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Autore: willsolace_leovaldez    07/08/2018    1 recensioni
*AVVERTENZA: QUESTA STORIA NON TIENE MINIMAMENTE CONTO DEI FATTI NARRATI ALL’INTERNO DELLA TRILOGIA “LE SFIDE DI APOLLO”, PERTANTO NON CONTIENE SPOILER! BUONA LETTURA!*
Sono infinite le storie che narrano le gesta dei semidei. Esseri umani dotati di poteri straordinari, nati dall’unione tra un mortale e una divinità, che da millenni combattono contro i mostri che vogliono distruggere il nostro mondo. Ma poche, quasi nulle in verità, sono le storie riguardanti alcuni particolari semidei. Più potenti e più forti di un normale mezzosangue, nati non da una, ma da due divinità. Mandati sulla Terra dai loro genitori, talvolta per errore, talvolta con uno scopo ben preciso. Sono rari, pressoché sconosciuti, ma esistono. Vengono chiamati “Figli del Cielo”. E sono tra di noi.
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8
Questa non è la fine, è solo un nuovo inizio

 
 
Aspettare da sola era una vera noia. No veramente, ve lo posso assicurare. Non potevo fare niente, perché non appena provavo ad alzarmi mi veniva una forte nausea, e poltrire proprio non mi riusciva. Non con i miei amici che rischiavano la vita lì fuori. Uscire non era neanche in considerazione, per due validi motivi. 1° non ero armata; 2° se Will mi avesse vista mi avrebbe uccisa all’istante. Quindi decisi che stare seduta a gambe incrociate a fissare il vuoto sarebbe stata un’ottima occasione di svago. Ad un certo punto provai anche ad addormentarmi, ma non riuscivo a prender sonno, causa la preoccupazione per gli altri e i brutti ricordi che proprio non ne volevano sapere di lasciarmi stare. Ad un certo punto, un’esplosione. Un boato tremendo ed un lampo accecante, poi silenzio. Scattai in piedi, ignorando totalmente il dolore in tutto il corpo, e corsi fuori dall’infermeria. L’unica cosa di cui ora mi importava era trovare Will. E trovarlo vivo e vegeto sarebbe stato meglio. Quando uscii fuori vidi i romani e i greci che si stavano mischiando, unendosi, finalmente dalla stessa parte, aiutandosi e festeggiando per qualcosa, mentre alcune creature superstiti riformavano lentamente i ranghi. Riuscii a scorgere Percy e gli altri poco più in là, che facevano da scudo a Jason e a Piper, svenuti. Di Will non c’era traccia, e la situazione era troppo tranquilla con Gea in circolazione. C’era qualcosa che non quadrava.
-Ehi tu- fermai un ragazzino che passava di lì -Che succede?- chiesi, lui mi guardò stranito 
-Cosa ti è successo?- io mi portai a disagio una mano sul collo, ricordandomi solo in quel momento che i lividi erano ben visibili a chiunque. Mi schiarii la voce
-Niente. Su, rispondimi, cosa è successo?- ripetei. Lui fece spallucce
-Gea è stata sconfitta. È morta. Sono esplosi!- disse, per poi dileguarsi. Io provai a fermarlo
-Chi?! Chi è esploso?- ma lui era già andato via. Poi realizzai. Gea era morta, ed io ero illesa. Doveva aver spezzato il legame, ed era per quello che non l’avevo più sentita dentro la mia testa. Ero libera. Il senso di sollievo venne presto soffocato dalla preoccupazione. Non riuscivo a vedere mio fratello. Presi un bel respiro ed iniziai a farmi largo tra la folla, cercando a tutti i costi di evitare il contatto fisico con gli altri, chiamando il nome di Will. Ad un certo punto qualcuno mi afferrò per spalle. Il cuore mi balzò in gola. Cominciai a dimenarmi, volevo urlare, ma la voce non usciva.
-Ehi, calma, calma! Sono io!- le mani mi lasciarono andare. Io mi voltai lentamente e ricominciai a respirare. Era Will, ed era vivo. 
-Will!- avrei voluto gettargli le braccia al collo e stringerlo forte, ma mi sentivo a disagio anche solo a pensarci -Quindi? Cosa è successo? Come avete fatto ad uccidere Gea?!- chiesi, piena di entusiasmo. Nonostante tutto, non potevo non essere felice per la sua sconfitta. Era tutto finito.
-Piper ha usato la sua lingua ammaliatrice e l’ha convinta ad addormentarsi, anche se solo per un po’, mentre Leo ed il suo drago i bronzo la bombardavano di fuoco. A quel punto i semidei hanno caricato gli onagri con delle granate esplosive e gliele hanno lanciato contro. Ottaviano è rimasto impigliato in uno di quegli affari ed è stato catapultato in aria contro Gea. È morto nell’esplosione- mi spiegò. Un po’ mi dispiaceva per Ottaviano, ma non potei fare a meno di pensare che un po’ se l’era meritato. Guardai Will, abbozzando un sorriso
-Beh, sotto alcuni punti di vista è fantastico. E dov’è Leo? Non mi pare di averlo ancora visto. Si starà preparando con gli altri per occuparsi di quei pochi mostri rimasti, lo so, ma vorrei comunque sapere che sta bene- dissi, tutto d’un fiato. Lui abbassò lo sguardo 
-Will, dov’è Leo?- ripetei. Ancora niente. Il mio sorriso vacillò 
-Will!- urlai. Lui mi guardò di sottecchi 
-Giuls, è complicato, lui era molto in alto, stava guidando Festus, e Nico, sai è figlio di Ade, non riesce a percepire nulla con certezza…- 
-Will.- lo interruppi, cominciando a sentire una fastidiosissima sensazione alla bocca dello stomaco. Lui prese un bel respiro
-Si è fatto esplodere- fu come una pugnalata al petto -Non abbiamo ancora ritrovato i corpi… ma siamo realisti, nessuno poteva sopravvivere a quell’esplosione. Neanche un figlio di Efesto come lui.- feci un passo indietro, con il cuore a pezzi. Alla fine Gea qualcosa me lo aveva portato via. Come mi aveva promesso. Lanciai uno sguardo fugace a Piper, Annabeth, Jason e gli altri suoi amici ed ex-compagni di viaggio, sentendomi, se possibile, ancora peggio. Se per me era doloroso, per loro doveva essere una vera tragedia. Strinsi i pugni, con tanta forza da ferirmi i palmi. Sentii montare dentro una rabbia cieca. Non aveva il diritto di farlo. Poco importava fosse una dea. Non aveva nessun diritto di decidere il destino degli esseri umani, quello era compito di altri. 
