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Autore: LuciferIsHot    02/08/2018    3 recensioni
[Mini-Long]
Thomas e Dalila, un ragazzo dalle profonde ferite e una ragazza dai sogni grandi. Dovranno affrontare demoni invincibili, risvegliati dalle loro debolezze e assetati del loro sangue.
(Non so fare le introduzioni)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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-ATTENZIONE!-
La storia tratta tematiche delicate, quali abusi sessuali su minori, uso di droghe e autolesionismo. Non scenderò nel dettaglio (se cambierò idea, modificherò il rating), ma mi sembrava giusto mettere in chiaro la questione fin da subito, nel caso ci fosse qualcuno sensibile a tali argomenti.




Parte I - Conosco un Orco
 

Creature affascinanti, i demoni. Talmente potenti da influenzare da soli il corso di più di una vita, ma abbastanza sfuggenti da far credere al mondo di non esistere. Thomas non era un bambino come gli altri, era uno di quelli a cui i demoni avevano deciso di rivelarsi.
Non sapeva da quanto tempo fosse seduto sul lettino a fissare davanti a sé. Dieci secondi, cinque minuti, dodici ore. Non aveva importanza. Guardava immobile lo specchio, ne era come ipnotizzato, perché il riflesso che la Luna stava illuminando, non era il suo.
Chi era quel bambino impaurito e confuso? Di certo non Thomas.
Chi era quel bambino con gli occhi gonfi di un pianto silenzioso? Di certo non Thomas.
Di chi era quel pigiama riallacciato così in fretta da avere i bottoni disallineati? Di certo non di Thomas.
Non poteva essere lui, e ne ebbe la conferma quando il bambino mutò radicalmente espressione e iniziò a parlargli.
«Hai un bel segreto da tenere.» Aveva un tono maturo per la sua età, deciso e con una punta di sarcasmo, nonostante i solchi umidi delle lacrime sulle guance.
Thomas sentiva di dover reagire diversamente alla vista di un estraneo che gli parlava attraverso lo specchio di camera sua, ma il bambino nel riflesso ispirava confidenza.
«Segreto?» chiese di rimando Thomas, anche se in cuor suo sapeva a cosa faceva riferimento.
Un sorriso smaliziato incurvò le labbra tumefatte del bambino.
«Pensi che qualcuno ti crederebbe se raccontassi di conoscere un orco?»
Thomas abbassò lo sguardo, titubante. Non aveva ancora nemmeno considerato l’idea di dirlo a qualcuno. Era troppo assurdo, oltre che successo troppo in fretta.
«La mamma mi crederà» bisbigliò.
Il tocco di una mano sulla spalla lo fece sussultare e, alzando di nuovo la testa, si ritrovò quel volto segnato dal pianto a pochi centimetri dal proprio.
«Vuoi dirlo alla mamma, Tommy?» Sembrava impensierito, per questo, l’iniziale spavento di Thomas si sciolse di fronte al bruciante bisogno di consigli.
Annuì, ma la sua fragile convinzione fu abbattuta dal fiume gelido che il bambino gli rigurgitò addosso.
«Stupido moccioso!» lo apostrofò aspramente. «Vai a frignare dalla mamma perché l’orco ti ha mangiato!»
Quella voce affilata tagliava il filo dei suoi pensieri, rimescolandoli in un marasma di dubbi.
«Gli orchi non esistono per la gente normale, stupido!»
«Chi crederà che qualcosa che non esiste ti abbia mangiato?»
«Ti diranno che sei un pazzo e un bugiardo, finirai dallo strizzacervelli!»
«Sei un piagnucolone, non è successo niente che valga la pena raccontare.»
Thomas avrebbe voluto ribattere, ma le argomentazioni gli morirono a fior di labbra, dopo aver perso il barlume che tutte le buone idee hanno. Rimase in silenzio qualche istante, poi tornò a guardare il bambino negli occhi.
«Cosa dovrei fare, allora?»
Come risposta, si ritrovò costretto in un abbraccio soffocante. Non c’era calore tra le braccia di quel bambino, nonostante stringesse Thomas a sé con il trasporto di un amico di vecchia data.
«Sono contento che tu me l’abbia chiesto, Tommy» gli disse, camuffando il proprio egoistico compiacimento con un tono amichevole.
Thomas chiuse gli occhi e rispose all’abbraccio con timidezza infantile. Le parole che il bambino gli rivolse non erano niente più che un sussurro, ma gli riecheggiarono fino in fondo all’anima, dove piantarono i semi di una tendenza nociva.
«Dovrai soltanto ascoltare quello che ti dico io.»
 
