I.2
Relena
viene a Bruxelles per riferirgli la notizia di persona – Hilde
non ha avuto
cuore di chiamare –: un
guasto al
propulsore; nessun superstite; solo un relitto, polveri
pesanti, vuoto
siderale.
La
vita, senza Duo, continua come sempre, monotona, uguale.
D'altronde, non si
vedevano da anni – di rado sullo stesso corpo celeste; mai sullo
stesso
continente.
Duo è
morto; non cambia quasi niente. Heero lo accetta (è un fatto,
che altro si può
fare?), come ha accettato la guerra, la pace, e tutto il resto.
Per
qualche giorno ha meno appetito – sarà l'età, sarà un
raffreddore: nulla,
ormai, ha più lo stesso gusto. Dorme un po' meno; beve un po'
troppo e un po'
troppo spesso; acconsente solo a incarichi rischiosi da cui
nessun altro
sarebbe potuto ritornare... Insomma, niente di nuovo sotto il
sole.
Passando
il contropelo tra il mento e la gola, radendosi si taglia un
paio di volte – la
lama è ottusa, è un graffio, un incidente.
Lo
specchio si rompe. Ed Heero quasi si sorprende nel trovarsi
sulle mani vetro e
sangue.
Poi –
in una scheggia che si fa corteggiare dal lavandino, forse dal
pavimento – lo
taglia il suo sorriso di riflesso: contro lo stipite, a braccia
conserte, col
solito languore compiaciuto, nonostante gli anni Duo è
pressappoco lo stesso;
certo non è uno spettro.
La
faccia di Heero, le sue mani, il sangue, il resto del corpo,
sono una domanda;
il Bieco Mietitore li soppesa, come a metterli in tasca –
furbetto, gli occhi
da bambino, sembra felice, monello; sghignazza; gli ruba pure
l'anima di dosso.
"Heero
Yuy, possibile che in tutto questo tempo tu non abbia imparato
un
accidente?"
E poi
gli chiede dove sia l'ammoniaca, un accendino, e un orologio da
sacrificare per
rendere più fico il detonatore.