-Giulia, so che è difficile, se hai bisogno di sfogarti, di piangere, io sono qui per te. Ma adesso devi tornare dentro, non è ancora finita-
-No.- dissi, guardandolo risoluta negli occhi -Non piangerò e non tornerò dentro. È finito il tempo delle lacrime e di nascondermi. Mi è stato portato via troppo. Io voglio vendetta.- guardai i mostri, i rimasugli dell’esercito di Gea, in netta minoranza rispetto a noi. Sarebbe certo stato facile sconfiggerli per i semidei. Anche senza il mio aiuto e quello dei feriti, erano comunque di più e più forti. Ma non l’avrei permesso. Non avrei lasciato ad altri il compito di fare giustizia. A causa loro, a causa della loro fedeltà verso Gea, era toccato a me, più volte, pagare il prezzo della guerra. Chiamatemi egoista, ma non potete dire che non è vero.
-Giulia…- tentò Will
-Fammi passare.- lo interruppi, fredda come il ghiaccio. Lui si scansò, lasciandomi il passaggio libero, ed io cominciai ad avanzare, verso le schiere nemiche. Non ebbi neanche bisogno di spingere. Non appena mi videro, gli altri si fecero da parte, per poi ricompattarsi alle mie spalle man mano che li superavo . Forse Cameron non aveva avuto del tutto torto. In fin dei conti, ero veramente una principessa. Mi ritrovai in testa ai semidei, che mi guardavano confusi, e non ebbi alcun ripensamento. Presi un coltello da lancio, l’unica arma che avevo con me, rubata a Will quando prima mi aveva afferrata, e la scagliai, colpendo in mezzo agli occhi una dracena, che si polverizzò davanti a me. Forse non se lo aspettavano, forse non se lo aspettava nessuno, poiché tutti si zittirono. Nel silenzio più totale, presi la parola io.
-Sapete che siete spacciati, non è così? Noi siamo in netta maggioranza, tutti insieme vi spazzeremmo via in un battito di ciglia, tuttavia non fuggite. Siete coraggiosi, leali alla vostra padrona o semplicemente tento stupidi da affrontare l’ira della stirpe divina? Non temete, non vi scontrerete con loro, non oggi. Ho intenzione di vendicarmi personalmente di voi. Esservi unititi a Gea non è la vostra sola accusa. Avete contribuito a sottrarmi, per sempre, una persona che mi era molto cara, ed avete fatto anche di peggio…- mi tremò leggermente la voce, erano anche i complici di Cameron -ed ho intenzione di ripagarvi con la stessa moneta- sollevai il mento in gesto di sfida. Uno di loro rise, con una voce talmente tetra e profonda da non avere neanche una parvenza di umanità, e disse
-E come vorresti fare tu da sola? Sei solo una ragazzina e sei anche disarmata. E poi guarda come sei ridotta…- fece una piccola pausa, realizzando chi fossi. Quando lo fece, sorrise con crudele allegria. Beccata. -la bastarda divina- davvero ero conosciuta così? -passata una piacevole nottata?- strinsi i pugni, cercando di mantenere la voce ferma. Avevo avuto ragione, loro erano coinvolti in quello che mi era capitato
-Voi morirete, ci metterete secoli per poter risorgere, mentre io vivrò e guarirò. Io sarò ricordata in quanto figlia del Cielo, e voi non sarete nulla, proprio come ora.- li fissai uno ad uno -Vi faccio un’ultima promessa: vi assicuro che l’ultima cosa che vedrete prima di morire sarà il mio volto, e che lo ricorderete nel vostro eterno tormento.- non ebbi bisogno di pensare a cosa fare. Avevo già deciso. Non avrei aspettato che la maledizione di Cameron avesse fatto il suo effetto, distruggendomi, non gli avrei dato questa soddisfazione. Cominciai a slacciare le cinghie del guanto. Avevo avuto paura per tutta l’estate, per tutta la vita. Paura di cosa la gente avrebbe pensato di me, paura di quello che Gea avrebbe potuto fare ai miei affetti. Era arrivato il momento di cessare di essere spaventata, dovevo essere coraggiosa. Dovevo credere che sfruttando i miei poteri li avrei uccisi tutti insieme e che sarei stata in grado di controllarli, poco importava se io non avessi sopportato lo sforzo. Ne sarebbe valsa la pena. Presi un bel respiro, e sfilai il guanto, che tornò ad essere ripugnante come prima di indossarlo, e lo lasciai cadere a terra. Per un attimo non accadde nulla, ed io temetti che la situazione sarebbe rimasta tale, che i poteri si erano calmati, proprio nel momento in cui avevo bisogno di loro nella maniera più distruttiva possibile. Poi successe. Sentii uno strano calore partire dalla mano destra, per poi diffondersi in tutto il corpo. All’inizio si trattava di un lieve senso di caldo, come quello che si prova stando seduto davanti ad un camino, che crebbe poi progressivamente, fino a diventare un bruciore insostenibile ed incandescente, che mi tolse il respiro e mi straziò dall’interno. Caddi in ginocchio, stringendo forte i denti. Cominciai ad avere la vista appannata ed a sentirmi sempre più debole. Provai a mantenere la concentrazione con tutte le mie forze, ma era sempre più difficile ed il dolore sempre più forte. Stavo quasi per cedere, quando vidi Will. Mi sorrideva e mi porgeva la mano. Mi aggrappai a quell’immagine più forte che potei, lottando contro la debolezza ed il dolore per lui, cercando di concentrare quella forza straziante in un qualcosa che avrei potuto controllare. Chiusi forte gli occhi, stringendo i denti. Ti prego, padre. Sentii di star prendendo il controllo dei miei poteri, e tentai di fargli fare come volevo io. Non so come, ci riuscii. Riuscii ad utilizzare la mia magia per distruggere i mostri e, in qualche modo, a sopravvivere allo sforzo, nonostante farlo avesse prosciugato gran parte delle mie energie. Così come si era manifestata, all’improvviso la sensazione di calore dentro di me svanì, lasciandomi da sola, inginocchiata, davanti ad un mucchio di sabbia dorata, che sarebbe poi stata spazzata via dal vento, e con un grande vuoto dentro di me. Vuoto che non si sarebbe colmato tanto velocemente. Pensavo sarebbe stato più facile, e che dopo sarei stata meglio, ma non fu così. Mi richiusi su me stessa, tremando per il freddo improvviso dopo tanto calore. Strinsi al petto il braccio destro, affinché nessuno potesse vedere la ferita, nonostante fosse coperta dalla benda, e scoppiai a piangere. Singhiozzai a lungo, per la morte di Leo, per il dolore subito, e un po’ anche per l’adrenalina accumulata e smaltita troppo in fretta. I ragazzi cominciarono a chiudersi attorno a me, bombardandomi di mille domande, su cosa mi fosse accaduto, sul perché il mostro mi avesse parlato così, su come fossi riuscita a fare quello che avevo fatto e sul perché glielo avessi tenuto nascosto tanto a lungo. Fortunatamente Will mi raggiunse prima che fosse impossibile farlo, ed intimò a tutti di allontanarsi da me, per lasciarmi un po’ d’aria, e di non toccarmi. Gliene fui grata, o almeno credo, non sono tanto sicura di quello che accadde in seguito. Ero talmente sotto shock da non avere la piena cognizione di cosa mi succedesse attorno. I suoni mi arrivavano ovattati e tutto si muoveva a rallentatore. Chiusi forte gli occhi, sentendo montare dentro di me un sentimento che non avevo provato per tanto tempo. Finalmente il sollievo e la calma cominciarono a crescere dentro me. Era tutto finito. 
