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Autore: 92Rosaspina    03/08/2018    2 recensioni
"Il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria nel Texas". Così il fisico Edward Lorenz spiegò, in una conferenza del lontano 1979, la Teoria del Caos, secondo cui il minimo cambiamento può significare una storia del tutto diversa. Da un’azione svolta o non svolta, oppure svolta in modo diverso, possono nascere futuri ed eventi imprevedibili.
Contrariamente al pensiero comune, però, Caos non è disordine. Caos è un ordine così complesso da sfuggire ad ogni tentativo di comprensione dell'uomo. Una sequenza ben definita ma così piena di variabili da risultare imprevedibile.
E se è vero che il minimo cambiamento può condizionare l'epilogo di una storia, e che la vita è fatta di scelte e ogni scelta ha le sue conseguenze, allora le possibilità diventano infinite.
Tutto però ha un inizio ben definito, una comune origine. Un lounge bar nel mezzo di Nuova Domino. E tutto passa sotto lo sguardo indagatore di un occhio carico di conoscenza.
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri personaggi, Atemu, Mana, Seto Kaiba, Yuugi Mouto
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pharaoh's Kingdom 10

8. Vasta gamma

Tutto andrà bene un giorno, ecco la nostra speranza.
Tutto va già bene adesso, ecco l’illusione.
(Voltaire)




    -    Dio, la comprerei all'istante anche solo per usarla come fermacarte...è bella da mozzare il fiato!-
Non gli capitava spesso di accompagnare Yusei in pista, ed essenzialmente per un solo motivo: quando era circondato dalle moto, quel ragazzo perdeva letteralmente il senso della realtà e dimenticava perfino la sua presenza al suo fianco. Judai ci aveva ormai fatto l'abitudine, e anzi trovava divertente, quasi tenero quell'atteggiamento: era un po' come osservare il proprio pargoletto che andava irrimediabilmente a perdersi nel Paese dei Balocchi. Tuttavia non poteva fare a meno di pensare a quanto potesse lasciare perplesse persone che non conoscevano Yusei e i suoi pallini.
Yusei era strano e sotto molti punti di vista, quel strano che non era chiaro se intrigante o inquietante. Il segreto stava nel dargli tempo di esprimersi e mostrare il suo vero carattere, quello generoso e altruista di una persona sempre pronta ad aiutare, ma era un'autentica impresa fare fronte alla sua facciata esterna silenziosa, impermeabile ed ermetica, con quello sguardo lontano eppure impietoso, inflessibile e diretto come se si aspettasse una fucilata alla schiena. Non si sarebbe stupido Judai, a sapere che in molti avevano rinunciato ad avere un contatto con lui per quell'impressione iniziale.
E dal momento che si riusciva a fare breccia nelle sue iniziali difese, si scopriva il ragazzo del Satellite gentile e sincero, amante delle stelle e cresciuto in mezzo ai motori. Judai conosceva i suoi trascorsi al Satellite, Yusei gliene aveva fatto parola senza tralasciare un solo singolo istante della sua vita sull'isola: sapeva tutto perfino dei campionati di velocità e di endurance, e di tante altre cose che avrebbe preferito non sapere.
E sapeva che tenere Yusei lontano dalle due ruote sarebbe stato più improbabile dello svuotare l'oceano con uno scolapasta. Il rombo dei motori era per lui il canto mortale delle sirene mangiauomini.
Solitamente, Judai preferiva starsene a casa anche per un altro motivo: paura, semplicemente. Non aveva problemi a salire in moto con il suo amico, uscivano regolarmente insieme per percorrere il tratto casa-lavoro...ma un conto era il guidare la moto in mezzo al traffico cittadino, a basse velocità sgusciando via tra le auto in coda, un altro era vedere il suo coinquilino sguinzagliare duecento cavalli su una pista.
Che poi, Yusei la chiamava pista, ma al castano pareva un vero e proprio circuito di gara in piena regola, con corsia box, torre di controllo e tutto il resto. Il motociclista gli aveva spiegato che, di fatto, la colpa era sua che si ostinava a chiamarla così, ma quello era un tracciato da competizione a tutti gli effetti, inserito in quasi tutti i campionati motociclistici esistenti: la redazione del giornale lo aveva in concessione quando avevano per le mani qualche interessante supersportiva da provare e raccontare ai lettori.

Prima ancora di essere un barman e un aspirante astrofisico, Yusei era un collaudatore di moto sportive. E forse questa nomina gli calzava a pennello, molto più delle altre due. A quanto pareva lo faceva come impiego saltuario per una sua vecchia conoscenza, il capo redattore di un mensile dedicato alle moto e tutto ciò che girava intorno alle due ruote, dai campionati mondiali alle nuove norme della sicurezza su strada. Diversi erano i collaudatori chiamati in collaborazione con la rivista, ognuno specializzato in una tipologia specifica: c’era chi si dedicava alle moto da turismo, chi alle cromatissime custom americane, c’era anche un vecchio rocker piuttosto anonimo che, appesa la chitarra al chiodo, andava in giro per il mondo a scovare le special più assurde ed elaborate al mondo. Yusei si occupava, prevedibile, delle supersportive mangiacordoli, le belve carenate con centinaia di cavalli a disposizione da liberare tra i nastri d’asfalto dei circuiti.
Che il suo amico fosse abile in moto lo sapeva…non si capacitava di come in realtà fosse così bravo. Silenzioso e pragmatico nella quotidianità, Yusei si trasformava in un mastino divora tornanti e il solo guardarlo da uno dei monitor della sala di controllo era una goduria e un continuo supplizio. Goduria, perché guardarlo condurre con tanta sicurezza un mostro d’acciaio da duecento cavalli era come osservare la fine opera di un pittore alle prese con un ritratto, dove il circuito era la tela da riempire di forme e colori e la moto il fidato, infallibile pennello: la sicurezza con cui il ragazzo del Satellite guidava la carenata tra i cordoli era invidiabile, la faceva apparire la cosa più semplice del mondo, come una tranquilla passeggiata sul lungomare.
Supplizio, perché il proprio sistema nervoso era sempre, costantemente messo alla prova dall’ansia e dalla tensione che si accumulava nel vedere i gomiti e le ginocchia del ragazzo sfiorare l’asfalto in pieghe ad alta velocità. Era un po’ come vedere un film horror: terribile, ma non potevi smettere di guardare, e a lungo andare sviluppavi perfino una insana attrazione per quelle scene da brivido.
Con Yusei si applicava più o meno lo stesso concetto. Per quanto la paura di vederlo irrimediabilmente sfracellarsi a terra gli dicesse di chiudere gli occhi, c’era qualcosa nel vederlo portare la moto che impediva di distogliere lo sguardo, come assistere ad un tango su una pista da ballo: sensuale al punto da apparire indecente ma impossibile da ignorare. E i passi con cui si muoveva intorno alla moto aveva in tutto e per tutto l’aria di passi di danza.
La MV Agusta F4 si lasciava invece ammirare in perfetta quiete, sostenuta dal cavalletto alla ruota posteriore. E Judai doveva ammetterlo, quella moto era davvero bella al punto da poter restare tranquillamente parcheggiata in un salotto di lusso come un pregiato pezzo d’arredamento. La carena pareva disegnata apposta per amalgamarsi col vento: tutto, di quella moto, era disegnato, pensato, concepito per la velocità, dal cupolino sagomato al codino provocante come i fianchi di una modella, vestita del rosso dell'abito di una mangiatrice di uomini.
    -    I fazzoletti sono dietro di te, ti dovessero servire…-

    -    Rally-
    -    Sì?-
    -    Una battuta sconveniente-
    -    Lo so, ma guardati! Sembri un’ape che svolazza intorno a un fiore!-
    -    Cosa devo farci?! È bellissima!-
    -    Più della Bimota?-
    -    …non dirglielo, altrimenti si ingelosisce-

I due scoppiarono in grosse risate, Judai abbozzò un ghigno tanto per essere della partita ma se doveva dirla tutta non aveva la minima idea di cosa quei due stessero dicendo.
Con suo rammarico, doveva accettare l’evidenza del fatto che i motociclisti vivevano in un mondo completamente a parte, e tipi come Yusei e Rally sembravano proprio vivere su un altro pianeta.
Quest’ultimo era, come Yusei, un trovatello del Satellite, che per anni aveva vissuto sulla gigantesca isola finché questa non era stata finalmente ricollegata con Nuova Domino. La ritrovata unione tra le due città aveva giovato enormemente agli abitanti del Satellite, sollevandoli finalmente dalla loro condizione di reietti della società e dando loro la possibilità di osare, di riprendere in mano la propria esistenza. Da ex ragazzino scapestrato che rovistava nelle discariche, alla ricerca di pezzi di ricambio, rottami da assemblare e vecchie motociclette abbandonate al loro destino, Rally aveva messo a frutto le sue conoscenze meccaniche e le aveva poi messe a disposizione per diverse riviste del settore motociclistico, prima di ritrovarsi a collaborare con l’amico di una vita. Era giovane e pieno di energia e talento, non avrebbe faticato ad andare avanti.
    -    Bella e difficile, non mi sembra affatto una moto da neofiti- osservò Judai, gli occhi puntati sullo scarico che spuntava sotto il motore.
    -    Non lo è per niente- confermò Yusei – Le F4 sono opere d’arte da vedere e anche divertenti da guidare…se hai il manico giusto. Altrimenti rischi il decollo-
    -    Verissimo- confermò Rally – Le moto da corsa non sono mai semplici…ma questa è una delle più complesse. E soprattutto questo modello, che riprende quella del Reparto Corse del Campionato Superbike!-
    -    …aspetta un attimo COSA?!-
Judai sbuffò una risata nel vedere il suo amico centauro fare capolino da dietro la carena con tanto d’occhi: giurò di averglieli visti brillare! Rally lo osservò con un sorriso che non ci fossero state le orecchie gli avrebbe fatto il giro della testa due volte.
    -    Ebbene sì! Non chiedermi come perché non lo so, ma siamo riusciti a mettere le mani sul prototipo del Model Year 2018! Ricordati che i fazzoletti sono sempre là dietro-
    -    Rally finiscila, sto per prenderti di parola!-
    -    Vieni, ti faccio vedere questa meraviglia con più cura! Guardala, carenatura in fibra di carbonio! E il telaio è a traliccio in tubi di acciaio! È chiuso nella parte centrale da leggere piastre in lega di alluminio, che fanno da punto di ancoraggio del forcellone monobraccio. Così potremo variare l’altezza del pivot del forcellone posteriore come più ti aggrada! E ovviamente sospensione anteriore e posteriore sono targate Ohlins-
    -    E quei freni? Quello davanti è un doppio disco flottante vero?-
Doppio disco cosa?! Judai sbatté gli occhi perplesso.

