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Autore: Ksyl    31/07/2018    4 recensioni
3x22 - Los Angeles
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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"Ring the bells that still can ring
Forget your perfect offering
There is a crack, a crack in everything
That's how the light gets in.
"Anthem" - Cohen

17 – Castle

"Vai a dormire, Castle, stai crollando dal sonno", una voce gentile giunse a riscuoterlo dal torpore a cui si era incolpevolmente abbandonato. Aprì gli occhi di scatto, mentre una scarica di adrenalina si riversò nel suo corpo abbastanza in fretta da rischiarargli la mente e fargli riprendere il controllo della situazione nel giro di qualche istante. Tutto quello che gli serviva era convincerla nel modo più breve ed efficace possibile che non aveva affatto bisogno di dormire, anzi, era più arzillo che mai e pronto a dedicarsi a qualsiasi attività le fosse piaciuto intraprendere per il resto della serata. Ricamo, magari. Era disposto a tutto, pur di tenerle compagnia, come si era ripromesso di fare.

"Non prendermi in giro, Beckett, sono molto più sveglio di te". Sperò che cascasse nella piccola commedia messa in piedi appositamente per lei e prendesse per buone le sue proteste che di sincero non avevano nemmeno l'involucro con cui erano state confezionate. Si rese conto molto in fretta che, così come aveva previsto, lei non era una persona che si facesse facilmente ingannare. Chissà che aspetto orribile doveva avere, per indurla a non affondare il colpo canzonandolo, decidendo invece che fosse più rispettoso sorridergli in silenzio, accettando senza battere ciglio i suoi miseri tentativi di farle credere di non essere stanco morto.

"Non c'è bisogno di fare l'eroe solo perché io ho qualche problema ad addormentarmi e tu no".
Sul fatto che non fosse un'esperienza a lui estranea, dal momento che anche lui, nel corso delle settimane precedenti, aveva tentato inutilmente di addomesticare un'irriducibile insonnia, avrebbero potuto lungamente dibattere, ma non gli sembrò il momento giusto di ricordare – a lei o a se stesso – quanto poco fosse stato il riposo che gli era stato concesso negli ultimi tempi. Ed era soprattutto quello il motivo per cui non voleva lasciarla da sola a tormentarsi con i fantasmi che di notte tendevano a farsi meno volatili. Lui sapeva bene che cosa volesse dire fissare il soffitto in preda a pensieri cupi, contando le ore che mancavano al mattino, quando la luce del sole avrebbe scacciato il fardello ingigantito dall'oscurità. Conosceva l'estrema solitudine dentro la quale si avviluppava un'angoscia esistenziale impossibile da mettere a tacere con le armi che aveva a disposizione. Sapeva quanto potessero essere feroci le ore più buie, quando l'alba era lontana.
Se aveva ceduto brevemente al sonno era stato solo perché la giornata, che era bel lontana dal concludersi, l'aveva stremato oltre il ragionevole, e il suo corpo, già provato, gli aveva arbitrariamente strappato il controllo e aveva agito in automatico per recuperare un minimo di energie. Quei pochi minuti – sperò che fossero stati pochi sul serio – dovevano bastare per tenerlo in piedi fino al prossimo cedimento. Ma non avrebbe abbandonato il suo impegno primario, quello di starle vicino, a cui ormai si dedicava con zelo religioso.

Kate era completamente sveglia, senza nessun segnale visibile che stesse combattendo come lui contro la spossatezza – eppure la giornata doveva aver avuto la meglio sulle sue scarse energie e infatti il pallore accentuato era lì a dimostrarlo. Allo stesso tempo gli parve più calma e rilassata rispetto a quando era entrata ben poco spontaneamente dentro al loft.
La serata l'aveva gradualmente resa meno guardinga e più disposta a lasciarsi avvolgere e penetrare da quella levità che lui, in ogni modo possibile e consapevole, aveva tentato di infondere alle loro attività – ridotte all'osso per via dell'innegabile fatto che erano entrambi esausti – e ai loro scambi sempre meno tesi e sempre più spensierati. Quelli di una volta.
Gli fece piacere scoprire di essere riuscito nel suo intento di ricreare intorno a lei una nicchia serena fatta a sua misura, e averla indotta, con qualsiasi mezzo lecito, a mangiare quantità di cibo superiori a quelle che riteneva fossero le dosi normali con cui sosteneva il suo corpo emaciato.
Per lui si trattava di due vittorie e la sensazione appagante di aver fatto concretamente la differenza. Con quel carico di endorfine, che si accumularono velocemente nel suo cervello, rimanere sveglio sarebbe stato semplicissimo. Il più era convincere lei, che era seriamente intenzionata a mandarlo a letto, con la prospettiva di rimanere ad aggirarsi irrequieta nel suo salotto.