La mattina dopo, scesero insieme per fare colazione. Thomas aveva deciso di ribattezzare il bambino “Senza Nome”. Non era sicuro che un nome non l’avesse, ma non aveva volontà di chiederglielo, tantomeno il bambino di dirglielo. A dir la verità, non gradiva più quella bizzarra entità spuntata dallo specchio, ma, allo stesso tempo, Senza Nome aveva un’aura magnetica a cui risultava difficile sottrarsi. Thomas non provava alcun interesse nel sapere di più su di lui o le sue intenzioni, ma sentiva un’inspiegabile deferenza nei suoi confronti. Non si preoccupò neanche del fatto che la mamma potesse vederlo. Anzi, la possibilità, seppur concreta, nemmeno lo sfiorò, finché Senza Nome non menzionò esplicitamente la questione.
«Ricordati, Tommy, non dire a nessuno né di me, né dell’orco e andrà tutto bene.»
Thomas obbedì. Diede il buongiorno alla mamma e bevve il suo latte al cioccolato con la naturalezza di sempre. Lei, dal canto suo, ignorò la presenza del secondo bambino nella stanza, ma posò su Thomas uno sguardo inquisitore.
«Tesoro, cosa hai fatto al labbro?»
Thomas si portò istintivamente una mano alla bocca, avvertendo la superficie ruvida del sangue raggrumato sotto le dita. I ricordi del suo tentativo di sfuggire alle fauci dell’orco riaffiorarono, le immagini si trasformarono in parole che premevano per essere pronunciate, ma l’intervento di Senza Nome riuscì a zittirlo.
«Dai, nel caso ti credesse, potresti riuscire a farla sentire un fallimento.»
Thomas dapprima serrò i denti, poi rispose tutto d’un fiato con la prima scusa sensata che fu in grado di elaborare.
«Stanotte mi sono alzato per andare al bagno e ho sbattuto contro la porta.»
La mamma si lasciò sfuggire una risata e scosse la testa un paio di volte, ma smise di imburrare una fetta biscottata per controllargli premurosamente la ferita.
«Sopravvivrai, ma accendi la luce la prossima volta» si raccomandò, stampandogli un tenero bacio sul nasino.
Thomas contrasse le guance in un sorriso d’assenso, ma, appena si rese conto che la facciata stava scivolando, si nascose dietro la tazza, bevendo quel che restava della colazione in un unico sorso.
Senza Nome, che era rimasto in piedi a godersi la scena, lo guardava con aria fiera. Era chiaro che si divertisse a mettere Thomas in difficoltà, ma dargli ascolto era l’opzione più semplice. Un’ulteriore prova della disonestà di cui erano permeate le sue vaghe intenzioni, Thomas la ebbe lo stesso giorno, mentre si stava preparando per affrontare la giornata di scuola. Senza Nome lo squadrò per almeno due minuti, seduto tra le lenzuola sfatte del suo lettino. Pensava alla frase giusta con cui rompere il silenzio.
«Quella era la prima volta che mentivi alla mamma, vero?» esordì.
Era una domanda posta con lo scopo di suscitare una reazione, perché era evidente che conoscesse già la risposta. Thomas non gli voleva concedere la soddisfazione di una conferma, quindi andò avanti imperterrito a vestirsi. La stizza di Senza Nome era palpabile, ma rincarò la dose senza scomporsi.
«Chissà cosa penserebbe se scoprisse che suo figlio è un vile bugiardo.»
Thomas scattò in piedi. Aveva il viso rosso di rabbia e i pugni serrati.
«Tu mi hai detto di non raccontarle dell’orco!» sibilò. Lacrime bollenti gli serravano la gola e pungevano gli occhi, ma le ricacciò indietro con determinazione. Aveva pianto abbastanza la notte prima.
Senza Nome sostenne il suo sguardo dal basso della propria posizione, mettendo di fronte a Thomas una maschera d’impassibilità.
«Già, ma resti comunque un bugiardo» replicò, ornando l’insulto con un’alzata di spalle.
Thomas fece per ribattere a sua volta, ma riuscì a emettere solo un farfuglio incoerente e Senza Nome ne approfittò per pungere ancora sul vivo.
«Ammetto che sarebbe divertente vedere come reagirebbe alla storia dell’orco.» Si portò una mano al mento in segno di riflessione, soppesando le possibilità.