    -    Eeeeesatto! Doppio disco flottante con fascia frenante in acciaio e flangia in alluminio davanti, disco in acciaio da 210 millimetri dietro. Al posteriore hai una pinza freno Nissin a 4 pistoncini, davanti sei nelle mani di San Brembo protettore dei pistaioli!-
    -    Vi lascerò i solchi in staccata…-
    -    Devi farlo! Vogliamo che fai galoppare a briglia sciolta tutti i 212 cavalli di cui dispone!-
    -    Du-duecentododici?!- chiese Judai, allibito – Yusei, la tua Bimota quanti ne ha?-
    -    Qualcuno di meno...- rispose il giovane, accarezzando ancora la carena.
    -    Quanto di meno?!-
    -    La Bimota ha 98 cavalli-
    -    Che coooooosa?!-

Fossero stati in un fumetto, il volto di Judai avrebbe ricalcato perfettamente la sagoma distorta dell’urlo di Munch: Yusei fu quasi in grado di vedergli un fantasmino lasciargli svolazzando la bocca spalancata e frenò una risata a stento.
    -    E tu intendi guidare quel MOSTRO?!-
    -    Lo trovi problematico?-
    -    Lo trovo problematico? Lo trovo problematico?! Yus, è ben oltre il doppio della cavalleria della Bimota!-
    -    Normale, è una moto da pista. C’è bisogno di tanta cavalleria per poter essere il più veloci possibile-
    -    La fai facile tu, a parlarne così!-
    -    Judai, non è niente di pericoloso. Più o meno-
    -    Bravo, è quel più o meno che mi inquieta!-
    -    So quello che faccio. Andrà tutto bene-

Judai sbuffò qualcosa, e ridusse le sue proteste a mugolii privi di senso mentre scuoteva il capo, spostando lo sguardo dal suo amico al di fuori dei box, lì dove la pit-lane si allungava in avanti fino a immettersi nel circuito.
Aveva paura, non poteva negarlo. Per quanto Yusei fosse bravo, si stava apprestando a domare un mostro che superava i duecento cavalli, una moto che lui stesso aveva definito difficile...e non si trattava di condurla a passo d'uomo, ma di correre come se avesse il diavolo alle calcagna! E insieme a Yusei aveva visto fin troppe gare motociclistiche, in televisione, per evitare di anche solo pensare a quanti incidenti potevano capitare nello spazio di un battito di ciglia.
    -    Va bene, se tu sei pronto allora monta su e raccontaci di questa meraviglia!-
    -    Oh, non vedo l'ora!-
E anche cercare di frenare il suo entusiasmo sarebbe stato inutile e deleterio: poche volte gli capitava di vedere Yusei così preso e contento, e non si sentiva in grado di smorzare il suo entusiasmo. Judai incrociò le braccia al petto, osservando l'amico infilarsi il casco con un veloce gesto: gli occhi blu spuntarono dalla calotta grandi e vividi come un giovane innamorato, e si voltò verso di lui.
    -    Tutto bene?- gli domandò poi. Judai giurò di vederlo sorridere anche da dietro la mentoniera.
    -    Yup. Fai attenzione, non esagerare col manico-
    -    Sul manico non ti prometto niente!-
Judai si lasciò sfuggire un sorriso divertito. Figuriamoci, pensò quando Rally gli porse un paio di cuffie.
    -    Indossa queste! Tempo qualche secondo e te le imposto così da sentire Yusei! Potrai ascoltarlo ma non tentare di parlargli, quelle sono prive di microfono, non ti sentirebbe-
    -    Va bene-
Erano comode e leggere, avvolgevano senza troppi problemi l'intero padiglione auricolare; ma quando Yusei andò ad avviare il motore la loro protezione sembrò quasi nulla. Come se alle sue spalle fosse arrivato un colpo di mortaio, Judai scattò sull'attenti, strappando al collega una risata amplificata dalle cuffie. Il castano riprese a respirare solo quando la moto uscì dal box, sparendo dai loro sguardi.
Fu allora che Rally lo invitò a seguirlo fuori dal box a ridosso del muretto che costeggiava il rettilineo della linea di partenza; lo guidò con allegria al riparo dietro una tettoia scura, dietro cui stavano alcuni schermi da cui era possibile tenere d'occhio diversi punti della pista. Uno di questi restituiva in tempo reale le immagini della camera on-board, ma Judai non era molto convinto di voler osservare proprio quel punto di vista...considerato quanto si stava inclinando in curva e stava andando anche piano...
    -    Buon cielo, ha l'agilità di un cane da caccia!- esclamò improvvisamente Yusei, nelle sue orecchie.
   -    Ricordati che la versione da cui sono partiti per questa moto è quella del 2017. Molte caratteristiche del precedente modello sono state rifinite- rispose Rally, gli occhi puntati sullo schermo che restituiva le immagini della on-board.
    -    Mi piace! L'avantreno è fantastico, è come toccare la curva con entrambe le mani!-
L'avancosa?! Forse parlava della ruota...Judai preferì restare in silenzio nella sua quasi totale ignoranza motociclistica.
    -    Mi sembra solo serpeggiare un po' in frenata...insistere con i freni può essere un azzardo. Il motore aiuta però molto, basta un colpo di gas e la moto scivola via!-
    -    Come ti senti in sella?-
    -    Stretto-
Judai si voltò appena ad osservare Rally ridacchiare.
    -    Sul serio, per spingere va bene...ma le pedane sono davvero alte, mi sento come incastrato-
    -    Sei riuscito a trovare un difetto perfino a questo gioiello...poi ti lamenti se le tue fidanzate durano poco!-
    -    Le moto non si lamentano e fanno godere il doppio-

Stavolta Judai si unì alla risata, scuotendo il capo. Da Yusei c'era da aspettarsela, una simile affermazione...eppure c'era del vero in quello che Rally aveva insinuato poco prima.
Sapeva che il ragazzo del Satellite fosse un tipo piuttosto complicato, ma a volte si stupiva di quanto realmente strane, forse assurde, fossero alcune sue consuetudini.
A cominciare dalla discutibile abitudine del dormire nudo. Discutibile perché dimenticarsi di tale caratteristica ed entrare incautamente in cucina, al mattino, mentre lui stava versandosi un bicchiere di latte poteva essere oltremodo traumatico. Almeno per il suo coinquilino, magari una sua compagnia femminile avrebbe oltremodo apprezzato la cosa...ma sui gemiti notturni c'era da soffermarsi. E non gemiti di piacere, ma di paura. Qualcosa di paurosamente vicino ad urla: i primi tempi della loro convivenza il castano si fiondava nella sua stanza, attirato dagli insoliti rumori e in un certo senso spaventato, convinto che Yusei avesse bisogno di aiuto. Stando alle spiegazioni del moro, ne soffriva dal suo soggiorno nella Struttura; la cosa lo destabilizzava ed innervosiva, a volte spingendolo a restare sveglio fino a tardi, finché il suo corpo stesso non rischiava il blackout e lui aveva appena la forza di spogliarsi per infilarsi tra le coperte.
In un certo senso era come le sue paralisi del sonno.
Aveva poi scoperto che adorava alla follia qualsiasi cosa avesse un sapore dolce: si sarebbe lasciato bruciare vivo per dei marsh-mallow, e per la cioccolata avrebbe volentieri ucciso. Al latte, alle nocciole, bianca, gianduia, ripiena di arancio o ciliegia, andava matto per qualsiasi ripieno e tipo. Ne consumava giornalmente quantità industriali, salvo poi fare esercizio fisico fin quasi a sentirsi male per rimediare allo sgarro.
Il problema era che spesso era così assorbito dai suoi impegni, universitari e non, da dimenticarsi di mangiare. Judai aveva perso il conto delle volte in cui era sceso in garage a portargli il pranzo, e di quanto spesso si era visto nella condizione, velatamente assurda, di dovergli imboccare la prima forchettata di qualsiasi cosa per convincerlo a mangiare.
E per quanti bagni o docce facesse, quel vago sentore di olio motore sembrava non lasciarlo mai andare. Era a lui caratteristico quasi quanto il suo profumo preferito, quello di una ignota marca norvegese dalle note di pino silvestre.
Degna di nota, ma conoscendo Yusei era anche prevedibile, la sua totale fissa, perché Judai non sapeva in quale altro modo definirla, per tutto ciò che riguardava l'universo. Era qualcosa che sfiorava il morboso: una vocazione che lui aveva abbracciato fin da bambino e che aveva condizionato la sua vita al punto da imperniare il suo percorso di studi sull'astrofisica. La passione per l'argomento era tale da invogliarlo a collaborare per un canale podcast che trattava di nuove scoperte scientifiche. Nnelle sue puntate spiegava, in pillole, tutto ciò che c'era da sapere sull'universo e illustrava le nuove scoperte in campo astronomico: i podcast organizzati da Yusei erano quelle con il più grande numero di download in assoluto dell'intero canale.

Chissà se Aki sapeva di quei podcast: Yusei non ne faceva un vanto, così schifosamente umile com'era, ma Yuya e Yuma non se ne perdevano uno e ne discutevano ampiamente, a volte anche con lo stesso barman, riempiendolo di domande a cui lui rispondeva con un trasporto disarmante. Impossibile che almeno uno dei due non gliene avesse parlato.

