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Autore: Napee    02/08/2018    2 recensioni
Os partecipante al contest Tutti i frutti: a ognuno il suo cliché -
Non aveva mai taciuto la stima nei confronti del collega, anzi, era sempre stata motivo di vanto e spesso, dinanzi ai giornalisti, si lasciava sfuggire che il carattere esplosivo e la mente brillante e acuta del bombarolo lo avevano da sempre affascinato. Fin dai tempi della scuola.
Ma nel profondo, la verità era altra. Più emotivamente coinvolta di quanto volesse e, spesso e volentieri, la sua immensa cotta per Kacchan traspariva fin troppo davanti ai giornalisti o ai fan.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Shochu all’uva: leggere le avvertenze prima della somministrazione.




Il sole era alto e cocente quel pomeriggio di fine Luglio. Il caldo afoso rendeva difficile persino respirare e Izuku rabbrividiva al sol pensiero di doversi costringere masochisticamente in un completo elegante.
Avrebbe di gran lunga preferito presentarsi con il costume verde da eroe, evitando così quell’inutile incomodo di andarsi a comprare un vestito per una sciocca premiazione.
Fare l’eroe, salvare la gente in pericolo, era il suo lavoro e non v’era assolutamente bisogno di premiazioni eleganti o encomi eclatanti che gli rendessero omaggio.
Aveva soltanto portato a termine una missione difficile e Todoroki e Kacchan erano stati fondamentali per la riuscita dell’impresa.
Forse gli unici che meritavano davvero un riconoscimento erano questi ultimi che, giunti all’ultimo minuto avevano ribaltato una situazione pressoché disperata.
Sospirò sconsolato spegnendo l’auto nel parcheggio del centro commerciale.
Erano tutti e tre d’accordo nel non voler ricevere medaglie di merito, ma le rispettive agenzie e gli agenti personali avevano insistito tanto per allestire quella pagliacciata in grande stile che li avevano quasi costretti a partecipare.
“Porterete prestigio all’agenzia!” Avevano detto.
“Si tratta di essenziale pubblicità!” Avevano continuato, ma Izuku non ne era del tutto convinto.
Infine, il suo agente lo aveva preso da parte nel suo ufficio, lontano da orecchie indiscrete, e gli aveva caldamente suggerito di trovarsi un’accompagnatrice per l’evento.
Magari bella. Che fosse pure un’eroina famosa così da guadagnare maggiormente grazie ai diritti d’immagine quando le foto dei giornalisti sarebbero apparse ovunque.
Perché era più che ovvio che ci sarebbe stata un’orda inferocita di giornalisti pronti ad immortalarli ogni secondo.
Izuku, a quel punto, aveva sorriso nervosamente e con una scusa banale si era defilato dall’ufficio.
L’ultimo dei suoi pensieri era quello di trovarsi una compagna per la cerimonia per un motivo così futile e venale poi.
Chissà perché non poteva presentarsi da solo, come mille altre volte aveva fatto!
La sua immagine era comunque passata da rivista a rivista e i guadagni si erano visti comunque. La necessità di coinvolgere una terza persona in quella pantomima era soltanto una stupidata senza senso.
Perché poi una compagna di disavventure quando, solo pochi mesi prima, aveva sbalordito tutti con un coming out durante un’intervista?
Il cellulare vibrò improvvisamente e Izuku diede un’occhiata fugace allo schermo.
“Ho bisogno del nominativo della tua accompagnatrice.”
Chiedeva il suo agente e a Izuku non rimase che sospirare e rimettersi il cellulare in tasca.
Scese dall’auto e si addentrò nel centro commerciale gremito di gente.
Quel giorno era particolarmente affollato da persone che evidentemente preferivano trovare un po’ di giovamento grazie all’aria condizionata.
Girovagò per i negozi completamente spogliato di ogni entusiasmo. Fra gli scaffali e indosso ai manichini non v’era niente che suscitasse in lui alcun apprezzamento.
Il cellulare vibrò improvvisamente e Izuku portò gli occhi allo schermo. La sua espressione mutò velocemente in annoiata e scocciata leggendo l’ennesima e-mail con la quale il suo agente lo spronava a trovarsi un’accompagnatrice per la cerimonia di premiazione.
Rimise il cellulare nei jeans e continuò a spulciare distrattamente le camicie azzurrine davanti a sé.
Una commessa si offrì di aiutarlo, ma Izuku rifiutò garbatamente per non farle perdere inutilmente tempo.
Perché quello era solo tempo sprecato in fondo.
Girovagare per negozi alla ricerca di un completo elegante, così, a tempo perso, non era propriamente uno dei suoi hobby preferiti.
L’ennesimo vibrare nelle sue tasche attirò la sua attenzione, ma stavolta Izuku non si curò affatto del messaggio del suo agente.
D’improvviso, un boato squarciò l’aria e le persone vennero sbalzate lontane dalla forza d’urto.
Le vetrate si fecero in frantumi e la merce volò alla rinfusa sul pavimento.
Izuku si riscoprì sdraiato a terra, coperto di vetri e calcinacci, ma illeso fortunatamente.
Che diamine era successo?
Si alzò velocemente lanciando uno sguardo alla commessa. Stava bene. Forse un po’ spaventata, ma non era ferita fortunatamente.
Corse fuori dal negozio ed un fiume di civili che fuggivano terrorizzati lo investì in pieno.
Izuku si fece largo fra la folla nel senso contrario e, quando un’altra esplosione portentosa fece saltare in aria un bancomat, Izuku riuscì ad individuare il colpevole di tutto quel trambusto.
Un nerboruto omaccione vestito di nero, con una maschera da clown a celargli il viso, se ne stava dinanzi allo squarcio nel muro dove prima vi era il bancomat.
Con le sue enormi mani andava afferrando le banconote, lanciandole malamente in un sacco grigio.
“Scommetto che esiste un modo un po’ più legale per prelevare contanti!” Esordì l’eroe palesandosi alle spalle del ladro.
L’omaccione alto quasi due metri si voltò lentamente, mentre una risata di scherno gli gonfiava il petto.
“Sarà, ma andavo di fretta e mi sono dimenticato il codice!” Ribatté il ladro abbandonando il sacco ricolmo di contanti al suo fianco e scagliandosi su Izuku.
L’eroe schivò gli attacchi con maestria e contrattaccò con forza cercando neutralizzare la minaccia il prima possibile evitando altri danni.
Ma un colpo inaspettato ben assestano alla testa lo fece barcollare a terra fino a costringerlo in ginocchio.
Come lo aveva colpito? Non aveva visto giungere il fendente ed era certo di avere le mani del nemico ben sott’occhio!
Un’asta di metallo, solida e robusta, era apparsa magicamente fra le mani del cattivo, ed ora la brandiva come un’arma contro di lui.
Da dove era spuntata fuori? Che fosse il frutto del suo quirk?
“Sorpreso eh?!” Lo schernì ancora il ladro, ridendo fra sé e sé come se avesse già vinto.
D’improvviso l’arma sparì fra le sue mani, rimpicciolendosi incredibilmente fino a divenire un piccolo pezzo di una cannuccia metallica.
Izuku sbatté le palpebre incredulo cercando di comprendere a pieno la sua situazione.
Ingrandimento. Il quirk del ladro doveva essere quello!
“Adesso fammi un favore e stai buono buono lì in ginocchio senza disturbarmi.” Aggiunse infine sogghignando e riprese ad arraffare il denaro con estrema calma.
“Spiacente, ma non credo proprio di poterlo fare!” Rispose a tono Izuku prima di scagliarsi nuovamente contro il cattivo.
Come previsto, l’asta in metallo si materializzò dalle sue mani come per magia, ma Izuku fu più lesto e vi si aggrappò usandola come pernio per far perdere l’equilibrio al suo avversario.
Con la faccia a terra, le mani in alto sopra la testa ed un ginocchio di Izuku piantato fra le scapole, il ladro poteva dirsi neutralizzato.
Ma improvvisamente un’altra esplosione squarciò l’aria e Izuku si ritrovò catapultato a metri di distanza. Fortunatamente, anche stavolta, ne uscì illeso fatta eccezione per qualche graffio qua e là.
Alzò gli occhi velocemente verso il suo nemico e lo ritrovò in piedi, ritto e gongolante dinanzi a lui, mentre brandiva un piccolo petardo fra le dita. Uno di quelli piccolissimi che scoppiano appena tirati a terra.
Scosse la testa Izuku, cercando di capirci qualcosa, ma il ladro ingrandì improvviso il petardo fra le sue dita fino a fargli raggiungere le dimensioni di una mela.
L’eroe impallidì preoccupato. Che diamine voleva fare con quel coso?
Praticamente era divenuto una bomba e non più un giocattolo.
“Non guardarmi con quegli occhioni o potrei sentirmi davvero in colpa mentre ti faccio fuori.” Lo punzecchiò ancora, ma Izuku sorrise divertito in risposta.
Davvero pensava che ci volesse così poco per toglierlo di mezzo?
In un baleno, attivò il suo quirk e fu subito sul nemico.
L’enorme petardo gli sfuggì di mano, ma Izuku prontamente evitò che si schiantasse al suolo e, con tutta la forza che possedeva, lo lanciò in aria facendolo esplodere sul soffitto.
Volarono via sbalzati dall’onda d’urto diversi massi che si riversarono nel parcheggio dintorno, ma fortunatamente non vi restarono civili coinvolti nell’esplosione.
“Mi hai proprio stancato, moccioso!” Si lamentò l’omaccione con la maschera e, in un baleno, fra le sue mani comparve una pistola enorme, grande quanto una palla da basket.
La puntò dritta in faccia a Izuku, salutandolo tracotante e convinto di aver vinto e concluso lo scontro.
Ma Izuku doveva ancora dire la sua.
Lesto, fulmineo ed efficace, lo disarmò in un istante, lanciando l’arma lontana da sé, dove l’atro non avrebbe potuto raggiungerla.
Lo scontro corpo a corpo fu sfiancante. Purtroppo il clown sapeva difendersi, incassare ed attaccare davvero bene.
Ci vollero diversi minuti prima che Izuku riuscisse ad atterrarlo e tramortirlo definitivamente e, non appena ciò accadde, giunse la polizia per deportare il criminale in carcere.
Il commissario si complimentò con lui per l’ottimo lavoro svolto, mentre all’improvviso, dal fondo del corridoio del centro fattosi momentaneamente arena di scontro, comparve Katsuki Bakugo in tenuta da eroe.
Katsuki si asciugò il sudore della fronte con una mano, sfilando verso il commissario incurante degli sguardi curiosi dei civili intorno a loro.
“Ho finito di salvare il culo a quegli imbecilli nel parcheggio.” Esordì rivolto al commissario che non poté esimersi dal rivolgergli uno sguardo di muto rimprovero per quella lingua tagliente.
“C-ci sono civili coinvolti?!” Sbottò preoccupato Izuku, facendo per correre verso il parcheggio per dare una mano, ma Katsuki lo trattenne con un’insulto irato.
“Ho detto che ho appena finito di salvarli! Mi ascolti quando parlo, Deku di merda?!” Sbottò infine, ma si morse la lingua non appena pronunciato il nome da eroe del collega.
“Deku?”
“È Deku quel ragazzo?”
“Oh cielo! È Deku, il simbolo della pace!”
Un brusio concitato si creò fra le persone e presto un capannello di gente si strinse attorno a Deku inneggiandolo e celebrandolo.
Gli chiesero autografi, foto, video e domande fin troppo personali, mentre Katsuki intanto, al suo fianco, non faceva che rispondere male a chiunque gli rivolgesse la parola.
Infine, durante un effimero momento di silenzio, una domanda si levò dalla folla. Chiara e compromettente allo stesso tempo.
“Ma voi due siete solo amici e colleghi o c’è qualcosa di più?”
Izuku abbassò lo sguardo sui suoi piedi con le guance in fiamme.
Non riuscì mai a smentire, perché le grida e gli improperi che Katsuki lasciò uscire dalle sue labbra servirono come deterrente per qualsiasi altra cosa.
E presto, il capannello di curiosi si disperse com’era venuto, lasciandoli soli con i poliziotti per poter concludere l’arresto.

