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Autore: Anya_tara    29/07/2018    1 recensioni
" ... Lo guardo allontanarsi, con quel suo passo fluido ingannevolmente tranquillo, e invece rapido e spedito. La strana sensazione che mi ha preso prima torna, mi prende nel petto, al cuore, facendomi provare un improvviso, intenso calore.
Chi sei davvero, Alejandro? Mi sembra di conoscerti da sempre, eppure di te non so niente ".
La strana coppia in una versione ancora più strana. Almeno secondo la sottoscritta.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Capricorn Shura, Leo Aiolia, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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La lezione di oggi sembra turkmeno, per me; non perché non comprenda l’inglese, e neppure perché la materia mi sia sconosciuta. Keynes è praticamente un amico, le sue teorie sull’andare in spiaggia e scavare buche o gettare sassi in acqua per risollevare l’economia le so a memoria, quindi forse è anche questo il problema.
Mi sento confuso. Ale ha continuato ad essere educato, tranquillo: eppure lo sento stranamente distante. Distaccato. Come se avessi davvero oltrepassato l’immaginaria linea di confine, inducendolo ad arretrare.
Continuo a domandarmi se non sia stato per quella battuta. Per tutta la sera è stato di umore solito, normale, ha cenato insieme a me e subito dopo si è andato a chiudere in camera. Avrei voluto bussare e chiedergli se gli andava di tirar fuori la vodka, e le sue domande: ma non volevo dargli fastidio, casomai stesse studiando, e inoltre ho temuto di complicare la situazione.
Dannata boccaccia. Dannata impulsività, che malgrado tutto non riesco mai a tenere a freno per davvero.
<< Signor Diamantis? Tutto bene? >>. Lo sguardo del professor Stephan Price, docente di economia aziendale e finanziaria si è posato su di me, e ho di colpo realizzato che stavo parlando – litigando, in realtà- col blocnotes.
Cosa anche peggiore, invece che con gli appunti sulla spiegazione del professore l’ho riempito di puntini, come se avesse avuto uno sfogo in blu China.
<< Ehm … sì, sì, certo, professore, grazie >>.
<< Non trova la mia lezione di suo gradimento? >>. Potrebbe sembrare una domanda retorica, ma in realtà è piuttosto simpatico. E’ giovane, parecchio giovane: e molte ragazze del suo corso non perdono occasione di fargli gli occhi dolci, o di portargli il caffè, anche se non so quanto sia etico, questo.
Sarà perché più che un professore sembra un modello. O un atleta olimpico. E ha una voce profonda e suadente che di certo rende le sue studentesse ben felici di assistere alle sue lezioni, sempre interessanti.
Vaffanculo. Sto diventando allergico a questa parola. Cioè, non al vaffanculo, anche se ormai lo tiro fuori solo quando parlo con Milo, da quando sono qui.
Ad “interessante”. Perché è una parola che in fin dei conti significa tutto e nulla.
<< No, professore >>. Diamine. << Cioè, non è questo, la trovo molto … interessante >>.
<< Bene. In tal caso, non avrà difficoltà ad esporci il suo punto di vista riguardo la teoria keynesiana degli spiriti animali >>. Posa la bacchetta, incrociando le braccia sul petto largo, che la giacca di ottimo taglio non riesce a nascondere. Mi pare di sentire più di qualche sospiro malcelato, nella fila dietro di me.
<< Gli … spiriti … animali? >>. Merda.
Keynes sosteneva che questo “spirito animale” indica il complesso di emozioni istintive che guidano il comportamento umano in vari ambiti, quello umano in generale, e quello imprenditoriale in particolare.
Anche le più calcolate manovre finanziarie hanno sempre un sottofondo umorale- a proposito di umore, quando si dice la coincidenza- . Ai tempi della Grande Depressione, ad esempio, dominava la disperazione. Di solito però indica una connotazione positiva, la voglia di fare, di ricominciare. Così sorge nell’imprenditore l’ottimismo ingenuo, che lo spinge a tentare la sorte, senza arrendersi, sempre riprovando finché alla fine riesce nella sua impresa.
<< Sì. Esattamente >>.
<< Be’ … ecco … sì, sono d’accordo >>, sputo fuori, facendo ridere tutta la classe.
<< Mi fa piacere che uno dei più grandi economi e statisti del Novecento abbia avuto la sua benedizione, signor Diamantis. Ora, però, vorrebbe dirmi in base a quali elucubrazioni è giunto a questa conclusione? >>.  
Non so neppure io da dove mi venga quest’idea. E’ malsana, è proprio idiota, anzi, ma pur di non gettare la spugna e dichiarare la sconfitta, la tento anch’io. << Io … penso che in ognuno di noi, esattamente come sostenevano gli Indios delle Americhe, o le culture antiche, ci sia una sorta di animale totemico, un’anima appartenente alla natura come la intendiamo prima che le civiltà progredissero fino a raggiungere i livelli che conosciamo al giorno d’oggi; e quest’animale selvatico era perfettamente in grado di elaborare strategie per cacciare, mirando a nutrire se stesso, e i suoi cuccioli, se ne aveva; di arretrare o difendersi davanti al pericolo. Allo stesso modo, l’animale dentro è perfettamente in grado di capire se l’affare intrapreso avrà un esito positivo o meno >>.
Mi sento molto fiero della mia esposizione. Peccato che il prof non la pensi come me, e mi scocchi un’occhiata furba subito dopo che io ho terminato. << Ma se così fosse, perché mai in molti si riducono sul lastrico? >>.
<< Forse perché … non danno abbastanza ascolto all’animale dentro. Razionalizzano troppo, col risultato di spegnere quella fiammata, e perdono occasioni d’oro. Oppure si fanno trascinare, mi perdoni il termine, in fregature colossali >>.
Gli occhi azzurri, penetranti si riducono in due fessure. << Così, lei ipotizza che un affare, in cui sono in gioco miliardi, che si tratti di dollari, o di sterline, o di euro, o qualsivoglia valuta, andrebbe condotto fidandosi puramente dell’istinto, e non con un’attenta analisi dei pro e dei contro? >>.
