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Autore: reggina    05/08/2018    3 recensioni
Una malattia che ha cambiato la vita di Philip.
Adesso è un sopravvissuto: una garanzia che, anche se gli è scampato, la leucemia non se la scorderà più.
Prima di ricevere la medaglia di guarito però dovrà capire che Superman non esiste. Mentre cerca di ricostruirsi dovrà accettare le sue fragilità, le sue insicurezze, il suo essere..."umano".
Sequel de: "Sulla collina rosa"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era sangue e muco, poi sangue molto liquido, acqueo, che non si coagulava. Philip aveva cercato di pulirsi usando, istintivamente, una manica della camicia ma aveva soltanto peggiorato le cose: il liquido continuava a fuoriuscire facile, senza dolore, come una fontana che gli aveva sporcato i vestiti.

“Credo che adesso si fermerà!”

Si era sforzato di usare un tono tranquillo ma, in realtà, spirali di paura gli risalivano dalle viscere guardando il sangue sui polpastrelli.

Se gli fosse capitato prima della diagnosi avrebbe gettato la testa all’indietro con un fazzoletto, senza pensarci più di tanto. Ma adesso ogni minimo cambiamento doveva essere tenuto sotto controllo.

Tom si era impressionato a quella vista, amplificata dall’effetto della macchia che continuava ad espandersi ma quando l’amico aveva tentato di alzarsi era passato all’azione.

“Ti sei spaventato?”

“ Non sono spaventato! Adesso però siediti e rovescia la testa all’indietro!”

“No meglio se la testa la tiene leggermente piegata in avanti!”

Era intervenuto Peter, chiudendo la punta del naso di Philip tra l’indice e il pollice.

“In questo modo evitiamo che il sangue scivoli nello stomaco causandogli nausea o vomito!”

Intanto Alex si era guardato intorno alla ricerca di qualcosa di utile per fermare l’epistassi ed era tornato con delle salviette che riempivano un dispenser montato sulla parete vicino al bancone. Philip ne aveva prese un po’ e le aveva usate per tamponare.

Tutti sapevano cosa fare e la sicurezza dei loro gesti aveva tranquillizzato Tom.

Il sangue gli era scivolato in bocca e Philip aveva sentito il suo terribile sapore metallico, doveva sputare. Tony aveva tirato fuori il suo bel fazzoletto di cotone dalla tasca e si era avvicinato porgendoglielo.

“Lo rovinerò!”

“Ne ho un sacco, mia nonna me li regala ogni Natale!”

Il Capitano aveva gettato le salviette sporche nel bidone dell’immondizia e si era portato il fazzoletto al naso.

“Grazie!”

Finalmente una gocciolina e poi più nulla, soltanto la vista sfocata per un secondo e un forte mal di testa come postumi.

Philip aveva cercato di restare calmo ma non voleva tornare a casa in quelle condizioni. Peter parve leggergli nel pensiero.

“Vieni, passiamo da casa mia così ti presto una maglietta pulita!”


Un anno e mezzo fa, quando tutto si era fermato e Philip aveva iniziato ad accorgersi che il mondo andava avanti anche senza di lui , aveva scoperto che i suoi amici erano come una solida parete: a volte si era appoggiato a loro, altre era stato fondamentale solo sapere che ci fossero.

Non se l’erano data a gambe. Avevano guardato in faccia la sua malattia quando prima di varcare la soglia di quella cameretta tutta colorata, con le pareti piene di fotografie e puzzle, le mensole appesantite da libri fantasy e manga, dovevano lavarsi accuratamente le mani, cospargerle di gel disinfettante e indossare la mascherina…

Piuttosto erano stati nervosi all’idea di incontrare il loro Capitano non sapendo esattamente cosa aspettarsi e quale Philip avrebbero avuto davanti.

Peter Shake indovinava sempre il momento in cui Philip aveva bisogno di lui: se lo vedeva in difficoltà non lo infastidiva chiedendo se ci fosse qualcosa che potesse fare ma pensava a qualcosa di appropriato e lo faceva.

Lo aveva guidato lungo il corridoio dal pavimento in marmo e si erano infilati nella sua camera, che sulla porta recava una simpatica targhetta in legno con la scritta Regno di Peter. E regno lo era davvero!

Lì dentro c’era tutto ciò che il ragazzo amava, ciò che contava per lui: la collezione dei fumetti di Spiderman, i pupazzi dei Goonies e i libri di Harry Potter tra le altre cose.

Sulla scrivania si trovava un elenco telefonico e una guida ai programmi televisivi vecchia di settimane.

“Danno qualche bel film stasera in tv?”

Philip ostentava disinvoltura ma si capiva il suo disagio, la sua stanchezza.

