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Autore: Alicat_Barbix    06/08/2018    2 recensioni
In un universo alternativo, in cui i cuori di ognuno interagiscono con i loro proprietari, Sherlock Holmes, brillante consulente investigativo, e John Watson, disperato medico militare in congedo dall'Afghanistan, si incontrano e i loro cuori non riusciranno mai più a tacere. Ma a volte, i fatti presenti sono irrimediabilmente influenzati da sentimenti e decisioni passate...
Dal testo:
(...)
“Su questo tavolo c’è una boccetta buona e una cattiva. Il suo scopo, signor Watson, è quello di scegliere una delle due boccette, sperando di non aver preso quella velenosa.”
(...)
“La boccetta cattiva. Voglio sapere qual è.”
(...)
“E’ il suo cuore il problema, non è vero?”
(...)
“La boccetta.”
Con un fluido movimento della mano, spinge avanti una delle due boccette, un sorriso ferino sulle labbra.
(...)
Chiudo gli occhi e mi avvicino alle labbra la morte. Addio vita. Addio mondo. Addio cuore che non ho più.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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IN A HEARTBEAT
 
by Alicat_Barbix
 
CAPITOLO 2

 
Dopo l’incidente sul tetto, Sherlock era rimasto a casa per ben un mese, su ordine di suo fratello maggiore. Durante le lunghe settimane, non vi era stato giorno in cui John non si fosse presentato e non avesse passato almeno un paio di ore con lui a parlare di libri, di fumetti, di film o anche di nulla. Era incredibilmente piacevole limitarsi anche solo a sedere sul bordo del letto, uno accanto all’altro, e ripetere una materia qualunque. John era sveglio, molto sveglio, e gli piaceva studiare. Il suo desiderio era quello di diventare un medico e Sherlock si trovò a pensare che, effettivamente, era estremamente portato per quel lavoro con la sua perizia, la sua dolcezza, la sua pacatezza. A mano a mano che i giorni trascorrevano, i due si conoscevano sempre meglio, scoprivano di avere cose in comune – come la passione per i gialli –, e per entrambi le ore assieme erano come una boccata d’aria dopo un lungo periodo di apnea.
Una sera, John convinse Sherlock a guardare uno di quei film puerili sullo spionaggio. Film che Sherlock cominciò a criticare dai primi due minuti di visione, ma a John non importava, anzi, lo divertiva osservare l’amico divorare con aria rapita le scene che giudicava scontate o surreali. Credeva, ad esempio, che gli agenti fossero dei completi idioti, che non avessero la minima idea di come si conducesse una missione di tale portata o che la storia d’amore fra i due personaggi fosse ovvia e banale.
“Stai rovinando uno dei miei film preferiti.”
“Non è colpa mia se guardi certe cose.”
Dopo un’ora buona, Sherlock avvertì improvvisamente il respiro dell’amico farsi pesante e, quando si volse, lo trovò dolcemente assopito, il volto disteso e le palpebre chiuse sui suoi occhi blu.
“Ma tu guarda… lui mi fa vedere film noiosi e poi si addormenta.” borbottò tornando con gli occhi fissi sul televisore. Ma pochi istanti dopo, si ritrovò con lo sguardo puntato sul viso delicato di John. Non si era nemmeno reso conto di averlo fatto, ma qualcosa nel guardare l’amico dormire lo colmava di uno strano calore.
Sorrise nel constatare quanto John, mentre dormiva, fosse bello, e sapeva fosse un pensiero stupido, che un amico non farebbe mai nei confronti di un altro amico, però non poteva negarlo. E forse fu proprio per questa bellezza che cominciò ad accarezzargli gentilmente le ciocche di capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte ampia. Aveva un buon odore. Un odore di fresco e di pulito. Molti ragazzi, a quell’età, puzzavano in una maniera nauseante, ma John profumava di buono.
E’ proprio speciale, eh?
E’ John.
Appunto. C’è nessuno più speciale di lui?