Con una busta fra le mani contenente il suo nuovo completo elegante, Izuku si diresse verso il parcheggio del centro commerciale.
I poliziotti e la protezione civile stavano ripulendo la zona dai massi sbalzati via a causa dell’esplosione.
Si guardò intorno spaesato, del bel parcheggio non restava quasi niente.
Ovunque poggiasse lo sguardo, solo macerie e qualche ferito che le varie ambulanze accorse assistevano.
Katsuki si era occupato di tutto quel macello da solo?
Un timido rossore colorò le sue guance, mentre i suoi occhi brillarono di sincera ammirazione.
Kacchan era davvero spettacolare!
Non aveva mai smesso di ammirarlo in silenzio e, dopo ogni missione ottimamente riuscita del biondo, Izuku non faceva che accrescere quel sentimento dentro di sé.
Non aveva mai taciuto la stima nei confronti del collega, anzi, era sempre stata motivo di vanto e spesso, dinanzi ai giornalisti, si lasciava sfuggire che il carattere esplosivo e la mente brillante e acuta del bombarolo lo avevano da sempre affascinato. Fin dai tempi della scuola.
Ma nel profondo, la verità era altra. Più emotivamente coinvolta di quanto volesse e, spesso e volentieri, la sua immensa cotta per Kacchan traspariva fin troppo davanti ai giornalisti o ai fan.
Come era accaduto poco prima d’altronde.
Non era riuscito a negare davanti alla domanda della fan. Non ci sarebbe riuscito nemmeno volendo perché a mentire era sempre stato una frana.
E la violenta reazione oltraggiata di Kacchan gli aveva fatto male. Sapeva che il bombarolo era così, impetuoso e violento quando si toccavano argomenti a lui scomodi. Eppure, una piccola parte di lui, aveva quasi sperato che avesse una reazione diversa. Una più compromettente che lo lasciasse almeno sperare.
Fantasie da innamorato ovviamente!
Scosse la testa Izuku, tornando con i piedi per terra.
Ma dov’era parcheggiata la macchina?
Kacchan non sarebbe mai cambiato, così come la sua pluriennale cotta e tutto sarebbe rimasto soltanto una fantasia ben custodita nella sua testa.
Girò l’angolo e si arrestò all’improvviso.
Guardò in alto, dove il cartello segnava la zona del parcheggio denominata 4b.
“Oh cavolo…” esclamò fra sé e sé colpendosi la faccia con la mano, preda dell’esasperazione.
Un enorme macigno era piombato su ben tre autovetture e, Izuku ne era certo, quella lamiera informe verde che spuntava sotto al masso era di per certo la sua macchina.
Sospirò stancamente sconsolato. 
E pensare che gli mancava così poco per finire di pagarla!
S’incamminò con calma verso casa sotto quel sole cocente di Luglio.
 
Appena tornato a casa, il getto fresco della doccia sulla sua pelle fu il suo unico pensiero.
Si frizionò i capelli con un asciugamano, indossò un paio di boxer e si stese sul divano con il cellulare fra le mani.
Scorse le ultime notifiche, fra cui le mille sollecitazioni del suo agente riguardo all’accompagnatrice, finché non trovò un messaggio di Uraraka in cui si complimentava con lui per l’ottimo lavoro svolto al centro commerciale.

Tu: Grazie Uraraka-san! <3

Uravity: Come stai? Ho letto che non è stata una missione facile 

Tu: Sto bene… Quel clown colpiva forte, ma non ho neppure avuto bisogno di andare dal medico.

Tu: Ci vuole qualcosa di più per stendermi!

Uraviti: Hahaha! XD

Uravity: Piuttosto, che ci facevi da solo al centro commerciale? E perché non mi hai chiamato per una sessione intensiva di shopping?

Tu: Sono andato per comprare il completo per la premiazione…………..

Uravity: -.-“

Uravity: Dovresti smetterla di pensare che sia una perdita di tempo!
Ve lo siete meritato, siete stati incredibili e avete salvato centinaia di persone da morte certa!

Tu: Ma è il mio lavoro! Cose del genere sono la normalità!

Uravity: … Sei incorreggibile! -.-“

Uravity: Piuttosto, ho letto che è intervenuto anche Bakugo per salvare i civili ;D

Tu: Sì, è vero…

Uravity: Sputa il rospo, Deku!

Tu: Non c’è molto da dire… una ragazza ci ha chiesto se c’era del tenero fra noi per via di quelle foto che circolano sui giornalacci di gossip, e io sono rimasto in silenzio. In compenso, lui ha dissipato ogni dubbio -.-“

Uravity: Ha dato di matto?

Tu: Già… ha fatto abbastanza capire che l’idea di stare con me lo disgusta non poco. In barba alle fan che ci vedono insieme! XD

Uravity: Mi dispiace, Deku… Magari un giorno capirà quanto è stato scemo per tutto questo tempo e si accorgerà dei tuoi sentimenti!

Tu: Ne dubito fortemente, ma grazie lo stesso  è bello vedere che qualcuno ci spera quanto me xD

Uravity: Sono certa che prima o poi dovrò farvi da testimone ;)
Adesso devo andare, ci sentiamo presto!

Uravity: E la prossima volta, chiamami! Mi mancano le nostre giornate di shopping estremo e compulsivo! <3

Tu: Hahaha! Sarà fatto ;) a presto!

Con un sorriso sereno a distendergli le labbra, Izuku abbandonò il cellulare sul divano.
Parlare con Uraraka gli aveva sempre fatto bene, la sua migliore amica era davvero una persona unica e un po’ gli dispiaceva non riuscire a frequentarla assiduamente come un tempo.
Ma il lavoro li assorbiva entrambi a tempo pieno e i turni erano così massacranti che spesso Izuku crollava addormentato sul divano senza riuscire neppure a raggiungere il letto.
Il cellulare vibrò ancora e Izuku portò gli occhi allo schermo dove brillava l’ennesima notifica del suo agente.
Sbuffò annoiato. Iniziava davvero a dargli sui nervi quel tipo!
Nonostante la sua omosessualità, nonostante il suo coming out avvenuto pochi mesi prima, quel tizio si ostinava perentorio a pretendere che al suo fianco sfilasse una ragazza durante la cerimonia.
Spesso si sentiva incompreso, Izuku, e la voglia di licenziarlo gli carezzava spesso la mente.
Dall’altro lato però si ponevano i mille dubbi e i mille ragionamenti su cui il suo cervello andava arrovellandosi.
Non voleva mettere il suo agente in cattiva luce con l’agenzia, oltretutto che gli era stato caldamente raccomandato per via delle sue spiccate doti. E far perdere il lavoro ad una persona non era un atto eroico dopotutto…
Chissà che faccia avrebbe fatto se si fosse presentato con un ragazzo alla cerimonia… e per un momento, la voglia di chiamare qualcuno di quegli omaccioni senza cervello che gli faceva il filo, gli aveva carezzato la mente, ma l’aveva accantonata subito ritenendola una cavolata.
Si passò una mano sulla faccia e si massaggiò una tempia stancamente. Quella situazione lo stava decisamente stressando troppo.
Perché gli doveva imporre un’accompagnatrice?
Non bastava lui da solo? A chi doveva rendere conto?

