Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: CthulhuIsMyMuse    30/07/2018    0 recensioni
"Giovanni aveva compreso che il tempo non le aveva cambiate, almeno non fisicamente, ma riusciva a vedere chiaramente i solchi che aveva lasciato nell'anima di ognuna di loro. L'unica cosa che era rimasta identica era la loro dipendenza l'una dall'altra, erano nate insieme, continuavano a vivere insieme e molto probabilmente sarebbero morte insieme e questa immagine azionava la leva della tristezza che era posta accanto al suo cuore."
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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14 agosto 00.15 

Trovarlo era stata come sempre un'impresa, per certi tratti, ardua.  

Non amando i luoghi affollati era difficile che si trovasse nei comuni siti adibiti al ritrovo degli esseri umani e non gradendo l'essere facilmente ritrovato non accendeva mai il suo cellulare se non per scattare le sue macabre fotografie – o per pochi altri motivi. 

La sua localizzazione era il sintomo di una tragedia avvenuta che avrebbe straziato i cuori di molte persone, ma per l'allampanata figura immobile davanti alla vecchia palazzina dell'Istituto Marchiondi era ciò che poneva il termine alla tortura della ricerca. 

La struttura era immersa nel buio della notte, non vi erano luci a rischiararla. Anche la luce artificiale dei pali perimetrali moriva appena prima di toccare i muri dell'edificio, quasi fosse appestato e cercasse di evitarlo a qualsiasi costo. 

Come chiunque del resto.  

Dantalion aveva già fatto un giro preliminare nei dintorni ma non vi era anima viva. Neanche gli animali sembravano volersi avvicinare troppo a quel rudere e lui sapeva bene che la motivazione era quell'aura nera e pesante che permeava dalle pareti e si diffondeva nell'aria come un tanfo mefitico. 

Sapeva anche chi era la causa di tutto ma, indugiare troppo lo avrebbe portato a dover rimanere attivo ancora per molto tempo e lui era già stanco. Lo si vedeva dalle palpebre appena calate e dal riflesso lucido negli occhi, del resto non era demone dà vita notturna, seppur spesso Asmodeus l'aveva costretto a sforare oltre i suoi tipici orari di vita. 

Così, alla fine, entrò nell'edificio abbandonato. 

Il buio regnava incontrastato anche all'interno dei corridoi insieme ad un profondo silenzio che echeggiava fastidiosamente nelle orecchie andando a pungere con insistenza alla base del cranio.  

Chiunque, lì dentro, avrebbe sperato di udire almeno una singola voce rincuorante o vedere almeno il barlume di una calda luce. Chiunque tranne lui. 

Quel tipo di silenzio, totale, era qualcosa di cui non riusciva a godere spesso essendo sempre accompagnato da un costante brusio di sottofondo dato dal pensiero degli esseri che lo circondavano.  

Era come stare costantemente in una stanza piena di persone che mormoravano tra loro. 

Non lo considerava fastidioso, ormai vi era abituato ma a volte era appagante poter godere di quella calma. 

Inspirò profondamente e nuovamente allontanò i suoi pensieri traditori. La stanchezza continuava a farlo deviare dallo scopo principale per cui si trovava in quel posto lugubre. 

Fece un passo in avanti e tirò, inconsciamente, un calcio ad una maceria posizionata proprio davanti ai suoi piedi. La stoffa lacera della sua vecchia scarpa non attutì nulla del colpo e le dita dei suoi piedi diramarono, fino al cervello, il dolore della botta. 

 «Cavolo» esclamò rassegnato.  

Dalla tasca posteriore dei calzoni estrasse il cellulare e azionò la torcia che puntò sul pavimento. Ponderò che, forse, non era il caso di muoversi senza almeno un minimo di illuminazione. 

Fece scorrere il fascio bianco davanti a sé, illuminando la parte centrale del corridoio in cui si trovava. Osservò con apatia il sasso su cui aveva rischiato di inciampare, lo oltrepassò e riprese a camminare.  

Sotto le suole sottili delle scarpe scricchiolavano minacciosamente i vetri delle finestre ormai in mille pezzi, disposti lungo la strada come un tappeto d'arredamento. Di quello che l'edificio era stato rimanevano quasi integri solo muri scrostati decorati da scritte incomprensibili, le cui finestre vuote si affacciavano nel buio come occhi ciechi. 

Se si prestava attenzione si potevano sentire le piccole e veloci zampe degli scarafaggi che ticchettavano sul piastrellato crepato. Si fermavano sulle soglie delle porte, agli angoli dei corridoi, osservando il nuovo intruso nel loro regno. Le loro antenne vibravano frementi nell'aria calda della notte di agosto e Dantalion, in qualche modo, iniziò a sentirsi fuori posto. 

Gli ci vollero altri 20 minuti prima di riuscire a localizzarlo all’interno di una stanza posizionata in un corridoio laterale. 

La prima cosa che attirò la sua attenzione verso quella locale, la cui porta pendeva lateralmente tenuta da un unico cardine, fu il guizzo veloce di una coda nuda che vi sgattaiolava dentro. 

La seconda fu l’odore.  

All’inizio era solo un sentore lontano. Rimaneva nascosto tra il pulviscolo che riempiva l’aria afosa. Pizzicava con cautela le narici, come una piuma leggera, causando solo un leggero fastidio proprio sulla punta del naso. 

Avvicinandosi all’uscio, quella sensazione variò, passando da un semplice sentore ad un presagio consistente.  