«Potresti iniziare dicendole che è stata lei a portarlo in casa, ma come avrebbe potuto saperlo?»
Ostentò una cadenza beffarda sull’ultima parte, allargando le braccia in un gesto ironicamente rassegnato.
«D’altronde, se è stata così idiota da bersi quella scusa, come potrebbe riconoscere un orco?»
Senza Nome si ritrovò steso di traverso sul letto, con il peso di Thomas sullo stomaco e le sue mani intorno al collo.
«Cosa vuoi fare, Tommy?» Affilò lo sguardo. Sapeva di aver esagerato, lo aveva fatto apposta. Infatti, esibiva un sorriso sornione a dispetto dell’apparente svantaggio.
«No, tu cosa vuoi fare?» ringhiò Thomas, ma l’irosa frustrazione lasciò ben presto spazio alla sorpresa. Era certo di aver sbattuto le palpebre per una frazione di secondo, ma Senza Nome sul lettino non c’era più. Rimase imbambolato, fissandosi le mani, che parevano ancora avvinghiate al collo di quel farabutto, ma che in realtà stavano stringendo nient’altro che l’aria.
«Io voglio solo aiutarti.»
 Thomas trasalì, la voce di Senza Nome proveniva da dietro di sé. Per la prima volta, sentì di aver davvero paura di quello strano bambino uscito dallo specchio, ma non poteva permettersi di renderlo palese.
«Zitto, zitto, zitto!» Gli tremava la voce, non era convincente nemmeno la metà di quanto voleva essere. «Devi lasciarmi in pace!» aggiunse, riuscendo finalmente a trovare il coraggio di confrontarlo faccia a faccia.
«Beh, allora fa' come ti pare» accondiscese Senza Nome. Era alquanto strano che avesse cambiato idea tanto alla svelta, ma l’inflessione appariva vuota di qualsiasi dileggio.
Girò intorno a Thomas, che si assicurò di non perdere il contatto visivo nemmeno per un istante, e tornò a sedersi a gambe incrociate sul letto.
«Se sei d’accordo, io adesso racconto tutto alla mamma e tu…»
Senza Nome lo interruppe con un cenno secco della mano e lo sbeffeggiò con l’ennesimo dei suoi eloquenti sorrisi.
«Io cosa, Tommy?» lo incalzò. «Dovrei sparire?»
Thomas dapprima esitò nel rispondere, ma l’irragionevolezza del farsi mettere i piedi in testa da un marmocchio prepotente lo riscosse.
«Sì»
Di nuovo, nel tempo di un battito di ciglia, Senza Nome gli arrivò a nemmeno una spanna dal viso.
«Io non me ne andrò mai.» Per quanto poco rassicurante, era una frase con un’inclinazione più verso la constatazione che la minaccia.
Thomas non indietreggiò, non sapeva se per una spavalderia di circostanza o perché il tremolio delle proprie gambe era troppo intenso.
«Comunque non t’impedirò di raccontare tutto, se proprio desideri farlo» soggiunse Senza Nome, illudendo Thomas, per un paio di secondi, di avere la sua approvazione.
«Non t’impedirò di dire alla mamma che non è stata in grado di proteggerti.»
Poco prima, Thomas era stato travolto dalla rabbia in seguito a una frase simile, ma, esaminandola a mente fredda, non era poi tanto sbagliata.
«Non t’impedirò di essere etichettato come una sporca e penosa preda per il resto della tua vita.»
Seguì un silenzio teso, in cui al timore di Thomas si sommò una sensazione che non aveva mai provato prima: non avere scelta.
«Questo nel migliore dei casi, ovviamente» Fece una pausa, per gustarsi lo sconforto che rabbuiava Thomas, ogni parola di più.
«Nel peggiore, invece, saresti considerato un bugiardo o un pazzo, perché la tua parola contro quella di un orco non smascherato, vale meno di un soldo bucato.»
Thomas si corrucciò, confuso.
«Ma se non racconto la verità, sarò davvero un bugiardo» obiettò con un fil di voce.
Senza Nome si strinse nelle spalle, come se l’osservazione di Thomas fosse irrilevante.
«Tu sei quello che la gente crede tu sia» Prima di proseguire, si assicurò che Thomas stesse prestando attenzione. «Puoi scegliere tu cosa essere, Thomas o il marmocchio mangiato dall’orco?»
 
