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Autore: MarySF88    06/08/2018    3 recensioni
Clexa ispirata al telefilm The 100.
Lexa si risveglia improvvisamente dopo la sua morte ma qualcosa non va. Non c'è Clarke vicino a lei né Titus, sarà stato tutto un sogno?
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 5, Squarci

 

Il dolore che la attanagliò era annichilente e la costrinse a cadere in ginocchio trascinando con sé Clarke, a cui si era appoggiata per farle scudo. Percepiva a mala pena il tumulto scoppiare intorno a sé, la vista e l'udito si erano ovattati.

L'istinto la spinse ad agire slanciando colui che l'aveva colpita lontano da sé facendo leva su tutte le sue forze. Ignorò il dolore ed estraendo una sua spada con il braccio sano si rialzò abbastanza in fretta da riuscire a parare a mezz'aria il colpo successivo. Per qualche istante i due si fronteggiarono, si rendeva conto che intorno a lei stava scoppiando il fini mondo e se non si fosse sbrigata tutto sarebbe finito in un bagno di sangue. Raccolse tutte le sue energie e utilizzò il peso del suo stesso corpo trasferendolo all'arma che teneva in pugno. Riuscì a vincere la prova di forza con l'avversario, che cadde a terra. In un lampo, sapeva che difficilmente avrebbe avuto altre occasioni, si rigirò la spada nella mano per poter scagliare meglio il colpo, poi infilò la lama dritta nel cuore dell'uomo.

La estrasse e la ripose rapidamente nel fodero. Gettò una veloce occhiata a Clarke, la quale scansava le sue guardie, sopraggiunte per aiutarla a rialzarsi. Stava bene.

“SE QUALCUN ALTRO...” tuonò Lexa mentre ancora gli uomini di entrambe le fazioni si fronteggiavano armi in pugno “...CREDE ANCORA CHE LE DECISIONI CHE HO PRESO SIANO SBAGLIATE...” squadrò uno per uno tutti i presenti prima di proseguire.

“...PUO' ANCORA FARSI AVANTI E RAGGIUNGERE LA MORTE CHE STATE RECLAMANDO A GRAN VOCE!”

Poi abbassò il tono mantenendolo sicuro e deciso:

“Per parte mia sono già morta una volta e non ho intenzione di permettere che accada di nuovo.”

Si scostò di lato in modo da rendere nuovamente Wanheda, che nel frattempo si era rialzata, visibile a tutti.

“Nei prossimi giorni discuterò con gli Skaikru i termini della nostra alleanza e, come ho sempre fatto, farò in modo di perseguire prima di tutto il bene del nostro popolo. Nel frattempo, chi oserà nuovamente attaccare Wanheda o uno qualsiasi degli Skaikru che ci hanno salvato, dovrà vedersela con me.” il suo volto si contrasse in una smorfia di rabbia e ferocia quando aggiunse “E allora potrà esser certo che la morte sarà veramente il miglior destino che lo possa attendere.”

Gettò un'ultima occhiata a Clarke che cercò di sostenere il suo sguardo alzando leggermente il mento con fierezza, ma notò che si stava mordendo l'interno delle labbra.

Reggendosi il braccio, il cui dolore era tornato a esserle presente, si diresse allora verso l'uscita della sala facendosi strada a spintoni tra la gente. Nessuno osò fermarla.

 

Arrivò nella sua stanza e si rese conto che aveva probabilmente lasciato una scia di sangue dietro di sé. Afferrò una tenda e ne stralciò un pezzo con la mano. Era furiosa. Quegli idioti non solo avevano fatto entrare degli uomini armati nella sala ma non erano nemmeno stati capaci di reagire tempestivamente a una minaccia proteggendo la loro Heda! Per non parlare di Clarke! Aveva agito come se non si aspettasse una possibile ribellione da parte del popolo dei terrestri o, ancora peggio, come se pensasse che il suo volere e la sua autorità potessero imporsi semplicemente facendo la voce grossa. Probabilmente non aveva con sé nemmeno una spada o una delle loro pistole. E se le aveva non aveva ancora imparato a usarle come si deve.

