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Autore: ClodiaSpirit_    03/08/2018    3 recensioni
- Si alzò in piedi, insieme all’onda del pubblico coinvolto dall’esibizione, applaudendo.                                                                                                                                     
[...]  Nonostante quello sguardo fosse lontano, Alec poté indovinare che erano diversi rispetto a quelli che aveva visto tante volte. -
Alec è un ragazzo intelligente, giovane, eppure gli manca qualcosa di fondamentale: vivere.
Ma cosa succede quando Alec comincia a fuggire e a rintanarsi a Panshanger Park, durante uno spettacolo dato dal circo? E soprattutto, chi è l'acrobata che si cela e cerca dietro tutti quei volti?
Cosa succede quando due mondi opposti ma simili per esperienze di vita si incontrano?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Clodia's: Buongiorno ragazzi. Sono tempi duri, ieri il cast si è scatenato
e ha provocato una rivolta di kleenex e pianti a go-go.
Ringraziamo anche Todd per questo regalo.
Btw, I don't give up, we'll change this ShadowFam's destiny...
Riusciremo a cambiare la sorte e a far ragionare chi deve ragionare.
Adesso vi lascio a questo capitolo, molto freudiano come avevo detto a Rob.
Già dal titolo lo si può percepire, gn.
Buona lettura nice people.




Quando rientrò in roulotte Magnus si sentì stranamente leggero. Era come se il peso di tutta quella giornata si fosse annullato. Accese la piccola lampada a goccia poggiata su un piccolo vaso abbastanza alto da poterlo raggiungere senza abbassarsi. In fattore di gusto, era sempre stato pretenzioso. Non che fosse una novità, però di quel poco che guadagnava, Magnus spendeva in cose belle. Anche l’occhio voleva la sua parte.
Si sciacquò la faccia, l’acqua uscì presto dal rubinetto del lavabo del piccolo bagno e si fermò ad asciugarsela una volta finito con l’asciugamano all’angolo della doccia. Quella sera non si era truccato molto e gli bastò passarsi un detergente per poi strofinarsi il viso con un fazzoletto, che catturò i pochi segni sporchi artificiali della pelle. Si fermò per qualche secondo, analizzandosi allo specchietto misero, che non arrivava nemmeno a riflettere interamente le sue spalle o il suo petto.
Anche in quella situazione che andava avanti da anni, una vita passata da nomade, a saltare da città in città senza fermarsi un attimo ogni tanto gli capitava di vedersi slegato da quell’ambiente, impegnato in altro. Però poi pensava alla sensazione che gli scorreva dentro quando si muoveva sulla croda o sul nastro e allora riavvolgeva tutto. C’era una cosa che avrebbe cambiato assolutamente, una cosa che teneva solo e unicamente per sé. Si osservò allo specchio, scoprendo lo spazio tra la clavicola e l’inizio della spalla. Quello che vedeva gli faceva salire la bile, gli distruggeva subito quel momento di leggerezza che si era creato. Una striscia scura, un cerchio spezzato.
Serrò gli occhi e respinse via quell’immagine che gli colava addosso velenosa. Si spogliò piano, girando lo specchio verso la parete. Indossò una maglia dal tessuto bianco, un po’ gualcita ai lati, un po’ larga ma profumava di sapone e di bono. Completò con un paio di pantaloni da tuta striati e brillanti ai fianchi (li metteva in scena, ma erano i suoi preferiti) e levò le ciabatte. Scalzo, puntò al letto ripensando alla giornata che aveva passato.
La visita di Alec era stata inaspettata, ma piacevole. Era stato carino che si fosse interessato a ciò che faceva con così tanta curiosità. Magnus pensò a quelle sue strane sopracciglia folte, ma regolari… che sembravano cozzare per carattere con quegli occhi grandi, da cerbiatto. Gli era sembrato tutto sommato un ragazzo normale. Seppur riservato a suo modo, ma comunque socievole.
Si stupì di come solo dopo il suo arrivo era riuscito a completare quasi tutte le figure, poi si era stancato e siccome Mr. Sanders quel giorno non si era presentato per seguirli nelle prove, era andato a trovare Candace nella sua roulotte e poi aveva deciso di andarsi a stendere. Pensò che forse avrebbe potuto azzardare di più e provare a dare il suo numero a quello sconosciuto – che più tanto sconosciuto non era – o forse era troppo presto. Troppo banale. Non che avesse un cellulare nuovo, era quasi un mini rottame ( se si poteva definire così dal modello) ma gli avrebbe fatto piacere usarlo per qualcosa di utile e carino, come scambiarsi qualche messaggio. Magnus si ricordò che Alec gli avesse detto di non avere qualcuno. Questo lo fece riflettere.
Non aveva qualcuno perché non voleva nessuno o perché nessuno si era fatto mai avanti? Lasciando quell’interrogativo in sospeso, Magnus spense la luce alla sua sinistra e si girà dall’altra parte, concentrandosi sul suo stesso battito per potersi addormentare.