Proprio come Senza Nome aveva detto, lui e Thomas erano diventati inseparabili. Tra di loro non fiorì mai dell’affetto autentico, ma il legame sembrava impossibile sciogliere, a dispetto della sua nebulosità.
Negli anni, capitò che l’orco si nutrisse diverse altre volte di Thomas. Alcune mattine si poteva sentire il suo pesante respiro nelle stanze al piano di sopra, alcune notti Thomas le passava a sperare che non entrasse dalla sua porta. In certi momenti, solo Senza Nome poteva impedirgli di correre a raccontare tutto. Serviva che qualcuno gli ricordasse che Thomas non era il marmocchio mangiato dall’orco.
Da quando aveva cambiato casa, Thomas si trovava spesso a osservare Senza Nome, soprattutto nei momenti di solitudine. Lo analizzava come se potesse comprenderlo con un’osservazione superficiale. In tutto quel tempo non era invecchiato di un giorno e nessuna delle sue ferite si era rimarginata. I segni lividi su collo e petto erano aumentati, così come le tracce di un pianto malcelato. Non solo, avevano cominciato a comparirgli graffi su braccia e gambe, insieme a strani buchi violacei all’interno dei gomiti. Nonostante l’aspetto sempre più consumato, Senza Nome non risentiva di niente di tutto ciò. Anzi, era sempre più abile nel manipolare Thomas.
Fino a qualche tempo prima, durante le ore di svago o le uscite con gli amici, Thomas era capace di far sparire Senza Nome. Tuttavia, da diverse settimane, la sua presenza era diventata soffocante. Era in grado di catalizzare tutta l’attenzione di Thomas su di sé. Volente o nolente che fosse, lo isolava dal resto della compagnia, facendolo sentire solo anche in mezzo alla folla.
Scorgere Senza Nome a lezione era sinonimo di guai. Parlava sopra il professore, copriva il chiacchiericcio dei compagni di classe con parole talmente sconnesse da essere incomprensibili. Thomas sentiva la sua maledetta voce perforargli i timpani fino a violargli il cervello. Lo faceva star male fisicamente, costringendolo a uscire dall'aula per evitare di svenire sul banco.
Si chiuse la porta della classe alle spalle e percorse il corridoio a passi frenetici. Doveva zittire il cicaleccio di Senza Nome o rischiava di impazzire. Era quasi arrivato all’uscita della scuola, quando si trovò la strada bloccata da una figura familiare.
«Ciao, Dalila» Non si rese conto di aver biascicato, perché la propria voce gli era arrivata alle orecchie come poco più di un ronzio.
La ragazza che aveva di fronte aveva un cipiglio contrariato, rimarcato dalle braccia conserte.
«Niente lezione oggi?» lo rimbeccò.
Thomas annuì, massaggiandosi la radice del naso, e vide le labbra della ragazza tremare d’indignazione. La aggirò, attraversando l’atrio, ma appena poggiò un piede fuori, sentì le sue dita sottili serrate intorno al polso. Perché non lasciava perdere come tutti gli altri?
«Voglio anch’io una spada» La convinzione di cui era intrisa quell’affermazione lasciò Thomas attonito.
«Non so di cosa tu stia parlando» contestò, continuando a camminare verso il parco.
«Guarda che non sono una stupida, credi che non lo sappiano tutti?!» esclamò Dalila. «Vai e vieni come ti pare e la tua media è colata a picco.» Le sue parole si confusero con quelle di Senza Nome, tanto che Thomas dovette sorreggersi al muretto che costeggiava il marciapiede, per evitare di esserne sopraffatto.
«E quando ti presenti, sei uno straccio, tremi e hai le pupille dilatate.»
Era buffo come certe frasi avevano un sapore diverso se dette esplicitamente. Dalila non gli stava dicendo nulla di nuovo, si occupava già Senza Nome di fargli notare i pettegolezzi che serpeggiavano di classe in classe, gli sguardi obliqui dei professori e le espressioni colme d’ipocrita compassione degli estranei, ma sentir descrivere il guscio marcio che stava diventando, equivalse a una secchiata d’acqua gelida.
«Tu ti fai» concluse, puntandogli contro un dito accusatore.
Dalila era stata l’unica a confrontarlo direttamente, ma non aveva le intenzioni che ci si aspetterebbe. La sua irritazione nasceva solo dall’essere stata esclusa.
Era una di quelle persone annoiate dalla vita, cui era stato concesso tutto, ma che ancora non era sufficiente. Si tuffava nell’alcol come se potesse trovare quello che cercava, qualsiasi cosa fosse, sul fondo del bicchiere. Thomas l’aveva vista spesso fuori dalle discoteche, a vomitare sul marciapiede come un cane con il cimurro, e tutte le volte si domandava se anche lei avesse un proprio Senza Nome.
Nessuno però la guardava ancora con disprezzo o pietà, dopotutto, sballarsi in compagnia di tanto in tanto era la norma.
«Faccio la pazza solo nei weekend!» si giustificava, tra le risate sue e degli amici, mentre rievocavano le bravate delle serate trascorse.
Thomas però riconosceva le occhiaie scavate e l’aria assente di chi passa le notti a fissare il soffitto, ascoltando la voce ipnotica del proprio demone. Dalila le aveva molto più spesso di quanto avrebbe voluto far credere.
«Per favore, aiutami a procurarmi una spada!» insisteva. «È quello che cerco!»
Thomas sapeva fin troppo bene che nessuna spada sarebbe stata d’aiuto contro i demoni, ma non era in grado di farlo recepire neppure a sé stesso, figuriamoci a un’altra persona.
Dalila lo seguì fino al torrente in mezzo al parco. Thomas si sedette tra i cespugli e iniziò a trafficare in fondo allo zaino.
Mezzo limone, dell’acqua, un accendino, un cucchiaio, una siringa e una strana polvere grigia non bastavano a scacciare i demoni, ma riuscivano a farli tacere, anche se solo per un po’.
Il cielo era già infuocato dai colori aranciati del crepuscolo quando lo squillo di un cellulare bucò la bolla ovattata in cui era bloccato Thomas. Per fortuna non aveva bisogno di pensare per sostenere una conversazione con sua madre.
«Dimmi, mamma»
«Va tutto alla grande, stavo facendo un sonnellino.»
«Certo, ci sentiamo più tardi.»
«Ti voglio bene anch’io.»
Dalila era sdraiata sull’erba in fianco a lui, gli occhi semi-aperti e una maschera di beatitudine disegnata sul volto.
«Sei un gran bugiardo» esordì. «Io ho detto ai miei genitori che non sarei tornata a casa e mi guadagno da vivere da sola; andare in un’altra città, per potersi sparare in vena i soldi della mamma senza disturbo, è da vigliacchi.»
Thomas la ignorò e s’impose di non guardarsi intorno. Non voleva né vedere, né sentire Senza Nome prima del tempo, anche se Dalila stava facendo un buon lavoro nel sostituirlo.
 