Si stava fasciando rabbiosamente il braccio quando vide un paio di mani bianche e delicate posarsi sulla sua ferita. Risalì lentamente con lo sguardo fino alla loro proprietaria, anche se sapeva fin dal primo istante della loro comparsa a chi appartenessero. Nella furia della corsa verso le sue stanze non si era premurata di osservare se qualcuno la stesse seguendo. Evidentemente Clarke l'aveva seguita subito, lasciando ai suoi uomini il compito di riappacificare del tutto la situazione.

“Faccio io.” la sua voce dolce agì subito da calmante per i nervi tesissimi di Lexa che scostò la sua mano lasciandola penzolare lungo il fianco.

La guardava srotolare lo straccio e rifare da capo la fasciatura, così come l'aveva guardata medicarle la ferita alla mano dopo lo scontro con Roan. Ma quella era un'altra Clarke.

“Mi sono spaventata quando ho visto che ti avevano colpita.” disse Wanheda senza guardarla e continuando ad avvolgerle il tessuto intorno al braccio.

“Ah sì?” chiese Lexa. Un po' di ostilità le era rimasta addosso e non poteva fare a meno di farla trapelare con le sue parole.

“Sì... Per un attimo ho pensato che tu fossi...”

“Morta. Era a questo a cui pensavi quando mi hai chiesto di fare in modo che il mio popolo mi seguisse così che tu non fossi costretta a rimpiazzarmi?”

“Lexa, ti prego... Non adesso...” il tono di Clarke era supplichevole. Le strinse le bende come poté e continuò ad evitare di guardarla in viso appigliandosi agli oggetti intorno a sé.

“Mi hai confinata qua dentro impedendomi di parlare con la mia gente...”

“Non è vero, sei tu che ti ci sei confinata, io...” tentò di intervenire. Lo sguardo di Wanheda vagava, vagava, vagava senza meta rimbalzando da una superficie all'altra come un esule senza patria.

“Che alternative avevo? Avrei dovuto continuare per giorni a fare il cagnolino di Bellamy?” ribatté Lexa secca mentre muovendosi cercava di sciogliere la tensione accumulata nei muscoli della spalla. La ferita pulsava e le faceva sempre più male, l'effetto dell'adrenalina stava scemando.

“Avresti mostrato al tuo popolo di fidarti di noi e che stavi collaborando...”

“E sarei riuscita tempestivamente a farmi odiare dalla mia gente. Così più nessuno mi avrebbe seguita.”

Clarke si mantenne in silenzio per un tempo che le sembrò interminabile. Lexa non le toglieva gli occhi di dosso e sperava di poter in qualche modo scalfire quella corazza che aveva indossato sopra i sentimenti per trovarci la prova che quella era la Sua Clarke, che ogni altra ricerca era vana perché era già approdata là dove voleva arrivare.

“Hai ragione... Ho sbagliato.” e finalmente la guardò. Ed era Clarke, e non Wanheda, quella che la stava guardando. Gli occhi lucidi ingrandivano le iridi fino a darle la sensazione di un cielo limpido e sereno. Quello in cui si era persa tante volte guardando dalle terrazze della sua torre. Quello che sembrava sfumarsi nell'orizzonte come creandolo e ricreandolo all'infinito.

Era lei. Erano i suoi occhi che la ammaliavano, rendendo vano ogni tentativo di resisterle.

Lexa si avvicinò lentamente a Clarke che non si mosse, l'aspettava.

Erano a pochi centimetri l'una dall'altra, i loro sguardi unica strada che tracciava il percorso tra di loro. Era una strada a senso unico e senza uscita. La Heda si fermò, voleva che fosse l'altra ad azzerare l'esile distanza che le separava.

Il tempo di un respiro, un passo di Clarke, e i loro corpi furono a contatto. Sapeva che si erano già baciate molte e molte volte, ma non loro, non quella Clarke e quella Lexa e tutto, in effetti, aveva il sapore e le incertezze di una prima volta.

Inclinarono leggermente il viso in due direzioni opposte pronte per consumarsi in quell'incastro perfetto. Fu allora che Lexa esitò. Si chiese se quella che stava per baciare era la donna che amava. Ma fu solo un pensiero fugace perché il respiro di Clarke sulla sua pelle, il calore che emanava e l'intensità del suo profumo erano una combinazione a cui, ne era certa, neppure la migliore delle versioni di sé stessa avrebbe saputo resistere.