<< No, cioè, è ovvio che bisogna sempre valutare la situazione di partenza. Ma una volta fatte le debite proporzioni … nella maggior parte dei casi, sì. Occorrerebbe osare di più, alcune volte >>. Per un attimo mi chiedo se non stia diventando realmente bipolare. Un attimo fa ero impegnato a darmi del cretino perché forse ho fatto un passo falso con Alejandro, e adesso sono qui che vedo e rilancio, nemmeno stessimo giocando a poker, con l’istintività. Non che io ne capisca granché: malgrado la buona volontà e la cocciutaggine a non cedere, finisco sempre battuto anche al tavli, quindi immaginarsi se dovessi giocare a qualcosa che prevede una puntata a soldi. << Ci sono casi … nella vita … che sfuggono ai calcoli, alle certezze precalcolate. E allora … bisogna domandarsi se si ha il coraggio di lasciarsi andare tanto da fidarsi solo delle proprie sensazioni, e avere il coraggio di rischiare. Di puntare tutto su un azzardo, magari anche raddoppiando la posta, per far comprendere a chi abbiamo di fronte che non temiamo le sue contromosse >>. Sento salire un sorrisetto alle labbra, è irrefrenabile, e mi auguro solo che il prof non pensi che stia ridendo di lui. << Anzi. Non aspettiamo altro che di ascoltarle, di vederle, per poter ribattere nel modo più giusto. E magari … coglierlo alla sprovvista, con una stoccata magistrale >>.
Di colpo mi sono reso conto di essermi alzato in piedi, come il coglione di turno. E non so da quanto tempo sto piantato qui come il Big Ben, la Tour Eiffel, la Statua della Libertà o qualsiasi altro monumento in posizione verticale.
In questo momento mi sento tanto un monumento eretto all’umana contraddizione. Oltre che alla completa , assoluta impulsività.
Lo sto facendo troppo spesso da quando sono qui. Lasciarmi prendere la mano. Tutto quello contro cui ho lottato da quando ho conosciuto Shaina sta iniziando lentamente a riproporsi, anche se in forma meno nociva.
Per ora. Ma mi conosco. I miei vizi subiscono una crescita esponenziale. Oggi due, domani quattro, poi sedici. E così via, come nella famosa leggenda dei chicchi di riso sui quadranti della scacchiera.
Quest’accenno, non so perché, mi fa venire in mente Ale, di nuovo. Forse perché per ben due volte ha ammesso che gli ho dato scacco, l’altra sera.
E’ inutile. Più cerco di non domandarmi la ragione della sua elusività, più mi ci incaponisco e meno ne vengo a capo. Forse sarebbe bene chiederglielo e basta, se non gli abbia dato fastidio qualcosa.
Ma so già a priori che in cambio non riceverei una risposta. Non mi considererebbe degno di averla, se non sono giunto a comprendere da me cos’abbia la sua ritirata. Ormai penso di aver capito come funziona.
E mi addolora. Che sia stato stupido da giocarmi quello sprazzo di fiducia che stava cominciando a concedermi, solo perché ho avuto fretta di scoprire i suoi segreti.
Rialzo lo sguardo. Il professor Price mi guarda in silenzio, forse attende che mi sieda e la pianti di fare la bella statuina. Poi sorride.  << E lei, signor Diamantis, è in grado di farlo? Di dar retta allo spirito animale in lei >>.
Sorrido, davvero d’impulso. Ci sono cose di me che non riesco proprio a tenere a bada, nonostante tutto. << Il mio soprannome è Leo. Quindi credo proprio di sì >>.
Mormorii salgono dalle file davanti, risatine da quelle dietro.
Persino il professore mi rivolge uno sguardo sorpreso. << Bene. Ora passiamo alle domande. Sì, lei, con la maglia arancione >>.
Terminata la lezione, mentre tutti escono dall'aula, il professor Price mi fa un cenno. << Signor Diamantis >>.
<< Sì? >>.
<< Devo farle i miei complimenti. E’ stato davvero un intervento … interessante, il suo >>. Mi studia, inclinando il volto. E’ davvero un bell’uomo, e lo dico con cognizione di causa. Ha i tratti di un divo del cinema, un vaghissimo qualcosa di Brad Pitt, ma più maturo, più deciso, e con una lunga coda di capelli biondi e ondulati da far concorrenza a Milo, che non so se sia proprio accettabile, per un professore, ma che comunque fa la sua porca figura. Non c’è da stupirsi se il suo corso è frequentatissimo dalle ragazze. << Sta bene? Mi perdoni se prima le sono parso un po’ pungente >>.
<< No, si figuri. Anzi, in realtà ero davvero … un po’ distratto. Ma non per via della sua lezione. Mi scusi >>.
Prende la penna in mano, giocherellandoci. << Lei … si trova qui con l’Erasmus, giusto? Viene dalla Grecia, se non ricordo male >>.
<< Sì >>.
<< Anche mia nonna era greca, sa? Abbiamo un cosa in comune, a quanto pare >>. Sorride, mentre passa la stilografica da una mano all’altra.
<< Non lo sapevo. Mi fa piacere >>.
<< Lei è forse imparentato con Georghios Diamantis, l’imprenditore? >>.
<< Sì. E’ mio padre >>.
<< Ahh >>. Fa un sorriso saputo. << Non ho avuto l’onore di conoscerlo personalmente, ma ho spesso letto di lui, sui giornali finanziari. La vostra azienda di famiglia e' una delle colonne portanti dell’economia greca, uno dei pochi che ha saputo fronteggiare la crisi del 2009 >>.
<< Già >>.
<< E così, si ritrova a seguire le orme paterne. Bene. Spero che il suo entusiasmo … costituisca un ulteriore mattone, per un’impresa già così florida >>.
Macché florida ... Se’, al massimo California.
Se non temessi di giocarmi la reputazione, oltre che la stima appena dichiarata del prof, gli direi che questo è il primo intervento fatto da quando sono iscritto a Economia, che finora mi sono accontentato di studiare, e che mai fin qui mi sono alzato in piedi per esporre un punto di vista personale, anche se spinto dall’invito di un insegnante.
<< Non so se le ho già chiesto cosa tratta la sua ricerca >>.
<< E’ … sulle disparità dei trattamenti economici in merito alla scala di valori. Perché in alcuni Paesi Europei sussiste ancora questa differenza nei confronti di alcune categorie, come ad esempio le donne o gli stranieri, e come mai in alcune nazioni è più marcata rispetto ad altre >>.
<< Interessante. Be’, in bocca al lupo. E se le servisse qualcosa, conti pure su di me >>. Riabbassa lo sguardo sul blocnotes davanti a lui.
<< Grazie >>.
Esco dall’aula, sprofondando nei miei complicati processi mentali.
So ch’è un alibi furbo, mi sto attaccando ad un piccolo osso per non azzannare il grosso pezzo di carne indigesto che vi sta dietro. Mi sto imperniando su un problema altrimenti inesistente per non guardare in faccia la realtà, e cioè che Shaina mi abbia ancora contattato, e che mia madre continui ad inviarmi messaggi solo per sapere se ho mangiato, se sto bene, se esco di casa la sera oltre un certo orario, se sto attento a tenere la borsa davanti e non dietro la schiena, se non cammino troppo vicino ai binari della metropolitana, ma non mi domanda cosa mi fa provare Londra, o che profumo abbia l’appartamento che abito, o cosa penso dell’uomo con cui lo divido.