La mattina seguente, Izuku camminò fino al concessionario più vicino intenzionato ad acquistare un’auto nuova.
Una signorina tutta pepe ed energie da vendere gli si parò davanti all’istante, mostrandogli i vari modelli che la casa automobilistica offriva.
Le auto erano tutte splendide, una più dell’altra, i design interni e le nuove tecnologie le rendevano poi dei veri e propri gioiellini.
Ma il suo budget non era infinito, così chiese alla signorina di un’auto più alla sua portata dato che doveva ancora finire di pagare quella ridotta ad un cumulo di lamiera verdastra.
Purtroppo per lui, non v’erano auto disponibili nell’immediato che rientrassero in una cifra accettabile che gli permettesse pure di pagare l’affitto.
Così camminò ancora fino a raggiungere l’ennesimo concessionario, ma la sentenza fu la stessa.
O erano troppo care per le sue tasche, o le pratiche burocratiche portavano via troppo tempo, o non v’erano auto disponibili.
In ogni caso, Izuku sarebbe stato costretto a raggiungere il lussuoso Hotel dove si sarebbe tenuta la premiazione, che distava ben due giorni di viaggio, a piedi sotto al cocente sole di Luglio.
Sconsolato per aver girovagato tutta la mattina inutilmente, si fermò a pranzare in un piccolo bar.
Acquistò un panino ed una bibita e si sedette al tavolo più appartato che il locale offriva.
L’ennesimo vibrare del suo cellulare lo destò dai suoi pensieri malinconici, ma stavolta, invece del suo agente, era Todoroki.
E un’idea geniale gli balenò in mente leggendo il nome del suo amico sul display.
Senza indugio, rispose e s’incastrò il cellulare fra la spalla e l’orecchio.
“Amico, devi aiutarmi!” Esordì Izuku riponendo le sue ultime speranze in Todoroki.
“Tutto bene?” Chiese il ragazzo dall’altro lato del ricevitore con voce confusa. Izuku rise debolmente di quella reazione stranita e infine proseguì spiegando.
“Insomma, avrai certamente letto di quella sventata rapina al centro.”
“Sì.”
“Ecco, una delle macerie del soffitto è finita proprio sulla mia macchina e l’ha ridotta ad un cumulo senza forma di ferraglia. Ho provato ad acquistarne un’altra e, credimi, ho girovagato tutta la mattina per niente!” Si fermò Izuku per sincerarsi che Todoroki lo stesse ancora ascoltando e quando udì un mugolio d’assenso, proseguì.
“Quindi pensavo di poter venire in macchina con te per la premiazione…” buttò lì speranzoso. Sapeva che Todoroki non gli avrebbe detto di no, tuttavia il silenzio che ne seguì non fu affatto incoraggiante.
“Mi spiace, Midoriya, ma non ho posto.”
“C-cosa?!” Sbottò incredulo rischiando di strozzarsi con il panino.
“La tua macchina è enorme, si può sapere come fai a non avere posto?”
“Viene mia madre a vedere la cerimonia.” Confessò infine il ragazzo e Izuku non riuscì a trattenere un sorriso pregno di sincero affetto nei suoi confronti.
“In tal caso, sono davvero felice per te e spero di poterla conoscere alla premiazione.”
“Ti chiamavo proprio per chiederti se potevo presentartela. Ha detto che le piacerebbe conoscere i miei amici.”
“Ne sarei onorato.” Rispose sereno sorridendo dolcemente nonostante l’amico non potesse vederlo.
Era molto felice per Todoroki, quella era la primissima volta che sua madre lasciava la clinica e Izuku capiva che lui sarebbe soltanto risultato di troppo in quel viaggio madre-figlio.
“In treno?” Suggerì Todoroki e in risposta Izuku sbuffò sconsolato.
“Sono inagibili a causa della diga. Ci avevo pensato anche io…”
“Hai provato a sentire Bakugo?” La domanda di Todoroki gli fece sgranare gli occhi. 
“K-Kacchan?!” Sbottò Izuku senza fiato. Stavolta si era davvero strozzato con il panino.
“Sì, viene premiato anche lui dopotutto.”
“S-Sì, ma no! Non posso!”
Come poteva dire una cosa così, di quella portata, con naturalezza?!
“Vuoi che lo chiami io?” A quelle parole, Izuku saltò letteralmente sulla sedia.
“No! C-ci penso io!”
E così dicendo, s’incastrò perfettamente in una situazione che poteva essere terribilmente compromettente quanto pericolosa.
Chiusero la chiamata salutandosi e promettendosi di vedersi alla cerimonia.
Izuku rimase qualche secondo a fissare lo schermo scuro che gli rimandava il suo riflesso.
Chiamare Kacchan per chiedergli un favore.
Pareva una bazzecola, una quisquilia, ma Izuku sapeva bene che non v’era impresa più ardua e temibile di quella.

Alla fine si era davvero ridotto a dover chiamare Kacchan. Aveva chiesto ad altre persone un passaggio, ma purtroppo erano tutti al completo. Tutte le persone che conosceva si erano organizzate e lui era rimasto fuori.
E sdraiato sul divano, con il cellulare fra le mani, fissava il numero di Kacchan con espressione greve.
Quanto gli avrebbe urlato contro per poi lasciarlo a piedi comunque?
Non ci teneva a scoprirlo, però ormai era la sua unica speranza. Se anche lui gli avesse negato un passaggio – come immaginava sarebbe accaduto – avrebbe dovuto salutare la premiazione e rinunciarvi. Non che questo gli costasse chissà che, anzi, forse era una scocciatura in meno! Tuttavia aveva già dato conferma e ritrattare a soli due giorni avrebbe portato con sé diverse noie da parte dell’agenzia e dell’agente.
Con mille pensieri per la testa, Izuku trovò il coraggio di premere il tasto di chiamata e portare il telefono all’orecchio.
Uno squillo.
Due squilli.
“Pronto?” La vice di Kacchan gli parve più roca del solito all’orecchio e Izuku aggrottò le sopracciglia confuso.
“Kacchan, sono io… tutto bene?”
“No, Deku di merda. Stavo dormendo.” Rispose l’altro con annesso sbadiglio.
“Ma sono le tre del pomeriggio…”
“Avevo il turno di notte ieri, ma mi spieghi che cazzo vuoi?! Vorrei tornare a dormire!” Sbottò l’altro all’improvviso e Izuku sobbalzò spaventato.
“V-volevo chiederti un favore…”
“No.”
E la chiamata si concluse così, senza che Izuku potesse proferire altra parola.
Più tardi provò nuovamente a telefonargli per chiedergli quell’immenso favore, ma gli epiloghi furono sempre gli stessi e dopo un po’, Katsuki smise proprio di rispondere al telefono.

Più tardi, Izuku non credeva davvero a quel che stesse facendo.
Non era affatto da lui comportarsi così, eppure quando si trattava di Kacchan perdeva ogni comportamento solidamente “da lui” e agiva con una testardaggine e un’impulsività che non gli appartenevano.
E lì impalato davanti all’armadietto riportante sopra il nome “Bakugo”, Izuku tamburellava nervosamente con il piede a terra guardandosi intorno.
Che cosa stava facendo? Quanto avrebbe dato di matto Kacchan vedendolo lì, davanti al suo armadietto, mentre colleghi e amici lo guardavano confusi.
Solo in quel momento si rese conto del gesto infantile.
Piombare lì, a lavoro, soltanto per non dargliela vinta.
Che stava facendo?
“Che cazzo stai facendo?” La voce di Kacchan lo fece trasalire spaventato.
Izuku alzò lo sguardo sul suo scurrile interlocutore e deglutì senza fiato.
“K-Kacchan…” uggiolò con voce malferma, ma ormai era in ballo e quindi strinse i pugni.
“Ti devo chiedere un favore!”
“Scordatelo nerd di merda!”
“Non sai neppure di cosa si tratta!”
“Non me ne frega un cazzo!” Sbraitò più forte Katsuki e i colleghi che si stavano cambiando si girarono verso di loro un po’ allarmati.
“Si tratta solo di un passaggio! Pagherò io la benzina e qualsiasi altra cosa!” Alzò la voce anche Izuku facendo un passo verso di lui.
Katsuki lo guardò in modo strano, accigliandosi improvvisamente nonostante i suoi occhi brillassero quasi di luce propria.
Sembrava stupito o forse sorpreso, ma Izuku non sapeva definirlo con certezza.
“Dai, Bakugo! Che ti costa dare un passaggio a Midoriya?!”
“Andiamo! Pagherà tutto lui!”
“Non troverai mai passeggero migliore!”
Anche i colleghi peroravano la sua causa e Izuku ne fu internamente felice.
“Dove devi andare, sentiamo…” pronunciò Katsuki con stanchezza, massaggiandosi la tempia come se avesse mal di testa.
“Alla premiazione… la mia macchina è andata distrutta l’altro giorno e-…”
“Levatelo da quella cazzo di testa.”
Izuku s’interruppe mordendosi la lingua.
Ma come… prima sembrava acconsentire e poi ritrattava?
“Cosa? Ma non ti costerà niente, devi andarci anche tu dopotutto!”
“Un cazzo!” Sbottò Katsuki colpendo l’armadietto con un pugno e incastrando Izuku fra di esso, il suo braccio muscoloso e lui.
“Ti rendi conto che sarà pieno di giornalisti e quando ci vedranno arrivare insieme, inizieranno a gonfiare la cosa? L’hai letto anche tu quello che dicono di noi, no?”
In effetti a quello non aveva proprio pensato…
In rete giravano una moltitudine di articoli di gossip su loro due e su un possibile amore segreto. Ipotesi avvalorata soprattutto dal vergognoso quantitativo di foto in cui Kacchan veniva sorpreso a guardare Izuku in modo strano e viceversa.
In realtà erano più quelle dove Izuku guardava Katsuki. E I continui elogi a Kacchan e alle sue abilità, con annesso un forte rossore delle guance di Deku durante le interviste, non avevano fatto altro che aggravare la situazione.
E i giornalisti avevano iniziato a scalare quella montagna di supposizioni creando un vero e proprio impero.
“M-ma siamo amici… lo sanno tutti, non credo che sarà poi così catastrofico!” Sdrammatizzò come poté ma in evidente difficoltà.
“Lo sarà invece, cretino.” Sussurrò a denti stretti, Katsuki, guardando il collega in modo così truce che gli altri eroi si misero in mezzo e li divisero per evitare che scoppiasse una rissa.
Katsuki lanciò improperi ed offese a chiunque gli capitasse a tiro, infine tornò al suo armadietto e spintonò via Izuku senza troppe cerimonie.
“Abiti sempre in quel buco di fogna che chiami appartamento?” Chiese improvvisamente e Izuku annuì un po’ risentito.
“La mia casa non è un buco di fogna, anzi è carina e confortevole!”
Katsuki ghignò nella sua direzione con fare strafottente.
“Ma se è piena di centrini e merletti come casa di mia nonna!”
“Perché tua nonna sa arredare bene evidentemente” Ribatté Izuku incrociando le braccia al petto e poggiandosi contro gli armadietti.
“Non penso proprio…” ridacchiò Katsuki mentre apriva il suo per indossare la tuta da eroe.
“Comunque, domani alle sei sarò sotto casa tua. Vedi di non tardare.” Mugolò infine sbattendo lo sportellino metallico.
Izuku si aprì in un sorriso entusiasta e ringraziò l’amico con felicità incontenibile.
“Sì, sì… ora levati dalle palle, altrimenti mi rimangio tutto!” E con queste parole, si congedarono.
Izuku uscì dall’agenzia con un sorriso luminoso stampato sulle labbra.
In quel loro rapporto fatto di continue sfide, finalmente Izuku l’aveva sfangata!
Poi, improvvisamente, un’idea gli balenò per la mente ricordando le parole dell’amico riguardo ai giornalisti.
Forse aveva trovato il modo di farla pagare al suo agente… e un’articolo in più o in meno su loro due non era poi la fine del mondo, giusto?
E almeno per quei giorni restanti il suo agente se ne sarebbe stato buono buono senza stressarlo ogni mezz’ora.
Senza ponderare come avrebbe dovuto quella decisione, prese il cellulare e digitò velocemente un messaggio al suo agente informandolo che aveva finalmente trovato una persona che lo accompagnasse.
Il sorriso sulle sue labbra si spense subito dopo aver premuto il tasto d’invio.
Sicuramente Kacchan lo avrebbe fatto a pezzi e bruciato i resti senza remore.