I giorni passavano e Alec trovava sempre un modo per sfuggire dall’ordinarietà quotidiana e arrivare al tendone. Quello che però non riusciva a fare era riuscire a prendere sempre lo stesso posto però. Certe volte capitava un po’ più spostato al lato di destra, altre a sinistra. La gente che copriva qualche volta sì e qualche no tutte le sedute a disposizione. Ogni venerdì si colorava, altre volte si accendeva come fuochi d’artificio e ciò che restava ad Alec era una serie di immagini viventi e pulsanti quando la sera aspettava di addormentarsi a casa. Era un po’come vivere un rullino di foto, però, quello che correva davanti a lui era il più delle volte l’immagine di un acrobata vestito di poco e che usava un semplice strumento per danzare in aria. Nei pomeriggi si ritrovava a disturbare dentro il tendone, puntuale come sempre, mentre l’acrobata l’accoglieva come meglio poteva.
La curiosità di Alec sembrava non fermarsi mai quando si trattava di Magnus e di quel mondo colorato.



La sera dopo prima di andare in scena, sembrava che fosse tutto tranquillo. Candace come al solito era nervosa e allora aveva cercato di calmarla come meglio poteva, Dustin aveva fatto scivolare le spade dalle mani più di una volta, Jay e James...beh, lasciamo stare. L'ultima volta che Magnus li aveva visti era durante l'allenamento e non erano molto in sintonia, più che altro discutevano di cose stupide in modo stupido.
Appena sentì Mr. Sanders presentarsi al pubblico e annunciare il primo numero, Magnus si sgranchì il collo. Le braccia gli ricadevano giù come budino. Pensò fosse dovuto a tutto l’esercizio di quei giorni ma ormai era fatta. Tra qualche secondo quel sipario si sarebbe spalancato e sarebbe cominciata la solita attesa per esibirsi. Mentre cercava di rilassarsi, Candace lo tirò per un braccio.
Magnus la assecondò e i due si ritrovarono all’estremità del tessuto rosso e pesante. La ragazza spostò leggermente il drappo e una piccola porzione si mostrò: c'era meno gente anche quella sera. Il che voleva dire meno soldi cioè incasso, il tutto veniva tradotto con una sfuriata del capo del circo. Magnus sospirò affannosamente.
« Candace non possiamo prevedere quanta gente ci sarà. Abbiamo già tolto due sere. Non abbiamo la sfera magica a portata di mano. » terminò infastidito. La ragazza per tutta risposta lo spinse dolcemente in avanti a guardare.
« La sfera magica no, ma il tuo sesto senso sì » rispose furbamente Candace. Magnus la guardò in cagnesco, come se avesse appena pronunciato un indovinello difficilissimo. Forse era quello che mancava al loro show: un mago. Avrebbe funzionato di più per stupire la gente, oltre che per le vendite. La ragazza gli diede un leggero buffetto sulla spalla. « Terra chiama Magnus »
« Sì, stavo cercando di criptare ciò che avevi appena detto. » arricciò il naso. Candace era una ragazza forte, risoluta, divertente, ma quando ci si metteva sapeva essere criptica come un libro centenario di aramaico impossibile a chiunque da interpretare.
« Quello che stavo dicendo è, » roteò gli occhi color castano cioccolato « che non sei realmente magico ma è come se lo fossi, guarda bene, » Magnus riportò gli occhi fuori osservando le sedute una ad una notando bambini, anziani, coppie « dimmi, c'è qualcuno che riconosci lì in mezzo? »
Magnus non capiva proprio dove la ragazza, nonché sua mica oltre che collega, volesse arrivare. Magnus osservò prima tutta la fila laterale a destra, poi tutta quella a sinistra. Un certo sentimento d'ansia lo colpì e non sapeva neppure lui spiegarselo. Che sciocchezza.
«Candace-»
« Sssh e continua a guardare » Per ultimo gli rimase la fila centrale. Andando per ordine, cominciò a dividere per età, sembrava che la gente si sedesse a scacchiera: adulti e bambini, anziani, coppie, adulti, bambini e anziani, coppie, coppie, anziani e... Magnus si ritrovò a sorridere inconsapevolmente. In uno dei posti centrali spostato più a destra c'era Alec. Non che lo avesse pensato subito, ma ne rimase felice. « Hai trovato quello che cercavi? » lo stuzzicò Candace. Magnus si scostò dal sipario. I lunghi capelli ricci della ragazza erano accolti in uno chignon pieni di gel quella sera.
« Candace, » pronunciò ogni lettera scandendola bene, le mise le mani saldamente intorno alle spalle « Non costruirti film nella tua testa perché non esistono » fu serio. Candace schioccò la lingua.
« Sarò anche lontana dalle vostre usanze o mentalità, » la ragazza si riferiva alle tradizioni di Magnus dato che non era nato né in Inghilterra, né in America « Ma una cosa la capisco bene: sei un grandissimo cretino. » concluse sfoggiando un sorriso caloroso. « E tu sei davvero simpatica quando fai così, Candace. » gli rispose Magnus frustrato ma esalando per finire un "ma ti voglio bene". I due si riavvicinarono agli altri, camminando abbracciati in una piccola morsa accogliente.