La presa di Senza Nome sulla lucidità di Thomas era arrivata al punto in cui gli era impossibile persino uscire di casa. Se metteva il naso fuori, era solo per recarsi al parco, dove, com’era prevedibile, incontrava Dalila sempre più spesso.
Una notte, se la ritrovò alla porta, inzuppata da un temporale primaverile.
«Hanno cambiato la serratura di casa mia, non posso più permettermi l’affitto» piagnucolò. Non era chiaro se quelle che le grondavano lungo gli zigomi fossero lacrime o gocce di pioggia.
Gli aveva accennato di aver perso il posto da cameriera il mese prima, ma non ci aveva badato. Non gli interessava neppure che, nel giro di un paio di mesi, sua madre sarebbe inevitabilmente venuta a sapere che le mura della scuola non lo vedevano dal primo semestre. Anzi, quando riusciva ad ascoltare quei pochi pensieri integri, sotto lo stridore della voce di Senza Nome, un po’ ci sperava.
Non appena la invitò ad accomodarsi, Dalila iniziò a preparare la spada con fare spasmodico.
«Hai gli occhi da allocco, da quanto non ti fai?» gli domandò.
Thomas la raggiunse sul divano rattoppato. Mentre l’aiutava a sciogliere la polvere grigia, percepiva di star suscitando la soddisfazione di Senza Nome. La facilità con cui cedeva alle angherie di quel bambino lo disgustava. 
«Troppo»
 
