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Autore: MarySF88    04/08/2018    2 recensioni
Clexa ispirata al telefilm The 100.
Lexa si risveglia improvvisamente dopo la sua morte ma qualcosa non va. Non c'è Clarke vicino a lei né Titus, sarà stato tutto un sogno?
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 5, Nulla due volte

 

 

NULLA DUE VOLTE

 

Nulla due volte accade

né accadrà. Per tal ragione

si nasce senza esperienza

si muore senza assuefazione.

 

Anche agli alunni più ottusi

della scuola del pianeta

di ripeter non è dato

le stagioni del passato.

 

Non c'è giorno che ritorni,

non due notti uguali uguali,

né due baci somiglianti,

né due sguardi tali e quali.

 

Ieri, quando il tuo nome

qualcuno ha pronunciato,

mi è parso che una rosa

sbocciasse sul selciato.

 

Oggi, che stiamo insieme,

ho rivolto gli occhi altrove.

Una rosa? Ma che cos'è?

Forse pietra, o forse fiore?

 

Perché tu, malvagia ora,

dai paura ed incertezza?

Ci sei – perciò devi passare.

Passerai – e qui sta la bellezza.

 

Cercheremo un'armonia,

sorridenti, fra le braccia,

anche se siamo diversi

come due gocce d'acqua.

 

Wistawa Szymborska

 

 

“May we meet again.” una preghiera, un miracolo. Aveva incontrato di nuovo Clarke, ma ne era certa?

 

Le immagini comparse nelle specchio erano sparite così come erano apparse e Lexa aveva passato la successiva mezz'ora a camminare compulsivamente avanti e indietro per la stanza buttando occhiate di sfuggita alla superficie riflettente, di nuovo solida.

La sua mente stava assimilando le nuove informazioni, adattava i circuiti neuronali per far loro spazio ed esaminava tutte le possibilità che adesso le si presentavano davanti. In sostanza, era andata in confusione.

Adesso la sensazione, che aveva avuto fin dall'inizio, di non appartenere a quel mondo si era fatta più netta ed evidente. In qualche modo, da qualche parte, c'era il luogo dove aveva sempre vissuto e decisamente non era quello. Non era pazza, non aveva dimenticato, semplicemente lei non c'era mai stata. Non prima di morire almeno. Ma che cos'era ? Un altro mondo? Un sogno? L'aldilà? Forse si trovava dentro la Fiamma! Sì, certo! Probabilmente quella non era altro che una realtà alternativa proiettata dalla sua coscienza una volta che era morta e si era trovata a dover esistere all'interno di quel potente oggetto. Tanto potente che poteva persino mostrarle le immagini di quanto stava succedendo al di là!

Decise che era giunto il momento di mettersi a meditare per connettersi con gli altri che abitavano quell'illusione. Sedette, rigorosamente di fronte allo specchio, non voleva perdersi gli aggiornamenti dal “mondo reale”.

Incrociò le gambe, chiuse gli occhi e si concentrò sul punto in cui il respiro incontra la pelle, così come aveva sempre fatto.

Le stanze della sua mente erano spaventosamente vuote. Per quanto si sforzasse di comunicare con qualcuno, nel modo che le era naturale, nessuno rispondeva.

Aprì un occhio e si guardò intorno. Tutto era come prima, davanti a lei l'immagine di una ragazza un po' stupida con un occhio aperto e uno chiuso che scrutava sospettosamente sé stessa. La realtà intorno a lei non era cambiata di un soffio e la sua tangibilità non sembrava essersi scalfita nemmeno un po'.

Richiuse l'occhio. Continuò a frugarsi nella testa. Stava per gettare la spugna, forse gli altri comandanti erano anche loro imprigionati in qualche mondo simile a quello in cui avevano vissuto. Forse era da lì che ogni volta le parlavano. Magari si piazzavano davanti al loro specchio, osservavano la situazione e quando il nuovo comandante dormiva o meditava erano in grado di comunicare con lui. Avrebbe dovuto adattarsi a passare il resto del... diciamo, dell'eternità, lì dentro? Aveva senso a quel punto preoccuparsi del “morbillo”, della sottomissione del suo popolo, di Wanheda? Quel mondo che la Fiamma le creava era un dono? Un modo per mantenerla allenata con ciò che occupava la sua mente nel mondo reale?