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Nessuno era riuscito ad andare  dormire, nonostante fossimo tutti esausti. Le perdite, seppur minime, c’erano state, e nessuno aveva voglia di pensarci. Perciò aspettavamo l’alba, cercando di tenerci occupati, per poi avere il pretesto di ricominciare a lavorare alle solite cose non appena fosse sorto il sole. Alcuni erano tornati nelle loro capanne, per trovare un posto ai ragazzi del Campo Giove, corrispettivo romano del nostro Campo, i miei fratelli avevano portato i feriti in infermeria e si stavano occupando di loro, altri ancora stavano cercando di dare una sistemata, cancellando i segni della battaglia quanto possibile. Io stavo seduta davanti al falò spento, con le gambe rannicchiate contro il petto, a fissare il vuoto in silenzio. Con me c’erano anche l’adolescente emo e Will, che parlottavano a bassa voce, Hazel e Frank, che si consolavano a vicenda, e Percy e Annabeth. La figlia di Atena posò la testa sulla spalla del ragazzo e lui cominciò ad accarezzarle i capelli, mormorandole qualcosa all’orecchio. Quei due dovevano aver passato qualcosa di terribile insieme, era evidente dalla luce dura nei loro occhi, ma non mi azzardai a fare domande. Se non ne avevano parlato avevano le loro buone ragioni, così come io avevo le mie. Avremmo parlato di queste cose quando saremmo stati pronti, e nessuno lo era ancora. Jason e Piper erano stati portati in infermeria, la loro era stata una brutta caduta, e Reyna, figlia della dea romana della guerra e pretore del Campo Giove, si era offerta di accompagnarli, dopo averci promesso di tenerci aggiornati. Per quanto riguardava me, avevo smesso di tremare e anche di piangere, ma il sollievo era presto scomparso, lasciando il posto ad una pesante preoccupazione. Nonostante tutto, non riuscivo a sentirmi al sicuro. Era vero che Gea ed il suo esercito erano stati sconfitti, ma Cameron era ancora a piede libero, e nulla poteva tranquillizzarmi, neanche le promesse di Will che non mi avrebbe più fatto del male. Non potevo cambiare quello che mi aveva fatto, faceva parte di me, così come la paura di uno suo ritorno, ed è sempre difficile ignorare o cancellare una parte del proprio essere. Così come non potevo ignorare il senso di colpa. Mi sentivo in colpa per la morte di quei ragazzi, brutalmente uccisi da Cameron, solo per ferirmi ancora una volta. E poi c’era la morte di Leo. Non riuscivo a non pensare che, in un certo senso, fosse stata colpa mia. E i dubbi di quel figlio di Ade, il ragazzino tetro che ho poi scoperto essere Nico di Angelo, non facevano altro che peggiorare la situazione. Continuava a dire che Leo era morto, ma che non percepiva più la sua anima. Quindi, in definitiva, avevamo vinto, ma non riuscivamo a gioire, almeno non quella stessa sera. E poi io ho sempre pensato che la pace sia, sfortunatamente, quanto di più effimero esista al mondo. Quindi, perché gioire oggi per questa, se domani può essere già scomparsa? Una fitta forte al polso destro mi riportò alla realtà. Guardai l’origine del dolore. La benda era completamente impregnata di sangue, del mio sangue, questa volta fresco. La potenza devastante dei miei poteri aveva attraversato ogni singola fibra del mio corpo, portandomi vicina alla morte, e doveva aver riaperto la ferita, che ancora non si era cicatrizzata. Asciugai un rivoletto di sangue che stava scorrendo lungo il braccio. Stavo sanguinando anche in quel momento. Dovevo andare a medicarmi, Will ci aveva già provato ma io mi ero opposta fermamente, proprio non mi andava di riscoprirla. Will si accorse del sangue e mi chiamò gentilmente
-Giulia…- io mi voltai verso di lui, che mi sorrise con dolcezza -so che sei ancora sconvolta e molto stanca, ma dovresti andare in infermeria a farti medicare.- suggerì. Io scossi la testa
-No. Preferisco andare in cabina. Mi medicherò da sola là.- non volevo che gli altri vedessero la ferita. Will sospirò
-Posso accompagnarti, se vuoi- propose. Io lanciai uno sguardo al figlio di Ade e poi tornai a guardare mio fratello, accennando un sorriso
-Non c’è bisogno, veramente, e poi preferirei rimanere un po’ da sola- abbassai il tono 
-Complimenti, è carino- mormorai in modo che solo Will potesse sentirmi. Lui sorrise
-Lo so- mormorò di rimando. Io sorrisi, sinceramente felice per mio fratello
-Goditi la serata, te lo sei meritato.- lo salutai. Fece per darmi un bacio sulla guancia, ma poi ci ripensò, e si limitò a ringraziarmi e a dirmi che mi avrebbe raggiunta tra poco. Mi sentii in colpa. Will mi aveva trattato come una vera sorella, riservandomi le attenzioni che raramente mi erano state date, ed io non riuscivo a tollerare il suo tocco. Mi alzai e mi avviai verso le capanne, cercando di non pensare a nulla. Ho già detto che la pace è effimera? Imparate a darmi retta. Mentre mi allontanavo dal falò vidi in lontananza una biga avanzare con velocità nella mia direzione, ma non riuscivo a vedere bene il guidatore. Chiamai gli altri, o almeno ci provai
-Will…- la voce mi morì in gola. Un dolore lancinante all’altezza dello stomaco mi tolse il respiro. Boccheggiai in cerca di aria, stringendo con entrambe le mani la lancia che mi aveva trapassata da parte a parte. Avevo le mani sporche di sangue, che imbrattava anche gli eleganti decori dell’arma. Decori che io ero sicura di aver già visto, nonostante non riuscissi a ricordare dove. 
-Giulia!- ad urlare era stato Will. Corse verso di me e mi prese tra le sue braccia prima che io cadessi a terra. Avrei voluto chiamare il suo nome, ma non riuscivo a far uscire la voce.