"Lo dici solo perché vuoi liberarti di me e startene finalmente in santa pace. Dovresti sapere per esperienza che non è così facile levarmi di torno".
Ebbe in risposta uno tra i sorrisi più autentici della serata. "Io lo so, Castle, mi sorprende che tu ti renda conto di quanto possa essere molesto".
Le fece una smorfia, senza ribattere. Aveva creato quel diversivo per sondare il terreno e capire come si si sentisse realmente. Se voleva rimanere da sola non avrebbe potuto impedirglielo, anche perché quelle erano gli accordi grazie ai quali l'aveva convinta a seguirlo. Non poteva adesso rimangiarsi la parola data. Ma non era del tutto convinto, esclusivamente in base al suo istinto, che la solitudine fosse la sua aspirazione primaria, quanto piuttosto il timore di disturbarlo.

"Se preferisci tornare in camera tua, o rimanere qui in salotto da sola, io posso ritirarmi nel mio studio. Ho del lavoro da sbrigare". Enorme frottola che gli giunse in soccorso all'ultimo. "Non c'è bisogno che sopporti la mia compagnia più del necessario, solo perché non vuoi essere scortese con il padrone di casa".
Gli lanciò un'occhiata interrogativa. "Lavori a quest'ora della notte?", si informò dubbiosa.
Lui non aveva la minima idea di che ore fossero, ma annuì vigorosamente. "L'ispirazione arriva... quando arriva", spiegò titubante, colto alla sprovvista. Una scelta lessicale per niente banale, per uno che si guadagnava da vivere scrivendo.
"Magari mentre scrivi potrei prendere in prestito qualche libro e rimanere qui a leggerlo", propose Kate con lo stesso tono cauto di un esperto negoziatore.
"Mi sembra un'ottima idea. Ma se il tuo intento è quello di farmi pressione psicologica per avere delle anticipazioni sul prossimo romanzo di Nikki Heat, puoi scordartelo. Le mie labbra sono sigillate".
"D'accordo". Breve sorriso incoraggiante. "Non farò pressioni. Ma come musa ti ricordo che ho ancora qualche diritto".
Una sensazione indefinibile si sprigionò nel suo corpo nell'udirla definirsi la sua musa. Un tempo sarebbero volate minacce di aggressione fisica al solo alludere a qualcosa di vagamente simile. Non che nei fatti non fosse stata – e sperò fosse ancora in futuro, per molti anni e volumi – la sua fonte di ispirazione assoluta, ma che fosse proprio lei ad appellare se stessa in quel modo aveva un che di straordinario.

Forse il problema era la sua difficoltà ad accettare che le cose tra loro fossero cambiate, come la realtà gli stava dimostrando. Ma il passaggio era stato brusco e le cose erano accadute troppo repentinamente – quel mattino si era svegliato con la solita morsa allo stomaco a rammentargli la triste realtà solitaria in cui era finito e qualche ora dopo se la trovava seduta accanto a sé più che bendisposta nei suoi confronti. Pur con tutte le ottime intenzioni diffusamente espresse durante la serata e che lui aveva felicemente raccolto, capiva che non erano del tutto in sintonia. C'era ancora uno scarto tra la sua nuova accessibilità e la propria resistenza inconscia che gli impediva di accoglierla laddove lei bussava per entrare. Si rese conto, un po' alterato dalla sonnolenza e dallo sgomento, di non essere ancora riuscito ad andarle incontro del tutto, nonostante lei continuasse a dar prova di un innegabile avvicinamento, che non le permetteva nemmeno di spiegare a parole.
Non era pronto a farlo. Avrebbe voluto esserlo, ma non dipendeva da lui E nonostante si sforzasse di colmare quella distanza, le difese istintivamente erette non accennavano a sgretolarsi. Forse l'unica soluzione era, in assenza di idee migliori, accettare il punto dove si trovava emotivamente, che era tutto quello che poteva concedersi senza forzature.
Preferiva non illudersi, comprese con un pizzico di tristezza. Avrebbe dovuto lavorare su quella sensazione di non sentirsi meritevole che, sospettava, fosse l'origine di diversi equivoci tra loro, che per fortuna erano sulla buona strada per essere chiariti e risolti.