Restavano sdraiati fianco a fianco per ore, il dì e la notte non avevano più significato da giorni. Le piastrelle sudice sembravano erba soffice, il soffitto macchiato d’umidità era una volta di stelle. Sarebbero rimasti così in eterno, anche se sapevano che i demoni banchettavano con i loro scudi di bambagia.
La routine venne spezzata da Dalila, che, ripresa la facoltà di parlare, si perse in un lungo discorso sui suoi progetti futuri.
«Quando smetto con questo schifo, farò la cantante.» Lo affermò con una sicurezza disarmante, al limite dell'ingenuità.
«Ci sono due ragazzi che cercano un frontman nella nostra scuola, sono sicura che mi darebbero una possibilità.»
Thomas non aveva cuore di dirle quanto fosse ridicola la sua idea, perciò si limitò a un banale "sono sicuro che ce la farai" d'incoraggiamento.

In uno slancio di coraggio, Dalila gli accarezzò un braccio. A quel tocco, Thomas s’irrigidì. Le labbra screpolate di Dalila gli sfioravano il collo con dolcezza, ma quello che avvertiva erano le zanne dell’orco. La sua voce era limpida e confortante, ma la udiva distorta, simile ai grugniti dell’orco. Nel momento in cui gli si mise cavalcioni e si sfilò la maglietta, rivelando un fragile velo di pelle rivestirle le ossa, le viscere di Thomas si contrassero nel senso di colpa. Era una rosa appassita ancor prima di sbocciare.
«L’hai trascinata a fondo con te, Tommy.»
Il commento di Senza Nome fu l’ultima goccia. Si rese conto di avere il fiato corto e un'opprimente sensazione d'ansia a schiacciargli il petto. Quello che stava accadendo era sbagliato, non lo voleva. Prima che Dalila potesse posargli un bacio sulla bocca, la fermò con un brusco no.
Non ascoltò le sue scuse impacciate mentre gli si scostava di dosso, non credeva nemmeno fosse lei a doversi scusare.
Si chiuse in bagno, affondando la testa tra le mani. Avrebbe voluto urlare fino a perdere la voce, rigurgitare tutto il peso che lo ancorava nel fango da troppo tempo.
Senza Nome lo osservava tranquillo dal suo posto nello specchio. Era più emaciato che mai, con profonde occhiaie rossastre a segnargli gli occhi e le ossa degli zigomi esposte come rostri. Eppure sorrideva, come di consuetudine.
«Chi sarà il prossimo a venir rovinato da te?»
Thomas si accese una sigaretta, soffiando una nuvola di fumo denso verso l’alto.
«Tu» fu la risposta secca, e anche molto ilare, a giudicare dalla risata di Senza Nome.
«Non l’hai ancora capito? Non puoi liberarti di me!»
Un secondo sospiro di fumo si levò nell’aria viziata della stanza.
 «Ma posso smettere di darti ascolto» replicò Thomas.
Un improvviso lampeggio di stizza incrinò il volto sornione di Senza Nome. Gli arrivò tanto vicino da fargli sentire l’odore acre del proprio alito, come se fosse lui stesso a sbuffargli fumo in piena faccia.
«Mettimi alla prova, Tommy.»
Thomas non si lasciò intimidire, attese che la sigaretta si consumasse tra le sue dita e poi si spense il mozzicone sull’interno del gomito.
Anche la carne del braccio di Senza Nome prese a sfrigolare per il calore, e si ritirò fino a formare una ferita identica a quella di Thomas. Notando il lembo di pelle ustionata inglobare anche i segni degli aghi, Senza Nome non poté fare a meno di schernirlo.
«Dovresti aver capito da molto che non temo affatto il dolore.»
«Goditi quella ferita, perché, giuro su Dio, sarà l’ultima che vedrai.» Gli tremava la voce, ma credeva nelle proprie intenzioni.
Tuttavia, Senza Nome pareva tutt’altro che colpito da quell’esibizione di buona volontà. Distese le labbra in un sorriso beffardo e mostrò i palmi in segno di resa.
«Certo, Tommy» cantilenò. «Come dici tu!»
Dalila era rimasta seduta sul pavimento, giocherellava con le frange del tappeto polveroso mentre si crucciava per quello che era successo poco prima. Quando udì Thomas uscire dal bagno, gli si precipitò incontro e lo investì di nuovo di scuse.
«Mi dispiace tanto.»
«Devo aver interpretato male alcuni gesti.»
«Non era mia intenzione metterti a disagio.»
«Mi dispiace davvero tanto.»
Thomas la guardò districarsi tra tutte quelle parole superflue, pensando intanto a come iniziare il discorso.
«Dobbiamo ripulirci» bisbigliò soltanto.
Dalila ebbe un istante d’interdizione, ma si ricompose in fretta.
«Hai ragione, non possiamo andare avanti così!» esclamò, un’insolita luce di speranza a incorniciarle il viso.
 