Da mio padre, il nulla.
Quindi Alejandro è il mio deterrente. Mi sto concentrando su di lui, per evitare di camminare davvero troppo vicino, a quei binari.
<< Ehi, kalimera! >>. La voce squillante alle mie spalle mi fa voltare di scatto.
E’ Alyké. Sono contento di vederla, mi restituisce un attimo di tregua nelle mie cogitazioni, per quanto la conosca poco o nulla. << Ciao, Alyké >>.
Si avvicina, sorridendo. I capelli rossi ora sono legati a coda, sul cappotto blu scuro. << Allora? Ti è stato utile, il mio consiglio? >>.
<< Sì. Molto. Ho trovato … un’ottima sistemazione >>. Sorrido anch’io. E mi viene in mente che affrontare la prova del fuoco sarebbe molto meno complicato, insieme a lei.
In fondo me l’ha chiesto lui, di passare in settimana.
Quale occasione migliore, per ripagare il debito con Alyké? << Per cui ti devo una colazione. Hai tempo? >>.
<< Veramente sì. Ho un appuntamento alle 16, per uno stage formativo, ma fino ad allora sono libera >>.
<< Bene, allora posso mantenere la parola data. Conosco un posticino niente male, qui vicino >>. Veramente non è proprio così, so soltanto come si chiama e l’indirizzo, ma ci può stare, penso.
Lei annuisce, le ciocche libere dalla coda le rimbalzano sul viso luminoso. << Okay. Va benissimo >>. Così usciamo, camminando fianco a fianco nel freddo, brumoso primo pomeriggio di Londra.
Sono più o meno quindici minuti a piedi. Quando arriviamo sulla porta, di vetro istoriato e pannelli di pegno dipinto di verde bottiglia, Alykè fa un verso ammirato. << Caspita. Già l’esterno mi piace >>, osserva, alzando lo sguardo sull’insegna lavorata col pirografo.
<< Sì. Anche a me >>, replico, ed è vero.
Poso la mano sul pomello di ottone, aprendole la porta. << Grazie >>. Quindi la seguo all’interno.
Dentro mantiene tutte le aspettative date fuori. L’atmosfera è conviviale, i pannelli di legno chiaro intervallati ad alcuni dipinti danno un’aria di casa, di famiglia. Come se tutti gli avventori facessero parte di un unico grande folto gruppo.
Mi guardo intorno con un certo imbarazzo. Ma Alykè, presa dalla contemplazione entusiastica dei pannelli dipinti appesi al muro, non ci fa caso.
Per fortuna.
<< Salve. Benvenuti >>, ci accoglie un pezzo d’uomo alto almeno due metri, bruno di capelli e di carnagione. Ha un leggero accento, sicuramente sudamericano, ma è diverso da quello di Alejandro, più liquido, meno avvolgente.
Per cui dev’essere di qualche nazione di lingua portoghese. << Salve. C’è … Ale? >>.
L’uomo mi fissa con uno sguardo stupito. << Sì, è nel retro, arriva subito. Io sono Eduardo >>, si presenta, porgendo la mano a me e Alyké.
Ha una stretta calda, decisa eppure delicata. Dev’esserlo per forza, con le manone che si ritrova. << Alexandròs. Non gli dica che sono qui, voglio fargli una sorpresa >>.
<< D’accordo >>. Se ne va e ci lascia soli, Alyké tutta immersa nella visione di una marina astratta. In fondo è comprensibile: il suo nome vuol dire “colei che viene dal mare”, la versione greca di Marina.
<< E’ bellissimo. Sto seriamente pensando di domandare se è in vendita >>.
<< Non penso. Potrai chiederlo al proprietario >>.
Quando mi volto, ad avere la sorpresa sono io.
Non … cioè, insomma, ormai lo conosco, ha gli stessi lineamenti, lo stesso corpo di ogni giorno, eppure sembra una persona … non so. Non diversa, questo no; ma c’è … qualcosa di differente, ecco. Come vedere un amico che conosci da sempre tutti i santi giorni, renderti conto che qualcosa non quadra e accorgerti solo dopo che ha fatto la barba, oppure ha accorciato i capelli. Ecco. Così.
Più o meno. Perché da quanto ho potuto accertare con mano – per modo di dire, insomma- la barba la fa ogni giorno, non gli ho mai visto in faccia l’ombra della ricrescita. E con la pelle chiara che ha, il nero corvino spiccherebbe immediatamente.
Come quello dei capelli, che no, non ha accorciato. Ma li tiene legati in un piccolo nodo, appena accennato, un pò più in alto della nuca.
Mi ero aspettato che fosse un posto informale, e che lavorasse con gli stessi indumenti che gli vedevo addosso quando entrava o usciva da casa.
Mi sbagliavo. E’ in gilet e cravatta neri, come per ogni barista che si rispetti. La camicia però non è bianca, ma di un bordeaux scuro, borgogna, direi. E non pare sia cotone, piuttosto seta, a giudicare dai riflessi lievemente iridescenti ch’emette sotto le luci delicatamente dorate dei lampadari decò appesi al soffitto.
E gli sta … bene. Il bianco gli morirebbe addosso, con quella carnagione così chiara.
Questo colore invece gli dona. E’ lo stesso del vino che ho portato a casa l’altra sera. Un rubino intenso, cupo, eppure vivido. Gli riverbera negl’incavi degli zigomi e sulle lenti, mescolandosi all’oro impalpabile che piove dall’alto.
C’è qualcosa che questo ragazzo dimostri e sia così? O è tutto un gioco d’azzardo, con lui?
Un altro po’ e inizierò a chiedermi se sia sul serio omosessuale, oltre a tutto il resto.
Mi scocca uno sguardo incuriosito, che poi passa ad Alyké ancora persa davanti al pannello. Io invece non  posso smettere di fissare lui, come un povero imbecille.
E’ … non so esattamente come definirlo. Strano. Sì, strano. << Buongiorno, signorina >>, dice, con la sua voce inconfondibile. Se non gliela conoscessi, direi che lo sta facendo apposta, per ammaliarla ancora di più.
Alyké si volta, restando un tantino sconcertata anche lei. << Eh, buongiorno >>, borbotta, in tono normale. poi, a denti stretti: << Accidenti >>, si fa sfuggire.