-No… no… Giulia… resisti. Hai capito?!- mi strinse a sé, singhiozzando -Ti giuro che mi dispiace tanto- disse, prima di afferrare la lancia e di estrarla con forza. Credetemi, fece veramente male. Urlai dal dolore, e questo bastò a ridarmi quel po’ di lucidità necessaria per poter ricordare dove avessi già visto quell’arma. Ti ucciderò io stessa e se non dovessi riuscirci, farò in modo che qualcun altro ti pianti questa lancia nel corpo, sotto lo sguardo di coloro che ami. Lo giuro sullo Stige. Gea aveva mantenuto un’altra delle sue promesse. Credetti quasi di sentire l’eco della sua risata nella testa. Will premette con forza sulla ferita, tentando invano di fermare l’emorragia.
-Will…- mormorai -Gea me lo a-aveva promesso- ogni parola era un dolore tremendo -a-aveva giurato d-di uc-cidermi davanti a te- Sorrisi mestamente, stringendo flebilmente le sue mani
-Ti voglio bene- gli asciugai una lacrima. Will stava piangendo 
-No. Tu devi resistere, devi lottare. Non ti sei mai arresa, mai. Sei una combattente, e allora combatti. Sopravvivi, fallo per me- scossi impercettibilmente la testa. Non ce la facevo più, il dolore era insopportabile. Tutto ciò che volevo era chiudere gli occhi, e riposare per un po’
-Giulia, non ci provare, okay? Resta con me, noi dobbiamo andare a visitare il mondo ti ricordi? Ne abbiamo parlato una volta, di andare a vedere l’Europa, io non ci sono mai stato. Quindi devi provarci… prova a rimanere sveglia. Ora ti portiamo in infermeria… starai bene… te lo prometto- ricordavo di cosa stava parlando. Ne avevamo discusso una volta. Non riuscivamo a dormire, ed eravamo usciti sul portico a guardare le stelle, più luminose che mai quella sera, ed avevamo deciso che un giorno saremmo andati a visitare il mondo, io gli avrei mostrato la tranquilla e vecchia Europa, e lui la scoppiettante, giovane America. Me lo aveva promesso, ed io gli avevo creduto. Ma non potei credergli quella volta. Non nelle condizioni in cui mi trovavo. Avevo perso troppo sangue, la vista cominciava ad appannarsi e la testa a farsi più pesante. I muscoli si rilassarono sempre di più. L’ultima cosa che udii prima che le tenebre mi inghiottissero, fu la voce di Will: Ti voglio bene, sorellina. 
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Avete presente quelli che dicono che quando si sta per morire si rivede tutta la propria vita in un secondo? E quelli che dicono che si cammina verso una luce bianca? E ancora quelli che dicono che la morte è un buio freddo ed infinito?
Tutte balle! Niente di tutto questo è assolutamente vero. Cioè, la parte della luce bianca effettivamente è vera, ma non c’entra nulla con la morte, più o meno, e non è proprio vero che bisogna andarle incontro. Più che altro ti ci ritrovi sommerso. Ma lasciate che vi spieghi bene. 
Mi svegliai in un luogo a me totalmente sconosciuto. Mi ritrovai in una stanza rettangolare, che non era proprio una stanza, dato che mancavano pareti e simili. Infatti, più che ad una stanza, assomigliava ad una enorme nuvola bianca. Tanto bianca. Troppo bianca. Accecante oserei. Non tirava neanche un alito di vento, non si udiva il minimo rumore. Era tutto completamente piatto. Mi misi a sedere, rimanendo di stucco. Non provavo il minimo dolore o fastidio. Il punto dove avrebbe dovuto esserci la ferita causata dalla lancia era completamente integro, non vi era neanche una cicatrice, nonostante avrebbe dovuto essere di dimensioni notevoli. Ogni livido, segno, ferita o cicatrice, persino quella sul polso, era totalmente sparito. Non c’era assolutamente niente e non sentivo assolutamente nulla. Avvertii la fredda morsa della paura attanagliarmi lo stomaco. Okaypensai Sono morta e questo è l’aldilà. Era l’unica spiegazione plausibile. Anche se me lo sarei aspettata diverso. Più diavoli, più urla strazianti,  un po’ più di fuoco sparso qua e là. Ehi, non pretendevo mica di andare in Paradiso, avevo fatto anche io i miei errori
-Non sei morta sciocca.- a parlare era stata una donna. Aggrottai le sopracciglia. Con tutta quella luce non vedevo ad un palmo dal mio naso.
-Chi c’è?- chiesi. Sentii il rumore di passi che venivano nella mia direzione, e man mano che si facevano più vicini, riuscivo a scorgere più nitidamente la mia interlocutrice. Indossava quello che sembrava un chitone candido e dei sandali di cuoio
-Alzati bambina- sollevai la testa, ma non riuscii a scorgere il suo volto
-Chi sei?- nessuna risposta. Mi alzai in piedi e rimasi senza parole. Riuscivo finalmente a vedere il volto della donna, e vi dico in confidenza che tutto mi sarei aspettata meno che quello
-Mamma- la musa della poesia epica era in piedi di fronte a me, e mi guardava come solo una madre sa fare.
-Figlia mia- mi sorrise -Sei cresciuta, è possibile? Non lo so, ma sei così bella…- avrei voluto abbracciarla, ma qualcosa mi bloccò. Risentimento.
-Sai che Gea mi ha minacciata? Più volte, a dire il vero. Tu sei sparita per mesi. Dove eri?- buttai fuori. Lei mi guardò dispiaciuta
-Giulia… non potevo aiutarti in alcun modo. L’Olimpo era stato sigillato, ma sappi che ho vegliato su di te per tutto il tempo, anche se tu non mi vedevi. Non ti ho persa di vista un attimo. E volevo dirti che sei stata così intrepida e coraggiosa e forte. E che sono così fiera di 
te- sentii gli occhi pizzicare. Era mia madre. Non potevo avercela con lei, e poi non aveva colpa di quello che mi era capitato 
-Dov’è papà? E noi dove siamo? Sono forse morta?- Calliope mi guardò divertita
-Vediamo, a quale dovrei rispondere prima?- mi sentii un po’ a disagio, lei era pur sempre una divinità, le avrei dovuto portare più rispetto, ma, ehi, sono giustificata, no?