Così il loro primo bacio ebbe inizio. Prima assaggiandosi morbidamente le labbra, poi accompagnando con la lingua l'esplorazione di quel gusto eccitante. Infine, lasciando che le lingue stesse si abbracciassero languidamente mentre le mani giungevano in aiuto di quel bisogno di contatto tra i loro visi che non poteva più essere saziato dal semplice scambio tra le loro bocche.

Il corpo di Lexa venne scosso da continue fiammate di calore per tutti quegli interminabili minuti che segnarono il loro baciarsi. Non avrebbe potuto sperare, morendo, che avrebbe avuto l'occasione di sentire quelle sensazioni di nuovo.

Ci mise , perciò, un po' ad accorgersi che quello che inumidiva le sue mani non era sudore ma lacrime. Appena se ne accorse si scostò leggermente interrompendo di mala voglia il bacio. Guardò gli occhi di Clarke, stava piangendo silenziosamente.

“Sei già morta una volta, Lexa Kom Trikru, non farlo mai più.” le sussurrò con voce tremante, per poi stringerla a sé in un tenero abbraccio e incastonare la sua testa nell'incavo della sua spalla, facendole sentire una piccola fitta di dolore al braccio.

Mentre accarezzava i soffici capelli di Clarke, che si abbandonava al pianto, non poté trattenersi dal chiedersi:

“Chissà se Clarke, l'altra Clarke, la Mia Clarke, avrebbe detto lo stesso?”

E dopo un simile pensiero fu altrettanto impossibile impedirsi di chiedere, stavolta a voce alta:

“Clarke... Sei stata tu a contagiarci con il Morbillo?”

 

Clarke si scostò di scatto. Il suo sguardo era cambiato, tornando quello fiero e rabbioso di Wanheda.

“Mi stai davvero chiedendo questo? Adesso?” era chiaro che si era arrabbiata.

“Ho bisogno di saperlo.” rispose. “Ho bisogno di sapere chi sei...” pensò Lexa.

“Certo! Il tuo primo pensiero va sempre al tuo popolo!” sibilò sarcastica Wanheda.

La Heda tacque: ora che i giochi erano fatti era meglio non peggiorare le cose con inutili marce indietro.

“Se l'avessi fatto? Se l'avessi fatto penseresti di me che sono un mostro?”

Lexa non rispose limitandosi a guardarla con paura. L'ansia cresceva al pensiero che quella mancanza di una risposta diretta potesse voler dire solo una cosa.

“Ma certo. Non c'è bisogno che tu dica niente. Te lo leggo negli occhi.” la voce di Clarke si incrinò per un istante. Poi divenne crudele, nel tono e nello sguardo.

“È questo che fate voi terrestri, no? Trasformate le persone in mostri. Una volta pensavo che la vita fosse qualcosa di più che semplice sopravvivenza, ma tu mi hai fatta ricredere. Quello che conta è solo la vita. Del mio o del tuo popolo, poco importa, vero? Ma voi, non meritate di vivere.”

Il suo tono si abbassò diventando ancora più terribile, “No, Lexa, vorrei tanto essere stata io, ma no. Vi siete ammalati entrando in contatto con noi, questo è vero, ma perché non siete vaccinati e siete vulnerabili alle malattie di cui noi siamo portatori sani e inconsapevoli.”

Clarke fissò Lexa per un'ultima volta negli occhi poi si voltò e si diresse con decisione verso l'esterno. Prima di chiudersi la porta alle spalle esitò e disse:

“Addio Lexa. Come sempre, è stato uno sbaglio.”

 

 

A Lexa quelle parole arrivarono attutite. Nella sua mente si era già scatenata una guerra il cui esito non poteva che essere marginalmente influenzato dal rinnovato disprezzo di Wanheda.

 

Chi era quella? Era la sua Clarke? No, non era lei. Quella discussione... La Sua... L'Altra... Non avrebbe mai detto certe cose. No. E allora... Qualsiasi Clarke le andava bene? Qualsiasi Clarke era accettabile? Dove stava il limite tra lei e un'altra persona? Cosa le diceva che non fossero due creature completamente distinte accomunate dallo stesso nome e, in parte, dallo stesso aspetto? Chi era quella che voleva lei? Chi?