Yusei era un autentico concentrato di altruismo e bontà una volta che riusciva a superare la naturale diffidenza che nutriva verso le persone, e tuttavia non sembrava in grado di intrecciare un rapporto duraturo con esponenti del gentil sesso. L'unica relazione degna di questo nome, da quando si conoscevano, era durata poco più di un anno, prima che lui tagliasse volutamente i rapporti con la ragazza dopo aver scoperto “di essersi ritrovato con il palco di corna di un'alce dietro la testa”, per riprendere l'espressione di Judai. Il resto delle sue storie erano state brevi e fin troppo intense e ogni volta restava solo, ferito ma fin troppo orgoglioso per ammetterlo anche a sé stesso.
Lui e il resto della crew del Pharaoh's ci scherzavano volentieri sopra, ma in cuor suo Judai sapeva che c'era del vero nelle parole che lo stesso Rally condivideva: se esiste l'anima gemella di Yusei, aveva detto una delle prime volte in cui si erano incontrati, non è in questa galassia.
Forse era vero. Forse quel ragazzo era davvero destinato a restare per sempre legato alle sue amate stelle e alle due ruote. Che poi, quale nesso esisteva tra le due cose? Come poteva una persona come Yusei, con i piedi saldamente piantati per terra, avere gli occhi sempre rivolti alla volta stellata e la mente sempre a scorrere tra i cordoli e le mille luci notturne della città?

Atem sosteneva fosse una sua forma di estraniamento dalla quotidianità, una valvola di sfogo che gli permetteva, di tanto in tanto, di poter uscire dagli schemi convenzionali a cui la società l'aveva presto abituato. Non era facile farsi vedere di buon occhio, non quando avevi un'aria perennemente accigliata e il marchio della Struttura ben in vista sulla faccia. Potevi essere accorto, diligente, ben educato e discreto quanto volevi, ma un segno così evidente ti bollava a vita come un delinquente, uno che aveva infranto la legge in maniera grave abbastanza per guadagnarsi un soggiorno nel carcere di massima sicurezza di Nuova Domino. Poco importavano le tue motivazioni.
Chissà se ci pensava mai a come le cose avrebbero potuto svolgersi, se fosse tutto andato in maniera diversa. Se non fosse mai finito in prigione, se avesse proseguito la sua vita sul Satellite...forse sarebbe morto come tanti prima di lui? Circolavano voci non proprio lusinghiere su quella gigantesca discarica galleggiante, e il fatto che fosse stata di recente inglobata nella rete di scambi di Nuova Domino non aveva migliorato la sua reputazione: ci si addentrava con molta cautela nelle zone interne dell'isola, e chi lo faceva di sua spontanea volontà doveva essere pazzo o disperato per non temere le bande di ladri e criminali letteralmente ghettizzate.
No, figuriamoci: uno sveglio e svelto come Yusei non avrebbe mai lasciato la pellaccia tra quei vicoli bui e sgangherati. Con ogni probabilità avrebbe resistito fin quando l'isola non sarebbe stata ricollegata alla terraferma, per poi spostarsi e ricominciare da capo nella stessa modalità con cui era andato avanti in quegli anni: duro lavoro, poca importanza alle voci, alle porte sbattute in faccia e alle occasioni negate.
Aveva i piedi piantati a terra come una solida quercia, ma nel suo profondo era più sognatore di un bambino che diceva di voler fare l'astronauta da grande.
Al momento gli andava bene essere etichettato come “marziano”, ma quello era l'epiteto che Judai gli affibbiava per ogni cosa, non solo per la conduzione della moto. Per lui era un marziano in un po' tutto quello che faceva, dagli studi alla preparazione dei cocktail fino all'insana manualità con tutto ciò che fosse meccanico e tecnologico, perfino i siti web e i codici di programmazione non avevano segreti per lui. A volte aveva l'impressione che se avesse potuto, il suo cervello avrebbe letteralmente iniziato a correre al punto che Yusei non sarebbe stato in grado di stargli dietro.
Un marziano nel vero senso della parola.

Cosa aveva in comune con Aki?
A parte l'aria accigliata ovviamente...ma quella della ragazza era più condizionata da una sorta di meccanismo di autodifesa: cresciuta nell'élite nobiliare di Nuova Domino, le era stato insegnato a temere tipi tenebrosi come Yusei, stare alla larga da quelli scapestrati tipo Judai e schernire i buffoni dello stampo di Yuma e Yuya. Nel caso di Yusei si parlava di vera e propria intolleranza a molte sfaccettature idiote del resto del genere umano.
Non c'era nulla che li accomunasse, davvero. Erano letteralmente opposti come il sole e la luna. Nel senso che Aki era il sole e Yusei la luna. E non un sole e una luna belli da guardare, perché lei era pronta a fare terra bruciata intorno a sé e lui...anche.
Ecco, forse una cosa in comune l'aveva trovata? Ma no, non era giusto esagerare fino a quel punto. Però era evidente che fossero entrambi agli antipodi e, a ben pensarci, insospettabilmente vicini allo stesso estremo dello spettro delle emozioni umane.
Forse definirli opposti non era neanche giusto...complementari era molto più azzeccato. Perfino nei colori preferiti sembravamo incastrarsi fin troppo bene! Aki non faceva mistero della sua predilezione per il rosso, mentre Yusei non aveva fatto verniciare di blu la Bimota solo perché non prevista come colorazione dalla casa madre. E la iniziale diffidenza di lei era ben compensata dalla naturale, guardinga curiosità dell'altro.
E poi quel gioco nascosto di sguardi, poco più di una settimana prima...Judai avrebbe volentieri dato un braccio pur di poter rivedere quella scena ancora e ancora.
Nella testa del castano era tutto così spudoratamente chiaro, che non ne faceva parola col compagno solo per non farsi rinfacciare i suoi tentennamenti con Alexis.

Ma poi, perché tutta quella fretta di accoppiare il suo coinquilino e migliore amico?
Tornò ad osservare il monitor in silenzio, gli occhi puntati sulla figura di Yusei e sulla moto che, stretta tra le sue gambe, scendeva in piega con una facilità disarmante, ad angolazioni che sembravano voler annullare le leggi della fisica tanto care al pilota. Judai scosse il capo, stropicciandosi gli occhi.
Yusei era un marziano.
E come tale non avrebbe mai potuto comprendere appieno il suo mondo.


****

    -    Fammi capire, l'hai portata a trecentoventi all'ora?!-
    -    Sì-
    -    E la casa ha dichiarato appena trecentodue?!-
    -    Ehi, si tratta di un prototipo, ricordatelo. Dopodiché guidata in pista è ovvio che possa dare dei parametri diversi, dipende anche da chi sta sopra. L'ho portata a trecentoventi ma urlava da chiedere pietà. Essendo destinata al mercato delle supersportive da strada metteranno dei limitatori, con ogni probabilità-
    -    Quindi sarà la scelta dei fighetti con i risvoltini che vanno a prendere lo Spritz sul lungomare?-
    -    Probabile. Io mi tengo stretta la Bimota-
    -    Oh per fortuna, Dio grazie-
Judai scosse il capo, tornando alla sua bibita.
Finiti i giri in pista, Yusei era sceso dalla moto più euforico di un bambino e con gli occhi più grandi e liquidi che gli avesse mai visto: avesse dovuto dipingere il ritratto della gioia avrebbe avuto la sua faccia e la sua espressione. Si era preso poi del tempo per discutere con Rally di dati e rilevamenti: a quanto pareva i computer di bordo e la centralina mandavano informazioni in tempo reale, quindi si trattava solo di mettere in chiaro alcuni punti specifici. In seguito la redazione avrebbe battuto l'articolo; in qualche punto della pista Judai aveva notato anche gli obbiettivi di alcuni fotografi.
Era sceso dalla MV Agusta solo per montare sulla sua amata Bimota, e il castano avrebbe giurato di averlo sentito mormorarle qualcosa che sembrava un “non essere gelosa”;  concedersi poi un tranquillo giro sul lungomare, con tanto di stop ad un chiosco per rinfrescarsi, era loro parsa la migliore conclusione della mattinata.

    -    Pensavo-
Yusei spostò appena gli occhi, senza staccare le labbra dalla Red Bull.
    -    Ma se volessi prendere una moto anche io?-
Red Bull che rischiò di andargli bastardamente di traverso. Yusei diede un colpo di tosse e si voltò ad osservare il compagno con sguardo stralunato, suscitandogli uno sbuffo divertito.
    -    Che c'è?- gli domandò poi Judai.
    -    Come che c'è?! E da quando ti piacciono le moto?!-
    -    Da sempre, tontolone. Solo che preferisco guardarle piuttosto che guidarle-
    -    E cosa ti ha fatto cambiare idea?-
    -    Non saprei a dire il vero...non l'ho proprio cambiata, diciamo che voglio togliermi la curiosità di provare-
    -    ...hai rivisto Akira?-
    -    Mi piacerebbe salire su una delle sportive giapponesi più retrò! Sai quelle degli anni '80 che sembravano copiate dai manga...-
    -    Hai rivisto Akira-
    -    Dici è meglio se lascio perdere?-
    -    Lo sai che non ti dirò mai di lasciar perdere su una cosa che desideri. Dico solo di pensarci bene, passare dalle quattro alle due ruote non è così facile. E comunque uscire in moto implica dei rischi-
    -    Per te o per gli altri? Perché non vorrei mai essere nei panni del tipo che ti ha fatto saltare lo specchietto, credo sia morto fulminato, con tutti gli anatemi che gli hai lanciato-
    -    Lo spero, un imbecille in meno sulle strade-
    -    Non potevo aspettarmi una risposta diversa...-
Yusei preferì non rispondere a quella sottile provocazione, continuando a bere dalla sua lattina.