Puntuale come la morte, Kacchan giunse sotto casa di Izuku con la sua ruggente audi rosso fuoco.
Il cuore di Izuku ebbe un balzo nel petto vedendolo arrivargli incontro con gli occhiali da sole calati sugli occhi, i jeans strappati, una t- shirt nera e quel cipiglio burbero stampato sul viso.
Un sorriso spontaneo nacque dalle sue labbra, ma abbassò la testa per nasconderlo.
Caricò la valigia nel bagagliaio e filò dentro l’auto al posto del passeggero.
Kacchan non si era ancora mosso di un millimetro dalla posizione di guida, ma lo scrutava attentamente seguendolo con gli occhi in ogni suo movimento.
“Buongiorno Kacchan!” Esordì Izuku raggiante già di primissimo mattino, ma ricevette in risposta soltanto un grugnito scontroso.
Infine, Katsuki accese il motore che rombò facendo vibrare tutta l’auto e partirono in silenzio, con solamente il rumore delle ruote sull’asfalto a fargli compagnia.

Si prospettava un viaggio sfiancante e lunghissimo.
Dapprima, il mutismo ostinato di Katsuki e quel cipiglio burbero avevano intimidito (e affascinato) Izuku, ma con il tempo si erano rivelati due incomodi portatori di disagio e tensione.
Allora aveva iniziato ad agitarsi, Izuku, iniziando ad almanaccare con l’aria condizionata, ma Katsuki lo aveva riempito di insulti costringendolo ad aprire i finestrini.
Aveva provato ad intavolare qualche discorso allora, ma Katsuki li chiudeva tutti burbero con annesse imprecazioni verso entrambi che concludevano sempre con “ma perché cazzo ho deciso di darti un passaggio?!” Rivolto a non si sa bene chi, ma a cui Izuku rispondeva prontamente con “perché ti ho detto che avrei pagato tutto io”.
E ripartiva una discussione fatta di insulti da parte di uno e tentativi di dialogo da parte dell’altro.
Infine, dopo un ultimo e violento litigio su come Katsuki avesse la pessima abitudine di guidare con una mano sul volante, fra i due era calato un silenzio di tomba.
Izuku non sapeva cosa dire o cosa fare e ogni qualvolta si muoveva, aveva sempre addosso gli occhi indagatori di Kacchan che lo fissavano truce.
E dopo ben tre ore di totale quanto snervante silenzio, Izuku cercò di sdrammatizzare la situazione accendendo la radio.
Mai errore fu più grave.
“Che diamine stai facendo?” Abbaiò Katsuki squadrandolo come se gli fosse appena spuntata una nuova testa.
“Cerco la mia stazione radio preferita.” Rispose Izuku armeggiando con il touch screen sul cruscotto.
“Passano sempre delle belle canzoni anche se un po’ datate”
“Ho sentito le canzoni del tuo ipod e hai dei gusti decisamente di merda, lascia perdere e spegni la radio prima che ti faccia esplodere la testa.”
“Non ho gusti di merda!” Ribatté offeso Izuku continuando a spippolare per cercare di sintonizzare la stazione, come se Katsuki non gli avesse appena detto di smetterla.
“Invece sì! Ascolti musica da nerd e ovviamente non ci capisci niente!” Ghignò Katsuki, assumendo quel suo broncio borioso e tracotante che tanto faceva impazzire Izuku.
E, dal canto suo, non poté che abbassare lo sguardo celando il rossore delle sue guance (e quel batticuore che persino un sordo avrebbe udito) come poteva.
“E sentiamo, a te quali canzoni piacciono?” Esordì dopo qualche attimo di silenzio.
“I classici”
“Tipo Beethoven?”
“No, idiota.” Rise Katsuki passandosi una mano fra i capelli.
“Tipo ACDC, guns ‘n roses o i Sistem”
Izuku aggrottò le sopracciglia confuso ed inclinò la testa ragionando sulle parole dell’amico e collega.
“Non sono classici però…”
“Certo che lo sono!” Abbaiò l’altro offeso.
“Hanno scritto la storia della musica rock! Ma che ne vuoi sapere tu che ascolti Lady Gaga!”
“Non ascolto Lady Gaga!”
“Ho sentito Bad Romance sparata nelle tue orecchie in palestra l’altro giorno!”
“Sì, ma non ascolto solo quella canzone… o meglio, non solo quel genere”
Katsuki lo fissò lungamente, godendosi il lieve rossore che colorava le sue guance sotto le lentiggini.
I capelli scompigliati per via del vento che entrava dal finestrino gli cozzavano contro il collo come piccole fruste restando appiccicati ad un velo leggero di sudore. I restanti gli incorniciavano il viso con ricciolini fitti e indomabili.
Ma erano le labbra che davvero lo avevano stregato. Le labbra e quel vizio di morderle continuamente quando era a disagio o si vergognava.
“Link in park?” Chiese poi, rivolgendo nuovamente lo sguardo alla strada e lasciando da parte i suoi apprezzamenti mentali sul collega.
“No” Katsuki storse la bocca in risposta.
“Queen?”
“No” di male in peggio.
“Almeno qualche cantante decente lo conosci o ascolti solo Beyoncé?” Sbottò infine esasperato e Izuku  gonfiò le guance offeso da quel suo tono di superiorità.
“Mi piace Beyoncé!” Ribatté infine e Katsuki alzò gli occhi al cielo esasperato.
Deku era senza speranza ormai.
Calò il silenzio, interrotto soltanto dai vari deejay che riuscivano a spiccicare due parole prima che Izuku cambiasse stazione.
“La vuoi piantare?!” Sbottò ancora Katsuki.
“Non ricordo quale stazione fosse…” pigolò Izuku giustificandosi.
“Nella mia macchina ascolto sempre quella e non la cambio mai…”
“E non ti sei mai preoccupato di ricordarti la frequenza, giusto?”
“Già…” abbassò lo sguardo Izuku colpevole, sentendo le guance andargli a fuoco e gli occhi di Kacchan addosso.
E non sapeva più se sudava per il caldo o per quello sguardo di fuoco.
“Sei inutile, Deku!” Sospirò infine Katsuki, scacciando via le mani del collega dal suo cruscotto ed iniziando ad armeggiarci lui stesso mentre guidava.
“Sai che è pericoloso e potremmo fare un incidente?” Chiese Izuku con aria che preannunciava una ramanzina, ma Kacchan lo zittì con un prontissimo “vaffanculo”.
“Ecco, queste sono tutte le stazioni che riesce a prendere, riconosci almeno il nome?”
Izuku si avvicinò allo schermo e lesse tutti i nomi delle stazioni che la radio dell’audi di Kacchan riusciva a percepire, finché i suoi occhi non caddero su un nome familiare.
Si aprì in un sorriso e selezionò la frequenza corretta.
Subito nell’auto si andò espandendo una melodia calma e bassa. Note vibranti, profonde, intense.
Solo il basso elettrico spiccava, guidando la melodia melanconica in una strada che portava a dritta al cure di Izuku.
“Adoro questa canzone…” Esordì sorridente chiudendo gli occhi e Katsuki lo osservò con attenzione, divorando quel sorriso sereno e segregandolo nei meandri della sua memoria.
“La conosci?” Chiese poi Izuku e il collega si riscosse tornando a puntare gli occhi sulla strada.
Neppure aveva sentito quella canzone. L’espressione serena di Izuku lo aveva completamente rapito.
Ascoltò qualche nota e subito la sua mente riconobbe gli accordi.
Piaceva anche a lui, ma non glielo avrebbe mai confessato.
Il silenzio regnò nuovamente sovrano, interrotto soltanto dal pessimo inglese con cui Izuku provava a cantare Everybody’s gotta learn sometime.
E Kacchan si godette quel piccolo momento fugace di tregua, spiando Izuku di quando in quando con lo sguardo.
Non lo avrebbe mai ammesso espressamente a parole, ma gli piaceva da matti ascoltare la voce di Izuku cantare.