 

Nell'infinità di tempo che passò a camminare avanti e indietro per la stanza si convinse solo di una cosa: se c'era un modo per tornare da dove era venuta doveva trovarlo e subito. Si mise ad ispezionare ogni millimetro dello specchio. Lo spostò, lo tastò, lo rigirò in ogni direzione. Provò a concentrarvi contro i raggi del sole, con l'unico risultato di rischiare la cecità. Appena il sole tramontò provò anche con i raggi lunari. Dalla memoria erano riemerse alcune vecchie storie che sua madre le raccontava da piccola, in cui i raggi del sole e della luna potevano far accadere cose strane.

In ogni caso il risultato, ovviamente, fu una gran perdita di tempo.

Ripristinò la posizione originale dello specchio e tornò a posizionarsi di fronte a esso. Non le restava altro che aspettare... E sperare.

 

Ci volle poco perché si addormentasse, del resto era esausta dopo il combattimento e tutte quelle emozioni, ma il riposo durò poco. Non appena la sua coscienza iniziò a svaporare, l'Altra si fece avanti.

“Non starai pensando di andartene, vero?” la fulminò rabbiosa.

“Non appartengo a questo mondo e devo tornare nel mio.” rispose Lexa.

“Lo dici soltanto per quanto è appena successo con Clarke.”

“Lei non è Clarke. O almeno non è quella che io ho conosciuto.”

“È vero. Non è proprio la stessa che hai incontrato nel tuo mondo così come io non sono proprio te. Ma tu hai comunque rischiato la tua vita per lei e non hai resistito all'impulso di baciarla. La ami tanto quanto ami l'altra.”

Quelle parole la sconcertarono. Sentiva di essere sul punto di sprofondare nella pazzia se ancora avesse indugiato in quelle domande impossibili su cui aveva riflettuto per ore. Così fece ricorso all'istinto di conservazione.

“Voglio andarmene e basta.” disse.

“E non pensi a Clarke? Le hai promesso che non l'avresti lasciata mai più.”

sentiva nella voce dell'Altra un'impazienza in cui riconosceva la sua quando era costretta all'inazione.

“Non mi sembra che a lei importi molto. Non so se sei stata attenta durante la nostra ultima conversazione. Potrebbero esserti sfuggite frasi come “Tu il popolo non meritate di vivere” e “Vorrei essere stata io a contagiarvi con il Morbillo.” si sentiva giudicata dal peggior giudice di ognuno, sé stessa. Era pronta per l'arringa finale.

“Non sono le sue esatte parole.” puntualizzò la voce interiore.

“Perché non ti confronti tu con lei allora? Se io me ne vado farai tu i conti con questa Wanheda che ti sei andata a cercare!” reagì con stizza Lexa.

“Ho paura che se tu te ne vai portando via il mio corpo sarò costretta a venire via con te o a scomparire...”

“Che gioia...” pensò la Heda.

“Ti prego, Lexa. Non lasciare Clarke. Non costringermi ad abbandonarla di nuovo. Lei ha bisogno di me.”

Ah, questa era bella, adesso avrebbe dovuto restare con una Clarke che non era la Sua, per far contenta una Lexa che non era lei. Sentì montarle dentro antichi rancori e le tornò alla mente Titus e i suoi consigli non richiesti. Comunque andassero le cose tutti sembravano chiederle di rinunciare a colei che amava! Per contrasto in quel momento il da farsi le sembrò più chiaro che mai. Voleva la Sua Skaikru e se quel maledetto specchio non avesse ricominciato a “funzionare” l'avrebbe frantumato in mille pezzi.

“Clarke tornerò da te. Te lo giuro. E questa è l'unica promessa che voglio mantenere.”

Spalancò gli occhi che stava già albeggiando, ci mise un po' a mettere a fuoco la stanza intorno a lei.

“Lexa!” le urlava in testa l'Altra che stavolta era riuscita a non farsi ricacciare indietro.

