera contornavano le strade allestite per la festa.
Una volta lontana da occhi indiscreti, però, prese tutt’altra strada: quella che portava fuori da Konoha, verso i boschi.




Karin saltava da un tetto all’altro in direzione delle porte di Konoha.
Pochi minuti prima, in cima alla collina, le era parso di avvertire il chakra di Sasuke, ma non era ancora sicura che fosse realmente il suo: era troppo lontano per essere identificato con precisione, inoltre aveva qualcosa di diverso rispetto all’ultima volta che l’aveva percepito.
Poteva essere un chakra particolarmente simile a quello di Sasuke, ma poteva anche essere il suo.
Non l’avrebbe mai saputo se non l’avesse raggiunto in tempo.
Varcate le porte di Konoha, si mise letteralmente a correre e in poco tempo si ritrovò nel bosco, nel punto in cui aveva visto Sasuke per l’ultima volta. Poggiò la lanterna per terra e si sedette sul masso sul quale si appoggiava praticamente ogni giorno da quando lui era partito: le aveva detto “Tornerò presto” e lei aveva continuato ad aggrapparsi a quella fragile speranza, imperterrita, per mesi e mesi.
Rimase lì, immobile, a fissare la boscaglia per interi minuti.
Il proprietario di quel chakra sembrava aver deciso di fare una sosta perché Karin non lo avvertiva più muoversi nella sua direzione. Forse si era sbagliata, forse non era il chakra di Sasuke. Possibile che non riuscisse più a riconoscerlo? Possibile che fossero bastati solo pochi mesi per farle dimenticare il suo chakra?
Scosse la testa, non voleva crederci. Cominciò a massaggiarsi le tempie con le dita – tutta la concentrazione che aveva impiegato per capire se fosse il chakra di Sasuke o meno, le aveva provocato un leggero mal di testa – e respirò profondamente, rilassandosi.
Avrebbe semplicemente aspettato che la raggiungesse.



Karin stava per sbuffare spazientita, quando avvertì il misterioso individuo dal chakra tanto simile a quello di Sasuke riprendere il cammino in direzione di Konoha. Si avvicinava lentamente, passo dopo passo, e il suo chakra diveniva sempre più nitido. Un chakra particolarmente forte, avvolgente, come il chakra di Naruto. Quello dell’Uzumaki, però, era caldo e luminoso, mentre il chakra che le veniva incontro irradiava una luce fredda, anche se ugualmente intensa.
Conosceva quella luce. L’avrebbe riconosciuta tra mille.
Cominciò a batterle forte il cuore. «Sasuke...», mormorò. Era lui, non si era sbagliata.
E solo a quel punto Karin capì cosa l’avesse mandata in confusione. Le sue abilità sensitive non si erano indebolite, né aveva dimenticato come fosse il chakra di Sasuke: rispetto all’ultima volta che l’aveva percepito, esso era semplicemente meno oscuro, più tiepido.
Karin sorrise tra sé e sé. La redenzione... ci era riuscito davvero, allora.
Si alzò in piedi, sollevando la lanterna all’altezza del viso per avere una visuale migliore del bosco.
Rimase lì ad attenderlo, il cuore che martellava incessantemente nel petto e il desiderio prepotente di corrergli incontro, fin quando non lo intravide in lontananza. Fu allora che si rese conto di quanto le fosse realmente mancato in quei mesi.
Man mano che si avvicinava, notò che era più alto e che ora portava una benda bianca sulla testa dalla quale fuoriuscivano poche ciocche di capelli divise equamente ai lati del viso, mentre un ciuffo ricadeva sulla fronte in mezzo agli occhi. Era bellissimo, ma c’era ancora qualcosa che lo turbava nel profondo. «Bentornato», gli disse, facendo un passo avanti.
Sasuke le si avvicinò con cautela. Non era sorpreso di trovarla lì: era sicuro che non appena avesse avvertito il suo chakra, Karin gli sarebbe andata incontro. I capelli della ragazza erano più lunghi e aveva cambiato la montatura degli occhiali. Indossava un kimono fin troppo elegante per essere arrivata fin lì da casa: era stata di sicuro alla festa di cui aveva tanto sentito parlare sulla strada del ritorno. Lui stesso aveva approfittato di quell’occasione per avvicinarsi indisturbato a Konoha.
Sasuke la trovò diversa, forse più bella, più donna. Finalmente non doveva più accontentarsi di un effimero ricordo, finalmente non ci sarebbe più stato il pericolo di scambiare la chioma rossa di una ragazza qualsiasi, in mezzo alla folla, per quella di Karin.
«Avevi ragione», le disse.
La ragazza, incuriosita, gli si avvicinò, fino a quando non si trovarono a un metro di distanza l’uno dall’altro.
«Mi manca ancora qualcosa per completare la mia redenzione», le spiegò Sasuke. «Tu sai di cosa si tratta, Karin?».
In fondo Sasuke conosceva la risposta, ma orgoglioso com’era non riusciva ad ammetterla nemmeno a se stesso. Preferiva sentirselo dire da qualcun altro e che quel qualcun altro fosse proprio Karin era solo una coincidenza, ovviamente.
Karin, dal canto suo, sapeva che Sasuke sarebbe tornato parzialmente insoddisfatto del suo viaggio, ma non si aspettava una domanda del genere. Cosa serviva a Sasuke per ricominciare realmente a vivere? L’amore, avrebbe voluto rispondergli, ma con Sasuke Uchiha la prudenza non era mai troppa. Karin doveva agire lentamente, passo dopo passo, se voleva davvero guarire il suo cuore ancora malato.
«Sì, io so cosa ti manca», rispose con decisione, ma senza riferimenti espliciti.
Sasuke piegò gli angoli della bocca in quello che sembrò un sorriso. «E... saresti disposta a mostrarmelo?».
Karin sorrise a sua volta, il cuore in gola, perché in pochi minuti la sua vita aveva preso una piega del tutto inaspettata.
«E me lo chiedi pure?», si lasciò sfuggire, chiedendosi se avesse osato troppo.
Non voleva apparire affrettata, impaziente, irruenta. Non voleva farlo scappare di nuovo.
Sasuke scrollò le spalle. «Non si sa mai. Sono passati mesi da quando me ne sono andato».
Karin rimase sorpresa e capì che non c’era alcun bisogno di mascherare i suoi sentimenti.
Non poteva tirarsi indietro proprio ora che lui mostrava di aver bisogno di lei.
«Non potrei mai, mai dimenticarmi di te, Sasuke», confessò, arrossendo un po’.
Lo vide fare un passo in avanti e allungare un braccio nella sua direzione. Karin fissò le dita bianche e affusolate.
«Vieni con me, allora?».
Il cuore della ragazza saltò un battito. Scrutò l’occhio scuro e magnetico di Sasuke alla ricerca di qualche indizio, ma esso la incitava solo ad accettare il suo silenzioso invito. Karin posò una mano su quella fredda di lui. Se si trattava di un sogno, allora non avrebbe più voluto svegliarsi.
«Ovunque andrai».
Quello fu solo l’inizio di tutto.