Una voce improvvisa si fece strada dentro di lei.

“Ti sbagli, questo mondo non è meno reale di quello in cui tu hai vissuto.”

La stranezza era che la voce era la sua.

“Chi sei?” chiese a voce alta spalancando gli occhi e muovendo freneticamente le pupille in cerca di qualcosa intorno a lei. Si aspettava che lo specchio si animasse e la Lexa che aveva di fronte cominciasse d'improvviso a muoversi e parlarle godendo di vita propria.

La voce, la sua voce, riprese a parlarle con il tono di chi sta facendo una riflessione tra sé e sé. Il che non era del tutto falso. La differenza è che quando hai un dialogo con te stesso solitamente hai la sensazione di poterlo controllare, di poterlo interrompere, ad esempio. Questa sensazione Lexa non ce l'aveva. Sentiva quella presenza come un corpo estraneo dentro di sé, ma con qualcosa di familiare.

“Chi sono... Sono te... Credo... Ma non proprio come te. Sono Lexa Kom Trikru, Heda dei dodici clan. Questo è certo. Anche tu lo sei, o lo eri... Forse siamo partite dalla domanda meno facile di tutte.”

“La domanda meno facile di tutte...” pensò, “E qual era la più facile allora?”

Subito l'altra le rispose.

“A ben pensarci non credo ce ne siano di semplici in questo caso. Chi sono? Cosa ci faccio qui? Cosa sta succedendo? Sono domande che mi faccio da giorni senza arrivare a una risposta definitiva.”

Lexa cominciava lentamente a sentire la tensione nel suo corpo allentarsi. L'assurdità di quanto stava succedendo la rendeva ancora molto confusa, ma non era la prima volta che si confrontava con delle voci nella sua testa e cominciò a pensare che si trattasse solo di abituarsi e aprirsi alla comprensione di quanto stava accadendo, proprio come era stato quando aveva preso la Fiamma.

“Anch'io mi chiedo le stesse cose.” pensò e quindi disse all'Altra.

“Lo so. Sono qui da quando ci siamo risvegliate.”

Siamo..”

“O meglio, Tu sei qui da allora, prima ero io a comandare questo corpo...”

Ora cominciava a capire. Qualcosa.

“Ricordo solo le febbre, il delirio, Titus al mio fianco. Poi tutto si è spento. Pensavo di essere morta. Penso che in effetti sia proprio ciò che è accaduto. Quando ho cominciato a risvegliarmi vedevo e facevo delle cose che non riuscivo a controllare. Ero come in un sogno e per un po' ho creduto che lo fosse. Poi lentamente ho iniziato a sentire i tuoi pensieri. Quando hai rivisto Clarke, allora ho capito che dovevo, Dovevo parlarti, dovevo aiutarti. È stato uno sforzo colossale ma ci sono riuscita. Dopo di che sono ripiombata in qualche angolo di questa mente. E solo adesso sono riuscita...”

“Mi hai detto che questo mondo è reale, come fai ad esserne sicura?”

“Perché fino a qualche giorno fa questo era il mio mondo ed era reale. Terribilmente. Come le mie scelte e le loro conseguenze. Pensavo di salvare il mio popolo e invece l'ho distrutto.”

“Sei Tu allora che hai contagiato la mia.. La nostra gente?” il pensiero di essere stata lei, o comunque una qualche versione di sé stessa, a causare una simile pandemia l'atterriva.

“No, non proprio. Sono state le mie scelte...” la voce pareva adesso permeata da un'immensa tristezza, la Sua tristezza, che per questo era ancora più spaventosa.

“Non capisco...” pensò Lexa sempre più confusa. Quel poco di chiarezza che sembrava lentamente conquistare veniva ogni volta rimescolata dalle ombre di nuovi dubbi e paure.

“Entrambe abbiamo fatto una scelta, non è vero, Lexa? Una scelta di cui ci siamo pentite e di cui ci pentiremo per il resto dei nostri giorni.”

“Io, non...”

“Sai di cosa sto parlando. Mount Weather.”

Una fitta di dolore al petto le chiarì fin troppo bene la situazione.