Dopo quasi sei ore in strada, quando lo stomaco di Izuku aveva iniziato a brontolare così forte che Kacchan aveva minacciato più volte di sventrarlo vivo, avevano dunque optato per fermarsi a mangiare un panino al volo in autogrill.
Una sosta veloce per il bagno, consumare in fretta il cibo e tornare in strada nel giro di mezz’ora per non perdere troppo tempo sulla tabella serratissima di marcia che Katsuki aveva stabilito senza possibilità di modifica alcuna.
Non un minuto di più aveva concesso Katsuki e così sarebbe anche stato, eccetto quel pullman di turisti provenienti da Sapporo che li avevano riconosciuti e accerchiati nel giro di pochi secondi mentre cercavano di pagare i panini.
Deku era stato letteralmente sequestrato da una schiera di ragazzine urlanti e lui, invece che dimenarsi e fuggire via, aveva ben pensato di mettersi ad elargire foto e autografi.
Katsuki, fumante di rabbia, tergiversava battendo il piede a terra con le braccia incrociate sul petto aspettandolo nervosamente con un cipiglio incazzato stampato sulla faccia.
“Deku-san! Una foto?” Aveva gridato una ragazzina e l’eroe si era accostato a lei sorridente davanti alla fotocamera.
E, un secondo prima che scattasse, la ragazza si era girata improvvisamente rubandogli un bacio sulla guancia.
Izuku, in risposta, era arrossito come un pomodoro ed era servito l’intervento furente di Kacchan che, dopo essersi fatto strada nel capanello urlante di ragazze, lo aveva preso per un braccio e trascinato via urlando offese e improperi.
Erano piombati in auto in pochi secondi e già la folla urlante di ragazze li aveva seguiti nel parcheggio cercandoli.
Il mare di flash che li aveva investiti mentre correvano via in auto insieme, li aveva quasi accecati e Katsuki iniziò a maledire la stupidità del suo collega per tale sventura non richiesta. Oltre che sé stesso per aver acconsentito a portarselo appresso.
“Siamo amici, Kacchan! Non vedo perché dovresti preoccuparti!”
“Perché ora mille cazzo di foto di noi insieme gireranno su internet!”
“E allora? Ce ne sono già milioni di nostre foto, qualcuna in più cosa vuoi che sia?!” Sdrammatizzò Deku cercando di alleggerire la pressione. Se Kacchan reagiva in quel modo per delle foto scattate di sfuggita, cosa avrebbe fatto quando si sarebbe trovato davanti una schiera di giornalisti?
Il senso di colpa cresceva forte in lui e lo stomaco gli si era attorcigliato in un nodo talmente stretto che a Izuku era persino passata la fame.
“Sei un coglione se non riesci a capire una cosa del genere…” fu la risposta di Kacchan stranamente bisbigliata a denti stretti, prima che un silenzio assordante ripiombasse fra loro.
La radio passava musica allegra e orecchiabile: le nuove hit dell’estate che avevano sempre messo di buonumore Izuku, ma stavolta appesantivano soltanto la situazione.
“Dammi il mio panino, ho fame.” Esordì Bakugo tenendo gli occhi puntanti sulla strada, mentre le ruote macinavano asfalto bollente sotto al sole cocente.
“Vuoi mangiare guidando?!” Aveva chiesto scandalizzato Izuku, voltandosi verso di lui con gli occhi sbarrati.
La mascella serrata, lo sguardo scuro e la bocca sottile gli fecero capire che Kacchan non aveva molta voglia di replicare.
In silenzio, prese il panino al formaggio di Katsuki e glielo mise sotto al naso.
Il biondo lo guardò confuso per un secondo, ma tanto bastò a Izuku per capire la sua muta domanda.
“Lascia che ti imbocchi, in questo modo avrai entrambe le mani libere per guidare.”
Il silenzio stizzito di Kacchan fu abbastanza eloquente per fargli intuire che, anche se con reticenza, gli andava bene lo stesso.
Dunque addentò il panino voracemente, facendo sbuzzare il formaggio filante sulle dita di Deku.
E mentre Kacchan masticava, Izuku portò le dita sporche alla bocca, levando via il formaggio con la lingua.
Gli occhi di Kacchan divorarono quella scena con ardore e le sue mani si strinsero sul volante facendolo scricchiolare. Deglutì il boccone e subito gli tornò l’acquolina in bocca.
Il caldo era asfissiante in quel momento e più Izuku puliva le sue dita sozze, più Kacchan non riusciva a staccare gli occhi da quella visione.
Infine, il suo corpo si mosse per lui e, prima che Deku avesse tempo di ripulire anche l’ultimo dito, Kacchan gli acciuffò la mano guardandolo dritto negli occhi.
“Non osare rubare il mio formaggio.”
E scese con le labbra, leccandolo e suggendolo, finché non fu completamente ripulito.
Izuku strinse la mano libera sull’involucro del suo panino, sentendolo scricchiolare.
Seguì con lo sguardo la bocca di Kacchan scendere verso la sua mano  per poi risalire sulla punta della falange e la lingua a ripercorrere la stessa strada per togliere il formaggio restante.
Il respiro gli si bloccò nei polmoni e il cuore pareva impazzirgli nel petto.
I loro sguardo s’incatenarono l’uno all’altro in un momento ardente in cui tutto attorno a loro era svanito nel nulla.
Poi ci fu un guizzo di lucidità negli occhi del biondo. Una specie di bagliore fugace che gli attraversò lo sguardo prima che tornasse a prestare attenzione alla guida interrompendo quell’attimo tutto loro.
Izuku sbatté gli occhi confuso domandandosi mentalmente se non si fosse appena immaginato tutto.
“Vuoi farmi mangiare quel dannato panino o no?!” Fu la lamentela del guidatore con le guance arrossate e Izuku allungò il panino senza fiatare.
Consumarono i loro pasti mentre l’auto sfrecciava via in religioso silenzio.

Raggiunsero il bed&breakfast in serata. Katsuki parcheggiò l’audi fiammante nel parcheggio ed uscì dallo sportello con la stessa enfasi di chi esce dalla bocca dell’inferno.
Le ore restanti di viaggio erano state le più dure di sempre. La tensione li aveva consumati e consolidato i loro dubbi rendendoli vere e proprie montagne.

Perché quella reazione?

Stavamo per baciarci davvero?

Perché si è tirato indietro?

Mi sono immaginato tutto?

Con l’incedere di uno spartano che marcia, Katsuki acciuffò la sua valigia dal bagagliaio, lanciò quella di Deku al suo proprietario, chiuse l’auto e si diresse al check-in in rigoroso silenzio e senza osare incrociare lo sguardo del collega.
Deku, dal canto suo, lo seguiva a testa bassa, con le spalle ad incassargli il collo e la testa altrove.
Come un automa, prese la carta di credito e pagò il pernottamento come aveva pattuito con Katsuki.
Gli toccarono due stanze disgraziatamente vicine con una parete in comune.
Deku seguì il collega con lo sguardo, mentre camminava spedito ed entrava nella sua camera. Poi solo il silenzioso corridoio a tenergli compagnia.
Entrò anche lui, decidendo di tenersi occupato sistemando le sue cose in giro.
Rassettare una stanza già pulita aveva poco senso, ma Izuku pretendeva di non pensare. Almeno per qualche ora.
O per sempre magari.
Perché quello che era successo in macchina era qualcosa!
O forse no?
E se non fosse stato niente, perché Kacchan si comportava in quel modo schivo?
E… dannazione! Ci stava ripensando ancora!
Si prese i capelli fra le mani e si sedette sul letto pesantemente e stremato.
Quel viaggio in macchina lo aveva provato più di quanto pensasse… o forse era stata la situazione in sé a provarlo?
Quel clima lo aveva soffocato all’istante e la voglia di aprire lo sportello e rotolare via in posizione fetale, gli aveva carezzato la mente diverse volte.
Scosse la testa esasperato e si abbandonò disteso sul letto.
In automatico, i suoi occhi andarono verso la parete che condivideva con Katsuki.
Dall’altro lato, in una stanza stranamente troppo silenziosa, c’era colui che gli faceva battere il cuore e arrovellare il cervello.
Sbuffò stanco e si tolse le scarpe con i piedi lanciandole a casaccio sul pavimento. Una di queste impattò contro il comodino facendone aprire lo sportelletto inferiore.
Izuku allungò lo sguardo per controllare di non aver danneggiato niente ed i suoi occhi si posarono sul piccolo frigo-bar che la stanza offriva.
Curiosò dentro solo per tenersi occupato, perché tanto si sarebbe addormentato in quel modo con la mente rivolta ancora a Kacchan, lo sapeva già.
Una bottiglia più grande delle altre attirò la sua attenzione.
La prese in mano e lesse l’etichetta: Shochu all’uva.
Non lo aveva mai sentito, ma probabilmente si trattava di un vino o qualche distillato che gli avrebbe solo bruciato la gola.
E per giunta era a stomaco vuoto, quindi bere lo avrebbe solo portato verso l’oblio ed un sonno profondo.
Si rigirò la bottiglia fra le mano indeciso.
Ma sì, tanto peggio di così mica poteva andare, no?!

Katsuki ritornò in camera a notte inoltrata e nel silenzioso corridoio, notò che Deku aveva ancora la luce accesa.
Ma che combinava quel coglione?
Quando era uscito per andare a cena, Deku era rimasto dentro a urlare qualcosa ad un presentatore di quiz in tv e Katsuki aveva ben pensato di lasciarlo fare. Anche perché non aveva voglia di anticipare l’agonia di ore ed ore di silenzio imbarazzante che gli sarebbero certamente toccate in macchina.
Però che cazzo ci faceva ancora sveglio alle 2?
Bussò alla porta in legno chiaro ed attese che i passi incerti e tremolanti che si abbattevano sul parquet, giungessero fino all’infisso che li separava.
Quando Izuku aprì la porta, una ventata di alcol inondò le narici di Katsuki che ringhiò infastidito schermandosi il naso.
“Che cazzo combini lì dentro?” Abbaiò Katsuki prima di venire acciuffato per il bavero e scagliato sul letto con la forza improvvisa di One for All.
“Ma che cazzo-…?!”
“Ora basta! Parlo io!” Lo sovrastò Izuku gridando e stringendo i pugni lungo i fianchi come un bambino.
“Perché shei così stronzo con me?” Chiese poi più pacato, quasi sembrava che stesse per mettersi a piangere e Katsuki rise divertito in risposta.
“E non ridere! Chi guida shome te non dovrebbe ridere probrio!”
“Perché, come guido?” Chiese Katsuki punto sul vivo, anche se quella situazione con un’improbabile Deku ubriaco e scurrile gli piaceva infinitamente.
“Male! Non guardi mai la shtrada! Non ashcolti mai la mushica bella… shei una fava in macchina!” Sbottò infine Izuku, ricadendo seduto sul pavimento con le gambe incrociate.
Katsuki rise compostamente.
Quella situazione lo stava divertendo da impazzire e ringraziò la sua buona sorte per averlo fatto bussare alla porta di un Midoriya sbronzo.
“Bene, Deku… sappi che tu sei un passeggero del cazzo allora.” Ribatté Katsuki, sedendosi sul letto sfatto pigramente, come se fosse nella sua stanza.
“Non è vero! Io ho scercato di fare amicizia, ma tu shei quello shtronzo!”
“Wow! Ci baci tua madre con quella bocca?”
“E tu shucchi le dita a tutti con la tua?”
Il silenzio cadde fra loro, teso e scomodo come c’era in macchina.
Fanculo Deku! Perché non poteva starsene zitto e basta?
Katsuki fece per alzarsi e andarsene, ma Deku gli piombò addosso spedendolo sdraiato sul letto.
“Levati dal cazzo!”
“Mi piaceva!” Urlò Deku con gli occhi rossi inondati di lacrime. Katsuki ammutolì ancora e seguitò a fissarlo in attesa che continuasse.
Deku deglutì aria e vergogna e fissò gli occhi in quelli vermigli del collega.
In quale paio dei quattro che vedeva, era una sua libera scelta.
“Ho sempre… io e te… insieme…” balbettò confusionario senza nemmeno sapere bene cosa dire.
Katsuki allungò una mano fra i riccioli ribelli e spettinati di Deku.
Occhi negli occhi e solo il loro respiro pesante a scandire gli attimi fra loro.
“Sei abbastanza lucido per fermarmi se non vuoi?” Chiese Katsuki serio, cercando il consenso in quello sguardo offuscato dai fumi dell’alcol.
Deku annuì convinto. Non c’era niente che non volesse di quel momento, erano anni che lo bramava come non mai dopotutto.
Katsuki allungò il collo verso l’alto ed unì le loro labbra in un dolce bacio.
Poi fu solo un tripudio di lenzuola disfatte e gemiti.