Già. Precisamente. Accidenti. << Buongiorno anche a te, Leo >>, riprende, prendendo uno strofinaccio dal bancone e mettendosi ad asciugare i bicchieri capovolti. << Che ci fai qui a quest’ora? Non dovevi essere in facoltà, oggi? >>.
Faccio per replicare, ma mi scopro improvvisamente ammutolito. Alla faccia della sorpresa.
Il suo tono, tranquillo tuttavia distaccato, mi mette un attimo di ansia. Anche se continua ad asciugare i bicchieri come niente fosse, e mantiene gli occhi su di noi.
<< Buongiorno, Ale. Sì, in effetti sono appena uscito >>. Mi avvicino, e la ragazza con me. Ho l’impressione che stiamo facendo la figura dei cretini, tutt’e due.
Infatti, tutt’e due. Devo ricordarmi le buone maniere, maledizione.  << Posso … presentarti Alyké Kouranaki? E’ una mia … conterranea >>.
<< Onorato, Alyké >>. Le porge la mano, e Alykè esita per qualche istante prima di restituire la stretta. Sembra che abbia ancora a riaversi dallo shock. << Lui è il mio coinquilino. Sai, Ale, è stata lei a consigliarmi di guardare in bacheca. Così ti ho trovato >>.
Alejandro le punta addosso uno sguardo indecifrabile, nero come la notte senza stelle. Sento chiaramente il disagio di Alyké, un disagio buono, però. Come se l’avesse esaminata, fosse stata promossa e lei ne fosse estremamente lusingata. << Ma guarda. Curioso >>, dice, passando lo straccio nel bicchiere tozzo, senza gambo.
<< Già. Io … stessa ho trovato una buona sistemazione, in questo modo >>. Finalmente si è ripresa, e torna a sorridere. << Certo, sono anche stata fortunata. Ma anche Leo non ha di che lamentarsi, a quanto vedo >>.
<< Mah. Chissà. Potrebbe trovare di meglio >>, osserva lui, passando ad un altro bicchiere. << Comunque sono spiacente, Leo. Diego non c’è, è dovuto scappare per un imprevisto con un fornitore >>.
<< Non importa. In realtà siamo venuti a fare colazione >>.
<< Colazione? A quest’ora? >>, osserva lui, lanciando un’occhiata obliqua all’orologio a muro, un pezzo sicuramente antico, pregiato e anche molto bello, almeno per quello che ne capisco io.
<< E’ un Boule? >>, chiede Alyké, seguendo la linea tracciata dal suo sguardo.
Alejandro annuisce. << Sì, esatto. Vedo che se ne intende >>.
<< Veramente ho appena avuto un colpo di fulmine con quel pannello. E’ stupendo >>.
<< Lo ha realizzato un mio amico. Angelo, lo hai conosciuto >>, fa Ale, rivolto a me.
E rimango di sale. << Angelo dell’altra sera?! >>.
<< Lui, già. Sono tutti opera sua >>.
Mi giro uno sguardo intorno per osservarli con più attenzione. Sono … davvero belli, delicati, dai colori accostati con gusto raffinato. E le linee pulite.
E’ difficile rapportare i suoi modi da … buzzurro, e il suo aspetto vagamente rozzo a queste opere così aggraziate. Avrei puntato più su Magnus come loro autore, in realtà.
Dovrei davvero smetterla di farmi preconcetti sulle persone. Davvero. << E sono in vendita? >>.
<< Di solito no, ma per un amico potrebbe fare delle eccezioni >>. Alza le spalle. Come al solito. << E io sono abbastanza amico perché mi conceda di questi favori >>.
Il tono con cui ha calcato su “questi” non colpisce Alyké, che non lo conosce. Al contrario non sfugge a me, strappandomi un mezzo sorriso.
Non ha dimenticato la conversazione dell’altra sera, no. E riprendo un attimo fiato: non ce l’ha con me. Solo, ci sono mancate le occasioni di ripetere l’esperienza.
Ah, ma la troverò. Accidenti, se la troverò. << Allora, cosa posso servirvi? >>, domanda, in tono gentile, guardando Alyké.
<< Un caffè lungo, macchiato >>.
<< Perfetto. Per te, Leo? >>.
<< Un caffè normale >>.
<< Subito >>. La danza dei suoi gesti perfettamente cadenzati lascia di stucco anche la mia amica, che lo osserva come fosse un cobra ipnotizzato da un flautista indiano. In particolare il movimento che fa nel liberare il filtro dalla polvere usata, apparentemente lieve eppure pieno di forza. << Diego non ama le cialde confezionate, e sinceramente nemmeno io. Ma tranquilli, non tocchiamo mai la polvere con le mani >>, spiega, accennando al dosatore accanto alla macchina.
Non che me ne fossi accorto. E credo che Alykè non si sarebbe accorta neppure se fosse entrato un autobus a due piani dalla vetrata, Dio scampi e liberi.
Ma sicuro, quello che lascia più spiazzato me è quel sali-scendi morbido e fluido che compie per montare la schiuma nel bricco. E’ … troppo facile, immaginare.
Troppo. Tanto che penso di essere avvampato come un deficiente.
Meno male che io lo prendo “normale”. Non penso che altrimenti sarei riuscito a berlo senza strozzarmi un paio di volte. << Di solito, altri miei colleghi preferiscono un movimento più rapido e deciso, per far salire più velocemente la schiuma in superficie. Ma crea troppe bolle d’aria, che si sfaldano in fretta a contatto col caffé. Così, invece, è più cremosa, e tiene di più >>, aggiunge.
Capisco solo dopo qualche secondo che sta tenendo una lezione a mio beneficio, in caso dovessi davvero venire a lavorare qui.
D’un tratto non sono più tanto sicuro. Non potrei neppure in un milione di anni acquisire una tale sapienza, anche se si tratta solo di caffè. E di latte.
E non diventare bordeaux, in perfetto pendant con la sua camicia, ogni volta che glielo vedo montare.
Riempie due bicchieri di minerale, e li posa davanti a noi spingendoli delicatamente con le nocche della mano. Noto solamente adesso che fa in modo di toccare il meno possibile ogni cosa, una precauzione apprezzabile.
No, non penso proprio che sarei il suo collega ideale. Con la manualità che ho io, finirebbe tutto in frantumi in due secondi netti.
<< Scusatemi >>. Si scosta un attimo, dandoci le spalle per aprire la vetrina dall’altro lato del banco. Un profumo delizioso di cioccolato e zucchero a velo mi invade le narici.
Inutile dirlo, il mio stomaco si risveglia con una potenza inaudita. Tanto più che stamattina, distratto com’ero già da quando mi sono alzato, ho mandato giù solo un bicchiere d’acqua e un biscotto Digestive, che sarà pure tanto salutare, ma non dà alcun genere di soddisfazione.