Non possiamo andare avanti così!
Quella frase continuava riecheggiargli nei timpani, sopra le irrisioni di Senza Nome, come se Dalila fosse lì a ripetergliela da giorni. Avrebbe dato via un occhio per riavere quella convinzione stoica. Invece si trovava con la testa riversa nel gabinetto e gli arti contratti in spasmi lancinanti, in compagnia degli inviti malevoli di Senza Nome.
«Andiamo, Tommy, fatti per l’ultima volta.»
«No.»
«L’astinenza è più facile da sopportare se l’ultima botta è soddisfacente, non lo sai?»
«Chiudi la bocca.»
Alzò lo sguardo e sussultò di stupore quando vide Dalila al posto di Senza Nome.
«Fa’ come ti pare, vorrà dire che userò anche la tua dose» ribatté lei, piccata.
Thomas resistette ancora qualche ora ai morsi dell’astinenza, poi si ritrovò disteso sul divano con una siringa nel braccio, quasi senza accorgersene.
«Questa era l’ultima volta sul serio, vero?» biascicò Dalila.
«Ma certo, da oggi basta con ‘sta roba.»
Il disgusto e il rimorso per quello che aveva fatto si insinuarono nei pensieri di Thomas, annidandosi nel suo stomaco come serpi. Senza Nome gli rivolse un’occhiata eloquente, non aveva bisogno di dire nulla affinché trasparisse la sua gratificazione. Thomas aveva fatto il suo gioco. Di nuovo.
Sollevò il braccio con il segno della bruciatura e mostrò a Thomas il segno fresco dell’ago che si era formato appena sotto.
«Sarà questa l’ultima ferita, Tommy?» lo canzonò.
Thomas non si degnò nemmeno di ribattere. Non ne aveva modo, Senza Nome aveva ragione. Tuttavia, c’era ancora una carta che avrebbe potuto giocare. Era la prima volta che considerava quell’opzione, perché aveva sempre avuto paura delle potenziali conseguenze.
Ora però gli sembrava un appiglio appena prima del suolo spinoso del baratro, e a quell’appiglio ci si voleva aggrappare. Non gli importava più se durante la risalita si sarebbe tagliato le dita, afferrò l’appiglio.
«Dalila, io conosco un orco» sputò tutto d’un fiato. Pensava che Senza Nome avrebbe almeno tentato impedirgli di rivelare il segreto su cui si era affilato gli artigli in tutti quegli anni, ma non udì neanche un sospiro da parte sua.
Dalila si zittì e lo fissò inebetita. «Hai iniziato a prendere anche acidi?» provò a sdrammatizzare, ma, vedendo il velo di tristezza adombrare gli occhi di Thomas, lo incitò a spiegarsi meglio.
«Non sono rari come si potrebbe pensare» Tentò di soffocare l’impulso di piangere, ma le lacrime iniziarono a fluire insieme alle parole, rompendo gli argini dei segreti accumulati negli anni.
«Stanno attenti a chi mostrano le loro fattezze, tutti gli altri vedono un perfetto travestimento.»
«Non si cibano della carne delle loro prede, divorano qualcosa di più profondo.»
«È una ferita che con il tempo incancrenisce, il cui tanfo attira i demoni peggiori.» Lanciò un’occhiata fugace a Senza Nome, che si era confinato in un angolo buio della stanza.
Dalila lasciò che si sfogasse nel silenzio, limitandosi a cullarlo in un abbraccio dal sentore materno. Thomas voleva provare più spesso del benessere così genuino, era come respirare dopo anni di apnea. Ciononostante, per medicare con sapienza le proprie piaghe, avrebbe dovuto riaprirle, e sapeva che Senza Nome non avrebbe perso occasione di versarci il sale. Non gli importava però, non in quel momento, voleva soltanto assaporare la dolcezza delle parole di Dalila.
«Gliela faremo pagare» ripeteva, come una litania rincuorante. «Ci ripuliamo e poi gliela facciamo pagare.»
Thomas si lasciò andare in un sospiro liberatorio e annuì, senza sciogliere l’abbraccio.
«Tommy»
«Dimmi.»
«Credo di amarti.»
Thomas si voltò a guardarla con la bocca semiaperta. Non trovando nemmeno una sillaba adatta in mezzo alla confusione che aveva in testa, decise di fare la cosa più naturale. Le si avvicinò fino a sfiorarle il naso con il proprio. Le posò un bacio timido sulle labbra e s’intenerì davanti alla sua reazione gioiosa, quasi puerile. Dalila lo strinse di nuovo a sé, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
«Non ti lascerò da solo a combattere contro i demoni, insieme abbatteremo anche l’orco.»
Thomas fece per esprimere la propria gratitudine, ma Senza Nome lo interruppe con una risata sguaiata.
«Adorabile!» Nonostante il tipico tono sarcastico, una malcelata rabbia traspariva dal suo atteggiamento.
Una maschera di irrequietezza gli celò il volto per diversi giorni a venire, ogni suo gesto era venato dalla frustrazione. Non era la prima volta che Thomas e Dalila dicevano di voler rimettere insieme i cocci delle loro vite, ma ora parevano più di semplici belle parole. Dalila, in particolare, era entusiasta, come se avesse trovato un traguardo degno di essere raggiunto.
«Voglio fare in modo che la rota non ci faccia ricominciare da capo» diceva a ripetizione.

«Vedrai che canzoni scriverò su questa storia!»
«E ti aiuterò a superare il tuo trauma, non appena sarò pulita!
»
Aveva chiamato i suoi genitori, dopo mesi in cui era sparita. Era arrivata anche a cambiare numero di telefono per evitare che la contattassero. Odiava sentirli implorare con un nodo di preoccupazione in gola, pregandola di tornare a casa per farsi aiutare, ma questa volta fu proprio lei a iniziare il discorso.
«Sì, papà, ci vediamo questo fine settimana» concluse la telefonata come se si stesse preparando per una scampagnata, non per un ricovero in un centro di riabilitazione.
Thomas la osservava entrare e uscire di casa con aria passiva, finché non giunse il momento di salutarsi.
«Ti ho comprato il biglietto del treno con i soldi di mio padre, così puoi tornare a casa senza preoccuparti della benzina.»
Thomas fece per rifiutare, ma venne prontamente ammutolito. «Usi i soldi di tua madre per drogarti, per una volta puoi usare quelli di mio padre per tornare a casa.»
Thomas prese il biglietto e la ringraziò a testa bassa. Dalila gli appoggiò le mani sulle spalle e lo costrinse a incontrare il suo sguardo. 
«Va' da tua mamma e raccontale tutto, promesso?»
L'espressione di Thomas si addolcì. «Promesso.»
Dalila gli sorrise con trasporto e lo salutò con un bacio sulla guancia. «Ci rivediamo presto!»