Katsuki steso sulla schiena, si dilettava carezzando delicatamente i capelli del collega steso al suo fianco, con la testa abbandonata sul suo addome.
Era da anni che desiderava affondare le mani in quella chioma informe.
“Sei sveglio?” Chiese poi d’improvviso, Katsuki, sbirciando con lo sguardo.
Deku mugolò un consenso, ma le sue palpebre abbassate non lasciavano intuire che fosse la verità.
“Invidio il tuo coraggio.” Confessò il biondo d’un fiato, come se dire quelle parole gli costasse.
E, in un certo senso, era così. Ingoiare il suo orgoglio, metterlo a tacere da parte e ammettere di ammirare il suo eterno rivale, era un’ardua impresa.
Ancor di più se si contava che insieme all’ammirazione aveva intenzione di confessare anche qualcosa di più intimo.
“Davvero?” Uggiolò Deku stancamente, con la voce strascicata di chi sta per addormentarsi.
“Sì… io-…” sospirò frustrato. Le parole non gli uscivano come voleva.
Si passò una mano fra i capelli spettinati, schiarì la voce e proseguì.
“Io ammiro il fatto che tu sia riuscito a fare coming out. Ti ho seguito, sai? Ho visto l’intervista.” S’interruppe per riprendere fiato. Quelle parole gli stavano costando tantissimo, ma almeno non lo stava guardando in faccia.
Con quegli occhioni verdi stampati davanti non sarebbe riuscito a spiccicare parola.
“Io non ci sono ancora riuscito…” un’altra pausa. Un sospiro per prendere coraggio ed un’altra carezza fra quei capelli indomabili.
“Come non sono riuscito a dirti che ti amo da sempre dopo tutti questi anni.”
Il respiro regolare e cadenzato di Deku, così come il suo silenzio, lasciarono capire a Katsuki che Il collega ormai si era addormentato.
Sperava soltanto che fosse rimasto abbastanza sveglio per sentire le sue parole.

Izuku aprì gli occhi pigramente. La testa gli doleva moltissimo, la stanza non smetteva un secondo di girare e si sentiva la schiena a pezzi.
Una folata di vento entrò dalla finestra spalancata e gli carezzò le natiche nude.
Bene, aveva dormito nudo come un verme e con la finestra aperta di una stanza d’albergo al piano terra.
Sperava soltanto che nessuno lo avesse visto in quello stato.
Si issò seduto guardandosi intorno confuso. Intorno a lui c’era un’esplosione di vestiti sparsi a terra e diverse bottiglie vuote del minifrigo.
Quanto aveva alzato il gomito ieri sera?
Scese dal letto e si guardò intorno non riconoscendo la maggior parte dei vestiti.
Sbatté gli occhi più volte incredulo, riconoscendo infine la maglia nera di Kacchan.
Si portò una mano fra i capelli spettinati e la lasciò ricadere fino al collo ora sudaticcio per la tensione.
Che cavolo era successo ieri sera?!
In quel momento, la porta della stanza si aprì e Deku si schermò le parti intime con le mani.
Katsuki entrò come se niente fosse, guardando il collega con un ghigno derisorio stampato sul viso.
“Buongiorno principessa, dormito bene?”
“K-Kacchan…”Uggiolò Deku in imbarazzo, facendogli segno di richiudere la porta velocemente.
Katsuki eseguì trattenendo a stento le risate. Izuku rosso come un pomodoro era un vero spettacolo.
Tornò con gli occhi su di lui, guardandolo insistentemente con un sorrisetto malizioso sulle labbra.
“Puoi anche smetterla di tapparti, non c’è niente lì sotto che non abbia già visto.”
“M-mi vergogno lo stesso!” Ribatté Deku acciuffando da terra la maglia che aveva indossato il giorno prima e usandola per nascondersi le parti intime.
“P-perché hai le chiavi della mia stanza? Cos’è successo ieri sera?” Chiese confuso e a Katsuki si gelò il sangue nelle vene.
Perché quelle domande?
Non si ricordava davvero quello che era successo?
Niente? Nemmeno le sue parole?
Aggrottò le sopracciglia incazzato. Quello stupido nerd aveva dimenticato la sua confessione!
Fanculo! Non gliela avrebbe detta una seconda volta!
“Niente che valga la pena ricordare.” Rispose duro, raccattando i suoi vestiti da terra insieme alla sua dignità.
In quel momento quasi lo odiava. Aveva ingoiato il suo orgoglio, calpestato quel suo carattere indomito e quel nerd di merda si dimenticava tutto!
“Kacchan, aspetta… io non lo so, ma sembra…” tentennò Deku, avanzando verso di lui von le guance in fiamme.
I dettagli non lasciavano molto spazio all’immaginazione, ma gli serviva la conferma da parte di Katsuki per non fraintendere la situazione.
Era davvero successo quello che pensava?
“Cosa sembra?” Abbaiò con astio Katsuki aggredendolo e lasciandolo interdetto.
“Che abbiamo… insomma…” balbettò Izuku abbassando lo sguardo sul pavimento.
Perché quella reazione cattiva?
Era offeso? Arrabbiato? Che era successo davvero?
Katsuki gli riservò un’occhiataccia omicida che gli fece venire i brividi.
Raccolse l’ultimo indumento e si avviò verso la porta.
“È esattamente come sembra, coglione.” Aggiunse infine, con tono più calmo, prima di uscire e sbattersi la porta alle spalle, lasciando Izuku in piedi confuso più di prima.