La caffettiera, già preparata, è rimasta sul fornello a induzione, intatta. Lo fa sempre, quando esce per primo. La svuota e la riempie nuovamente, così la trovo pronta.
E’ solo una piccola cortesia, ma che rafforza l’impressione che sia proprio una bella persona, Ale. E mi sento in colpa per aver pensato ingiustamente di lui che stesse evitando di proposito l’occasione di parlare.
Oltre che tutte le oscenità che ho segnato sulla lista. << Questi gli ha fatti Eduardo. E’ un maestro, quando si tratta di dolci. Sono una rivisitazione della classica Guinness Chocolate cake, la crema all’interno è composta da formaggio cremoso, burro e zucchero a velo >>, dice, traendo dal piccolo microonde un piattino con due muffin scuri. Facendo attenzione a posare le dita sulla parte protetta dal pirottino, li divide su due ulteriori piattini e con perfetto galateo ne avvicina uno alla mia accompagnatrice. << Non scottano, questi rendono meglio se consumati a temperatura ambiente. Ma siccome fuori ci sono appena sei gradi >>, scherza, alzando le spalle. Quando lo fa, la camicia e il gilet gli si tendono sul torace. << Prego, Alyké >>.  
Lei arrossisce leggermente. << Grazie >>. Ne prende uno, assestandogli un piccolo morso. << Cavolo, buonissimo! Verrò sempre a fare colazione qui, d’ora in poi >>.
Ale stira il suo mezzo sorriso. Poi guarda me. << Tu non ne vuoi, Leo? >>.
<< Veramente … >>. L’aspetto è più che invitante, e i succhi gastrici rumoreggiano selvaggiamente nel mio stomaco.
A proposito di spiriti animali. Il mio ha fame, una fame boia.
E ho il terrore che se comincio, non finirò più. Sarebbe consigliabile andarmene a casa e metter su l’acqua per la pasta.
Un chilo, almeno. << Ma … davvero c’è della birra, qui dentro? >>, chiedo, giusto per avere un pretesto. Conosco la ricetta, anche se non l’ho mai assaggiata. L’idea di mescolare la birra con il cioccolato non mi ha mai ispirato granchè.
Ci sono cose che stanno meglio ognuna per i fatti propri. Sicuramente. << Nell’impasto. Guinness irlandese scura. E il cacao se lo fa mandare da casa. Lui è brasiliano, quindi si serve solo all’origine. Pure fave di cacao brasiliano da coltivazioni ecosostenibili >>. Alejandro riprende a maneggiare i bicchieri, con aria tranquilla, per nulla indaffarata. In effetti, eccetto che per noi, il locale è vuoto.
Strano. Eppure gli affari vanno bene, così ha detto lui. Ma non sembra ci sia poi tanto da fare.
A meno che non sia colpa dell’orario. Londra non è Atene, e probabilmente tra poco qui si scatenerà il finimondo, appena scatterà l’ora di pausa da uffici e posti di lavoro. Come anche al mattino, d’altronde.
Non posso fare a meno di guardarlo con compatimento. Di certo sarà stata un’altra giornata intensa, come tutte le altre. E mi sento davvero una merda, nel riflettere che quando arriva a casa di certo ha a malapena voglia di farsi una doccia e buttarsi sul letto, figurarsi se gli va di parlare e bere, specialmente sapendo che il giorno dopo sarà la stessa tiritera, e deve anche studiare.
Mi risuonano in mente le sue parole. “Mi dispiace. Sono stato un po’ troppo assente”.
No, Ale, no. Anzi, improvvisamente mi rendo conto che sei fin troppo presente, e nonostante non mi debba nulla, dacché siamo solo semplici coinquilini, ti sei sforzato anche di trovare del tempo per me, e vorresti trovarne ancora, per compiacermi.
Questo pensiero mi colpisce con forza. C’è mai stato qualcuno, che abbia trovato del tempo per me, fin qui? Davvero soltanto per me?
A guardarmi indietro, non lo so con certezza. Soltanto Andrèas, prima che andasse via da casa. Milo è sempre stato con me ogni volta che poteva, ma lo faceva per lui, non per me. Gli faceva piacere la mia compagnia, ma se arrivasse a casa dopo una giornata stressante non si sognerebbe mai di chiedermi scusa perché è troppo assente. Come minimo mi avrebbe detto di non rompergli, ch’era stanco morto e non gli andava neanche di farsi una scopata, figurarsi parlare con me.
Non voglio dire che Milo sia cattivo, mai. Solo, lui tiene a me a modo suo.
A ben pensarci tutti tengono a me a loro modo.
Nessuno mi ha mai chiesto scusa perché è stato “ un po’ troppo assente”.
Né mio padre, sempre impegnato col lavoro. Né mia madre, persa dietro le sue medicine.
Né mio fratello, che è andato via senza guardarsi indietro.
Neppure Shaina, che non ha mai rimandato un appuntamento dall’estetista o con le sue amiche, se avevo casa libera un’ora e la pregavo di raggiungermi. E se sbuffavo al cellulare mi rimbrottava di brutto: << Possibile che pensi solo a quello?! Sei troppo egocentrico, Alex. Pretendi che annulli un appuntamento che ho fissato da due settimane, e di cui ho bisogno con la massima urgenza, perché ai tuoi è saltato il ticchio di uscire? Ma cos’hai, quindici anni?! >>. E l’urgenza erano le unghie da rifare, o le sopracciglia da sfoltire.
E mi davo del cazzo di egocentrico anch’io, perché pretendevo che accorresse alla mia chiamata, così, solo ad uno schioccare di dita. Che mandassi all’aria i suoi piani, solo perché avevo voglia di fare l’amore con lei in un posto che non fosse il sedile della mia auto parcheggiata in un posto buio, in mezzo al nulla, o una camera presa last-minute da qualche parte che fosse accettabile. E dove nessuno potesse vederla o riconoscerla. Cosa che spesso faceva saltare anche il sesso, perché non sempre era possibile trovarne una che corrispondesse alle sue aspettative.  
D’un tratto sento un sapore amaro in bocca. Ma non è il retrogusto del caffè.
Mi accorgo di essermi preso una pausa col cervello, ma nessuno di loro due ci ha fatto caso. A quanto pare, Ale ha tenuto una lezione anche a beneficio di Alyké, che sembra pendere dalle sue labbra morbide, rese più scure dal riflesso della camicia. << Non sempre mescolare cose che a prima vista non c’azzeccano niente, è controproducente. Basta saperle amalgamare con cura >>, sento che dice.