Tante volte era difficile, anche i posti dove prima si sentiva a casa erano duri da affrontare.

“Jurassic Park!”

Aveva risposto Peter accendendo l’aria condizionata per poi aprire il cassetto di un vecchio armadio e rovistarvi dentro.

“Jurassic Park? Io adoro quel film!”

“Ma se ce lo hai in dvd e ti ricordo che lo hai consumato a forza di vederlo! Anzi di farmelo vedere!”

“Che posso farci? Mi piace e piace anche a te!”

“Lo guardavo per farti compagnia ma ho la nausea di quel film!”

Philip aveva fatto un lungo sospiro e si era seduto sulla poltroncina in bambù assorto nei suoi pensieri, arrendendosi alla debolezza.

Non era solo la stanchezza a sopraffarlo ma anche la sensazione di aver perso ogni controllo e ogni direzione.

“Io la nausea ce l’avevo a prescindere in quei giorni!”

Non c’era vittimismo nelle sue parole ma soltanto la consapevolezza di una realtà con cui ancora doveva confrontarsi.

Parlarne faceva ancora male ma era l’unico modo per non far accumulare quei ricordi dolorosi nella sua mente.

Quando non aveva potuto mettere il naso fuori da casa perché debilitato e con il sistema immunitario a terra, Peter e Tony se ne erano inventate di tutti i colori per farlo svagare: un giorno arrivavano con tavolozza e pennelli per dipingere, un altro con libri e fumetti nuovi.

E quando Philip era stato costretto a letto gli avevano procurato le puntate in anteprima dei telefilm del momento e gli avevano tenuto compagnia guardandole insieme a lui.

Grazie a loro il chiasso e le feste d’estate per le strade di Furano non lo avevano fatto sentire ancora più prigioniero. Non avevano reso più pallido il suo pallore e più sola la sua solitudine.

Anche adesso per Peter maneggiare le sofferenze dell’amico era come tenere in mano una patata bollente. Faceva paura ma non aveva mai anteposto la malattia a Philip.


Finalmente aveva esibito una t-shirt blu con il colletto bordato di rosso e una S nello scudo triangolare: una maglietta buffa che probabilmente avrebbe indossato un bambino.

“Cosa vuoi che me ne faccia?”

Il capitano l’aveva presa con un po’ di diffidenza ma anche divertito.

“Indossala. Ti darà la forza!”

Aveva sbirciato la sua espressione. No, non stava scherzando: Peter ci credeva davvero ai supereroi!

“Non c’è bisogno di scomodare dei mostri sacri del cinema o di leggere le loro gesta nei fumetti, di Superman è pieno anche il nostro mondo e li possiamo incontrare ogni mattina…”

Philip aveva talmente voglia di cambiare argomento di conversazione, per sviare il discorso da quel passato doloroso, aveva deciso di assecondare le teorie di Shake.

“Io non ho conosciuto mai nessuno dotato di poteri paranormali da mettere a disposizione del bene!”

“I veri supereroi non indossano maschera, mantello o tuta lucente; non saltano da un luogo all’altro della città e non volano tra i palazzi. Il mio modello da seguire è sempre stato un ragazzo normale, che al massimo portava un hachimaki legata di traverso sulla fronte. Un carismatico uomo del Nord dal fiero cipiglio e dal temperamento grintoso e battagliero!”

“L’eterno secondo!”

Si era schermito lui con autoironia.

Era la prima volta che Peter parlava così, a briglia sciolta, senza timore di far male. Prese tutte le indispensabili precauzioni non aveva mai parlato delle sue emozioni.

Non per eroismo ma perché, come tutti i maschi, non ci era mai riuscito.

“Anche quando Capitan Callaghan è diventato un eroe silenzioso ha continuato ad essere un esempio per tutti noi: quando combattevi contro quella scema, quando volevi veramente vivere, tanto da impazzirne, tanto da non tirarti indietro difronte a nulla, non ti sei nascosto dietro un banalissimo scudo!”

Erano crollate tute le barriere e non sapendo più a cosa appigliarsi a Philip era quasi mancato l’ossigeno.

Per non commuoversi sul serio si era chiuso in bagno per dedicarsi a sé stesso. Si era levato in fretta la maglietta sporca, qualche minuto per lavar via sudore, stanchezza, pensieri e per ritrovare un temporaneo equilibrio. Aveva indossato la t-shirt lasciando che il tessuto lento gli drappeggiasse sul torace.

“Allora? Non è proprio carino questo Superman di Furano?”

Un vero amico lo riconosci subito: ti fa scoppiare a ridere anche quando proprio non lo vuoi e Peter era per lui specchio e ombra: lo specchio non mente e l’ombra non si allontana.

   
 
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