Intrecciò le dita tra le sue. Si impose di farlo, per il puro piacere del contatto fisico e non per forzare la situazione, come aveva fatto a Los Angeles. Lei non si ritrasse. Era qualcosa a cui faticava ad abituarsi.
"Oppure possiamo rimanercene qui sul divano senza che io debba fingere di avere altro da fare e senza che tu voglia convincermi ad andare a dormire, solo perché ti spiace tenermi sveglio". Non era quel genere di comunicazione arzigogolata in uso tra loro. Di solito erano costretti a trovare modi sempre più fantasiosi per far capire all'altro quello che non potevano dirsi. Ma se le cose erano in effetti cambiate, tutto doveva mutare di conseguenza.
"Mi spiace tenerti sveglio", confessò Kate in un soffio, altrettanto sincera. "Sono grata per quello che fai per me, ma... non voglio approfittare della tua disponibilità. Posso cavarmela da sola per qualche ora".
"Non se sono le ore peggiori della giornata. È così, vero?".
Lei annuì non troppo felice, si convinse, di mostrare parti di sé tanto vulnerabili, ma abbastanza coraggiosa da farlo comunque. Lo percepì come un enorme gesto di fiducia nei suoi confronti. Anche quello contribuì ad aumentare la sensazione di ubriacatura che provava per via di quelle aperture che si facevano sempre più frequenti.
"Hai bisogno di riposare anche tu. Che ne dici di stenderti per qualche minuto qui con me?".
Lo fissò inorridita.
"Non era un invito di natura galante, Beckett. Né credo che, se lo fosse, ci sarebbe bisogno di tanti convenevoli...".
Venne fermato di corsa, proprio come si aspettava. "Castle, stai divagando come al solito. Concentrati", lo redarguì.
L'assoluta mancanza di agio con cui reagiva a minuscole provocazioni di tale natura, anche dove non esistevano, la dicevano lunga su come si sentisse riguardo a un argomento che, anche a lui, tutto sommato, stava parecchio a cuore. Ma non era il momento di pensare a discorsi del genere.

"So che la notte è difficile per te. Voglio solo rimanerti vicino se avessi bisogno di una mano da stringere. O di parlare", quello sarebbe stato più difficile, ma forse non impossibile, visti i cambiamenti in atto.
Lei sembrò rintanarsi in una parte di se stessa meno accessibile. Doveva andare a recuperarla.
La costrinse a guardarlo negli occhi, mettendole le mani sulle spalle, per farle comprendere che non stava scherzando. "Kate, non voglio che ti confidi con me, se non lo desideri. Né voglio rifilarti trattati di psicologia o darti soluzioni inadeguate ai tuoi problemi che probabilmente farebbero stare meglio soltanto me, e il mio ego che si compiace di fare il salvatore. Voglio solo esserci. Voglio costruire, se me lo permetterai, uno spazio dentro il quale tu possa sentirti al sicuro. Non so che cosa ti serva per stare meglio, non sono un esperto e ho profondo rispetto per il trauma che hai subito. Non intendo mentirti dicendo che sparirà in fretta o che andrà tutto bene, basta che non ci pensi, basta essere forti. Non basta. So che è un percorso lungo che devi compiere da sola e non intendo sminuirlo in nessun modo. Né posso farmi carico della tua sofferenza. Ma posso e voglio... camminare con te, mentre farai quel percorso, in ogni modo in cui credi che il mio aiuto ti sarà utile. E se significa stare qui a chiacchierare fino all'alba di quanti casi hai risolto solo grazie al mio intervento, sarò felice di ricordarteli tutti". Le sorrise per mitigare la serietà di quel lungo discorso accorato che non sapeva da dove si fosse originato, eppure era la cosa più autentica che gli fosse mai uscita di bocca.
Kate non colse il tentativo finale di stemperare la gravità della questione, e rimase a ponderare le sue parole. O così almeno credeva, visto che rimase concentrata a fissare il pavimento, senza renderlo partecipe delle sue riflessioni.