A quanto pare sono tornato giusto in tempo per sentir confutare una delle mie teorie. E per risentire quel tono ammaliatore dell’altra sera.
<< L’ho sempre pensata anch’io così! >>, fa Alyké, portando una mano davanti alla bocca piena. << E’ squisito, Leo. Dai, prendilo >>.
<< Veramente … >>.
<< E dai! Uno solo, che male può fare! Ci pensi domani, alla dieta! >>, fa lei, ridendo. << Non si può dire sempre di no! >>.
<< Ha ragione, Leo >>, rincara Ale, in tono pacato. Poi posa i gomiti sul bordo di legno, e rialza lo sguardo fissandomi da sopra le lenti.  << Facciamo così. Te ne do un assaggio. Poi decidi se ti va di prendere … anche il resto >>.
<< Va bene >>. Non ho la convinzione necessaria per continuare a rifiutare.
Va al lavello, si sciacqua le mani con cura e le asciuga in un altro strofinaccio, tenuto a lato della macchina del caffè. Poi prende da un secchiello un coltello, e stringe tra le dita l’altro muffin.
Affonda il coltello con grazia nella pasta soffice, e la crema all’interno si spande sulla lama.
Non so perché, ma ho un nodo in gola mentre me lo porge. Lo raccolgo dalla punta delle sue dita, e lo porto alle labbra. Ingoio tutto d’un colpo, e meno male ch’è davvero morbido come sembra, che altrimenti mi sarei strozzato, e uno dei due avrebbe dovuto praticarmi la manovra di Heimlich.
Solo ora realizzo che l’ha toccato con le mani. E la cosa, piuttosto che infastidirmi, mi ha fatto sentire più propenso ad accettarlo.
Ale inarca un sopracciglio, e Alyké scoppia a ridere. << Dai, ma così non senti neanche che sapore ha! >>.
Bevo un sorso di caffè, non osando alzare lo sguardo su di lui.
Forse non è stata una gran furbata, venire assieme ad Alyké. << Non devi preoccuparti se non ti va >>, riprende Alejandro, aprendo l’acqua e lavando il coltello con un gesto apparentemente noncurante, ma che rivela una gran pratica, oltre che una meticolosa attenzione.
Sembra affilatissimo. Il genere di roba che rischia di farti ritrovare nel ragù un dito, se non lo maneggi con la dovuta cautela. Persino io che cucino non mi azzarderei a mettere mano ad un oggetto tanto pericoloso, soprattutto conoscendo quanti danni sono già capace di procurarmi con quelli più piccoli, da cucina o da tavola che siano.
D’un tratto mi balena sullo schermo mentale un nuovo punto da aggiungere alla famosa lista:
10. Ha una passione malsana per le armi da taglio.
E mi viene spontaneo figurarmi le pareti tappezzate di spade, fioretti, katane giapponesi. In effetti … a vederlo così ce l’ha l’aria di un samurai.
Ora che ci penso, non ha detto di essere di Toledo? E questa città ha una reputazione a livello mondiale, nella produzione di lame.
Non mi ricordo dove ho letto, sempre su qualche rivista di Shaina, che la bella Angelina Jolie, giusto per ritornare sul discorso di Brad Pitt, adorava giocare con i coltelli mentre faceva sesso con il suo ex-fidanzato.
Ossantocielo. Forse è per questo che da quando abito con lui non ha mai … ricevuto visite a parte quella dei suoi compari. Non soltanto perché è così riservato.
Per non farmi sentire le grida. << Eh? >>. Riemergo a stento dalle mie elucubrazioni, imprecando contro me stesso perché nonostante abbia appena promesso di non pensare male di lui, l’ho appena fatto di nuovo.
Sono sempre stato creativo, ma devo ammettere che mi sto stupendo da solo. Non mi era mai capitato di lanciarmi in fantasie così sfrenate, riguardo le predilezioni sessuali di qualcun altro.
Un uomo, soprattutto. << Non devi preoccuparti di venir meno ai tuoi principi di economia. Se non ti va, lo metto da parte, se lo divideranno i ragazzi più tardi >>.
<< No. Lo prendo ora >>. Forse ho usato un tono un po’ troppo deciso. Duro, sarebbe il termine corretto, in realtà.
Mi pare di vederlo irrigidirsi leggermente. << Okay. Come preferisci >>. Mi avvicina il piattino con il dorso della mano. << Serviti pure >>.
Ha un aspetto più che magnifico, soprattutto ora che il ripieno è colato fuori in una piccola pozza chiara, che spicca sul marrone profondo. mi assale l’immagine di me che gli assesto un morso finendo per impiastricciarmi tutta la faccia.
Ma mi faccio coraggio. Se ne sono uscito indenne con i cannoli, anche se mi sono assicurato di provarli mentre ero da solo in casa, non sia mai, posso farcela con un muffin.
Non ho l’abitudine di mangiare con calma. Persino da piccolo, con le caramelle non riuscivo a tenerle in bocca e succhiarle. Dovevo polverizzarle sotto i denti, sentendole scrocchiare tra i molari. E così con i ghiaccioli, finendo poi con un mal di testa atroce, perché non esiste che mastichi ghiaccio e non ti parte la congestione alla fronte.
Così mi decido a prenderlo tutto. E’ davvero buono. Si scioglie in bocca, e la birra quasi non si sente, se non per un certo vago sentore di malto, che si fonde alla perfezione con il resto.
<< Wow >>, mormoro, prendendone un altro morso. << E’ proprio buono, sul serio >>.
<< E pensa che la maggior parte degli ingredienti è a chilometro zero, oppure viene dal commercio equosolidale. Non ti andrà di traverso adesso, vero? >>. C’è un pizzico di malizia nelle sue parole, ma sono troppo impegnato a rischiare un coinvolgimento emotivo con questo muffin.
Potrei andarci a letto, sul serio. Non mi chiederebbe di girare mezza Atene per trovargli una stanza, o di fare trenta chilometri perché siamo lontani da qualsiasi anima viva.
E mi darebbe un sacco di soddisfazione comunque.
Oddio, ma sto davvero parlando di mangiare come del sesso?
Mi sa che mi sto giocando il cervello.
Eduardo ritorna, con uno scatolone tra le mani. << Li hai fatti tu? Sono meravigliosi! >>, trilla Alyké, e l’omone arrossisce.
<< Oh, be’, grazie >>. Posa lo scatolo e passa una mano dietro la nuca, come se fosse refrattario ai complimenti. << E’ stato Ale a convincermi a metterli in vetrina >>.
<< Ha fatto bene >>. Alyké gli scocca un sorrisone, poveretta. Mi sa che non ha capito.
D’altronde a vederlo adesso, non capirebbe nessuno.