Si accorse immediatamente che qualcosa era cambiato. La camera sembrava essere molto più grande. Forse perché al di là dello specchio si estendeva un'altra stanza e più precisamente la sua sala del trono. Vide Ontari sdraiata priva di sensi su di un tavolo mentre Abby trafficava con il suo braccio impedendole di vedere ciò che le stava dentro. Provò sollievo nel notare che colei che avrebbe dovuto succederle era già morta, ma non comprese per quale ragione Abby si trovasse lì e temette che in tutto ciò avesse parte il Popolo del Cielo e quindi anche Clarke. I suoi sospetti furono presto confermati quando la dottoressa si spostò verso il trono. Su di esso sedeva proprio la sua amata Skaikru con uno strano tubo infilato nel braccio. La dottoressa Griffin le collegò un altro tubo al precedente e vide il sangue nero di Ontari iniziare a scorrere fino ad entrare dentro al corpo di Clarke stessa.

Cosa diavolo era successo? Cosa diavolo stava succedendo? Provò a toccare la superficie dello specchio con la punta delle dita. Niente, era solida come ci si sarebbe aspettati che fosse. Provò a forzarla premendovi contro il palmo della mano ma ottenne come unico risultato quello di impiastricciarne il vetro.

Fu allora che vide Murphy estrarre la Fiamma, per poi attivarla blaterando qualcosa.

“NO!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola sperando che qualcuno potesse ascoltarla.

Fu tutto inutile, pochi istanti e Clarke era svenuta con la Fiamma saldamente incastonata nel suo collo.

Gli occhi di Lexa si muovevano freneticamente percorrendo i contorni della scena che stava seguendo. Si sentiva come un animale in gabbia e mai prima d'ora aveva provato un'apprensione così grande. Sentiva che c'era qualcosa che non andava, perché Clarke non si svegliava? Appena Abby si mosse preoccupata verso di lei temette il peggio e per un lungo istante le mancò il fiato. Poi vide la sua Wanheda risvegliarsi con uno sguardo terribilmente determinato.

“Ma non crudele come quello che ho visto su volto dell'Altra Wanheda.” pensò e percepì come un corpo estraneo arrivarle addosso tutto il disappunto dell'Altra sé stessa.

Ci fu una breve discussione, poi qualcuno portò a Clarke qualcosa di piccolo. Lei, stentava a crederci, lo mangiò. Poi svenne.

C'era qualcosa che non andava e Lexa lo sentiva. Sentiva il bisogno, l'impulso di intervenire: c'era bisogno di lei.

Il suo cuore stava accelerando e i suoi muscoli erano in tensione, pronti a scattare. Una terribile e indomabile agitazione iniziò a dominare il suo corpo. Proprio mentre stava per alzarsi in piedi incapace di rimanere ferma di fronte a quella scena scorse Clarke agitarsi sul trono: era in preda alle convulsioni. Abby intervenne immediatamente ma potè percepirne lo sconforto. Un rivolo di sangue scese dal naso della ragazza.

Allora Lexa non ce la fece più. Tutta quella tensione che stava accumulando si trasformò in un dolore sordo e in una furia cieca. Afferrò lo specchio pronta a scagliarlo chissà dove quando si accorse che spostandolo la sua superficie si muoveva, come quella di un liquido denso.

“Le buone maniere funzionano sempre.” si disse poggiandolo a terra.

“Non commettere quest'errore un'altra volta. Non abbandonare Clarke di nuovo.” la supplicò l'Altra.

“È precisamente ciò che non ho intenzione di fare.” sussurrò a fior di labbra mentre, anche se con timore, si alzava in piedi e sfiorava con la punta delle dita quello strano fluido.

Vi passò una mano attraverso e la sentì muoversi dall'altra parte. Non era affatto certa che quell'espediente avrebbe funzionato. Poteva morire o disintegrarsi o annullarsi o svegliarsi la mattina seguente e scoprire che era stato tutto un sogno. Ma, sentiva che doveva farlo.

“Clarke, sto arrivando da te.” disse.

“Vedi? Avevo ragione io. Non importa cosa accade o come vanno le cose. Tu la abbandonerai sempre.” le giunse, distante, il commento dell'altra.

E Lexa entrò nello specchio.

   
 
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