**



Quella mattina Alec si ritrovò immerso in un sogno strano, così com'era strano che avesse ripreso a sognare la notte. Si trovava sul precipizio di un burrone, non sapendo nemmeno lui come ci fosse arrivato, guardò sotto e vide un enorme voragine sotto i suoi piedi. Dell'acqua scura in profondità, scorreva veloce. Attorno a sé solo grandi ammassi di doccia calcarea, come quella su cui si trovava sopra. Cercò di tornare indietro, ma la roccia cominciò a tremare. Alec chiuse forse gli occhi pensando che non ne sarebbe uscito vivo. L'aria era ferma e soltanto il rumore dei sassolini sotto di sé riempiva le sue orecchie rimbombando sempre di più. Allora, visto che non c'era rimedio, provò a sporgersi lungo la linea interrotta e provare a gettarsi in acqua.
And all I need is a little escape citava una delle sue canzoni preferite nella testa. Si dimenò nelle coperte, sentendo tanto caldo, come se il sole lo stesse colpendo dappertutto in modo troppo forte.
Alec urlò e mugolò nel sonno, convinto di stare vivendo tutto il suo percorso: le rocce a forma leggermente aguzza era il rapporto con i suoi genitori, l'acqua era il suo rifugio in qualche modo, il deserto era quello che si sentiva dentro. Una mano però lo afferrò in tempo, trascinandolo via e in fretta, come se questo angelo avesse avuto le ali, Alec si ritrovò sulla terraferma, incolume. Alec si svegliò di soprassalto tutto sudato, la fronte imperlata, gli occhi completamente aperti, il fiato corto. Quel che aveva appena visto seppur nella sua immaginazione, lo aveva preso così tanto come se stesse davvero succedendo. Cercò di riportare il volto di chi lo aveva risvegliato alla normalità ma ricordò solo qualcosa di trasparente, un volto che non si celava. S'alzò, aprì tutta la finestra e in men che non si dica, la porta della camera si spalancò: Helena. Alec si toccò la fronte con la mano.
« Alexander » mormorò la madre con la voce impastata « che è successo? »
Alec si stupì di vedere sua madre preoccupata, era passato così tanto tempo. Sentì l'amaro in bocca.
«Niente... ho solo... » soffiò « era solo un sogno. Tutto qui » disse piano. Helena annuì lentamente, guardò il figlio quasi con malinconia.
« Se hai fame, » Helena indicò il corridoio « la colazione è pronta. Mi sono svegliata un po' più presto stamattina » Alec guardò la finestra, le tendine che oscillavano.
«Grazie, ma... » mormorò « Non ho tanta fame » Helena allora si avvicinò al figlio, legandosi a lui in un abbraccio. Alec fu doppiamente stupito di quel testo. « Ti ricordi quando, » cominciò lei « da piccolo facevi un brutto sogno e allora, riempivo sia te che Isabelle di scones, la mattina? » Alec poté giurare di sentire la voce della madre spezzarsi. Solo in quel momento il figlio rispose all'abbraccio. « Tu eri il primo a fiondarti in cucina, tuo padre non c'era e Isabelle arrivava dopo »
« Mi additava sempre di mangiare anche qualche sua porzione, » allargò le labbra in un sorriso nostalgico « me lo ricordo »