“Tu pensi che...”

“Io penso che sia stata Clarke a contagiarci con questa malattia che solo lei può curare. E so che in parte lo pensi anche tu. Nel tuo mondo le cose sono andate diversamente. Clarke ti ha perdonata. Non so perché qui non sia accaduto. Forse perché è stata diversa l'entità del tradimento...” il pensiero si era spento in una sorta di tenue lamento onirico.

“Non ne sarebbe mai stata capace.” sentenziò. Non poteva immaginare la sua Clarke uccidere centinaia di persone soltanto per vendetta. Non la poteva immaginare uccidere lei.

“Forse non la Clarke che conosci tu. Avrei detto lo stesso della Clarke che conoscevo io. Ma questa Clarke...”

“Cosa può averla cambiata così tanto?” adesso era la sua paura a far risuonare i suoi pensieri come un lamento.

“Il tradimento?”

“Anche io l'ho tradita.” anche solo pensarlo le faceva male.

“Ma, a quello che ho potuto vedere, tu non avevi condiviso con lei quanto avevo condiviso io.”

“...”

“Ho scavato nelle nostre memorie. Nelle tue, più che altro. Quando tu l'hai baciata, quel giorno nella tenda, Clarke si è scostata, non è vero?”

“Sì...” rispose mestamente ripensando alla delusione e all'angoscia in cui quel gesto l'aveva gettata. Delusione e angoscia che pochi giorni dopo l'avevano portata a decidere di sacrificare i sentimenti per il bene del suo popolo.

“La Clarke che ricordo io non l'ha fatto. Ci siamo amate, quella notte e molte altre notti dopo di quella. Nei boschi intorno all'accampamento, per non farci scoprire dai nostri popoli.”

“Il verso dell'allodola.”

“Era il nostro richiamo...”

“Non ci credo. Io non avrei MAI tradito Clarke se avessimo condiviso così tanto!” urlò dentro di sé rifiutando con tutta sé stessa quel pensiero.

“E invece sì. L'avresti fatto comunque. L'hai fatto, o almeno io, che sono te, l'ho fatto.”

“Tu non sei come me.”

“Sono in tutto e per tutto come te. Ho ripercorso ogni angolo dei tuoi ricordi e sono identici ai miei fino a quel momento nella tenda. Ogni scelta, ogni sofferenza, ogni pensiero. Nostra madre, l'addestramento. Il conclave, Luna, Costia, Gustus, Clarke...”

“No. NO, NO, NO. Non avrei potuto... Non avrei mai...” si reggeva la testa tra le mani scuotendola e cercando di scrollare via quei pensieri e quella terribile presenza dalla sua mente.

“Credi ciò che vuoi, ma...”

Quello strano soliloquio fu interrotto dal sordo rumore di qualcuno che bussava alla porta.

Lexa riaprì gli occhi. Non ricordava nemmeno di averli chiusi.

“Comandante, il Sergente Bellamy richiede la sua presenza per importanti soprall...”

La Heda si alzò di scatto. La voce dell'Altra sembrava essere scomparsa, ricacciata in qualche angolo della sua mente.

Spalancò la porta e si ritrovò davanti il solito soldato mandato per impegnarla in qualche noioso compito da svolgere sotto stretta sorveglianza.

“Dì al Sergente Bellamy, che la Heda del Popolo dei Terrestri, non ha alcuna intenzione di muoversi dalla sua stanza. Né oggi, né domani, né un altro giorno, fino a che non le sarà permesso di vedere i suoi uomini e di parlare con loro o fino a che non si svolgerà questo benedetto consiglio. Può provarci con la forza, se lo ritiene necessario, ma dovrà essere ben più agguerrito dell'ultima volta che ci ha pensato.”

Sbatté la porta in faccia al soldato e tornò a posizionarsi davanti allo specchio fissandolo ancor più intensamente, guardandosi bene dal tornare a meditare. Per quanto adesso le facesse ribrezzo l'immagine che rifletteva, era determinata a non farsi sfuggire il ben che minimo dettaglio.

Se davvero quello era un mondo reale tanto quanto il suo era più che mai decisa a lasciarlo quanto prima per tornare dall'altra parte. Per tornare dalla sua Clarke e, in ultima analisi, da sé stessa.