-Solo alla prima sarà sufficiente-
-Tuo padre non poteva venire con me. Si sta prendendo le sue responsabilità come genitore di uno dei fattori scatenanti della guerra, e sta aspettando che tuo nonno gli dia la punizione che egli riterrà più adeguata- la guardai confusa -Zeus- chiarì lei
-Quindi Zeus, il re degli dei, è mio nonno? Non ci avevo mai pensato- mia madre annuì -Wow… suppongo che pranzi di famiglia e regali per la festa del nonno siano fuori discussione, giusto?- Calliope rise
-Temo di sì, ma non pensare che sia perché non sei benvoluta sull’Olimpo. Lo sei, veramente. Prima della tua nascita tutti gli dei erano felicissimi, Zeus soprattutto. A discapito di come viene ritratto, ha un debole per i bambini, soprattutto se sono imparentati con lui.- provai ad immaginarmi Zeus che si vestiva da coniglietto pasquale per fare una sorpresa ad una schiera di mocciosi divini. Decisi che era meglio smettere di farlo. Guardai mia madre
-Perché mi avete lasciata andare? Cosa è successo?- fece un’espressione addolorata
-Non avevamo scelta. È raro, ma anche le divinità possono ammalarsi, o morire- 
-Ma… ma questo non ha alcun senso. Le divinità sono immortali- non riuscivo a capire
-Tecnicamente sì, ma esiste sempre l’eccezione alla regola. Suppongo che non si possa eliminare, neanche per quanto riguarda una dea- la guardai, cercando di essere il più sicura possibile
-Dimmelo chiaramente: cosa mi è successo?- sospirò
-Mi piacerebbe potertelo dire con certezza, ma la verità sarebbe troppo da sopportare, almeno per il momento. Tutto quello che posso dirti, è che sull’Olimpo non saresti stata al sicuro, non avresti vissuto più di un anno o due. Quindi, per quanto spregevole possa sembrarti, io ed Apollo abbiamo deciso di comune accordo di mandarti da qualche altra parte. In un luogo dove saresti stata al sicuro, dove avresti potuto vivere una vita tranquilla, sulla Terra. Speravamo soltanto che tu saresti rimasta fuori da tutto ciò. È infantile, lo capisco, ma spero tu un giorno possa perdonare il fatto che abbiamo preferito vederti crescere felice con un’altra famiglia, piuttosto che crescerti noi stessi e vederti poi morire tra le nostre braccia. Comprendo tutto quello che ti abbiamo negato, compiendo questa scelta al posto tuo, ma da allora non ho vissuto un solo giorno senza la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta, la tua felicità era una medicina più che sufficiente alla tristezza. E se devo essere onesta con te, non me ne pento neanche ora. Sei diventata una bellissima giovane donna, coraggiosa, gentile e forte. Tutto ciò che ho sempre sognato per te.- trattenni a fatica le lacrime
-Non sono poi così forte. Gea mi ha battuta- mi tremava la voce
-Oh tesoro mio, invece lo sei. Dopo tutto quello che hai passato sei ancora qui- 
-È tutto così difficile, mamma. Mi sento come se il mio cuore fosse diviso a metà. È un dolore che mi strazia- ammisi, lasciandomi scappare un singhiozzo
-Aggrappati a questo. Senti dolore, sei viva. Lascia che questo ti dia sollievo- solo allora ricordai. La lancia, il sangue, il dolore. Non potevo essere viva. Non era possibile.
-Cosa mi è successo? Ho visto la mia ferita. Dovrei essere morta. A meno che… sono in coma?- Calliope annuì 
-Se vogliamo chiamarlo così, sì. Sei esattamente a metà strada fra la vita e la morte. Questa è, per così dire, una sala d’attesa- mi guardai intorno
-Appare così a tutti coloro che finiscono in coma?-
-Sì, ma a nessuno viene concessa la possibilità che verrà concessa a te- la guardai interrogativa -Le persone normali, mortali esemidei, quando capitano in questo luogo-nonluogo non possono far altro che aspettare che siano le Parche a decidere se tagliare o meno il filo della vita, senza poter avere voce in capitolo. A te invece sta per essere concessa un’opportunità più unica che rara, perfino per la stirpe divina, quella di scegliere.- rimasi senza fiato
-Posso scegliere se vivere morire? Perché? Molti riterrebbero questa scelta ovvia, quindi perché non l’avete compiuta voi?- Calliope mi guardò con una dolcezza infinita negli occhi, quella di un genitore che sarebbe stato dalla mia parte a prescindere da ciò che avrei scelto. 
-Mai giudicare un libro dalla copertina. Ti è accaduto tanto. Il mondo ti è crollato addosso più di una volta, e tu ti sei sempre rialzata. Ma quanto può resistere un essere umano? Non volevo di nuovo costringerti ad una condizione che avresti potuto non volere, Giulia.- aprii bocca per replicare, non so neanche io cosa, ma fui interrotta da un rumore di passi alle mie spalle. Mi voltai e mi ritrovai di fronte ad uno degli uomini più belli che avessi mai visto, escluso mio padre (se non lo avessi citato non me lo avrebbe mai perdonato. È cosìpresuntuoso). Si trattava di un giovane uomo, con indosso una lunga tunica nera allacciata in vita, dalla pelle color teak, alto, asciutto e muscoloso, con un volto a dir poco regale, occhi color miele, lunghi capelli neri e un paio di possenti ali scintillanti di sfumature blu, nere e violette. Un vero e proprio angelo dannato. 
-Giulia, ti presento Thanatos. Ma forse tu lo conosci come la Morte.- aprii di poco la bocca, forse per dire qualcosa, o forse perché lo shock di essere faccia a faccia con la morte era troppo grande, chi può dirlo. 
-E cosa ci fa qui, se posso chiedere?- feci un passo indietro. La sua bellezza mi faceva sentire terribilmente a disagio. Non avrei mai immaginato che la morte avesse un viso, o un corpo, del genere. 
-Sono qui per scortarti nel regno dei morti, qualora tu decida di seguirmi, ovviamente.- aveva una bellissima voce. Guardai mia madre
-Ed ora che dovrei fare?-
-Non posso aiutarti con questo. La scelta è tua, e solo tua. Ma permettimi di mostrarti a cosa diresti addio- agitò con grazia una mano, ed il bianco di fronte a me si crepò, mostrandomi delle immagini. Erano Will ed altri semidei. Erano tutti raccolti attorno ad un letto, sul quale era sdraiato… io. C’ero io, inerme, su quel letto. Will era seduto vicino a me, stringendomi la mano, e dicendo qualcosa al mio corpo. Non potevo sentire quello che diceva, ma credo mi stesse chiedendo di non morire. L’avrei tanto voluto accontentare, eppure… guardai Calliope, e poi Thanatos. Ripercorsi mentalmente tutto quello che mi era capitato, non solo negli ultimi mesi. Mia madre aveva ragione. Avevo sopportato tanto, avevo stretto i pugni e mascherato il dolore con un sorriso così a lungo, forse troppo a lungo. Non potevo, anzi, non volevocontinuare a farlo. Avevo raggiunto il limite. Cameron, Gea, la guerra, le vite di quei bambini spente per un semplice capriccio… e poi la morte di Leo. Ero arrivata ad un punto di non ritorno. Non ero abbastanza forte per superare anche quello.