Rifletté su queste parole e si trovò a sorridere tra sé e sé. Esisteva qualcosa o qualcuno più speciale di John, del suo dolce sorriso, del suo modo di aggrottare le sopracciglia, del suo ridere per battute dementi?
Probabilmente no.
 
La mattina del suo ritorno a scuola, Sherlock provò in tutti i modi a muoversi nei momenti di meno affluenza, ancora spaventato dall’idea di incontrare Jackson o uno della banda, ma nonostante tutto non poté evitare di cercare John in mezzo alle teste di tutti gli studenti. Solo in quel momento, si rese conto che John, di certo, aveva molti amici a scuola; amici che vestivano alla moda, simpatici, della squadra di football… E Sherlock sarebbe passato in secondo piano, solo un ombra dietro ad un oceano di figure ridenti e scherzose. A quell’immaginario, il suo cuore si strinse appena, ma cercò, per quanto possibile, di ignorare quella sensazione sgradevole.
“Ehi, tu!” esclamò una voce alle sue spalle mentre una mano gli batteva fraternamente la spalla.
Sherlock sobbalzò e si voltò, terrorizzato dal potersi trovare di fronte un bullo che gli avrebbe ficcato la testa nel WC, ma davanti a lui c’era tutt’altro che lo sguardo truce di Jackson o di uno dei suoi leccapiedi.
“John…”
John prese un respiro profondo, come se fosse senza fiato, ed enfatizzò il tutto portandosi una mano al cuore. “Non sai che fatica ho fatto per trovarti. Ti ho cercato dappertutto, sai?”
“Io… pensavo fossi con qualcuno dei tuoi amici.” bisbigliò Sherlock pentendosi immediatamente della sfumatura lamentosa di cui era impregnata la sua voce.
L’amico lo fissò per svariati istanti senza dire nulla, infine il suo volto si dipinse di stupore vero, sentito. “Altri amici? Scherzi? Sì, beh, ho un gruppo con cui mi trovo bene e con cui passo la maggior parte del tempo a scuola, ma non sono niente in confronto a te.”
Quelle parole provocarono un leggero arrossamento alle gote di Sherlock che distolse lo sguardo imbarazzato.
“Aww, Sherlock, sei arrossito.”
“Sta’ zitto.”
John ridacchiò e gli passò un braccio attorno alle spalle. “Andiamo?”
In silenzio, si diressero assieme verso l’edificio scolastico che si ergeva austero di fronte a loro, ma a pochi passi dall’entrata ormai deserta, vennero fermati da una voce gracchiante e sgradevole.
“Ehi, ragazzi! Guardate chi è risorto dal regno dei morti! Come butta, Holmes?”
I due si voltarono all’unisono in tempo per vedere arrivare un energumeno – che, più che a un ragazzo, somigliava ad un armadio – accerchiato da un capannello di adolescenti brufolosi e fetidi.
“Li conosci?” bisbigliò John.
Sherlock deglutì a vuoto un paio di volte. “Sono i tizi che mi hanno preso di mira dall’inizio dell’anno.”
“No, non ci credo!” esclamò il capobanda fermandosi a poca distanza da loro. “E così ti sei trovato un fidanzatino, strambo. Quindi hai finalmente smesso di tirarti l’uccello visto che hai qualcuno da scoparti.”
Sherlock avvertì il braccio di John irrigidirsi a quelle parole, tanto che si sentì in dovere di tirarlo per la maglietta, cercando di infondergli la calma risoluta che ormai aveva imparato a mantenere con quei tizi.
“Jackson, fai quella cosa, ti prego.” intervenne uno del gruppetto.
Il capobanda si fece avanti, aggiustandosi la felpa lievemente sporca di ketchup, e assunse una posa ritta e irrealmente rigida. “Il mio nome è Frocio Strambo Holmes, posso dedurre chi ti sei fottuto ieri sera, ho una scopa infilata in culo e mi masturbo continuamente per sfogare le mie frustrazioni sessuali.”