Il viaggio in macchina fu, se possibile, peggio di quello de giorno prima. Katsuki guidava serio, senza proferir parole, mentre Izuku si torturava anima e corpo per essere stato talmente tanto sbronzo da aver dimenticato la notte passata con Kacchan.
Ogni tentativo di Izuku di estorcergli informazioni si era tragicamente schiantato contro il muro di silenzio offeso eretto da Katsuki.
Quel silenzio, faceva male a Izuku, e capiva perfettamente la posizione presa dal collega. Probabilmente, nei suoi panni, anche lui ci sarebbe rimasto malissimo.
Tuttavia, c’era qualcosa che non gli quadrava…
Kacchan sembrava davvero scosso e incazzato. Forse anche più del normale, dato che qualche volta lo aveva sorpreso con gli occhi umidi. Non voleva sminuire la situazione, ma gli sembrava una reazione fin troppo esagerata.
Assolutamente non da Katsuki oltretutto!
Quando videro l’Hotel in cui si sarebbe tenuta la cerimonia in lontananza, entrambi tirarono un sospiro di sollievo, lieti che quel viaggio pregno di tensione fosse appena giunto al termine.
Seguirono il navigatore fino alla località impostata.
L’agenzia stavolta non aveva davvero badato a spese, l’Hotel si trovava in una graziosa baita campagnola circondata da montagne, colline verdeggianti e campi sconfinati.
Lo spettacolo che si estendeva davanti ai loro occhi toglieva il fiato per loro abituati ormai alla vita in città.
Entrarono dai cancelli che delimitavano la strada privata dell’Hotel e percorsero il sentiero di ghiaino che li avrebbe condotti al parcheggio e all’entrata.
“Oh merda…” Esordì Katsuki dopo ore di silenzio.
“Cosa?” Chiese Izuku curioso guardando il collega e non più il paesaggio che li circondava.
“Giornalisti del cazzo…” rispose borbottando mentre stringeva le mani sul volante.
Deku seguì lo sguardo di Kacchan e scorse proprio davanti all’ingresso un capannello di circa una ventina di giornalisti armati di microfoni, telecamere e registratori.
Li notarono quasi subito e la macchina fu presa d’assalto e circondata in pochi secondi.
“Se me la graffiano, gli faccio saltare la testa!” Abbaiò rude Katsuki fermando l’auto e scendendo per salvarsi da quegli avvoltoi.
Izuku lo imitò alla svelta, ma non fu bravo come Kacchan ad eluderli e sorpassarli, tant’è che fu letteralmente assalito e si ritrovò con al collo almeno dieci microfoni diversi.
“Perché siete venuti insieme?”
“È vero che avete una relazione segreta?”
“Avete dormito nello stesso motel, è vero?”
“Ma nella stessa stanza?”
Poteva esistere situazione peggiore?
“Deku! Deku! È un succhiotto quello sul collo?”
Un trionfo di flash lo accecarono all’istante e a niente valsero le sue negazioni.
I giornalisti iniziarono ad accalcarsi in massa su di lui, parevano quasi volerlo sommergere con quelle domande scomode.
Fu in quel momento che Kacchan perse la pazienza e si rituffò nella mischia di sciacalli pronto a trarre in salvo quel nerd di merda.
Sgomitò senza sosta finché non raggiunse il centro di quel capannello di persone.
Ignorava bellamente qualsiasi domanda o conferma che gli veniva rivolta e continuava ad avanzare urlando improperi al vento.
Giunse infine da Midoriya, lo acciuffò per un polso e questo si volse verso di lui guardandolo confuso.
Ci fu un momento in cui Katsuki vacillò perdendosi in quel mare verde smeraldo che erano gli occhi di Deku.
Da una parte, gli sarebbe piaciuto prendere l’iniziativa, confermare che avevano scopato come ricci e che sì, stavano insieme.
E forse così quel tripudio di giornalacci di gossip si sarebbe acquietato con il tempo.
Ma dall’altra parte, c’era la paura dell’ignoto, il terrore di essere considerato diverso, strano, difettoso, solo perché amava un altro ragazzo.
Con Deku era andata bene.
La sua famiglia lo amava ancora e i suoi amici erano rimasti tali. Qualcuno lo aveva snobbato, qualche collega omofobo gli aveva parlato male alle spalle, ma alla fine non era stata una catastrofe.
Nel caso di Kacchan, sarebbe stato un delirio, lo sapeva.
Forse la sua famiglia avrebbe reagito bene, magari suo zio avrebbe smesso di stuzzicarlo con battutine sconce ogni qualvolta gli capitasse sott’occhio una bella ragazza.
Forse sua nonna se ne sarebbe fatta una ragione dopo un po’. Suo nonno certamente non lo avrebbe mai accettato, lo sapeva.
Al lavoro sarebbe stato quasi peggio, laddove colleghi che già lo tolleravano poco, gli avrebbero reso la vita impossibile.
Scosse la testa e rimandò indietro quei pensieri.
Si morse il labbro inferiore a sangue e trascinò via quell’impiastro di collega che si era ritrovato come passeggero.
Sgomitando ancora fra i giornalisti, Katsuki riuscì a sfuggirgli ed entrare nella hall dell’Hotel, dove i facchini e gli addetti all’accoglienza, impedirono ai giornalisti di entrare.
“Perché cazzo te ne stavi lì impalato?”  Abbaiò Katsuki incazzato, stringendo maggiormente la presa sul polso di Deku.
“Io… sono stato accerchiato velocemente e, non so, non mi piace spintonare la gente come fai tu…” balbettò a disagio, abbassando lo sguardo sul pavimento della hall.
Sentiva gli occhi umidi di lacrime e uno strano senso di oppressione sullo stomaco.
Si passò una mano fra i capelli spettinati facendola poi ricadere sul retro del collo.
“Non riesco… a mandarli via come te…” aggiunse infine borbottando,  tornando a guardare il collega negli occhi.
Sentiva le guance in fiamme e la voglia di piangere gli bagnava ancora lo sguardo.
Perché si sentiva così?
Era come se temesse di aver deluso Kacchan restando in quel capannello di giornalisti.
Katsuki si avvicinò a lui e gli scostò il colletto della maglia, scoprendo così quel lembo di pelle che i suoi denti e le sue labbra avevano ingiuriato per buona parte della notte.
“Tappati il collo, ti si vede il succhiotto.” Esordì infine, lasciandolo solo nella hall e dirigendosi al bancone per il check-in.
Vedere Deku con quello sguardo triste lo aveva sconvolto più del solito.
Era tremendamente cotto di lui e adesso i suoi sentimenti trasparivano con fin troppa chiarezza dinanzi agli altri.
Che situazione del cazzo…
Non voleva che si capisse nulla, ma al contempo non riusciva a fare a meno di volerlo toccare e stringere a sé.

Deku, steso sul comodo e soffice lettone dell’Hotel, guardava il soffitto con la testa fra le nuvole.
Non sapeva per certo cosa fosse successo fra loro, ma non era uno stupido e il suo corpo parlava chiaro.
Si malediva minuto per minuto per non riuscire a rammentare quello che era successo fra loro.
Chissà che tipo di amante era Kacchan…
Non ce lo vedeva proprio a fare il premuroso, tutto baci e coccole. Probabilmente era impetuoso e indomabile come suo solito.
Scosse la testa cercando di scacciare via i pensieri.
Gli veniva tanta voglia di piangere in quel momento.
Si sentiva così in colpa che avrebbe camminato in ginocchio da lui per scusarsi se solo gli avessero assicurato che non gli avrebbe fatto saltare la testa in aria.
Quanti anni era che lo amava segretamente?
E, quando stava per perdere le speranze, ecco che fra loro c’è una svolta epocale. Ma ovviamente lui era troppo ubriaco per rammentarla.
Il vibrare impazzito del suo cellulare attirò la sua attenzione.
Il suo agente stava letteralmente dando di matto perché aveva scoperto che il suo accompagnatore era Kacchan.
Stufo, prese il telefono e digitò celere un messaggio.
“Sono gay, fattene una ragione!” Ed inviò lanciando il telefono il più lontano possibile.
Si portò le mani fra i  capelli e trattenne le lacrime finché poté.
Chissà come si era sentito Kacchan quella mattina, quando gli era piombato in camera e Deku non sapeva neppure il perché.
“Fanculo…” bisbigliò fra sé e sé prima che le lacrime fluissero via dai suoi occhi.
Sentiva di essersi perso qualcosa di vitale importanza, sentiva di averlo offeso a morte, sentiva che tutta quella rabbia e quell’astio nei suoi confronti fossero giustificati da una sua mancanza imperdonabile.
E Kacchan, con il suo carattere, certo non gli rendeva le cose facili!
Invece che raccontare o dargli spiegazioni, si era chiuso in sé, in un mutismo impermeabile che non lasciava tante speranze.
Perché fra loro doveva essere tutto così incasinato?

Lo sfarzoso salone in cui si sarebbe tenuta la premiazione era gremito di gente.
Un piccolo palco svettava in fondo alla sala, dove una piccola orchestra suonava una musica tranquilla per intrattenere gli ospiti.
In mezzo al salone, un centinaio di candidi tavoli finemente apparecchiati e decorati con fiori scarlatti attendevano soltanto che i commensali vi si sedessero al posto designato.
I camerieri giravano qua e là servendo champagne e tartine varie prima che venisse servita la cena.
Izuku entrò nella sala a testa bassa, guardandosi intorno circospetto come se fosse circondato da nemici.
Si sentiva estremamente teso e nervoso.
Fra lui e Kacchan era un disastro e il suo cervello non faceva che rimuginarci sopra.
Appena gli invitati lo videro, un coro di applausi si espanse fragoroso nella sala e Izuku sobbalzò sorpreso.
Non si aspettava affatto una simile accoglienza in grande stile.
Anzi, sperava tanto in cuor suo di passare più inosservato che poteva.
Salutò gli invitati con un falsissimo e tiratissimo sorriso e si defilò al più presto verso il luogo più appartato che riuscì a trovare: il bancone degli aperitivi.
Ordinò qualcosa da bere di analcolico e sorrise timidamente al barista quando anche lui si congratulò.
Trangugiò il contenuto rosato del bicchiere – nemmeno si ricordava cosa avesse ordinato – e iniziò a guardarsi intorno cercando qualche faccia amica.
Intorno a lui sfilavano soltanto dirigenti, impiegati di alto livello dell’agenzia, il sindaco e i suoi funzionari più stretti. In giro, neppure un suo collega eroe. Insomma, nessuno che lo conoscesse davvero, con cui poter scambiare due parole in serenità.
Ordinò un altro drink rosa di cui non ricordava il nome ma apprezzava il sapore fruttato, e continuò a guardarsi intorno.
Todoroki gli si affiancò silenzioso e Izuku quasi non se ne accorse.
“Non è da te bere.” Commentò il ragazzo squadrando il bicchiere già ammezzato di Izuku con un cipiglio di giudizio negli occhi.
“Stasera sì, se voglio sopravvivere a questa cosa!” Anche se non sapeva bene se si riferisse alla serata o alla situazione drammatica fra lui e Kacchan.
“Non sarà così tragica. Ci daranno una medaglia, ceniamo e festa finita.”
Izuku sorrise malinconico sorseggiando il suo drink.
“Spero davvero che sia così facile e indolore come dici.”

La serata trascorse drammaticamente lenta fra una chiacchiera e l’altra al bancone del bar con Todoroki.
Quest’ultimo presentò al collega sua madre, ed Izuku fu sinceramente felice di incontrare la donna, anche se dovette fingere il più possibile e ostentare un sorriso di cortesia tiratissimo.
In seguito si sarebbe scusato poi con Todoroki che sembrava aver capito che qualcosa non andasse in lui a giudicare dallo sguardo interrogativo che gli rivolgeva fugacemente di nascosto.
Izuku aveva finto di non capire e lasciato correre. Mettersi a raccontare di quell’enorme cazzata che aveva fatto ubriacandosi non era proprio l’ideale per trascorrere il più serenamente possibile la serata.
Quando un terzo scroscio di applausi spezzò il calmo brusio della sala, Izuku allungò il collo verso l’entrata per poter scorgere il terzo eroe che sarebbe stato premiato.
E lo vide, in tutto il suo splendore, con quella camicia bianca sbottonata di due bottoni sul davanti, quella giacca scura che gli metteva in risalto la pelle chiara, quel cipiglio adorabilmente incazzato e quei pantaloni stretti e eleganti che gli fasciavano perfettamente le cosce muscolose.
Era un vero spettacolo…
Il completo elegante, a Kacchan, donava moltissimo.
Si riscosse solamente quando sentì pronunciare il suo nome dagli altoparlanti del palco.
Ora che anche l’ultimo eroe era arrivato, la premiazione poteva iniziare.
Li chiamarono uno ad uno sul palco, regalandogli un discorso di sentito ringraziamento e premiandoli con  una medaglia dorata appuntata sulla giacca.
Poi i giornalisti si scatenarono con i flash per i giornali ufficiali.
Izuku si sentiva quasi soffocare e, quando finalmente fu libero, si fiondò giù dal palco intenzionato a tornare dal barista gentile per bersi un’altro di quei drink rosati.
Ma ogni suo intento sfumò in una nuvola di polvere quando i suoi occhi incontrarono Kacchan seduto al bancone senza alcuna intenzione di andarsene.
L’aria tornò a mancargli nei polmoni, ma la voglia di chiarire una volta per tutte lo animò all’improvviso.
Fece per andare verso di lui, ma un cameriere lo intercettò e lo condusse al tavolo a cui era stato destinato.
Si voltò indietro, Kacchan non c’era già più.

