Our farewell
L’erba era
umida e morbida sotto il tocco delle sue dita diafane, quasi come fossero le
bucce di un qualche frutto appena pelato.
- Chissà se pioverà anche domani – sussurrò mentre continuava ad accarezzare il
manto verde sotto lo sguardo pallido e stanco di una mezza luna. Un lieve
sospirò abbandonò le labbra dello spadaccino mentre lentamente apriva gli occhi
verso il cielo costellato di piccole ma intense stelle
- Nami dice di no – il biondo annuì continuando a regalare carezze a quei verdi
fili d’erba.
Sentiva le parole bloccate all’altezza della gola, incastrate chissà dove, che
non volevano uscire ma neanche essere inghiottite. Lanciò uno sguardo veloce al
compagno sdraiato di fianco con le braccia piegate dietro la nuca che era nuovamente
rientrato nel suo sonno, nel suo falso sonno.
- Credo... – d’un tratto le labbra dello spadaccino si mossero. Il cuoco le
fissò in attesa che lasciassero libera qualche altra fase. Le fissò a lungo
senza però riuscire ad ascoltare qualcosa che non fosse solo il suono del
silenzio della notte. Abbassò il capo stringendo forte in un pugno ciò che un
tempo erano sottili fili di un verde prato e sorrise debolmente sotto il lungo
ciuffo biondo.
Quante volte aveva sorriso in quel modo ad ogni suo atteggiamento enigmatico,
ad ogni suo silenzio e alle mezze verità che continuava a regalargli. Quelle
mezze verità che si intrecciavano fra di loro creando una menzogna così grande
da superare l’irrazionalità della realtà stessa. Quante volte aveva chiesto a
se stesso di non sopportare più, di dire basta e mollare tutto, e quante volte
invece era finito fra quelle braccia senza riuscire mai a resistere, a reagire
alla loro foga che come un uragano ogni volta lo investiva e lo travolgeva.
E ora era arrivata la fine, la fine di quel lungo viaggio e di quell’assurda
relazione. Doveva dirgli addio, quell’addio di cui in cuor suo aveva sempre
avuto timore. Aveva raggiunto il suo scopo, realizzato il sogno di una vita,
trovato ciò che aveva cercato così disperatamente, eppure si sentiva come se
stesse per perdere qualcosa di più importante, qualcosa di più prezioso di un
luogo per anni creduto solo leggenda, qualcosa che forse troppe volte aveva
pensato fosse insignificante.
- Io vado – sospirò mentre si rimetteva in piedi. Guardò ancora quel viso e
quelle labbra che restarono ferme e immobili come in troppe altre circostanze.
Non riuscì a impedire ad un breve sospirò di sfuggire via, ma quel flebile
respiro non parve per nulla turbare la calma apparente che circondava il suo
compagno. Infilò le mani in tasca e si avviò verso il villaggio segnando così
un’altra tacca su quella che era la cintura delle sue insicurezze.
- Credo che ti penserò, di tanto in tanto - a quelle parole si arrestò
voltandosi verso di lui, verso quei capelli verdi smossi dal vento, verso
quelle labbra semiaperte e quegli occhi eternamente chiusi. Quando il suo cuore
prese a galoppare più forte pregando di non aver udito le parole sbagliate lo
vide sorridere.
- Beh ma non sempre – aggiunse ancora lo spadaccino aprendo un solo occhio
verso di lui. Sul viso del cuoco si disegnò un lieve sorriso mentre le dita
portarono alle labbra una bianca stecca. L’accese con il solito movimento
calcolato e lasciò libero un grigio filo di fumo
- Allora addio... Roronoa Zoro – sorrise ancora. lo spadaccino lo guardò per
qualche altro attimo prima di chiudere nuovamente le palpebre
- Addio Sanji – le mani bianche sprofondarono nuovamente nelle tasche mentre
con brevi passi si allontanava in direzione del villaggio da cui provenivano
luci e grida festose. Inneggiavano al suo nome, alla sua vittoria, lo stavano
chiamando per portarlo in trionfo e celebrare con lui la realizzazione di un
sogno che adesso sembrava quasi non contare più nulla.
Iniziò a camminare per quel prato verde e umido, con la luna ad osservarlo
circondata di piccole e infinite luci.
Passo dopo passo quell’addio diventava più forte, si ingigantiva e si
rafforzava al punto tale che ne poteva sentire il peso sulle spalle. Ora non era
solo una parola, una paura che lo aveva terrorizzato per anni, ora era reale,
concreto e pesava come un macigno. Si chiese se le sue gambe, le sue forti
gambe avrebbero potuto reggere, ma non si rispose.
Il vento si alzò portando via il fumo bigio e stanco, che in quel momento
celava sul pallido viso una debole lacrima.