Il gruppetto scoppiò a ridere e cominciò ad acclamare Jackson, che si era appena voltato per ricevere gli elogi che gli spettavano. Sherlock avvertì John staccarsi da lui e, a quel punto, non poté che mormorare uno sconsolato John. Non sapeva che cosa di lì a poco sarebbe successo, ma di certo non sarebbe andata a finire bene: John sarebbe stato pestato o si sarebbe cacciato in qualche casino solo per difenderlo, e lui non avrebbe mai potuto perdonarselo. Così si sporse in avanti e gli afferrò un braccio, ma quello si divincolò e camminò spedito verso i bulli.
“Whoa, Jackson, arriva l’altro frocetto.” esclamò uno di loro.
Jackson si voltò con aria spavalda, un sorriso sprezzante sulle labbra e le mani intente a farsi scrocchiare rumorosamente le nocche. Ma John, contro l’aspettativa di tutti, tese una mano verso di lui, sorridendo.
“Non credo che ci siamo ancora presentati, io sono John Watson.”
“Ma che carino. Il frocetto vuole fare amicizia.” lo scimmiottò un ragazzo dalla pelle scura e gli occhietti infossati.
“Scommetto che si è talmente stufato dello strambo che è disposto a ficcargliela lui la testa nel cesso.” concordò Jackson con una risata.
“No, in realtà volevo solo mostrarmi gentile prima di fare questo.” ribatté semplicemente John prima di chiudere le dita della mano a pugno e di sferrare un colpo dritto sul naso del capobanda che, preso in contropiede, nonostante la stazza, si ritrovò per terra, dolorante. Nel gruppetto si diffusero istanti di gelido stupore che sembrò paralizzare tutti, ma quando uno fece per contrattaccare, John, con una presa precisa, lo sbatté a terra, immobilizzandolo col piede. “No, no, no… Direi che non vi conviene. Mio padre era un militare e mi ha insegnato qualche mossa.”
Jackson si rialzò dolorante, una mano al naso che buttava insistentemente sangue. I suoi occhi sprizzavano odio, ma John mantenne con freddezza quello sguardo.
“Se dovessi venire a sapere che girate ancora attorno a Sherlock, potete stare certi che passerò ad illustrarvi le mosse di tecnica avanzata. Sono stato abbastanza chiaro?”
I bulli si scambiarono un’occhiata indecisa e preoccupata, ma la voce del capobanda li riscosse dal loro stato catarsico. “Andiamocene.”
Sherlock li osservò entrare nell’edificio e sparire assieme al suono della campanella che annunciava l’inizio delle lezioni. Una volta soli, si affrettò verso l’amico e gli prese delicatamente la mano per constatare eventuali danni, ma a parte un lieve arrossamento attorno alle nocche non vi era niente su cui soffermarsi.
“Perché l’hai fatto?” sospirò rivolgendogli uno sguardo di rimprovero.
“Perché non sopporto il modo in cui ti trattano.”
“Così non hai risolto niente, John.” replicò Sherlock distogliendo lo sguardo e puntandolo sulle punte delle sue scarpe. “Loro temono te, non me. Cosa succederebbe se tu dovessi andartene o stancarti di me…”
John fece un passo in avanti e gli afferrò il volto con entrambe le mani, uno sguardo dolce dipinto in faccia. “Ho tanti difetti, Sherlock. Ma sono sicuro di una delle mie qualità: non sono un bugiardo, perciò quando ti dico che non ti rimpiazzerò con niente o nessuno, tu devi credermi, hai capito? Se no come pensi che possa funzionare il nostro rapporto senza la fiducia reciproca?”
Il cuore di Sherlock compì una piccola capriola a quelle parole, ma non si lasciò distrarre. “Non mi pare che tu abbia avuto fiducia in me.”
“Sherlock, ma che stai dicendo?”
“Dico che tu non mi hai ritenuto in grado di difendermi. Non sempre la violenza è il mezzo giusto. Ormai ho imparato che il metodo migliore è ignorarli. Io penso che li abbia aggrediti perché hanno insinuato che tu fossi gay.”