    -    Ehi! Pensavo-
    -    Di nuovo. A cosa?-
    -    Aki ti piace-
Non una domanda, ma una constatazione, come se fosse qualcosa di ormai evidente a tutti gli spettatori della storia tranne che al diretto interessato. E Yusei realizzò che forse non era il caso di bere qualsiasi bibita quando era a chiacchierare con Judai, perché non era la prima volta che se ne usciva con constatazioni improvvise che puntualmente gli mandavano tutto di traverso.
E il punto era che non sapeva mai se rifilargli un'imprecazione, strozzarlo o montare qualche bugia per coprire le apparenze.
E poi, era lui a parlare? Seriamente?! Judai?!
    -    Perdonami, ora questa da dove è saltata fuori?!- chiese il giovane astrofisico, quasi allucinato, tra un colpo di tosse e l'altro.
    -    Ti piace. È evidente- continuò Judai – E neanche poco. Chiacchieri con lei molto spesso, c'è una bella intesa. L'abbiamo notato tutti-
    -    Ma notato cosa?! Non c'è proprio nulla tra me e lei. Siamo solo due colleghi che passano almeno otto ore a serata insieme, ringrazia il cielo che siamo in sintonia altrimenti sarebbe tutto più difficile-
    -    Vero anche questo-
    -    Già-
    -    Tutta questa tensione però mi fa pensare-
    -    Judai, ascoltami bene-
Con un sorriso amaro il castano capì di aver tirato troppo la corda e scosse il capo: Yusei si voltò ad osservarlo con sguardo impietoso, rigido ed impettito in quell'espressione seria che gli vedeva davvero troppo spesso.
    -    So bene cosa pensi- disse poi il capobar – E sì, ammetto che con Aki c'è una bella sintonia, se questo ti fa stare meglio e alimenta il tuo cuore da pettegolo ficcanaso. Ma non c'è altro. Non VOGLIO altro-
    -    ...perché?-
    -    Perché è meglio così. In fondo sai anche tu che non sono un granché con le relazioni sociali-
    -    Stronzate. E noi allora? O vale lo stesso discorso di Aki? Siamo davvero solo tuoi colleghi? IO sono davvero solo un tuo collega?-
Yusei si lasciò sfuggire uno sbuffo sconsolato e scosse il capo, finendo in un sorso il contenuto della sua lattina.
    -    Non intendevo questo. Scusami se ho fatto passare questo messaggio- gli rispose poi – Ma sai com'è...non sono un tipo semplice da gestire. E anche io non voglio avere legami seri e duraturi con una donna. Non ora almeno-
    -    Perché?-
    -    Non potrei prendermi cura di lei, non come meriterebbe. E certe cose si fanno in due-

Con un sospiro, Judai annuì e si voltò verso il vuoto.
Tipico di Yusei: anteporre il benessere degli altri al proprio era il suo tratto distintivo, non immediatamente visibile come il segno sul volto o il tatuaggio sul braccio ma allo stesso modo evidente e caratterizzante. Yusei era così, dava tutto sé stesso in qualsiasi cosa attirava la sua attenzione, e lo faceva con una discrezione quasi imbarazzante. Avrebbe preferito uccidersi pur di non ammetterlo, ma i suoi livelli di empatia erano davvero fuori dagli standard di quel pianeta; ed era una caratteristica messa in secondo piano solo dalla sua iniziale diffidenza e scontrosità.
In cuor suo Judai era sempre più convinto, che la giovane rossa dai grandi occhi da cerbiatta fosse l'unica in grado di far breccia nell'impenetrabile muro di cinta del giovane astrofisico. Non Yuma o Yuya, né Yugi e neanche Atem, per quanto improbabile; neanche lui stesso, nonostante l'evidente complicità che ormai c'era tra loro. No, era Aki l'unica persona in grado di fare tanto, con quel suo approccio timido e discreto al punto da farsi rabbioso e scostante.
    -    Capito- sorrise poi Judai – Scusami, non volevo metterti in difficoltà-
    -    Figurati-
    -    Sicuro?-
    -    Ehi, è tutto a posto-
Ecco, e poi finiva così. È tutto a posto, diceva. Il mondo avrebbe potuto crollargli intorno ma lui avrebbe sempre risposto a quel modo, è tutto a posto. Come se nulla potesse scuoterlo o sconvolgerlo.
A volte Judai si chiedeva quante davvero ne avesse passate, in quell'isoletta ora collegata da una strisciolina di asfalto sospesa sull'oceano.


****



Sei giorni erano passati fin troppo velocemente, tra serate lavorative e ore di studio concentrate dopo il risveglio. Aki si era abituata presto a quei nuovi ritmi, e aveva scoperto che non le dispiaceva affatto avere le giornate così impegnate.
Quando ancora viveva con la sua famiglia, le cose erano piuttosto diverse: intere giornate dedicate allo studio, tra università ed esami, finivano con l'annoiarla e logorarla. E se, inizialmente, si era sentita in colpa, a rubare così tanto tempo allo studio per lavorare e riposarsi, i rimorsi erano passati molto presto. Forse dipendeva dal fatto di non essere sotto il costante e protettivo sguardo della famiglia, chissà.
L'idea di tornare in quella casa la inquietava. Non si erano lasciati in chissà quale violento modo, ma che Aki non avesse più un buon legame con i suoi familiari era ormai chiaro anche ai muri della sua abitazione. Vista ormai come la futura poco di buono che avrebbe infangato il buon nome della famiglia, era convinta che l'avrebbero ignorata, o che perlomeno avrebbero preferito tenerla lontana da eventi così particolari come la celebrazione di un fidanzamento.
Di sicuro centrava sua madre. L'invito non poteva essere partito da Suketsune stesso: il suo cugino si ricordava a malapena di Aki, e a prescindere qualcun altro avrebbe preferito non coinvolgerla, per evitare di alimentare inutili malumori.
Manco avesse lo scorbuto.
Ma sua madre le voleva bene...a modo suo. Iperprotettiva e premurosa, per i gusti di Aki forse troppo, e tremendamente legata alla figlia, anche questo eccedente secondo l'opinione della rossa. Avrebbe messo una mano sul fuoco, l'invito era partito da lei.
Sei giorni erano passati, e mancava ancora l'accompagnatore.

Bella forza. Sua madre le aveva detto di non presentarsi sola: “per l'immagine della famiglia, sai com'è”, aveva spiegato, al che Aki aveva annuito senza fare altre domande. Ma i giorni erano passati e pochi erano i candidati proponibili, anche pensando alla crew del Pharaoh's Kingdom.
Yuya era da escludere a priori: per quanto adorasse la compagnia di quel ragazzo, voleva risparmiargli la crudeltà di un ricevimento così chic e freddo. E poi aveva una fidanzata a cui pensare: quei due sembravano vivere una specie di luna di miele, sarebbe stato molto scorretto separarli. Stesso ragionamento che aveva fatto pensando a Yuma, contando il fatto che era troppo piccolo rispetto a lei ma soprattutto troppo energico. Un ragazzo come quello avrebbe creato solo danni.
Judai e Yugi...niente, proprio non se la sentiva di tirarli in mezzo a quel pandemonio. E stesso discorso per Yusei, quel ragazzo di sicuro non sarebbe piaciuto a nessuno: troppo serio, con quella perenne espressione accigliata neanche si aspettasse una coltellata alle spalle da qualcuno, privo di quelle caratteristiche da esponente dell'alta società. Era un lavoratore, serio e fiero del suo mestiere: poco importava che studiasse astronomia, era sempre e comunque un ragazzaccio che scorrazzava in moto per la città, che preparava intrugli alcolici e con la lingua pelata come la testa di un calvo.
Però, l'idea di presentarsi al ricevimento con lui l'aveva solleticata un po': giusto per vedere le facce di suo padre e sua madre, un modo come un altro per alimentare l'incendio del malumore che li stava consumando da quasi dieci anni ormai.
    -    Tanto cosa gliene importerebbe?- mormorò a sé stessa, scendendo le scale – In fondo, sono una pecora nera. Una che farà poca strada-