 

 

I giorni passarono senza che nulla degno di nota accadesse. Lo specchio rimaneva immobile, solido e piatto come la più crudele delle realtà. La voce dell'Altra rimaneva seccamente confinata là dove l'aveva tempestivamente rinchiusa. Tornarono a tentare di convincerla ad uscire dalla stanza, ma rispose sempre con la stessa decisione. Una volta venne anche Bellamy, a cui sbatté la porta in faccia senza nemmeno rivolgere la parola. Clarke non venne mai. La sua pazienza cominciava ad avere un limite.

 

Il limite nella sua vita era sempre stato una linea d'ombra fragile da attraversare. Il sole non girava mai quel tanto nel cielo che bastasse a rischiarare quel che c'era dall'altra parte.

 

“Dalle ceneri risorgeremo.” Sentiva una gran voglia di bruciare tutto, forse perché la rabbia le ardeva dentro. Era stata e probabilmente era, la Heda più paziente che il suo popolo avesse mai avuto. Anche se quella non era una virtù molto apprezzata.

 

Chi era l'Altra che aveva nella testa? Lei, un'altra versione di sé. Questa domanda la costringeva a porsene una più ardua. Chi era lei stessa?

 

E se quella Clarke, non era la Sua Clarke, cosa stava succedendo alla sua Wanheda ora che Ontari aveva preso il suo posto? E, cosa più importante, chi stava diventando Clarke? Sarebbe stata sempre Sua? Sarebbe stata la persona che amava?

 

Passarono così cinque interminabili giorni, finché le porte della sua stanza si spalancarono mentre lei si stava esercitando con la spada: per non perdere prestanza fisica, ma soprattutto per non perdersi in quei pensieri.

Entrarono concitati Bellamy e tre guardie. Finalmente quell'imbecille si era deciso ad affrontarla. Lexa si spostò lateralmente impugnò le spade saldamente e le incrociò di fronte a sé, pronta a colpire.

Le guardie misero mano alle loro armi, ma Bellamy fece loro segno di restare dov'erano.

Le si avvicinò fino a toccare con il ventre la punta delle spade.

“Devi venire con noi immediatamente.” le disse con sguardo truce e deciso.

“Non verrò senza...”

“Alcuni dei tuoi sono nella sala del trono, si stanno ribellando a Wanheda.”

“Che sorpresa..” pensò Lexa sarcastica mentre per qualche istante le sue pupille percorsero freneticamente il volto del ragazzo per vedere se mentiva. Scorse solo una profonda e sincera preoccupazione.

Si spostò e ripose le spade nel fodero, dicendo con scherno:

“I vostri uomini e le vostre armi non sono in grado di occuparsene?”

“Wanheda preferirebbe risolvere le cose senza spargimenti di sangue.”

Lexa alzò le sopracciglia e chiese con disprezzo al suo interlocutore:

“E tu, Bellamy? Non preferiresti “risolvere le cose” in modo diverso?”

Si fissarono, sfidandosi, dritti negli occhi per qualche tempo. Poi la Heda distolse lo sguardo e proseguì oltre di lui facendo sbattere la sua spalla contro quella del Sergente che non reagì alla provocazione ma si limitò a seguirla probabilmente maledicendola.

Sentì le urla già a metri di distanza. Nonostante la confusione, tra tutte distingueva chiaramente quella di Clarke, per uno strano istinto che imprime saldamente nelle nostre menti l'impronta della voce delle persone amate.

Era prevedibile che sarebbe successo qualcosa del genere e le avevano impedito di fare qualsiasi cosa che avrebbe potuto evitarlo o quantomeno mitigare la situazione. Onestamente, alla luce di ciò che aveva scoperto, le importava poco di tutta quella situazione. Non era il suo mondo in fin dei conti, non era un suo problema.

Quando entrò nella sala un folto gruppo di persone, tra cui riconobbe Indra e Aden, se ne stava davanti al trono sul quale sedeva trionfante in tutta la sua crudele bellezza, Wanheda. L'irritazione che provava nel vedere il suo posto usurpato era contaminata dai sentimenti che non poteva evitare di provare nel vedere Clarke così regale in quell'armatura, con il mantello blu che le scendeva su un fianco e la luce del sole che, nonostante il trucco, rendeva i suoi occhi di un azzurro impalpabile e intenso.