Gli occhi di John si spalancarono e un lieve rossore comparve sul suo volto. “Ti sbagli.”
“Mi sbaglio?”
“Sherlock, per favore, io… non volevo in alcun modo peggiorare la tua situazione, è solo che… quando ho sentito il modo in cui quegli stronzi ti parlavano, io… non c’ho visto più. Perdonami.”
L’espressione dura di Sherlock si sciolse a poco a poco in un sorriso luminoso ma posato, com’era solito fare. “No, scusami tu. In fondo, mi hai difeso e non posso che ringraziarti.” Un’ombra di malizia gli offuscò per un attimo gli occhi ridenti. “Per altro, ho trovato fantastico il tuo no, in realtà volevo solo mostrarmi gentile prima di fare questo. E’ stato una delle scene più esilaranti che abbia mai visto.”
John cominciò a ridacchiare serenamente. “Ma vogliamo parlare della faccia che hanno fatto quando gli ho detto di mio padre e dei suoi insegnamenti?”
“Che gran bugiardo.” osservò Sherlock cominciando a ridere a sua volta, contagiato dell’euforia di John.
“Ehi, non potevo certo dire che mio padre è un lavapiatti che nel tempo libero si diverte a seguire lezioni di arti marziali alla televisione!”
“Oh, pagherei per poter vedere come sarebbe andata se l’avessi detto.”
Senza smettere di ridere e di parlottare tra loro, entrarono nella scuola e percorsero entrambi la strada più lunga per procrastinare il più possibile la loro separazione, nonostante il vertiginoso ritardo.
E’ un eroe. Il nostro eroe.
Piantala.
Piantala tu. Sono il tuo cuore, non quello della bidella che avete appena superato.
E allora, se non altro, taci.
Ma neanche lo scomodo pigolio del suo cuore poteva rovinare quella serenità che, tenue, lo avvolgeva mentre lanciava occhiate furtive a John, ancora più radioso del solito. In effetti, John era un eroe. Il suo eroe.
 
Sherlock’s POV. Pizzico per l’ennesima volta la stessa corda che ho pizzicato nel giro dell’ultima mezz’ora. Credevo che la mia mente fosse un hard disk funzionante, che potesse selezionare le informazioni da conservare e quelle invece da infilare nel cestino ed eliminare. Eppure, quel volto, quella voce… si ostinano a non andarsene. Serro gli occhi e gemo di stizza. Perché di tutte le persone che potevano finire sotto il tiro di quel folle, doveva essere proprio lui?
Mi alzo di scatto e imbraccio meccanicamente il violino, l’archetto nella mano sinistra, e comincio ad eseguire pigramente il primo tempo della Primavera di Beethoven. Non mi importa che il suono esca limpido, scarno di sbavature o errori banali, mi importa solo tenere occupata la mia testa che non fa altro che vivere e rivivere quello sguardo, quello Sherlock mormorato con affetto, quella speranza mista a meraviglia nei suoi occhi…
“Accidenti!” impreco calciando il leggio e causando la rovinosa caduta di una pila di spartiti che si sparpagliano per terra.
“Oh cielo…” odo mormorare alle mie spalle e non mi occorre voltarmi per capire che Mrs Hudson sta osservando il disastro da me combinato con rimprovero e preoccupazione. “Ecco, io…”
“Signora Hudson, se ha delle faccende da sbrigare si accomodi, se invece vuole semplicemente starsene lì a biasimarmi può anche andarsene.” le comunico aspramente, mentre mi chino a raccogliere le pagine di una sonata di Mozart, fregandomene di poter ferire quelli che le persone comuni definiscono sentimenti. Aborro i sentimenti. Senza sentimenti sarebbe meglio. Sarebbe più facile. Più gestibile. Vivibile.
“Non si preoccupi caro, non è sempre così…” la sento borbottare.