Poi mi do dello scemo. Non è che uno smette di essere attraente per il sesso femminile solo perché è gay. Anzi a quanto pare, le donne ci vanno pazze. Più sono … omosessuali, più le tirano, va’ a sapere. Secondo quel geniaccio di Milo, che studia psicologia, è perché sono “attratte dall’impossibilità di averli. E’ il solito gioco della statua sul piedistallo. Quando la tocchi ti resta la doratura sulle mani, per citare Flaubert, e addio. Con quelli invece non corrono di questi rischi. L’idea che non si complimentino con loro per portarle a letto li innalza automaticamente nella loro considerazione. E il sogno segreto di ogni donna è che possa riuscire a .. redimerne almeno uno. T’immagini, che colpaccio sarebbe, per la loro autostima? ”. Un discorso che all’epoca abbiamo fatto dopo aver visto un film, di cui non ricordo neppure il titolo adesso, ma che riguardava appunto una ragazza che alla fine, dopo un sacco di storie finite male, s’innamorava del suo migliore amico omosessuale.
Ammutolisco di colpo. Sono quasi le stesse parole che ha usato Ale, quando abbiamo parlato la prima volta.
Devo ammettere che in quest’ottica inizio a credere un po’ di più, alla teoria di Milo.
Cazzo, Milo. Ora che finalmente il cervello si è ricollegato, causa flebo di caffeina e zuccheri, mi ricordo che non l’ho più chiamato.
Devo rimediare, quando torno a casa.
Meno male che non gli ho dato l’indirizzo. Altrimenti sarebbe stato capace di catapultarsi.
<< Scusatemi, ragazzi. C’è un sacco di roba da mettere a posto, e stiamo provando un ragazzo, che però non possiamo lasciare da solo >>. Ale stira un mezzo sorriso. << Tranquillo, non penso che durerà. Diego è molto elastico, anche sul lavoro, soprattutto con chi ha appena iniziato. Ma pretende almeno una certa affidabilità, ed è chiaro che non puoi garantirla se sei impegnato a inventarti scuse per non presentarti >>.
Io abbasso lo sguardo sulle mani, pulendole con estrema lentezza con il tovagliolino di carta.
E’ evidente che siamo ai poli contrapposti di quest’affermazione su di me. Lui intende forse sottolineare il fatto che io sia affidabile, almeno secondo lui.
A me invece vengono in mente tutte le mie mancanze.
La porta si apre, e due giovani donne entrano, con delle tracolle da computer. Sta per iniziare l’attacco di poveretti esauriti, affamati e molto frettolosi. << Be’, noi … togliamo il disturbo >>, mormoro, gettando il tovagliolo nel cestino, e bevendo un sorso d’acqua. << Quanto ti devo? >>.
Ale alza le spalle. E sono tre. Anche questa credo sia una compulsione.
Di certo è più gradevole che strizzare l’occhio, o digrignare i denti. << Offre la casa >>.
Approfittando del fatto che la ragazza si è rimessa a contemplare il pannello come se volesse convincerlo a staccarsi dal muro e seguirla a casa, replico: << Ma non pensarci proprio. Dovevo una colazione ad Alyké, se la offri tu, vengo meno alla mia promessa >>. Lo fisso in volto, sfidandolo ad un ideale braccio di ferro di sguardi.
Il suo è denso, nero, insondabile. La luce lo colora di un’illusione di limpidezza, ma in realtà è solo il raggio di luce che si posa sull’acqua. Illumina appena la superficie, il fondo resta imperscrutabile. << Allora sono davvero costretto ad insistere. In fondo è stata lei a fare un favore a me, non pensi? >>.
Lo fa di nuovo. Mi fa battere qualcosa più forte, dentro, che sola rinsalda tutti i pezzi che sentivo tremare pericolosamente.
Stabilità. Ecco, come si chiama. La sensazione di … stabilità, malgrado tutti i dubbi che mi suscita e i forse con cui mi martella in testa.
<< Non la conosci >>, ribatto d’impulso, determinato a non mollare. E riduce gli occhi a due fessure, dietro le lenti. << Quindi, non sei abbastanza amico suo, perché possa concederti questo genere di favore. O perché tu lo possa accettare. Ergo, pago io >>.
Lui mi guarda appena un altro istante, tende l’angolo delle labbra. << Hai sbagliato facoltà, Leo. Dovresti fare l’avvocato. Come cavilli tu, non lo fa nessuno >>.
Erompo in un sorrisone a trentadue denti, e solo dopo mi sovviene che potrei avere dei pezzi di muffin attaccati allo smalto. Così, la pianto. << So essere molto determinato. Quanto ti devo? >>.
<< Quindici sterline e trentasei pound >>.
Resto a bocca aperta, e stavolta non me ne frega niente, se ho i denti incrostati di muffin. << Alla faccia del commercio equosolidale >>, commento, tirando fuori il portafoglio.
Prendo le banconote, le monete, e le poso sul banco. Lui le prende, va alla cassa, batte lo scontrino e lo posa sul piccolo svuotatasche verde scuro anch’esso, dai bordi dorati, un oggettino che sa di mercatino delle pulci. Sto per raccoglierle quando mi accorgo che mi osserva sornione. << Vuoi un sacchetto di plastica, o preferisci la carta riciclata? >>, mi chiede a bruciapelo.
<< Eh? >>.
<< Per quello che hai comprato. Non credo sia il caso di portartelo in giro così, no? >>.
Lo fisso, sempre più confuso. << Sono il prezzo di una bottiglia di Zinfandel di buona qualità. A meno che tu non preferissi qualcos’altro, questa volta >>.
Deglutisco a stento. Sento che sto per mettermi a ridere di nuovo, ma non posso dargli questa soddisfazione, così mi mordo il labbro.
Mi ha fregato. E io imbecille che non mi sono reso conto del suo giochetto. Ma nel negozio l’ho pagata diciotto e qualcosa, quindi non potevo saperlo.
Ho pure risparmiato, guarda un po’. Il mio lato economico sta facendo i salti di gioia.  
E non solo lui.
Se me l’ha fatta prendere è perché evidentemente ha in mente di pormi tutte quelle domande.
E non dovrei sentirmi tanto felice. Sul serio. Anche perché dovrò rispondere con un mucchio di balle.
Ma adesso non ho il tempo di pensarci. Sono troppo concentrato a guardarlo mentre tira giù la bottiglia dalla mensola di legno. << Allora? >>.
<< Qual è la differenza? >>, domando. In teoria gli starei facendo perdere tempo, ma siccome le due damigelle sono impegnate a scorrere i menu con un occhio sui loro cellulari, sicuramente intente a controllare quante calorie contenga questo o quell’altro peccato di gola, non mi sento troppo in colpa.