-Te l’ho detto che ti sbagliavi. Non sono forte come credi.- mi girai a guardare mia madre, aveva le lacrime agli occhi -ti ho perdonata, per avermi abbandonata. Non ce l’ho mai avuta veramente con te. So perché lo hai fatto… e per questo ti ringrazio. Ti voglio bene, mamma. Spero solo tu possa perdonarmi per quello che sto per fare.- 
-Giulia, come sai che non puoi guarire, se non ci provi nemmeno?!-
-No, mamma. Non puoi dire niente che possa farmi cambiare idea. Tu non capisci… io non posso. C’è qualcosa che mi sta divorando. E non mi lascerà da sola, non guarirò, il dolore è troppo grande, troppo reale. Tutte le perdite, tutto quel sangue versato sporca le mie mani, grava sulla mia coscienza. Il dolore causato e quello provato. Io… avrei potuto distruggerla, avrei dovuto affrontarla, ma non l’ho fatto! Mi sono nascosta da una parte, come una codarda, lasciando ad altre persone un compito che spettava a meLeo è morto a causa mia. C’era una profezia su di me, si chiedeva una vita per molte. Doveva essere la mia, non la sua. È troppo. Scusami.- mi voltai verso il mio accompagnatore. Mi stava tendendo la mano. La guardai per qualche istante. Ero consapevole che afferrarla significava morire, un viaggio di sola andata per l’oltretomba, e che se l’avessi accettata non sarei potuta tornare indietro. Feci un respiro profondo e sollevai la mano, sfiorando quasi quella di Thanatos…
quando una strana sensazione mi bloccò. Sentivo come una corda che mi tirava indietro, che mi impediva di fare quello che stavo per fare. D’istinto mi voltai verso la crepa di prima, e quello che vidi alleggerì il mio cuore da un peso, anche se era pressoché impossibile da credere. Leo Valdez, vivo, in compagnia di una giovane ragazza in abiti bianchi, seduto al mio capezzale, che mi scuoteva per le spalle, sperando in un cenno da parte mia
-Leo…- mi voltai verso Calliope -è reale? O è solo la mia fantasia?-
-Tutto ciò che vedi è la realtà- mi venne istintivo piangere, poi ridere, e poi piangere mentre ridevo. Era un miracolo. 
-Giulia- la voce dell’angelo mi riportò alla realtà -allora? Ho una certa fretta.- esitai. Leo era vivo. Così come mio fratello e gli altri miei amici. Smisi un attimo di pensare a come mi sentivo io e mi concentrai a come potevano sentirsi loro. Da quello che vedevo, erano stati meglio. Potevo veramente decidere di alleviare il mio dolore, se questo voleva dire causarne di più alle persone che amavo? No. Certo che non potevo. Cosa mi era saltato in mente. Non potevo costringere Will a sopportare la mia morte. Non poteva perdere un altro dei suoi fratelli, non dopo Lee o Michael. 
-Vai pure. Sono sicura che ci rincontreremo, ma non adesso. Non è il mio momento di cadere.- Thanatos riabbassò la mano e mi fece un cenno di saluto con il capo, per poi sparire in un turbinio di piume e capelli. Tesi una mano verso mia madre. Lei la afferrò e mi tirò a sé, stringendomi forte a sé. Ricambiai la stretta, affondando il viso nell’incavo del suo collo, sentendomi finalmente al sicuro dopo tanto tempo. Calliope sciolse l’abbraccio
-Dai su, ci stanno aspettando sull’Olimpo-
-Cosa?- lei mi sorrise, carezzandomi la guancia
-Andiamo sull’Olimpo, a casa nostra.- mi separai da lei
-Ma… hai detto che non sono al sicuro lì.-
-Giulia… adesso sei un’adulta, è diverso. Hai dimostrato di potertela cavare, e poi, dopo quello che hai passato, non voglio separarmi di nuovo da te. Se anche tu lo sei, io sono disposta a correre il rischio. Allora?- guardai in basso
-Non posso dire addio alla mia altra famiglia come se niente fosse. Non voglio rinfacciare niente, ma sono stati loro a crescermi. Pensi che possa separamici così, a cuor leggero?-
-Figlia mia, saresti una dea, potresti andare a trovarli quando ne avresti voglia. Ti sto offrendo l’immortalità, di essere quello a cui sei sempre stata destinata. Ad essere una principessa.- mi rivennero in mente le parole di Cameron, e capii. Non volevo essere una principessa, non volevo aver nessun rango, volevo essere normale, nei limiti che il mio sangue permetteva.
-Scusami. Ma non sono pronta, ad essere una principessa. Non sono pronta a dire addio al mio mondo. E con questo non sto dicendo che non voglio vivere con te e papà, sul serio. Non c’è niente al mondo che vorrei più di stare con voi… ma cosa è una vita immortale, se vissuta senza i miei affetti terreni?- mi prese le mani e mi guardò con amore misto a tristezza
-Comprendo ed accetto la tua decisione- le diedi un ultimo abbraccio 
-Arriverà il giorno in cui mi riunirò a te e agli altri dei. Devi solo essere paziente.- Calliope sorrise
-Ricordati solo una cosa, bambina mia, tu sei e sarai sempre una principessa, ce l’hai nel sangue, e niente potrà mai cambiarlo, nessuno potrà mai strappartelo via. Le sfide che affronterai potranno spezzarti, ma non saranno la tua fine.- Leo mi aveva rivolto esattamente le stesse parole. La guardai negli occhi. Volevo dirle qualcosa, ripeterle che le volevo bene, che mi dispiaceva, ma non ne ebbi il tempo. Calliope agitò una mano e all’improvviso una forte luce bianca mi sommerse, obbligandomi a chiudere gli occhi. 
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Quando li riaprii mi trovavo in un luogo decisamente meno illuminato, probabilmente la tenda medica del Campo. Scattai a sedere, respirando quanta più aria potevo, crogiolandomi nella sensazione di essa nei miei polmoni e nel dolore delle mie ferite. Ero viva. Ero felice di esserlo. Mi portai una mano al petto, ringraziando gli dei quando sentii il battito del mio cuore. Chiusi gli occhi, cercando di catturare il ricordo di mia madre e di imprimerlo per sempre nella mia mente. La gioia lasciò lentamente il posto al dubbio. Mi chiesi se avessi fatto la scelta giusta. Se non fosse stato meglio, almeno per me, alleviare tutto il dolore, rimuovere il ricordo delle ultime settimane. Avevo rimpianto così tanto la morte di quei ragazzi, molti dei quali non avevano neanche la mia età, di quei bambini, quando ero una bambina io stessa. Ero ancora molto giovane, c’era una vita intera davanti a me, potevo sopportare quel genere di peso così a lungo? Il rumore di qualcosa di metallico che cadeva a terra mi fece riaprire gli occhi. Sorrisi. Sull’uscio c’era nientepopodimeno che Leo Valdez, il figlio di Efesto con tendenze piromani che preferivo, che mi guardava come se fossi un fantasma o una qualche sorta di illusione. Lanciai un’occhiata ai suoi piedi e poi lo guardai con un sopracciglio alzato
-Era il mio pranzo quello?- indicai un vassoio caduto a terra. Leo sorrise e mi si gettò letteralmente addosso. Mio malgrado mi irrigidii, finendo con scostare Leo dal mio corpo
-Ehi- dissi sorridendo -Sei vivo- si passò una mano fra i capelli
-Anche tu- annuii, poi si alzò di scatto dal letto -Devo chiamare Will!- non ce ne fu bisogno. In quell’esatto momento anche Will era entrato in infermeria e mi stava guardando come se non fossi reale. Non appena incrociai il suo sguardo ogni dubbio fu spazzato via. 