Quando fece scorrere la porta di vetro, la sala del Pharaoh's Kingdom venne spazzata da una potente raffica di vento: da dove venisse era un mistero, priva di qualsiasi tipo di finestra. Vento caldo e sabbia, che le pizzicò gli occhi e glieli fece lacrimare. Se li stropicciò debolmente, cercando di recuperare la vista mentre gli zoccoli suonavano argentini e nitidi sul pavimento nero.
La purosangue trottò verso di lei, in un movimento fluido ed elastico, le gambe come molle. Aki sbatté gli occhi e li fissò sulla creatura di fronte: elegante e bella come un'odalisca, scintillante nel suo candido manto, il collo cinto da preziosi ornamenti, la giumenta frustò l'aria con la coda un paio di volte, scuotendo il capo con aria altezzosa. Sotto il candore del suo manto, i muscoli guizzavano sotto la pelle come animati di vita propria; la cavalla la osservò con i suoi grandi occhi scuri, liquidi e scintillanti, pura onice incastonata in una meravigliosa scultura vivente.
Una seconda raffica di vento se la portò via. Aki sbatté ancora gli occhi, portandosi le dita alle tempie e massaggiandole con ampi movimenti circolari.
    -    Atem?!- chiamò.
Il Faraone fece capolino dalla sala di biliardo, con un ghigno malandrino sul volto.
    -    Ehilà! Spero di non averti spaventata!- esclamò poi, indicandola con un cenno della testa mentre usciva.
    -    Cosa...cos'era?!- domandò la rossa, incredula.
    -    Un cavallo! O meglio, una giumenta. Niente di particolare, stavo facendo solo un...esperimento. Una prova, per un'amica-
    -    Una prova-
Aki annuì, guardandosi intorno con sguardo spaesato.
La sala del Pharaoh's Kingdom era sempre la stessa: pavimento nero lucido, tavolini, poltrone e divani, il palco per le esibizioni e l'occhio di Ra che tutto vedeva; ma qualcosa dava una strana sensazione, quella giornata. Il silenzio regnava sovrano, lì dentro: non c'era il solito, allegro caos di quando arrivava al locale e tutti erano già pronti con le loro divise, a sistemare l'arredamento prima dell'apertura ufficiale. Aki osservò l'orologio al polso: erano appena le sei e un quarto, non così tardi...e non era neanche così in anticipo come pensava.
Quasi qualcuno avesse letto i suoi ansiosi pensieri, Judai comparve alle loro spalle. Vestito di tutto punto con la sua divisa, entrò di schianto dentro le cucine, facendo spalancare sonoramente le porte; Aki lo sentì dare qualche imperioso ordine e scambiare qualche battuta con i cuochi, prima che uscisse ancora, stappando con un secco gesto una lattina.
    -    Birra in lattina?- gli domandò Atem, attirando la sua attenzione – Lo sai che se Yusei ti vede bere quella roba, ti uccide?-
    -    Infatti lo faccio ben lontano da lui- rispose il castano, facendo spallucce – Ma se continua a mettere il blocco ai rubinetti, ha poco da incazzarsi-
    -    Yusei non beve birra in lattina se non strettamente necessario- spiegò Atem, in risposta allo sguardo curioso di Aki – Solo dalla bottiglia, anche se preferisce in assoluto la birra alla spina. Un po' come tutti noi qui...il problema è che la birra alla spina piace un sacco anche a Yuma-
    -    Un paio di settimane fa quel nano malefico si è scolato l'intera botte!- concluse Judai, un grosso sorriso sul volto – Avresti dovuto esserci, Aki! Yusei era paonazzo, te lo immagini?! “Ti ammazzo deficiente!” e tutte 'ste cose-
Aki ridacchiò: chissà perché, ma riusciva a vedere benissimo Yusei nella parte del barman isterico. Per quanto fosse silenzioso e discreto, i suoi scoppi erano forse ancora più rumorosi ed inaspettati.
    -    Ehi Aki! Hai portato con te il costume, vero?!- domandò Judai, dopo aver preso ancora un sorso dalla lattina. La rossa annuì, tastando la morbida superficie della sua borsa – Ottimo! Cambiati, mettiti la divisa e seguici di sopra!-
    -    Di sopra?!-
Con il braccio che reggeva la lattina, Judai le indicò il fondo della sala: la pianta di kensia era stata spostata, e ora si vedeva il muro che voltava l'angolo e scopriva una scala resa luminosa da alcuni led posizionati sotto i gradini. Aki sbatté gli occhi: non ci aveva mai fatto caso, prima.
Era forse lì che si nascondeva la famosa piscina?
Scambiò un'occhiata con Atem, che le sorrise complice prima di girare dietro il bancone e cominciare a prepararsi il suo consueto bicchiere di Martini. Aki lo osservò a lungo mentre miscelava sapientemente ghiaccio, alcol e sale, creando un cocktail a regola d'arte degno della foto di un manuale.
Avrebbe potuto chiederglielo? Aki si diede della stupida quasi subito, a quel pensiero, e corse giù per la scala che portava ai camerini, sbuffando stressata. Figurarsi se Atem era persona da stare dietro alle esigenze e alle fisime di una povera ragazza quasi scappata dalla famiglia: l'avrebbe ignorata, o più semplicemente le avrebbe riso in faccia e avrebbe poi detto di no...eppure un uomo come lui sarebbe stato perfetto per contrastare le gelide occhiate e le frecciate velenose della famiglia: bella presenza, l'attitudine di un intellettuale, lo sguardo lontano di chi si elevava, a ragione, su poveri mortali insignificanti e la lingua affilata e tagliente più di uno stocco. Cos'era, per lui, partecipare ad un ricevimento di ricconi? Poteva mischiarsi tranquillamente tra di loro e, se proprio le cose fossero andate male, avrebbe potuto confondergli le idee con qualche trucchetto dei suoi.
L'idea non era male.

Si ripromise di ripensarci su, quando finalmente salì sulla terrazza e scoprì che fine avessero fatto i suoi colleghi. Varcata l'ennesima porta di vetro e uscita dal cubo di cristallo che sovrastava la scala, Aki rimase un attimo a godersi la vista.
L'ondata di caldo dell'ultimo periodo aveva anticipato l'arrivo dell'estate con tale evidenza che erano stati tutti invitati ad indossare le divise estive; finalmente Yusei non doveva più passare tutto quel tempo ad arrotolare le maniche della camicia, e il suo dragone osservava il cielo che sembrava quasi specchiarsi nei suoi occhi dipinti e in quelli del suo proprietario. Aki gli rivolse un sorriso e un cenno del capo, prima di farsi avanti e guardarsi intorno.
Il pavimento in mattonelle bianche spariva in una piccola rampa di scale che sprofondava nella grande piscina rettangolare: la sua profondità cresceva mano a mano che si avanzava, illuminata dai faretti che, sotto il pelo dell'acqua, disegnavano bianche pennellate di luce. Accanto alla scala, un piccolo quadrato in marmo nero delimitava quella che doveva essere una vasca idromassaggio. Molto carino era il piccolo percorso che la piscina disegnava tra le due piccole costruzioni: la prima, quella più grande, racchiudeva i camerini e i bagni per i clienti, la seconda, più piccola e discreta, racchiudeva probabilmente i generatori, a giudicare dal sibilo attutito che proveniva dalle pareti. In quel piccolo canale luminoso, grossi parallelepipedi bianchi fungevano da vasi da cui le palme puntavano verso il cielo; di quegli esotici alberi la terrazza ne era circondata, spuntavano qui e là così come i tavolini, le sdraio e le poltroncine. Poco più in là c'era un altro palco per le esibizioni, dove un grosso pannello verticale doveva fare da scenografia, e dalla parte opposta stava il bancone presso cui Yusei aveva già preso posizione. Judai gli volteggiò (sì, ebbe davvero quell'impressione) intorno prima di portare due vassoi carichi di stuzzichini ad una grossa tavola già imbandita e piena di ogni ben di Dio che le veniva in mente: Yuzu e Anzu, insieme a Mana e ad un'altra ragazza dai capelli verdi (sul serio, ma proprio non riuscivano ad usare dei colori umani?!) si erano già create la loro composizione di frutta, mentre Alexis e Mai stavano tranquillamente a parlare sedute su un divanetto. L'argomento doveva interessare parecchio la cantante, perché stava ascoltando la compagna con molto interesse: le gambe elegantemente accavallate e il mento poggiato sulla mano destra, seguiva con lo sguardo gli ampi sventolii di mano della bionda dagli occhi grigi. Yuma e Yuya stavano cercando di sistemare l'impianto audio, preparandolo per l'esibizione: ogni tanto si sentiva una forte risata salire dal coloratissimo duo.
Con la bella stagione, apriamo la terrazza- le spiegò la voce di Atem, sopraggiunto alle sue spalle – Quattro serate su sette saranno organizzate qui, tempo atmosferico permettendo ovviamente. Ma direi che questa sarà una serata fortunata: non ci sono nuvole-
Aki lo imitò e alzò lo sguardo: incorniciato dalle cime dei grattacieli, il cielo di Nuova Domino si stava trasformando in una gigantesca tavolozza di colori, dove l'azzurro e l'oro accecante del sole cominciavano lentamente a sfumare nel rosso del tramonto. Più in là, gli occhi erano abbagliati dallo scintillante riverbero del sole sul mare, lì dove qualche vela solcava temeraria le onde.
Davvero una bella vista.
Stasera ci divertiremo- le promise Atem, allontanandosi poi a rubacchiare qualche scaglia di formaggio dal tavolo.
    -    Che te ne pare?- domandò Yusei, affiancandola silenzioso, le braccia incrociate al petto – Non si sta affatto male, qui-
    -    Direi proprio di no- annuì la rossa, sorridendo – Davvero, è un posto fantastico, riserva continue sorprese-
    -    Sono contento. Che ti trovi bene, intendo. Ti trovi bene, vero?-
    -    Yusei, credo tu abbia ormai capito che se una cosa non mi sta bene, lo faccio capire-
    -    Lo so rosellina, la domanda era retorica. Ultimamente mi sei parsa...strana. Distratta. Come se qualcosa ti preoccupasse-

Era anche attento. Davvero, cosa poteva chiedere di più ad uomo? Aki si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo.
Yusei era davvero strano, sotto molti punti di vista. Non era solo per il suo essere, per la maggior parte del tempo, silenzioso e accigliato, e non centravano solo il suo tatuaggio e il segno dorato che gli percorreva il volto: sembrava capace di leggere le persone bene quasi quanto Atem, con la differenza che lui non faceva strani giochi con la mente e la percezione altrui. E l'aveva notato anche vedendolo a confrontarsi con Judai o i due Yu che l'aiutavano al bancone: Yusei sembrava preoccuparsi sempre molto per loro, allo stesso modo di come li riprendeva aspramente quando combinavano qualche guaio dei loro. Per qualche motivo, Aki era convinta che tutto quel riguardo che nutriva nei loro confronti, Yusei non lo riservava per sé stesso.
Le cicatrici sulle braccia le davano conferma. Non erano molte, ma erano piuttosto profonde e brutte: una gli attraversava diagonalmente il dorso della mano destra, un'altra spuntava da sotto la stessa manica. Un altro taglio, più lungo e profondo, gli incideva l'interno dell'avambraccio sinistro, e qualcosa le diceva che quel bel tatuaggio a forma di testa di drago servisse a coprire un altro segno.
Perché? Come se li era procurati?
    -    Ne vuoi parlare?-
La voce di Yusei era sempre bella, però. Bassa, lievemente vibrante, capace di diventare forte quando c'era bisogno di dare ordini o richiamare qualche collega indisciplinato. Sembrava capace di accarezzarla e metterle sicurezza solo con le parole.
    -    ...Niente di così particolare- disse poi lei, scrollando le spalle – Ho sentito i miei, ultimamente-
    -    Oh. Tutto bene?-
Glielo chiese con quel tono sincero ed interessato di chi sapeva cosa le stava passando per la testa.
    -    Sì beh, non abbiamo parlato molto, io e mia madre. Andava piuttosto di fretta-
    -    Sbaglio o non è la prima volta?-
    -    No, non sbagli-
    -    Beh, che cosa vi siete dette allora? Cos'è che ti fa preoccupare così tanto?-
    -    L'invito ad un ricevimento di famiglia-
    -    Oh?-
    -    Un mio cugino intende ufficializzare il suo fidanzamento, e seguendo la tradizione familiare verrà tenuto un ricevimento nella tenuta di famiglia-
    -    Credo di aver capito: è quella roba che si vede anche nei film? Con i teli bianchi, i sommelier, i camerieri e tutti vestiti eleganti, a far finta di essere interessati reciprocamente all'intera faccenda mentre scroccano cibo a buffet e si vantano di loro meriti gonfiati ad arte?-
Neanche un cavaliere su un destriero bianco mentre le porgeva un mazzo di rose avrebbe creato quella stessa vertigine allo stomaco. Aki annuì, passandosi una mano sul collo.
Era anche capace di sfoderare del sarcasmo così artistico e raffinato, che si stupiva di come non si trovasse uno stuolo di pretendenti sotto il portone di casa. E lei si era innamorata di uno così.