La madre rise piano e Alec ricordò com'era quando una volta la donna rideva sempre.
« Eri così felice… così piccolo, ogni volta pensavo non fossi mio figlio per questo e tua sorella, » era come se Helena stesse narrando un ricordo così lontano, come se stesse allungando la mano per catturarlo eppure quello, sfuggiva ogni volta che le dita arrivavano a sfiorarne la superficie « era una vera perla »
« Mamma… » Alec sentì il silenzio della sua testa completamente vuota. Non riusciva a pensare a niente, a cosa dire, a cosa fare in quel momento. Seppe solo che, subito dopo avvertì una scossa, come un singhiozzo che, purtroppo, non veniva da lui. Strinse le sue braccia intorno alla schiena della madre in una presa più salda e sicura.



**


« Credo di non aver visto mai nessuno muoversi così » riecheggiò la voce amichevole nell’ambiente spazioso, leggermente polveroso. Le luminarie spente per via della luce che filtrava dall’entrata lasciata aperta. Il ragazzo che stava ascoltando sorrise compiaciuto. Per un ragazzo di quindici anni, era un grandissimo complimento. Il migliore. Forse una cosa positiva per i suoi genitori, una cosa che lo afferrava e sosteneva dentro, pensò. Era tutto così nuovo e frastornante, ma era l’inizio. Il signore esile e lungo, una figura quasi da cartone animato, strinse la mano al ragazzo e quella la prese, un po’, molto più grande della sua. Magnus si srotolò nelle coperte, creandosi una coda al posto delle gambe. In testa gli rimase l’immagine di un piccolo che s’affacciava al mondo del circo, inesperto ma con una gran voglia di fare. Il ragazzo venne sfumato da un’altra immagine che ora si sovrapponeva: il sorriso della madre, mentre gli comunicava con tanta gioia la notizia appena ricevuta. Magnus si strinse al cuscino, le labbra si incurvarono per la bella memoria e ritornò a farsi cullare in questi bei ricordi.



Il mese stava quasi arrivando al suo termine. Le foglie stavano cadendo e gli alberi di Hetford town erano colorati di arancio, marrone e verde ormai secco. La gente andava in giro con i cappotti, i bambini venivano sgridati perché non si coprivano abbastanza, i negozi chiudevano prima adesso e i proprietari non vedevano l'ora di chiudere per ritornare a casa. Le stradine erano quasi sempre gremite di gente che andava e veniva, che si sedeva sulle panche perché stanca di camminare, che leggeva il giornale in solitudine. Era il ritmo del piccolo paese di contea che di scioglieva in inverno come dopo un letargo durato abbastanza. Si poteva percepire il fruscio degli alberi e ascoltarne la melodia anche guardandolo in alta velocità: le chiome ondulavano ma la corteccia rimaneva salda al suolo. La musica suonava forte nelle orecchie di Alec, mentre alcune persone affaccendate, altre con un sorriso, molte con l’aria stanca e infastidita si apprestavano a salire alla fermata dell'autobus che stava da lì a poco per partire.