-Will…- mi pizzicarono gli occhi. Will fece per venirmi incontro per abbracciarmi, ma si fermò a metà strada, con una domanda inespressa negli occhi. Mi ricordai di cosa avevo detto a mia madre. Non guarirò.Lei aveva ragione, non potevo saperlo, se non ci provavo neanche. Accennai un sorriso e gli feci cenno di avvicinarsi. Will sembrò sorpreso per un attimo, ma poi corse da me e mi strinse al petto, accarezzandomi i capelli e stringendomi come se fossi la cosa più importante per lui. Mi fece male, fisicamente ed emotivamente, ma decisi di ignorare il secondo. Con un po’ di esitazione ricambiai la stretta, affondando il viso nel suo petto, ridendo fra le lacrime, che stavolta erano di gioia. Non fraintendete, il senso di disagio non era sparito nel nulla. La paura c’era ancora. Il ricordo era ancora troppo fresco, ed ogni volta che qualcuno mi toccava mi tornava in mente Cameron, non potevo farci niente. Non erano tanto le piccole cose che mi creavano problemi, quanto i grandi gesti. Fu Will ad interrompere l’abbraccio, per non forzarmi troppo 
-Giulia. Sei tornata finalmente- stava ridendo e piangendo anche lui
-Per quanto sono rimasta in coma?-
-Circa una settimana. Ma adesso non importa. Devi riposarti e mangiare qualcosa. Ne parleremo quando starai meglio-
-Quindi hai intenzione di tenermi qui fino alla fine dell’estate? Che tra parentesi è quasi finita?- mi diede un buffetto sul naso
-Ho intenzione di tenerti qui fino a che non starai meglio. Non temere, fra quattro o cinque giorni potrai tornare a salvare il mondo.- si alzò e si incamminò verso l’uscita -Vado a prenderti qualcosa da mangiare. Leo, rimani te con lei?-
-In verità- intervenni, prima che lui rispondesse -Gradirei rimanere sola per un po’. Se non vi dispiace-
-Certo che no- replicò Leo -Rimettiti- concluse. Uscirono entrambi, lasciandomi un po’ di tranquillità per riflettere. Ero là, ancora una volta. Mi ero letteralmente trovata faccia a faccia con la morte, ed ero sopravvissuta. Mi chiesi cosa ci potesse essere più forte del cuore umano, che veniva spezzato e calpestato più e più volte, eppure continuava a battere.  
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Will aveva mentito. Mi tenne costretta a letto per ben una settimana intera, al termine della quale mi concesse di godermi gli ultimi giorni di vacanze, seppur suo malgrado. Nonostante tutto, la settimana non fu terribile. Ebbi il tempo di riposarmi ed un sacco di perone vennero a trovarmi per farmi un po’ di compagnia. Will passava più volte al giorno ed anche Leo cercava di farsi spesso vivo. Quando non poteva lui, veniva la sua ragazza Calipso (sì, quella Calipso) a fare le sue veci. Era veramente una persona fantastica, e sperai di poter diventare sua amica, un giorno. L’unico a non essersi mai presentato era Malcolm, contro ogni previsione. Anche se la mia permanenza in infermeria era stata piuttosto piacevole, non vedevo l’ora di andare via. Il giorno del mio rilascio forzato, tuttavia, mi sentii strana ad uscire dal letto. Fino a quel momento ero stata al sicuro, costantemente sorvegliata da qualcuno, ed ero anche stata lasciata libera di prendermi i miei tempi per guarire. Ma adesso dovevo uscire, mescolarmi con gli altri, del tutto ignari delle mie pure e dei miei incubi. Inoltre in infermeria nessuno mi aveva fatto domande sul perché mi svegliassi a tarda notte in un bagno di sudore, con il respiro corto. Mi guardai allo specchio. Esternamente ero sempre la stessa ragazza di qualche mese fa, solo un po’ più abbronzata. Persino i lividi erano sbiaditi e le ferite stavano cominciando a sparire, almeno quasi tutte. Eppure, io mi vedevo diversa. C’era qualcosa nel mio viso che non c’era al mio arrivo. Mi chiesi se fosse evidente a tutti o se fosse solo una mia impressione, come se vedessi riflesse nei miei occhi le mie esperienze, sia quelle belle che quelle brutte. Mi portai la mano destra al viso. Ormai non portavo più il guanto, non ce ne era più il bisogno, e a coprire l’ultimo segno visibile dell’orrore che avevo subito era rimasta una sottile benda bianca. La srotolai lentamente, trattenendo le lacrime quando vidi quel segno rosso inciso sulla mia carne. Mi morsi il labbro. Will mi aveva spiegato abbastanza di medicina da sapere che quella cicatrice non sarebbe mai guarita del tutto, ma che sarebbe rimasta a vita. Un ultimo regalo da parte di Cameron, un costante promemoria di come era riuscito a schiacciarmi. Distolsi lo sguardo. Non volevo che gli altri la vedessero, sarebbe stato difficile spiegare come me l’ero procurata, ma non potevo bendarmi il polso per sempre. Tutto ad un tratto mi venne l’illuminazione. Andai verso quello che era stato il mio letto nell’ultima settimana e presi una fascia per capelli nera dal comodino accanto. Era la fascia che mi aveva regalato Leo, sarebbe stata l’ideale per nascondere la cicatrice. L’arrotolai attorno al polso in maniera tale da coprire completamente la ferita ed osservai il mio lavoro allo specchio. Era anonima e nascondeva alla perfezione quello che doveva nascondere. Mi venne da sorridere. Forse, col tempo, sarei riuscita a dimenticare anche io. Presi un bel respiro. Non potevo più nascondermi, e poi lo avevo chiesto io di essere dimessa. Uscii fuori e fui sommersa dal Campo. L’atmosfera allegra, l’odore delle fragole, la musica dei satiri, le urla e le risa dei mei compagni, della mia famiglia. I romani se ne erano già andati, ma avevano promesso di tornare a farci visita. Mi venne da sorridere. Nonostante tutto ciò che avevo passato, quella era casa mia, e non rimpiangevo nessuna delle mie scelte. Se non le avessi prese, non avrei mai conosciuto persone fantastiche come Will e gli altri miei fratelli, avrei sentito la mancanza persino di Destiny. Perché dico che mi sarebbe mancata? Ovvio. In inverno avevo intenzione di tornare a Roma e di continuare i mei studi lì con la mia famiglia, come facevano già altri semidei, per poi tornare l’estate seguente. Non sapevo ancora se sarei stata in grado di passare un anno intero senza Will, certo è che ci avrei provato e che mi sarebbe mancato come l’aria, ma non avrei mai potuto rinunciare all’altra mia famiglia. E poi, se la nostalgia fosse stata troppa, sarei potuta tornare per le vacanze natalizie. A proposito di Will… il vero motivo per il quale avevo deciso di andarmene era perché tanto lui non sarebbe stato solo. Con lui c’era Nico, il figlio di Ade, con il quale stava animosamente discutendo proprio in quel momento. Risi. Quei due erano proprio cane e gatto, eppure erano fatti l’uno per l’altro. Mi guardai intorno, vedendo il lontananza Malcolm. Era giunto il momento di confrontarlo, non ero stata carina con lui l’ultima volta che ci eravamo visti. Mi avvicinai mentre era di spalle
-Ciao- lui si voltò a guardarmi
-Oh. Ciao, Giulia. Come stai?-
-Io… bene, credo. Non ti avrei disturbato, ma volevo scusarmi con te. Per come mi sono comportata l’ultima volta…-
-Cosa? No, Dovrei essere io quello a scusarsi. Will mi ha raccontato in sintesi quello che ti era capitato e mi sono sentito un verme, non avrei dovuto forzarti. Scusami- disse, tutto rosso in viso
-Quindi è per questo che non ti sei fatto vivo per una settimana intera?- lui mi sorrise
-Per questo e perché Leo mi ha fatto capire di doverti lasciare i tuoi spazi. Diciamo che è più forte di quel che sembra.- sgranai gli occhi
-Cosa?! Malcolm dimmi che non avete fatto a botte- 
-Beh, tecnicamente lui mi ha solo spintonato. Ma è tutto okay. Lo ha fatto solo perché ci tiene a te. Lo avrei fatto anche io.- mi venne da ridere. Ero sia compiaciuta che arrabbiata. Strano mix. 