“Ma di che accidenti sta parlando, si può…”
Mi volto e vorrei non averlo mai fatto. Accanto a Mrs Hudson c’è lui. Lui che mi guarda. Che diavolo ci fa qui? Come ha avuto il mio indirizzo… Oh, Lestrade. Sbuffo sonoramente e corrugo la fronte, assottigliando gli occhi, sperando di imprimermi, così, in volto uno sguardo minaccioso.
“Sherlock caro, questo è il dottor John Watson ed è qui per dare un’occhiata all’appartamento.”
John si fa spuntare un sorriso forzato mentre mi si avvicina per porgermi la mano. Mano che io, però, ignoro: se pensa che me ne starò qui a farmi prendere in giro e a prendere in giro Mrs Hudson, beh, si sbaglia di grosso.
“Sherlock, la prego, non sia…”
“Potrebbe portarci gentilmente una tazza di the?” la interrompo freddamente senza staccare gli occhi da quelli di John.
Lei sospira e si volta, borbottando un: “Solo per stavolta. Sono la sua padrona di casa non la sua governante.”
Quando siamo soli, vengo assalito improvvisamente dai ricordi: alcuni dolci, altri dolorosi, altri ancora inaccettabili. John è immobile di fronte a me, mi guarda, credo di fargli pena, in fondo. Ma io non la voglio la sua pena. Non l’ho mai voluta. Sono stanco di persone che mi commiserano o che mi odiano. E John poteva essere la risoluzione di questa grande e complessa equazione che è la mia vita. Poteva, perché adesso non può più.
“Di’ quello che hai da dire e poi vattene.”
Lo vedo irrigidirsi al suono secco delle mie parole, ma poco importa: ho smesso da tempo di curarmi di come le altre persone si sentono, visto che nessuno si è mai curato di me.
“Ecco, io…” Cerca le parole, si morde il labbro, lascia saettare gli occhi da una parte all’altra della stanza. Rimorso. Puro e semplice. “Volevo chiederti scusa.” sospira infatti stabilizzando finalmente il suo sguardo su di me. “Perdonami per come mi sono comportato anni e anni fa.”
Annuisco lievemente, insofferente a quelle parole. Parole che ho atteso con disperazione e che ho continuato ad attendere per anni, finché non ho capito che la solitudine è tutto ciò che ho e tutto ciò che mi rimarrà. Meglio soli e vuoti, piuttosto che spezzati. “Grazie, adesso puoi andare.”
Mi fissa con sguardo sbigottito e apre e chiude le labbra un paio di volte, incerto su cosa dire. Povero sciocco: non immagina che qualunque cosa uscirà dalla sua bocca sarà completamente inutile. Forse si ricorda uno Sherlock diverso, uno Sherlock che è morto e sepolto dall’alba dei tempi.
“E’ tutto quello che sai dire?”
“Beh, francamente… sì.”
Stringe i pugni e assottiglia lo sguardo. Non è cambiato rispetto a quel John ragazzino che conoscevo: sempre prevedibile e spontaneo e facile da leggere. Sta cercando di contenere la rabbia, lo capisco dal modo in cui i suoi occhi mi guardano, forse in cerca di un qualche aiuto da parte mia.
“Ascolta… Hai tutte le ragioni per avercela con me. So di essere stato uno stronzo e ti assicuro che non c’è stato giorno in cui io non mi sia pentito di come sono andate le cose tra di noi.”
Almeno tu un cuore ce l’hai, penso tra me e me, ma decido di ignorare questa riflessione impregnata di debolezza. Non voglio essere debole. Non devo essere debole. Non più.
“Okay, ho capito, non sono stupido. Quella è la porta.”
Mrs Hudson ritorna con in mano un vassoio su cui ha appoggiato le nostre tazze di the. John si volta rapidamente verso di lei e le sottrae il peso dalle mani.
“Lasci, faccio io.” le dice gentilmente appoggiando il vassoio nel primo posto che non trova occupato dal soqquadro che ormai è signore e padrone qui dentro. “Ah, devo dire che trovo questo appartamento veramente delizioso. Fa un prezzo di favore, ha detto?”