La cena trascorse noiosamente per Deku, al tavolo con il sindaco e i suoi sottoposti.
Avrebbe fatto volentieri a meno di sentire quelle conversazioni vuote mirate solamente ad elogiare il sindaco per ottenere promozioni varie.
Per tutta la durata della cena, Izuku si limitò a spiccicare due parole in croce ed elargire qualche altro sorriso di cortesia.
Come se già non ne avesse dispensati abbastanza.
Quando venne servito il dolce, izuku riuscì quasi a vedere la fine di quell’infinita tortura.
Il sindaco si alzò all’improvviso, inforcando il suo calice di champagne ed invitando i tre eroi a fare lo stesso per un bel brindisi in loro onore.
Izuku si alzò timidamente, guardandosi intorno con le guance arrossate.
Scambiò uno sguardo complice con Todoroki a qualche tavolo di distanza.
Almeno lui al suo tavolo aveva sua madre per conversare…
Cercò con lo sguardo Katsuki, ma non riuscì a trovarlo, così come gli altri commensali.
Il brindisi fu fatto lo stesso, e la piccola band sul palco riniziò a suonare qualche nota ballabile affinché gli invitati si scatenassero un po’.
Complice anche il fiume di champagne che era scorso in quella serata, le persone si riversarono sulla pista da ballo in un batter d’occhio.
Deku si ritirò da parte, tornando al bancone dei drink per starsene in po’ da solo.
Osservò come la Signora Todoroki riuscì a convincere il figlio a farla ballare un po’ e si godette la scena con un sorriso sincero, vedendo il collega muoversi impacciato fra le braccia di sua madre.
“Desidera ordinare, Signore?” La voce del barista gentile lo riscosse improvvisamente e, con altrettanta cortesia, Izuku ordinò ancora quel drink rosato dal sapore eccezionale.
“Le piacciono le fragole, dunque.” Azzardò il barista servendogli il drink. Un colorito rossastro sulle guance tradiva la sua vergogna nel trovarsi dinanzi all’eroe numero uno e provare a conversarci normalmente.
“Le adoro! Infatti il sapore di questo drink mi piace da impazzire. A te piacciono le fragole?” Rispose Izuku prendendo posto sullo sgabello.
Il barista annuì timidamente in risposta prima di sistemarsi nervosamente gli occhiali sul naso.
Iniziarono a chiacchierare del più e del meno, di gusti in comune in fatto di cibo e bevande e delle cose che proprio non sopportavano.
Quelle ore per Izuku passarono velocemente e scoprì in Hoshi un ragazzo simpatico ed estremamente educato.
Sicuramente un timidone: se si teneva il conto delle volte che era arrossito da quando avevano iniziato a chiacchierare, non sarebbero bastate le dita di due mani.
Tuttavia, quella era la prima conversazione piacevole che Izuku aveva da quando la serata era iniziata.
E la leggerezza e la spensieratezza di quelle ore passate al bancone del bar, gli fecero dimenticare del tutto il suo angosciante senso di colpa nei confronti di Kacchan.
Dall’altro lato della sala, con un negroni sbagliato fra le mani ed un cipiglio incazzato stampato sulla faccia, Katsuki squadrava la scena schiumando come un cane rabbioso.
Chi cazzo era quel quattrocchi?
E perché cazzo Deku ci stava parlando?
Trangugiò il suo restante drink e abbandonò il bicchiere su uno dei tavoli.
Troppo brillo, con sicuramente troppo alcol nel sangue, Katsuki marciava inesorabile verso il bancone del bar deciso a rivendicare quel coglione di nerd.
Quanto lo faceva incazzare… lui se ne stava in disparte, a mangiarsi il fegato per quel casino che era successo, e Deku?
Deku rimorchiava bellamente quel barista!
Sbatté la mano sul bancone con forza, a palmo aperto, facendoli sobbalzare entrambi insieme a qualche invitato lì vicino.
“Kacchan!” Esordì Deku sorpreso, ma il cipiglio incazzato del collega gli fece morire quella parvenza di sorriso che aveva riacquistato.
Katsuki lo squadrò a lungo con occhi di fuoco e quel sorrisetto rilassato che Deku sfoggiava con il barista, proprio non gli andava giù.
Vederlo tutta la sera triste gli aveva fatto male, certo, ma egoisticamente lo preferiva piagnucolante in un angolo piuttosto che a civettare con quel tizio.
“Un negroni.” Abbaiò Katsuki verso il barista e questo trasalì spaventato iniziando a trafficare con gli alcolici pallido come un lenzuolo.
Izuku guardò il collega con cipiglio scocciato.
“Non si trattano così le persone.” Lo rimproverò severo, ma l’occhiataccia che Katsuki gli riservò, fece impallidire anche lui.
Katsuki si sedette a qualche sgabello di distanza e quando gli fu servito il drink dalle mani tremanti del barista, si mise a squadrarlo intimidatorio attendendo soltanto che tornasse a parlare con quel nerd per saltargli al collo.
Deku sospirò sconsolato. Forse affrontarlo in quel momento non era una buona idea, ma nemmeno lasciarlo intimidire il personale come se niente fosse!
Si spostò di qualche sgabello sedendosi accanto al collega ed ordinò un altro drink.
“Ti avverto, al momento non sono psicologicamente in grado di ricevere critiche.” Lo avvisò Katsuki sorseggiando il suo negroni, ma in risposta ottenne soltanto uno sguardo confuso da parte di Izuku.
“Credo che dovremmo parlare…” Esordì l’eroe senza staccare gli occhi dal bancone in legno scuro.
Il macigno che lo aveva torturato tutta la sera era tornato prepotentemente ad opprimergli lo stomaco.
Probabilmente se avesse bevuto ancora un sorso, avrebbe vomitato per la troppa ansia.
Si rigirò il bicchiere fa le mani quando il barista glielo servì e mandò qualche occhiata fugace in direzione del collega.
Katsuki trangugiò ancora il negroni e poggiò rumorosamente il bicchiere sul bancone.
“Non c’è niente di cui parlare, Deku.”
“Invece sì. Non sono stupido come credi, so cos’è successo l’altra sera e sento di dovermi scusare con te.” Esordì esasperato puntando i suoi occhioni verdi in quelli del bombarolo.
Katsuki barcollò leggermente, perdendosi in quello sguardo pieno di lacrime.
Perché vederlo piangere gli dava così tanto fastidio?
Eppure alle medie era il suo passatempo prediletto…
“E perché mai?” Chiese Katsuki accomodandosi meglio sullo sgabello e seguitando a guardare in modo truce il barista tremante in un angolino lontano da loro.
“Perché non ricordo l’altra notte.” Bisbigliò Deku piano, avvicinandosi al collega fino a far sfiorare le loro spalle.
Katsuki lo guardò per qualche secondo, godendosi lo splendore delle guance di Deku che andavano a fuoco.
“Non è successo niente che valga la pena di ricordare.” Tagliò corto infine, desiderando concludere quella conversazione il prima possibile.
Iniziava davvero a farsi troppo scomoda e la sensazione di sentirsi fuori posto iniziava a soffocarlo.
“Credo proprio che sia il contrario. Mi dispiace di non ricordare la nostra prima volta.”
“Prima volta?! Che hai? Sedici anni? Smettila con queste stronzate, Deku!” Tracotante lo schernì. Perché questa era la sua difesa: attaccare ironicamente.
“S-spero che n-non rimanga a-anche l’ultima…”
A tali parole, Katsuki trasalì guardandolo come se gli fosse appena spuntata una nuova testa.
Aveva sentito bene?
Sbatté le palpebre due o tre volte, cercando di comprendere la situazione e assimilare quel concetto che sembrava così semplice eppure così astratto.
Deku lo desiderava. Ancora. Dopo tutto quello che era successo, dopo che lo aveva trattato di merda per tutto il giorno, lui lo voleva ancora.
Quindi, le sua parole tentennanti dell’altra sera, erano la verità?
Quel insieme che aveva balbettato era vero e non dettato dai fumi dell’alcol che gli avevano fottuto il cervello.
Deku voleva stare con lui sul serio… 
Arrossì improvvisamente fino alle orecchie e tossicchiò a disagio.
“Kacchan, sei tutto rosso!” Esordì allarmato Deku, sporgendosi verso di lui per sincerarsi che stesse bene.
“Non dire cazzate…” borbottò in risposta Katsuki schermandosi il viso con una mano.
“Dovremmo parlare in privato di questa… cosa, comunque.” Azzardò Izuku avvampando a sua volta mentre passava la seconda chiave della sua stanza nelle mani del collega.
Katsuki lo squadrò divertito, con un mezzo sorriso malizioso a distendergli le labbra.
Questo Deku intraprendente gli piaceva anche più del Deku scurrile ubriaco.
“E per la cronaca, il drink era analcolico… quindi ricorderei tutto.” Aggiunse infine l’eroe numero uno, alzandosi in piedi e dirigendosi a grandi falcate verso l’uscita.
Katsuki lo seguì con lo sguardo, realizzando solo in quel momento che qualsiasi versione di quel nerd di merda – scurrile o intraprendente che fosse – gli piaceva da matti.
Sorrise fra sé e sé, Katsuki, trangugiando il restante negroni nel bicchiere.
Magari stavolta avrebbe ricordato anche la sua confessione…
Allungò la carta di credito al barista e pagò i drink suoi e di Deku.
Se la rimise in tasca e seguì la strada percorsa prima da quel nerd di merda rigirandosi fra le mani la chiave che gli aveva dato con un sorriso malizioso a distendergli le labbra.



 



  
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