L’odore divenne un intenso olezzo molesto che andò ad intirizzire tutte le cellule olfattive. 

I suoi neuroni non impiegarono più di pochi secondi a collegare gli odori alle immagini archiviate nei cassetti della sua mente. 

Tra le note che percepiva ve ne era una ferrosa e consistente, tipica del sangue ormai nero e coagulato mentre l’altra, più acida e leggera l’aveva avvertita dai corpi che avevano da poco iniziato la decomposizione 

Oltrepassato l’uscio il tanfo della morte non era più solo un'immagine ma colpiva con forza alla bocca dello stomaco.   

Il problema di Dantalion non erano  gli odori né le immagini che ne scaturivano ma era colui che aveva portato la morte in quel luogo dimenticato. 

Il fascio di luce della torcia scivolò sul piastrellato decorato da cupi fiori neri i cui steli scuri proseguivano in un lungo gambo che prendeva vita da un cumulo posizionato in un angolo della stanza.  

Dantalion non aveva bisogno di illuminarlo per sapere che era da lì che proveniva il miasma che infestava l’aria di quel luogo. 

«Dantalion, ma che sorpresa.» una vocina gioviale lo accolse e lui volse i suoi occhi spenti verso la fonte di quelle parole. 

Dirimpetto alla pila stanziava un quello che sembrava un ragazzino di non più di 12 anni. I riccioli d’oro brillarono alla luce della la torcia dalla quale lui coprì i sensibili occhi azzurri «Dannazione, hai intenzione di accecarmi?» sibilò. 

Dantalion, con la sua flemma, abbasso il fascio di luce ai suoi piedi «Scusa» borbottò senza troppa convinzione. 

«Tsz» il ragazzino lo guardò torvo per qualche istante prima di allargare un ampio solare sulle labbra sottili «Non importa, non importa. Ma stai attento con quell’affare.» Incrociò le braccia dietro la testa e si dondolò sui talloni «Allora, cosa ti porta da queste parti?» 

La luce del cellulare, che si diffondeva soffusa dal pavimento verso l'alto, creava una maschera grottesca sul volto fintamente innocente del ragazzo illuminandogli le gote rosate e oscurandogli il contorno occhi fino quasi a fargli sparire le orbite. 

Dantalion non riuscì a fare a meno di pensare che stesse solo palesando la vera anima di quell'essere. 

«Asmodeus ha richiesto il tuo intervento» proferì brevemente. 

Il ragazzino arricciò il naso «Perché?» domandò annoiato. 

«Sono tornate le gemelle» un leggero luccichio ravvivò lo sguardo azzurro dell'altro che allungo le braccia verso l'alto aprendo i palmi in un gesto che imitava un salto di gioia. 

«Erano secoli che non le incontravo!» esclamò sorridente mentre le ombre sul suo volto giocavano sui suoi tratti rendendoli più truci e fortemente in contrasto con la gioia che si percepiva nella voce. 

Fece una piroetta su  stesso, un saltello sul posto e poi si rivolse al cumulo di cadaveri, testimone inerme della loro conversazione.  

«Sentito?» domandò con un'acuta nota di felicità «E' tornata la mamma!» si lasciò sfuggire una risatina gioviale che si affrettò a coprire con le mani «Peccato che non la potrete vedere» abbassò gli angoli delle labbra mimando una smorfia di finto dispiacere che fu sostituita da una nuova manifestazione di gioia quando un'idea gli si palesò nella mente «Ma non importa perché io le farò vedere voi!» esclamò con entusiasmo. 

Dantalion lo osservava con un certo interesse. La sua accentuata mimica facciale lo aveva sempre affascinato. Quel susseguirsi di bronci, pianti e sorrisi, studiati con metodica cura, gli avevano permesso di calarsi perfettamente nella parte del ragazzino umano, diventando così l'esca perfetta per le sue ignare prede. 

«Ehi Dantalion, la mamma sarà felice di vedere le mie foto, vero?» gli sorrideva dal basso del suo metro e quaranta. I denti bianchi spuntavano tra le labbra rosa e carnose lasciate appositamente dischiuse.  

«Forse» rispose stancamente l'uomo riuscendo a creare un nuovo getto di euforia nell'animo malato del demone Valac 

«Allora forza, non c'è tempo da perdere» Dantalion fu afferrato sull'avambraccio, Valac iniziò a tirare verso la porta con insistenza. Quella presa forte e decisa era solo uno degli indizi che lasciava percepire la sua appartenenza ad un mondo tutt'altro che umano. 

«Aspetta» mormorò illuminando la catasta di corpi dalla quale braccia e gambe spuntavano scomposte come rami di un vecchio albero secco. Un’unica testa faceva capolino dalla catasta. Gli occhi, ormai velati dalla morte, grazie a quel filo di luce sembrarono, per un istante, aver riacquisito un barlume di vita. 

«Cosa intendi farne?» domandò. 

Il ragazzo arricciò le labbra, si strinse nelle spalle magre che iniziò a far dondolare a destra e a sinistra con un movimento lento. Guardava l'altro sottecchi sfarfallando le palpebre in un gesto di civetteria che Dantalion non riusciva a comprendere nella sua interezza. 

«Non importa, andiamo» alzò le spalle e si diresse verso la porta. Il fascio di luce scivolò via in direzione dei passi del demonerubando l'ultima scintilla di vita dagli occhi del cadavere. 

Valac lo seguì con un sardonico sorriso dipinto sul volto angelico. 

...

   
 
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