Il cuore le mancò un battito.
Innamorata?
Innamorata?!
Un mezzo sorriso le curvò le labbra, gli occhi che vagavano nel vuoto.
Era stato stranamente semplice, più di quanto pensava, ammetterlo a sé stessa. Se ne stava innamorando, piano piano, con quella centellinata lentezza di un fiore che schiude i petali. A furia di conviverci, di passare ore insieme, e di trovare le affinità mentali più disparate, se n'era davvero invaghita, come la più stupida e frivola protagonista di romanzetti rosa.
    -    Sì, proprio così- rispose Aki, arricciandosi una ciocca intorno all'indice sinistro.
    -    Ah beh, buona fortuna allora, sai che barba...- borbottò Yusei, stringendosi nelle spalle.
Aki prese un profondo respiro, ignorando il desiderio di fracassarsi il cuore in mille pezzetti minuscoli. O mettergli le mani al collo, la tentazione era molto forte.
    -    E mi hanno gentilmente invitata a non presentarmi da sola- continuò poi, con una lieve nota d'imbarazzo nella voce.
    -    Sarebbe?-
    -    Sarebbe che presentarsi ad un ricevimento di fidanzamento, senza qualcuno al tuo fianco...non è considerato molto elegante-
    -    ...Non ha senso questo, lo sai vero?-
    -    Certo-
    -    Insomma, dov'è scritta questa regola? Se non ho nessuno, o nessuna nel mio caso, al mio fianco è perché forse non la trovo? Non c'è nessuno che sia realmente disposto a stare con me? Succede, l'anima gemella non si trova subito...ma non per questo ti meriti di essere eclissata o cose del genere-
    -    Io sono eclissata a prescindere, Yusei. Lo sono da quando ho deciso di staccarmi dal mio nucleo familiare-
    -    A maggior ragione! Se davvero non sei più così importante per loro, presentarsi da sola o presentarsi in compagnia che differenza fa?-
    -    Non lo so. Bel mistero anche questo-
    -    Mmmh...hai trovato l'accompagnatore, almeno?-
    -    Macché. Le uniche persone con cui ho contatti con abbastanza frequenza siete voi. Non mi è interessato fare amicizia col vicinato. Tra l'altro c'è quella specie di arpia del piano di sotto che è convinta io voglia rubarle il marito, la mia non è una convivenza felice-
    -    Cosa non si fa per denigrare le ragazze giovani e carine, eh?...vengo io-
Ci mise un po' per registrare il reale significato di quelle parole, ma quando Aki comprese cosa avesse realmente detto, sentì le guance andare letteralmente a fuoco lento. MOLTO lento.
    -    Co-come?!- domandò poi lei.
    -    Mi hai sentito, no?- rispose Yusei, le braccia conserte al petto e un'alzata di spalle – Ti farò da...accompagnatore. Così non sarai da sola-

    -    Yusei...no-
    -    No?!-
    -    No, davvero. Ti ringrazio per la proposta, sei molto carino ma-ma non posso. Non posso-
    -    Non puoi cosa? Che vuoi dire?-
    -    Non posso costringerti a passare una giornata in quell'assurda casa, con quell'assurda gente e quell'assurda atmosfera di perbenismo forzato perché si deve apparire perfetti ad ogni costo! La famiglia felice del cazzo!-
Aveva urlato?! Non se n'era resa conto, ma gli sguardi lanciati dai suoi compagni parlavano molto chiaro. Aki si lasciò sfuggire un sospiro, accarezzandosi le braccia lasciate nude dalla camicia senza maniche.

    -    Ti ringrazio Yusei, ma...devo farlo da sola- rispose poi – Tanto non mi importa davvero di cosa pensano, di me. Io non...Yusei?!-
Si era allontanato senza dirle niente, tornando al suo bancone, cominciando a preparare qualcosa con grande foga e senza smettere di guardarla. Con il cielo che imbruniva alle sue spalle, Yusei sembrava averne rubato il colore con i suoi occhi, resi affilati dallo sguardo intenso che tanto resemblava quello del suo drago. Aki rimase in silenzio, incapace di sostenere il suo sguardo a lungo e spostando i suoi occhi nocciola sulla palma vicina al bancone.
Tornò da lei con un bicchiere collins in mano: Aki riconobbe il suo analcolico preferito. Yusei le fece cenno di prenderlo, la ragazza accettò nonostante la titubanza iniziale.
    -    Se non ti importasse davvero di cosa pensano, non ti ci arrovelleresti il cervello con tanta intensità, o no?- le domandò allora, le mani sui fianchi.
Aki alzò gli occhi verso di lui, osservandolo con lo sguardo sperduto di un animale a cui erano state tagliate tutte le vie di fuga. Yusei si convinse a sciogliersi un po', se non altro per tranquillizzarla e non apparire come un grosso, burbero bacchettone mangiatore di ragazze indifese.
Sentiva distintamente gli occhi di Judai puntati addosso. Quasi gli sembrava di vederlo alle sue spalle, accanto al tavolo del buffet, a sgraffignare stuzzichini quasi fossero pop-corn in una sala cinema.
    -    Ti comporti come se non te ne importasse niente, e invece te ne importa eccome- incalzò il giovane – Altrimenti non ci staresti così male. Anzi, con ogni probabilità avresti silurato l'invito. Avresti inventato qualcosa del tipo “No no, ho mal di testa” o una di quelle scuse idiote da femmine e ti saresti risparmiata l'incombenza e l'umiliazione. E sinceramente, dopo aver ascoltato quel poco che mi hai confidato--

    -    Quel poco che ti ho confidato non significa nulla!-
  -    Ah davvero? Bocciare ogni iniziativa della figlia non significa nulla?! Ascoltami bene: mio padre è sparito prima che io potessi camminare decentemente, e di mia madre ho a malapena una foto, ma qui non serve un genio per capire che questo è scorretto!...O forse sono i segni che ho addosso il problema?-
    -    I...segni?!-
Istintivamente, lo sguardo di Aki si posò sul tatuaggio dorato che si allungava dall'occhio sinistro.
    -    Ho fatto degli sbagli, è vero- sbottò poi – E tanti anche, alcuni anche grossi. E ho pagato per ciascuno di essi. Non mi pento né mi vergogno di quello che ho fatto, perché era tutto solo per aiutare chi mi stava accanto!-
    -    Ora sei tu che stai fraintendendo. Non ho pensato a quello- rispose Aki, con uno sbuffo – Io...io voglio solo evitare di mettere nei guai gli altri, perché è così che finisce sempre. Ovunque vada, succede qualcosa!-
    -    Aki...! Oh santo cielo...! Vie-vieni con me, forza. Dai!-

Incalzata dal barman, la rossa lo seguì docilmente dietro al bancone, incapace di riconoscersi nel suo atteggiamento. Chiunque altro le si fosse rivolto con quel tono avrebbe rischiato di perdere un braccio, come minimo...e lui le aveva appena sbraitato in faccia, con un'aria non esattamente gentile. Eppure non si era tirata indietro né aveva provato l'impulso di rispondergli a tono.
Perché?! Cosa stava succedendole?!
Affranta, prese un sorso di analcolico: neanche a dirlo, era dolce come quello dell'altra volta. Si leccò le labbra, confusa.
Non era giusto, non era pronta per una cosa del genere.
    -    Non so nello specifico cosa succedesse in casa tua- riprese il giovane, scrivendo qualcosa al cellulare e poi lasciandolo sul ripiano – Mi hai raccontato il raccontabile, immagino. Quello che si poteva dire senza esagerare. Ma se stai così male al solo pensiero deve esserci un motivo valido-
    -    ...Io non sto male-
    -    Continua a raccontarti belle favolette, Aki. Guarda che si vede, è palese-