In quel momento un uomo le urlò:

“Per noi non sei nessuno, Wanheda! Non hai alcun diritto di ordinarci cosa fare!”

“Porti solo morte! Non sei la nostra Heda!” continuò un altro accrescendo il tumulto di tutti.

“Già, dov'è la nostra Heda? Sappiamo che è viva! Vogliamo la vera Heda!” riprese l'altro.

Wanheda si alzò.

“La vostra Heda sta arrivando, ma ciò non cambierà la mia posizione rispetto alle vostre richieste.” Non aveva alzato la voce, si era limitata a guardare dritto negli occhi il suo interlocutore trasmettendo tutto il suo disprezzo nel tono della voce e nello sguardo.

Quando Wanheda alzò la testa la vide. Si avvicinò ulteriormente alla folla e si profuse in un inchino che per quanto accennato risultò teatrale. Con la mano sinistra protesa verso il centro della stanza le faceva segno di avvicinarsi. Subito la folla di persone si girò e vedendola cominciò a diffondersi un mormorio: “Heda. Heda. Heda.” A Lexa non sfuggì che non tutti mostravano felicità nel vederla e molti mostravano apertamente una certa ostilità. Per fortuna tra questi non c'erano Aden e Indra, il cui sguardo aveva intercettato appena possibile. Il ragazzino la fissava con la solita ammirazione mentre la fedeltà di Indra non sembrava essere stata scalfita dalle sue decisioni.

In ogni caso il gruppo si divise in due parti per farla passare. Riconobbe quelli che avevano parlato, erano due ambasciatori. Conosceva le abilità in combattimento di questi ultimi e giudicò immediatamente una pessima idea quella di Clarke di avvicinarsi così tanto a loro.

“La vostra Heda è qui. È lei che ha contratto questa alleanza con noi. Potete chiedere a lei adesso.” il tono canzonatorio di Clarke non le piacque per niente. Non era la maniera giusta per porsi davanti a quelle persone.

“Veramente è stato Titus...” borbottò tra sé Lexa.

Wanheda la guardò interrogativa, inclinando leggermente la testa e arricciando le labbra in quel suo gesto involontario che Lexa adorava.

La Heda si girò verso i suoi uomini assumendo un portamento fiero.

“Heda, è vero quello che dice Wanheda? Hai veramente venduto la nostra libertà al loro popolo?” le chiese uno degli ambasciatori con evidente disprezzo.

“Non c'è ancora stata la riunione con il Consiglio...” disse guardando con la coda dell'occhio Clarke e mandando una fugace occhiataccia a Bellamy.

“...ma mi è stato chiesto di continuare a guidare il nostro popolo come Heda sotto il comando del Popolo del Cielo.”

Appena ebbe finito un brusio scontento si levò dalla sua gente.

“Sapete anche voi” proseguì “che è stato il Popolo del Cielo a curarci, nonostante il nostro tradimento a Mount Weather...”

“Un tradimento di cui tu sei responsabile.” urlò qualcuno dalla folla. Clarke si mosse nervosamente vicino a lei che non si lasciò interrompere.

“...quando avrebbe potuto schiacciarci tutti. Tutto ciò richiede un prezzo.” concluse.

Un coro di “Avrei preferito morire.” e “È un prezzo troppo alto da pagare.” si levò tra la gente.

“Non spetta a voi deciderlo!” tuonò Wanheda. “Potremmo imporvi condizioni ben peggiori! Vi lasceremo le vostre terre e la vostra indipendenza in cambio della vostra fedeltà e...”

“IO NON VENDERO' MAI LA MIA LIBERTA' A QUESTA GENTE!” improvvisamente un uomo tra la folla si staccò dagli altri e urlando queste parole estrasse la spada e si gettò su Wanheda con uno slancio così improvviso da non lasciare a nessuno il tempo di agire.

Qualcosa dentro Lexa scattò in un istante e senza che lei potesse davvero controllarsi si gettò su Clarke giusto in tempo per parare con il braccio il colpo della spada che si conficcò dolorosamente nella carne offuscandole la vista.

   
 
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