« Su con quelle spalle, cosa sei gobbo per caso? » affermò quella voce autoritaria, mentre lo teneva sotto d’occhio. Magnus si sentiva tremendamente a disagio, nonostante amasse quello che faceva, come lo faceva e il perché. Si tenne stretto alla corda, stringendo, le sue mani erano bianche, fino alle nocche per lo sforzo. Soffiò fuori l’aria e la riprese subito. Si slanciò in avanti, cancellando l’aria e rimanendo sospeso. « Molto meglio, Magnus » annunciò più soddisfatta la figura che girava intorno all’aerea d’esibizione. Quella stessa figura si portò una mano al mento, grattandoselo. Il cappello veniva tolto per lasciare spazio a una delle sue mani che si liberava dal prurito, per ravvivarsi indietro il cuoio capelluto. « Ho bisogno di cinque minuti di pausa » esalò fuori Magnus, sudato e visibilmente esausto. La figura sembrò trasformarsi come sotto incantesimo in un attento animale nei confronti della sua preda, gli occhi erano fissi, puntati, come due luci così abbaglianti da portare chiunque a sviare lo sguardo. Magnus però sostenne bene quegli occhi: sfortunatamente li conosceva e sapeva che, quando capitava, riusciva a vincere piccole (seppur minime nei loro risultati) battaglie. L’uomo sospirò esasperata, mentre si sistemava il cappotto sul petto e si abbottonava alcuni bottoni sganciatisi dal gilet.
« Va bene, ma ti concedo soltanto questa » rispose secco e mal volentieri « E fai sì che cinque, durino almeno due, per favore » il suo broncio si abbinava perfettamente alla sua faccia metafora di camuffamento, ostilità, vanità: tutti aggettivi che facevano al caso suo. « Ah » aggiunse mentre se ne andava con le braccia incrociate, il sorriso celato sulle labbra « Per stasera voglio che tu mi raggiunga nel mio ufficio, » sospirò e ghignò « Se, ovviamente, riuscirai a raccogliere lo stesso clamore di due sere fa, ovvio » e dicendo così se ne andò dall’area del tendone addetta agli allenamenti. Magnus si sganciò dai due tessuti e atterrando dolcemente a terra, chiuse gli occhi, sentendo la bile salirgli in gola, respirò una, due volte, sentendo che quella sensazione non sarebbe mai sparita dentro di lui.
Recuperò l’acqua, vicino alle varie sedute, l’asciugamano e il cellulare. Questo, riportava un nuovo messaggio nella casella di posta, strano. Il numero gli sembrava nuovo. Si asciugò il collo e col pollice scorse verso su l’icona.

17:00 Scusami se non sono potuto venire oggi e se te lo stai chiedendo, sono Alec.

Certo, Alec.
Gli aveva dato il suo numero e siccome l’altro non sapeva riportarlo a memoria, lo aveva ricordato di farglielo sapere per memorizzarlo, attraverso un messaggio o una semplice chiamata. Magnus sorrise guardandosi attorno, accertandosi che nessuno lo stesse vedendo. Rispose immediatamente.

17:01 Nessun problema, anche perché oggi sarebbe stato difficile parlare…
Comunque grazie per avermelo ricordato, Alexander
.


17:02 Duro lavoro? O più bagno di sudore?

Magnus ci pensò su, ma non attese molto a rispondere digitando i tastini della sua scatoletta obsoleta.
17:03 Diciamo entrambe… ti va di sentirci stasera? Sempre che insomma, tu non abbia di meglio da fare. E’ chiaro…

17:04 Negativo, sono più che libero. Se tu non hai problemi…

17:05 Per niente. Adesso devo andare. A dopo Alexander.

17:05 A dopo : )
   
 
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