Lo era davvero, e Yusei non comprendeva il perché tutta quell'ostinazione a volersi chiudere in sé stessa e privarsi di un contatto umano vero. Altro che mettere su le spine, Aki era l'unico fiore all'interno di un intricato groviglio di rovi e faticava a sbocciare.
Eppure era così dannatamente evidente, che Yusei sentiva il proprio sistema nervoso saltargli in blocco. Era preoccupata, era visibile in ogni suo sguardo e gesto: sorrideva ma non più come l'avevano conosciuta, era più seria e accigliata e restava fin troppo tempo in silenzio. Nei precedenti giorni, quando l'aveva aiutato al bancone, aveva a malapena spiccicato parola.
Cosa scattasse, nel cervello delle ragazze, da far loro rispondere “Niente” alla domanda “Che c'è?”, Yusei non l'aveva mai capito. Così come non aveva mai compreso cosa spingesse le persone a negare i propri malesseri. Ma il cambiamento in Aki era stato così radicale che l'aveva prima insospettito e poi preoccupato.
    -    Stai male, e vuoi nasconderlo. Intento nobile ma vano, perché come avrai capito si vede- rispose poi – E io non intendo lavorare con una musona-
    -    Io non sono una musona- lo rimbeccò lei, protendendo le labbra in un delizioso broncetto che lo fece sorridere.
    -    No?! E che cosa stai mettendo su adesso? Aki, se non vuoi che venga dimmelo, liberissima di farlo, rispetterò il tuo desiderio! Tra l'altro ho sbagliato, lo ammetto, ad autoinvitarmi come un cretino, ma cosa posso farci? Vedo una mia collega stare male, preoccuparsi, e mi preoccupo anche io! E adesso perché sei tu, ma poteva essere chiunque! Poteva essere Yugi, poteva essere Yuma, poteva essere quel fesso di coinquilino che mi ritrovo...-
Alle loro spalle, Judai imprecò quando gli cadde dalle mani un pezzetto di formaggio.
    -    Poteva anche essere il tuo gatto per quello che ne so io...-
    -    Mai avuto gatti, sono animali opportunisti che considerano le persone mobilio a sangue caldo-
    -    Aki, era un modo di dire...-
    -    ...Perdonami-
    -    Figurati, per così poco! Ma il senso della storia rimane. Stai male, sei mia collega e amica ed è lecito che mi preoccupi per te. È così che fanno gli amici, giusto? GIUSTO BESTIE?-
    -    Giusto!- esclamarono in coro Yuma e Yuya, ancora a litigare con i vari cavi e fili.
    -    Così funziona, tra amici. Sempre che tu mi consideri amico, ovviamente-

Eh, bella domanda. Il ragazzo che popolava i suoi sogni notturni da due settimane, ormai, era catalogabile come “amico”? Aki si mordicchiò l'unghia del pollice, poi scosse il capo.
    -    Proprio perché ti considero un caro amico, voglio evitarti il supplizio- gli rispose poi – Perché soffrire in due quando uno basta?-
Yusei sembrò deporre le armi: alzò le mani in gesto di resa e sorrise.
    -    Non insisterò- disse poi – Ma qualsiasi cosa, anche se dovessi ripensarci nel cuore della notte, non farti scrupoli, okay?-
    -    Okay-
Aveva davvero il sorriso più bello del mondo.
    -    Ehi, ora che mi viene in mente...hai il cellulare con te?- le chiese allora in tono curioso.
    -    Sì-
    -    Posso?-
    -    ...Accomodati-
    -    Puoi sbloccarmelo prima?-
    -    Cosa vuoi fare?- domandò allora Aki, mentre inseriva rapidamente il codice di sblocco.
    -    Solo controllare una cosa. Dammi un secondo...-
Aki rimase ad osservare assorta il volto di Yusei, concentrato sullo schermo: gli occhi blu riflettevano debolmente la sua luce.
    -    Ehi, non hai il mio numero? E non ti vergogni?-
Glielo disse col sorriso, e Aki realizzò che le sue capacità di comprensione si erano notevolmente ridotte. La rossa lo vide digitare velocemente un numero sulla rubrica e salvarlo, prima di restituirle lo smartphone.
    -    Ecco qua! Immagino passerai l'intera giornata al telefono, no?- le domandò poi – Ebbene, se avessi voglia di farti una chiacchierata, o anche solo di inviare qualche messaggino, hai anche il mio numero!-
    -    O-okay!-
    -    Ora me lo fai un sorriso? Uno dei tuoi, dai...quello bello!-
E se glielo chiedeva così era impossibile dirgli di no. Le labbra di Aki, appena colorate dal gloss, si stesero in un dolce sorriso che sembrò riflettersi sul volto di Yusei.
    -    Adesso va molto meglio- le disse poi, prima di alzare lo sguardo e rivolgersi ai due Yu – Ehi voi! Che diavolo combinate laggiù?!-
    -    Che cosa vuoi che ti dica! Ho il gomito sdrucciolevole!- esclamò Yuma, una volta terminato di districarsi da quello che sembrava un autentico groviglio di fili e cavi.
    -    Ma cosa vuol dire!- sbottò Yuya, le mani infilate tra i capelli bicolore – Esiste una cosa come il gomito sdrucciolevole?!-
    -    Certo che esiste! Guarda qua! Guar-- no, devi guardarmi però! Prendo il cavo...comincio ad arrotolarlo LENTAMENTE intorno alla mano e al gomito...e alla fine mi ritrovo COSÌ! Ti sembra normale?!-
    -    Tu non sei normale, Yuma...-
    -    Ha parlato lo stramboide...il bue che dà del cornuto all'asino, proprio!-
Yusei si scusò frettolosamente con Aki, dirigendosi a passo di carica verso i due Yu.


****

La ragazza dai capelli verdi si chiamava Kotori e, intuibile, era grande amica di Yuma. Ultimamente si vedevano poco, a causa del lavoro di lui e degli impegni universitari di lei, ma quella sera era riuscita a ritagliarsi finalmente del tempo per andare a trovare il suo migliore amico. Era tremendamente carina e tenera, molto in confidenza con Yuzu, un po' meno con Mai, ma con la seconda il problema era generale: nessuna, perfino Anzu, sembrava capace di reggere le sagaci battutine maliziose della bella cantate che si sarebbe esibita la seguente serata.
Sul palco, quella sera, c'era di nuovo il corpo di ballo delle “ventriste”, come le aveva chiamate Judai. Tra le melodie orientali, le percussioni e i campanelli, erano una decina le ragazze che muovevano i loro corpi a ritmo di musica, giocando con veli, trasparenze, ventagli e spade turche, allietando gli occhi della folta clientela del Pharaoh's Kingdom. Alcuni di loro erano già in acqua, a rilassarsi tra le bolle dell'idromassaggio: Aki provava giusto un po' di invidia per loro, così tranquilli e distesi mentre lei stava lentamente cominciando a sudare un po' troppo. Fare avanti e indietro a quella temperatura era molto più faticoso del previsto, e l'avere le braccia completamente nude non aiutava affatto.
Dovette passare la mezzanotte, prima che Atem decidesse di mostrarsi, a modo suo.
L'aveva visto da lontano: era rimasto a parlottare con Yugi per qualche attimo, invitandolo ad usare il cellulare per una foto – o video, con un gesto inequivocabile. Si era poi chinato a terra e aveva cominciato a slacciarsi le scarpe, sotto lo sguardo divertito ed incuriosito dei presenti. Chissà cosa pensavano, in quel momento.
Forse che il proprietario del Pharaoh' Kingdom fosse un po' suonato.
Lasciò le scarpe accanto a Yugi, intento a riprendere tutta la scena con il suo smartphone; Atem gli lasciò in consegna anche il suo portafoglio, il telefono e la giacca. Slacciò uno ad uno i bottoni della camicia, gli porse anche quella; poi si voltò con un gesto fluido, e si diresse verso la piscina, sotto lo sguardo incuriosito degli avventori. Qualcuna fece un sottile commento di apprezzamento, appena percettibile: con la coda dell'occhio, la rossa individuò Mana voltarsi verso la voce. Non se la sentiva di giurarci, ma sicuramente aveva lanciato un'occhiataccia in quella direzione. Totalmente ignaro, assorto in qualche suo pensiero, Atem mise piede sull'acqua.
In un primo momento, Aki pensò di aver visto male: sbatté gli occhi incredula, lasciando ricadere le braccia ai lati del suo corpo e reggendo a stento il suo vassoio vuoto, ma le esclamazioni di stupore di chi era lì intorno le fecero intendere che no, non aveva visto male, stavano tutti guardando la stessa cosa. Atem mosse un passo dietro l'altro con naturalezza, come se stesse ancora camminando sul pavimento: l'acqua sotto i suoi piedi nudi vibrava appena, dipingendo piccole onde circolari che si espandevano piano piano ma non si apriva per inghiottilo, come se una forza invisibile si concentrasse sotto le sue piante e lo sostenesse. Arrivò così fino all'altro lato della vasca, lì dove il fondo toccava il metro e mezzo: si inginocchiò, portando le ginocchia a contatto con l'acqua: quella vibrò ancora, senza subire altre variazioni. Atem immerse le mani nell'acqua, quasi a volerle lavare, le passò entrambe tra i capelli, inumidendoli un poco prima di alzarsi in piedi e lasciarsi cadere all'indietro, le braccia spalancate.
L'acqua si spalancò appena la sua schiena la infranse, e lo inghiottì in un abbraccio bluastro. Qualcuno si alzò dalle poltrone per osservare meglio, tutti si avvicinarono al bordo della piscina, aspettandosi di rivedere Atem risalire. L'acqua ritornò calma e piatta com'era prima del tuffo, e del Faraone non sembrava esserci traccia, neanche sul fondo della piscina.
Riapparve sul palco, attirando l'attenzione generale con un singolo, secco battito di mani: completamente rivestito di camicia e scarpe, la giacca posata sulle spalle al suo solito modo, non aveva un centimetro di pelle o indumento che fosse bagnato o appena umido, come se mai si fosse tuffato. Yugi trasalì alla scena, si toccò con la mano sinistra le tasche dove Atem gli aveva infilato portafoglio e telefono, ma fu lui a cavarli fuori dalle sue tasche e mostrarglieli con un grosso sorriso. Il ragazzo non smise mai di filmare.
E come la precedente volta, Atem ignorò gli applausi festosi della folla colpita dalla performance. I suoi occhi si spostarono lontano, verso l'unico, silenzioso spettatore che non lo acclamava.