EXTRA
«Ragazze, vi presento la vostra nuova collega!», aveva detto Tsunade, con una mano sulla spalla della ragazza dai capelli rossi.
Ino aveva sorriso entusiasta.
«COOOSA?», aveva urlato invece Sakura, coprendosi poi la bocca con una mano. Karin aveva fatto parte del team creato da Sasuke nel periodo antecedente la guerra e a Sakura non era passata inosservata la cotta che quella ragazza aveva per lui. Potevano considerarsi rivali in amore. «Perché lei è qui?!».
«Sakura, non fare la maleducata!», l'aveva rimproverata Tsunade, fulminandola con un’occhiataccia. «Lei ha un nome: Karin! Si è trasferita con i suoi amici a Konoha perché non ha altro posto dove andare e ha chiesto di poter lavorare qui all’ospedale. Non vedo perché non dovrei accettarla. Conosce le tecniche mediche di base e il suo chakra ha proprietà curative: ci sarà molto utile!».
Sakura aveva squadrato Karin dall’alto in basso, ricevendo in risposta uno sguardo di sfida. Così aveva stretto i pugni lungo i fianchi ed era uscita dalla stanza, lasciando a Ino il compito di fare da guida alla nuova collega. Lei, con Karin, non ci avrebbe mai avuto niente a che fare.
Non sapeva di sbagliarsi di grosso. Nei mesi successivi, Sakura aveva dovuto constatare che quella ragazza non era così male come pensava: grazie alla particolare proprietà del suo chakra era utilissima come primo soccorso agli Anbu che arrivavano moribondi all’ospedale, inoltre imparava velocemente le novità del mestiere ed era molto più simile a lei di quanto pensasse. A lavoro era seria e composta, ma se perdeva le staffe scatenava una grande forza, sia fisica che interiore. Sarebbero potute essere buone amiche, se non fosse stato per la questione “Sasuke”. Questione che avevano toccato solo una volta: «Lo ami?», le aveva chiesto Sakura a bruciapelo, non potendosi più trattenere, e Karin non ci aveva pensato due volte a rispondere di sì. E in quel momento Sakura aveva capito cos’era che le rendeva diverse agli occhi di Sasuke: lei, per piacergli, aveva sempre finto di essere un’altra persona, più dolce, più gentile; Karin non aveva paura di mostrarsi per quello che era, testarda e impulsiva.
Sakura aveva già capito che Sasuke avrebbe potuto amare Karin.






  
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