I miei occhi si spalancano a guardarlo. Che sta facendo?
“Beh, sì, Sherlock mi ha aiutato con una delicata situazione familiare e questo è il minimo che posso fare per sdebitarmi.”
“Direi che è perfetto. Ho deciso, lo prendo.”
“Cosa!?” esclamo sporgendomi in avanti. “Non puoi prenderlo!”
“Ah no?” ribatte lui in tono di sfida. “Questo appartamento è disponibile e io non ho una casa in cui stare, perciò direi che è perfetto.”
“Ma è meraviglioso!” cinguetta Mrs Hudson battendo felicemente le mani. “Che bella notizia! E poi sono certa che voi due andrete d’amore e d’accordo.”
“Sì, lo credo anch’io.” concorda John scoccandomi un’occhiata tra il divertito e il competitivo. Non capisco. Non capisco lui, non capisco la situazione, non capisco Mrs Hudson… Che diavolo sta succedendo?
“Ci sono alcune formalità da sbrigare, ma entro domani è libero di trasferirsi, dottor Watson.”
“La ringrazio signora Hudson, non vedo l’ora.”
Mrs Hudson si eclissa nuovamente dalla stanza con la scusa di avvisare Mrs Turner, la padrona della casa vicino, e io e John rimaniamo nuovamente da soli.
“Che credi di fare?” sbotto acidamente.
“Non lo so, tu cosa credi che io stia facendo?”
“Non puoi venire ad abitare qui.”
“Perché no?”
Serro i pugni e avverto il mio viso velarsi di una maschera di rabbia. Non mi succedeva da tanto di provare un’emozione così coinvolgente. Anzi, erano decenni che non mi arrabbiavo in questo modo. Poi arriva lui, John Watson, a rovinarmi la vita per la seconda volta.
“Perché io non voglio averti tra i piedi.”
“Benissimo, allora sei libero di andartene, ma dubito che lo faresti con i prezzi che ormai Londra ha a livello edile.”
E’ una sfida. Lo capisco dal luccichio dei suoi occhi. Si sta divertendo. Ma non è un divertimento sadico, no… E’ un qualcosa di puro, come se non gli capitasse da tempo.
“Se speri che questo cambi le cose, beh ti sbagli di grosso.”
Un sorriso spavaldo gl’increspa le labbra. “Lo vedremo, Holmes, lo vedremo…”

SPAZIO AUTRICE
Bentrovati a chiunque abbia avuto la forza di arrivare fino a questo secondo capitolo. Ringrazio per la fiducia chiunque stia continuando a leggere questa storia e ringrazio tutti quelli che hanno rensito o inserito la fanfiction in una delle raccolte, grazie mille a tutti, ragazzi, siete fantastici!!! Ad ogni modo, ancora una volta mi scuso per la brevità del capitolo, ma prometto che dal prossimo andranno pian piano allungandosi. Come promesso nello scorso capitolo, per questa settimana pubblicherò anche Giovedì mattina, visto che fino ad ora sono stati piuttosto corti, e invece dalla prossima settimana si faranno più sostanziosi e ricchi di cosucce interessanti... 
Comunque, in questo capitolo abbiamo assistito alla nascita dell'amicizia fra i nostri due piccioncini nella loro adolescenza, MA a quanto pare al giorno d'oggi c'è qualche problemino fra questi due e Sherlock sembra davvero molto arrabbiato. Nel corso della storia si delineerà sempre meglio questo aspetto e, ovviamente, continuerà la sequenza passato/presente. 
Piccole anticipazioni per il prossimo capitolo, una sessione di studio riserverà delle piccole sorprese al nostro Sherlock adolescente, mentre il nostro John adulto prenderà un importante decisione per riavvicinarsi al suo vecchio amico d'infanzia. 
Spero che abbiate gradito la storia, recensite se avete tempo e voglia, e io vi aspetto Giovedì mattina con il terzo capitolo. 
*kiss*
Alicat_Barbix
   
 
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