L'intera crew del Pharaoh's Kingdom si gelò sul posto.
Seto Kaiba era rimasto sulla soglia della porta di vetro; impeccabile nel suo completo nero e la cravatta blu, osservava Atem da lontano, con due occhi blu che sembravano inchiodare chiunque sul posto. E nessun altro a parte loro sembrava essersi reso conto della sua presenza, a parte Atem ovviamente. Scese dal palco delle esibizioni e scomparì momentaneamente nella folla, prima di ripresentarsi e fronteggiare il rivale occhi negli occhi.
Aki si allontanò prudentemente, osservandoli in disparte. La differenza di altezza tra i due era lampante: forse era Kaiba ad essere esageratamente alto, e la sua figura stoica e impassibile contribuiva a far sembrare chiunque più piccolo, ma torreggiava sul Faraone con sguardo impietoso e labbra strette. Atem gli rivolse un mezzo sorriso, gli occhi ametista che scintillavano.
    -    Di nuovo, buonasera- esclamò poi – A cosa devo il piacere della tua visita?-
    -    Ti piace sempre perdere tempo con i convenevoli, a quanto vedo- rispose Kaiba, la voce gelida tanto quanto i suoi occhi.
    -    E a te piace sempre svincolare da qualsiasi tipo di parola gentile da rivolgere al prossimo. Certe cose non cambiano mai-
    -    ...Una settimana è passata, Atem-
    -    Davvero? Il tempo vola, ragazzi...-
    -    Ho temuto avessi abbandonato la sfida-
Sfida? Di quale sfida parlavano? Aki sbatté gli occhi incredula, mentre il Faraone prendeva a giocherellare con un mazzo di carte dal dorso dorato, uscito da chissà dove.

    -    L'idea non mi ha mai minimamente sfiorato il cervello- rispose Atem, con un sorriso e un'alzata di spalle, mentre le percussioni scandivano il ritmo della nuova esibizione – Semplicemente volevo farti sbollire un po' di adrenalina-
    -    Sbollire, dici. A me-
    -    A te-
    -    Pensi ne avessi bisogno?-
    -    Il tuo scherzetto è quasi costato un cuore nuovo-
    -    Cose che capitano-
    -    Non si gioca con la vita altrui-
    -    Proprio tu ne parli-
Fu un attimo. Un solo, insignificante momento sospeso nel tempo, ma fu percettibile a tutti loro che gli stavano intorno, Kaiba compreso. Per la prima volta da quando era comparso, il suo inflessibile sguardo era lievemente vacillato, in risposta alla stilettata inflittagli dagli occhi ametista del Faraone, rabbuiatosi all'improvviso.
    -    Sappiamo entrambi come sono andate le cose- concluse lui – E quale prezzo è stato pagato. Io non commetterò lo stesso errore una seconda volta, ma non lascerò certo che sia tu a farlo-
    -    Se è questo che temi, allora puoi rasserenarti- rispose Kaiba, sostenendo il suo sguardo - Non intendo sbagliare, io-
    -    Felice di sapere che il tuo egocentrismo non ha del tutto ingoiato il tuo buonsenso!-
Il Faraone si sciolse finalmente in un sornione sorriso; in quel momento, Aki riprese a respirare autonomamente. Con un veloce, fluido ed elegante gioco di dita, Atem aprì il mazzo di carte a ventaglio, lo richiuse, lo divise in tre piccoli mazzetti che fece ruotare sapientemente tra le sue dita, fino a mostrare a Kaiba un'unica carta.
    -    Your move- gli disse poi, senza perdere il suo sorriso.
La carta mostrata era un singolare jolly: il corvo nero se ne stava fieramente appollaiato su una Regina caduta, posata di traverso su una scacchiera. Kaiba abbassò gli occhi sulla carta, osservandola impietoso.
Il corvo si voltò verso di lui: tre occhi si schiusero all'unisono.

****



    -    Quel tipo mi fa paura. Mi fa paura davvero- mormorò Aki, stringendosi nelle spalle.
    -    Non piace neanche a me- confermò Yusei, tornato da una lunga serie di bracciate – Ma ad Atem sembra stare mortalmente simpatico. Il perché o il come sia possibile non lo conosco-
Aki si strinse nelle spalle, continuando a dimenare le gambe nell'acqua, seduta a bordo piscina. All'altra sponda, dove l'acqua era più profonda, Yuma, Yuya e Yugi stavano divertendosi con una serie di tuffi sincronizzati, mentre le tre rispettive compagne si divertivano a scattare foto. Alexis era seduta ben comoda nella porzione di vasca riservata all'idromassaggio, e chiacchierava con Judai che, lì vicino, galleggiava sulla schiena. Atem stava facendo qualche gioco di carte a Mana e Mai, usando lo stesso mazzo di carte dal dorso dorato.
    -    Che ti è parso, di questa serata? Piaciuta?- domandò Yusei, appoggiandosi con i gomiti a bordo della vasca. Aki gli sorrise e annuì.
    -    Non avevo ancora visto la terrazza, non pensavo fosse così bella- rispose poi, l'indice sinistro che si arrotolava intorno una ciocca scarlatta.
    -    A fine turno, il bagno qui è d'obbligo. È bello vedere il sole sorgere-
Anche stavolta, Aki non poté fare a meno di annuire. Sorrise, osservando distratta il volto di Yusei, a sua volta perso nella contemplazione di qualcosa di irraggiungibile, un punto lontano a lei non visibile.
Era bello guardarlo anche così, con il volto assorto in chissà quale pensiero. In quei momenti, il suo sguardo si scioglieva in un'espressione più serafica, più rilassata, come un mare che si chetava dopo una forte burrasca. E del mare aveva il colore degli occhi, l'azzurro chiaro dell'acqua a riva e il blu profondo del largo: il contrasto che avevano sulla pelle ambrata era destabilizzante, così come quello delle sue cicatrici sulle braccia e sull'addome.
Quando l'aveva vista per poco non le era cascata la mandibola a terra, e con suo grande scorno Judai se n'era accorto, scoppiando a ridere come un pazzo. In effetti, e questo lo aveva notato con un certo imbarazzo, i suoi occhi avevano indugiato troppo sul ventre del ragazzo: solo non se l'aspettava di trovarselo di colpo davanti così, non aveva colpe!
Non era stato un problema, per lei, mettersi in costume di fronte a degli sconosciuti, lo faceva periodicamente ogni estate nelle sue giornate al mare, ma sapeva che il vero problema sarebbe sorto quando anche Yusei li avrebbe raggiunti in piscina, e così era stato: era rimasta qualche secondo di troppo ad osservargli il torace piacevolmente affusolato, con i muscoli addominali in risalto contro la pelle e quelli del petto turgidi e sodi, ed era stato allora che Judai non aveva potuto fare a meno di puntare il dito sui suoi occhi scintillanti. Il suo sguardo, però, era stato attirato anche dal segno che lo attraversava sul ventre, sfregiandogli la pelle in diagonale poco sopra l'ombelico: ad occhio superava di poco la decina di centimetri, ma era la sua estensione a preoccupare. Sembrava che qualcosa avesse scavato a fondo nel suo corpo una prima volta, infliggendogli il taglio più grande, prima di sferrargli altri due colpi che si erano richiusi trasversalmente sulla prima cicatrice: Aki tremava al solo pensiero, ma quelle sembravano davvero ferite da arma da taglio.
Come se l'era procurate? Yusei aveva detto di aver commesso degli errori in passato, errori che aveva pagato: centrava forse qualcosa con le sue cicatrici? E con il segno dorato sul suo volto?
    -    A che pensi?- domandò ad un certo punto il ragazzo, spostando gli occhi su di lei. Aki si riscosse, sbattendo gli occhi e stringendosi poi nelle spalle, in un gesto che Yusei le vedeva fare spesso e che trovava piuttosto tenero.
    -    A domani- rispose poi lei – Alla bella mattinata che mi aspetta-
    -    Mi prometti di chiamarmi, se succede qualcosa?-
    -    Cosa dovrebbe succedere?-
    -    Non lo so, ti stufi o litighi con tutti o sei ad un passo dallo strangolarli uno dietro l'altro-
Aki scoppiò a ridere, reclinando il capo all'indietro, gli occhi chiusi. Yusei puntellò il capo contro una mano e rimase a guardarla, aspettando che il suo scoppio d'ilarità si arrestasse ma imprimendosi bene nella mente quell'immagine.
Era raro vederla così rilassata e sorridente, ed era un vero peccato: non meritava tutte quelle preoccupazioni, non lei che si mostrava così volenterosa e moralmente buona. Se la stampò bene in mente la sua figura, seduta a bordo piscina mentre si sosteneva con i palmi delle mani, il bel sorriso che la ornava meglio di qualsiasi gioiello, i capelli rossi che le facevano da cornice e i begli occhi rivolti al sole che nasceva. Lo sguardo accarezzò le ciocche rosse lasciate più lunghe, scendendo fino al bel seno ricoperto dal due pezzi rosso.
Judai li stava osservando, e lo sapeva. Sentiva gli occhi del castano rimbalzare prima su Aki e poi su di lui, e chissà cosa lo stava trattenendo dal tirargli qualche insulto.
    -    Se succederà qualcosa sarai il primo a saperlo, te lo prometto- sorrise lei, voltandosi a guardarlo.
    -    Domani sera sei in turno?-
    -    No, ho preso l'intera giornata-
    -    Se non sei stanca ti va di passare? Non saremo in terrazza ma ci divertiremo lo stesso-
    -    Va bene!-
Aki sorrise, tornando ad osservare il sole sorgere oltre la cima dei grattacieli.
Chissà se anche quello era classificabile come “appuntamento”.


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Numero dieci, qui tutto per voi!
Come vanno le cose ragazzi? Qui sto spadellando tra manuali di preparazione in vista di un test d'ingresso universitario, sono impegnata in uno studio matto e disperatissimo e il ventilatore non basta ad alleviare le mie sofferenze per colpa del caldo...
Vi anticipo subito che il mese corrente verrà due aggiornamenti! Questo perché il capitolo attuale è stato rivisto e caricato in ritardo, e per quello che seguirà...beh, con tutto quello che avrò da fare durante il mese potrei ritardare ulteriormente la pubblicazione.
Intanto vi mostro qui, tramite link, la meravigliosa MV Agusta F4 Replica del Reparto Corse Superbike! Vero e proprio capolavoro motociclistico italiano, una delle moto più belle in circolazione! Yusei era felice come un bambino.

Ragazzi, ammetto di avere carenza di argomenti in questo ultimo periodo...sono forse troppo stressata e stanca. Ma se avete qualcosa da chiedermi, potete farlo! Messaggio privato, una recensione, quello che più vi piace!
Ci sentiamo presto <3

Rosaspina
   
 
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