Li stiamo rubando per noi due, questi minuti.
E conta tanto, per me.
<< Il sacchetto di plastica ti costa dieci pound. Quello di carta è gratis >>.
<< E che me lo chiedi a fare, allora? >>, borbotto, mettendo su un’aria accigliata. << Mi hai già fatto spendere un patrimonio, sanguisuga >>.
Per un secondo temo di aver esagerato. In fondo non è Milo.
Poi lo sento ridacchiare. E mi rassereno. << Cosa preferisci, per cena? >>.
<< Ma tu non hai mai da studiare? >>.
<< Proprio oggi ho fatto un  intervento brillante, in aula. Sono al sicuro per un bel po’ >>.
<< Davvero? >>.
<< Così ha detto il mio prof. E pensare ch’era il primo di tutta una carriera scolastica >>.
<< Ma guarda. Dovremmo festeggiare, allora. A proposito di prime volte >>.
Ridacchio anch’io, ma mi sa ch’è più una reazione isterica. Ora viene il peggio, e cioè che ho proprio la brutta impressione di dover fare un altro giro su quel famigerato sito. << E la colazione? >>, gli chiedo, sforzandomi di suonare “normale”.
Stavolta, invece che alzare le spalle, fa un cenno con la mano. Come a spingere l’aria. << La prossima volta >>.
<< Ehi, Leo? >>. Oh, cavolo, Alyké. Mi ero quasi scordato di lei.
Senza quasi. Me l’ero proprio scordata, cavolo. << Sì, andiamo subito. Ehi, Ale ci ha offerto la colazione >>.
<< Nooo … ma sei troppo gentile. Vedi che conto anche sulla tua … amicizia con l’autore del pannello, sai? >>, sorride, porgendogli di nuovo la mano.
<< Farò il possibile. Piacere di averti conosciuta, Alykè >>.
<< Piacere mio. Buon lavoro! >>.
<< Ci vediamo dopo >>. Esco, e accompagno Alyké alla stazione della metropolitana.
Per tutto il tempo non ha fatto che parlare del pannello, del locale, di quanto fosse buono quel muffin e di quanto sia carino Ale. Carino in senso di educato, gentile e bla bla bla, ma sotto sotto s’intuisce che lo trova “carino” anche in tutt’altro senso.
Peccato che io non riesca a darle troppa corda. Avverto solo il peso che reggo nella destra, e una qual certa ansia, piacevole.
Quindi figurarsi la mia delusione, quando dopo essere tornato a casa, aver messo il vino in frigo, essere uscito di nuovo, aver fatto la spesa, aver preparato la cena per non perdere tempo a farlo dopo, basta un giro di microonde e via, aver fatto la doccia, aver imprecato perché ho dimenticato di prendere le sigarette, essermi vestito, essere uscito di nuovo, e aver guardato l’orologio scoprendo che era già ora che Ale arrivasse a casa, quindi si era fatto troppo tardi per riprendere quel famoso discorso lasciato in sospeso col mio computer, ho ricevuto il segnale di notifica.
Solo due frasi, scarne. “ Sono bloccato al lavoro, ne avrò ancora per un po’. Il ragazzo in prova ha addotto un imprevisto, così mi tocca protendere il turno. Mi spiace, credo che dovremo rimandare”.
Un secchio di acqua gelata non avrebbe potuto raffreddarmi più di così.
Poi mi sovviene il fatto che io posso pure andarmene a dormire, svaccarmi sul divano a guardare la tivù, leggere un libro, starmene fuori a impregnarmi le ossa di umidità. E invece lui è obbligato a darsi da fare, dietro quel bancone tirato a lucido.
D’un tratto non so che fare. Mi sento curiosamente elettrico, e siccome casa è uno specchio, non ci sono panni da piegare o stirare, e di ripassare proprio non mi va, neanche come estremo sacrificio, mi ritrovo con un surplus di energia da senso di colpa.
Io. Quello che la domenica e durante le vacanze non si alzava dal letto se non suonavano le due. Che spesso si riduceva a mangiare in cucina solo come un cane, perché i miei pranzano alle dodici e mezza anche Natale Pasqua e feste comandate, ed io ero troppo rincoglionito per tirarmi su dal materasso in uno stato appena appena umano. E che la donna di servizio guardava storto, senza farsi beccare ovviamente, perché le lasciavo il piatto sporco sul lavandino che lei aveva sfregato fino a farlo luccicare.
E ora mi sento male solo perché sono deluso dal fatto che non abbiamo potuto passare un po’ di tempo insieme, e in colpa perché lui è a farsi il mazzo mentre io sto cazzeggiando allegramente – si fa per dire, che di allegro c’è poco o nulla.
Se solo avessi la chiave della sua camera, potrei mettere in ordine. Ma sto mentendo a me stesso, perché ci metto la mano sul fuoco ch’è lindo e pinto, la dentro, e neppure il materasso ha bisogno di essere sbattuto.
Quest’accenno mi fa salire una vampata di rossore in faccia.
Potrei riprendere quel discorso. Giacché ora ne ho il tempo. Chissà, magari non farà troppo tardi, e potrei farmi trovare pronto, quando arriva.
Sto giusto per andare ad accendere il pc, quando mi blocco in mezzo al soggiorno, raggelato.
Un trillo inatteso al campanello.
Mi sale un’ansia assurda. Che Milo sia riuscito a scovarmi, nonostante tutto? O che … l’abbia fatto qualcun altro?
No, è davvero assurdo. Più facile che sia Ale, e che magari voglia restituirmi la sorpresa.
Ma quando rispondo al citofono, è davvero qualcosa d’inaspettato. << Apri? Dai, che sennò si fredda … e lo sai, no, che fredda e molliccia non è buona >>. Un ghigno inconfondibile, seguito da uno sbuffo plateale, da diva.
D’un tratto il mio umore migliora sensibilmente.
Questa è davvero una sorpresa.
E anche se non è quella che mi aspettavo, è comunque gradita.

Angolino di Anya: eccoci qui. A costo di ripetermi, io di economia so poco o niente, quindi chiedo perdono se ho fatto rivoltare Keynes nella tomba. spero che le guest star del capitolo me lo facciano perdonare: avete riconosciuto chi è in realtà il professor Price ?( scusate il cognome assurdo, ma stavo ascoltando una replica di Holly e Benji che guardava mio figlio, e non mi è venuto in mente nulla di meglio! E poi dai, per un professore di economia, ci potrebbe stare).
come sempre, per critiche e correzioni, a disposizione!
Bacioni, 
Anya
   
 
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