"Quando chiudo gli occhi... rivedo tutta la scena. Ogni dettaglio, in continuazione. E quando riesco a rilassarmi abbastanza da lasciarmi andare, mi sento precipitare e mi sveglio di soprassalto, in preda a un attacco di panico. La soluzione migliore mi è parsa quella di non dormire affatto. È più semplice". Si era costretta, con enorme fatica, a confidargli le sue pene, andando oltre il suo naturale istinto all'autodifesa, quello stesso istinto che le consigliava di nascondersi in una tana segreta, invece che esporsi a tal punto. Castle sospettò che fosse perfino qualcosa di più che un atto di fiducia nei suoi confronti e se ne sentì immensamente onorato. Ogni volta che Kate si era confidata con lui, negli anni – circostanze che potevano contarsi sulle dita di una mano – aveva provato un fiotto di stupore misto a gratitudine. Adesso gli sembrava quasi un'esperienza mistica, davanti alla quale poteva solo offrire un rigoroso silenzio.

Kate riprese con più forza dopo una breve pausa. "Anche se ora mi dirai che non è possibile rimanere sempre svegli e che se sono ancora viva qualche minuto devo averlo dormito per forza e perché non provo questo rimedio segreto della tua bisnonna?", concluse con il tono di chi non aveva voglia di sorbirsi ulteriori stupidaggini sul tema, che temeva qualcuno le avesse rifilato.
"Non ho nessuna intenzione di dirti niente dal genere, tanto meno offrirti rimedi di bisnonne che non ho", la rassicurò. Era più che deciso a darle quello spazio amorevole e altruistico che aveva menzionato, ripulito da quei suggerimenti paternalistici su come dovesse gestire il suo malessere che era, prima di ogni altra cosa, un'esperienza intima e personale che solo lei conosceva fino in fondo.
"Da quando? Di solito sai sempre cosa è meglio per me e non mi dai tregua finché non ti do retta. È il motivo per cui siamo qui", gli fece notare, più seria di quanto non avesse voluto.
"Hai ragione". Lo aveva fatto, e non solo una volta, e quasi mai con risultati positivi. "Ma, come hai sempre detto tu con una certa enfasi, è la tua vita. Hai ogni diritto di prendere le tue decisioni. E se dopo questa piccola... emergenza ne avrai abbastanza di me o preferirai concludere la nostra collaborazione, ti prometto che questa volta non mi giocherò la carta del sindaco. Lascia però che prima ti cucini tutti i pranzi e le cene che ho programmato. Non lasciarmi in balia di tutto il cibo che ho ordinato".
"Castle, non voglio che tu non faccia parte della mia vita", affermò decisa a farglielo capire una volta per tutte.
Glielo aveva già detto, con altre parole, qualche ora prima al parco, ma sentirglielo ripetere gli fece bene al cuore. Avrebbe avuto bisogno di qualche rassicurazione in più, prima di convincersene del tutto.
"Lo dici solo perché non hai ancora assaggiato le centrifughe e i frullati che intendo prepararti".
La fece scoppiare a ridere. L'atmosfera si era fatta meno greve, più scanzonata.

"Allora rimandiamo le decisioni a dopo aver assaggiato i tuoi intrugli. E se sarò ancora viva ne riparleremo".
Si sorrisero per sigillare il patto di una tregua priva di decisioni definitive. Ma lei non aveva ancora finito.
"Ho davvero bisogno di stendermi e mi farà piacere se vorrai rimanere con me. Non devi stare sveglio per forza...", lo frenò, mentre lui stava già rivoluzionando mentalmente la disposizione dei mobili dell'intera casa per renderle il riposo più confortevole. "Mi basta solo che ci sia qualcuno con me, nel caso in cui... dovesse essere una di quelle notti. La solitudine di quei momenti è la parte meno piacevole di tutte", confessò e si trattò di un'ammissione di enorme portata, per qualcuno che aveva fatto dell'indipendenza l'arma con cui allontanare chiunque si fosse affacciato all'orizzonte, il solo modo che conosceva per non farsi coinvolgere e, in ultimo, ferire.

Rimase sveglio, nonostante le promesse che non si sarebbe obbligato a farlo. Se ne stette sdraiato ad ascoltare il suo respiro farsi sempre più regolare e il corpo, incuneato contro il suo, diventare più pesante e rilassato. Avrebbe fatto la guardia al suo sonno e l'avrebbe aiutata a combattere i mostri che si sarebbero presentati alla sua porta. Non era più da sola. E non lo era più nemmeno lui.

   
 
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