Il tamburellio delle dita sul bordo del letto su cui sedeva risuonava nel buio, amplificato dal silenzio. Il mugugnare di Senza Nome riportò Thomas al presente, attirando la sua attenzione verso lo specchio di fronte a sé. Negli ultimi giorni era stato insolitamente silenzioso, nonostante l’agitazione. Ora che la voce squillante di Dalila era troppo lontana per sovrastare le sue parole malsane, era di nuovo in grado di farsi udire da Thomas.
Se ne stava seduto con le spalle ciondoloni, in una posa macchiata da un atipico risentimento.

«Sai che non ti libererai mai di me, vero?» esordì d'un tratto.
Thomas fece per ignorarlo, ma l'incapacità di Senza Nome di tenere la lingua fra i denti mise a dura prova la sua pazienza. «Puoi raccontare dell'orco al mondo intero, io non me ne andrò mai.»
Thomas si strinse nelle spalle. «Perché sei così turbato allora?»
Come suo solito, Senza Nome rispose con una fragorosa risata. «Turbato, io? Oh, Tommy...
» si ricompose e gli rivolse una domanda a propria volta. «Tu mi odi?» 
Thomas rispose senza nemmeno pensarci, in uno slancio istintivo. «Certo che no!»
Ripensò a quello che aveva detto e si ritrovò a chiedersi come fosse possibile. Senza Nome era un demone, l’aveva spinto a fare scelte sbagliate servendosi delle sue debolezze più profonde, per il sadico piacere di farlo. Ma non riusciva a dire di odiarlo.
Senza Nome riacquistò una parvenza di malizia e gli mostrò le braccia e le gambe.
«Allora perché mi hai ridotto così?» Alludeva alle dozzine di ferite che negli anni si erano accumulate sui suoi arti. Thomas le aveva guardate molte volte, ma mai prima di quel momento Senza Nome gliele aveva rinfacciate.
«Sai anche tu che è stata tutta colpa dell’orco.»
Senza Nome scosse il capo in diniego, quella scusa non sarebbe bastata a lavare le colpe dalla coscienza di Thomas.
«L’orco ti ha costretto a ridurci così? Ne sei convinto?»
«Non è stato materialmente l’orco, quello che mi ha costretto sei sempre stato tu» Thomas non avrebbe voluto farglielo presente, ma pareva che se ne fosse dimenticato. «Non puoi negarlo» aggiunse.
Senza Nome lo squadrò con una punta di divertimento. «Quindi è stato l’orco o sono stato io?»
Thomas non capiva dove volesse andare a parare con quel discorso, iniziava anche ad avvertire l’irritazione montare.
«Tu sei apparso a causa dell’orco e non hai fatto altro che provare a distruggermi!» esclamò, seccato.
I lineamenti di Senza Nome si incurvarono in un ghigno compiaciuto. Thomas gli stava dicendo quello che voleva sentirsi dire.
«Allora mi odi davvero» bisbigliò. 
«Ed è per questo che non ti libererai mai di me.»
«Io non…» Thomas si interruppe e riprese fiato, mordendosi il labbro inferiore. «Io non posso odiarti, tu sei…»
«Io sono parte di te, Tommy, ma non vuol dire che tu non possa odiarmi.»
Rimase in silenzio, smarrito.
«Non posso costringerti a fare nulla che tu non voglia fare, proprio perché sono parte di te.» proseguì il bambino, ricordava un insegnate alle prese con un alunno inetto. «Perché cedi sempre alle mie richieste?» incalzò.
Questa volta Thomas dovette rifletterci e guardare in fondo agli occhi di Senza Nome per trovare la risposta. Il fascio argenteo illuminava quel viso macero proprio come la notte del loro primo incontro. A quella vista, il cuore di Thomas venne stretto in una morsa di sentimenti sgradevoli. «Perché è il modo più facile per zittirti, anche se per poco tempo» disse a denti stretti e distolse lo sguardo dallo specchio.
Senza Nome assunse un'espressione compiaciuta. 
«Preferisci autodistruggerti piuttosto che sopportarmi, ma non mi odi?» Una nota sardonica a condire l'inflessione.«Ammettilo!» esclamò dopo alcuni momenti di mutismo da parte di Thomas.
«Odi che la gente ti veda come una vittima, perché quella vittima sono io.»
«Non sopporti di guardare nello specchio e vedere me.»
«Se ti dicessi di piazzarti una corda al collo per farmi sparire, lo faresti, perché mi odi» Fece una pausa. «Perché ti odi.»

 
N.D.A.
 
Salve! Questa era la prima parte di una Mini-Long di due capitoli, la seconda parte la pubblicherò probabilmente settimana prossima. Spero che la storia non risulti offensiva per come verranno trattati certi argomenti, in tal caso sono apertissima a consigli e critiche costruttive (e picchiatemi se trovate refusi perché me ne sfuggono sempre una marea) <3 
 
   
 
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