-Senti…- riprese il figlio di Atena -Io adesso devo andare, ma volevo solo dirti che, quando sarai pronta, quell’uscita per me è sempre valida.- io sorrisi
-Quando sarò pronta ti chiamerò- Malcolm mi sorrise di rimando, per poi allontanarsi. Io decisi di andarmi a fare una passeggiata. Mi incamminai senza una vera meta, fermandomi di tanto in tanto a salutare gli altri, fino a che non arrivai ai piedi della collinetta sulla quale mi ero rifugiata il mio primissimo giorno al Campo, sulla quale avevo conosciuto Will per quel che veramente è. Da quel giorno ci eravamo tornati spesso. Era diventato il nostro posto speciale, non ci saliva quasi mai nessuno. Cominciai ad arrampicarmi. Quando fui arrivata in cima ripresi fiato e, mio rammarico, mi resi conto di non essere stata la sola ad aver avuto quell’idea. 
-Anche tu qua?- chiesi. Leo annuì, senza neanche voltarsi a guardarmi -Posso sedermi?- lui annuì di nuovo. Mi sedetti accanto a lui sull’erba fresca, guardando la vita scorrere come se nulla fosse, ascoltando il canto del vento.
-Che ci fai qui?- finalmente Leo si era deciso a parlare
-È il mio posto preferito qui al Campo. C’è un tale silenzio, una sorta di perfetta armonia. E poi da qui si vede tutto, ed in un certo senso è tranquillizzante, sapere di poter avere tutto sotto controllo- risposi 
-Che coincidenza. È anche il mio- replicò lui. Mi voltai a guardare il suo profilo. Non era proprio bellissimo, ma, in qualche modo, attirava l’attenzione su di sé, anche se non sempre in modo positivo. Ma non era il mio tipo. Un po’ troppo “focoso” per i mei gusti, se capite cosa intendo. Inoltre non lo conoscevo quasi per nulla, nonostante il pensiero di non vederlo più per nove mesi mi intristisse non poco. Senza che me ne accorgessi, Leo Valdez era riuscito ad entrare nella mia vita, e non se ne sarebbe andato presto, almeno non prima di avermela incasinata totalmente.Tornai a guardare l’orizzonte, sentendo il suo sguardo addosso.
-Ehi- esordì all’improvviso -Mi pare di conoscere quella fascia- disse, indicando il mio polso. Io ridacchiai, cominciando a giocarci distrattamente.
-Mh, forse. Me l’ha regalata un tipo all’inizio dell’estate. Lui è un po’ fastidioso, ma ci si può lavorare su- disse, con un sorrisetto
-Ehi!- protestò Leo, con una risata, per poi guardarmi con superiorità -Comunque sei adorabile. Ti mancavo così tanto che l’hai portata con te per tutta l’estate!- arricciai il naso
-In realtà, oggi è la prima volta che la indosso. Di solito la tenevo in tasca- ammisi. Lui mi guardò sornione
-E perché?-
-Tu… non sai tutta la storia, vero?- lui tornò immediatamente serio, scuotendo la testa. Io presi un bel respiro e tolsi la fascia, scoprendo la ferita. Se che avevo deciso di nasconderla a tutti, ma sentivo come se a Leo potessi dire tutto. Lui rimase a fissare la cicatrice per un bel po’, prima di tornare a guardarmi negli occhi
-È stato Cameron.- anticipai la sua domanda -Ha deciso che sarebbe stato divertente farmi questo ultimo dono. In modo tale che, anche se il suo piano fosse fallito, lo avrei ricordato per sempre. Non mi chiedere quello che c’è scritto, perché non lo so neanche io. È una formula magica, l’ha usata per portare via ogni magia dal mio guanto, decretando la distruzione dell’umanità, o perlomeno di tutta Long Island. Fortunatamente ho trovato un’alternativa.-
-Sì, Will mi ha raccontato tutto- disse -Ma perché la copri?- 
-Sinceramente, non voglio che gli altri qui al Campo la vedano. Non voglio dover dare spiegazioni e non voglio essere guardata con compassione o pietà. Io non voglio essere ricordata come una povera vittima, perché non sono stata solo quella. Io so di essere di più- feci una pausa, ricoprendo la cicatrice -E poi, non voglio vederla neanche io. Ogni volta che ci penso, anche minimamente, non posso fare a meno di ricordare che Cameron è ancora a piede libero e di cosa è capace. E che un giorno potrebbe tornare per finire quello che ha cominciato.-
-Giulia. Non voglio dirti come vivere la tua vita, ma non puoi semplicemente far finta che non sia successo nulla. Così non farai altro che continuare a vivere nel passato. Dovresti scrollartelo di dosso, superare il blocco mentale che ti impedisce di parlarne e mostrare con orgoglio le tue cicatrici come il segno che hai passato il peggio, e nei sei uscita più forte di prima.- disse- In un certo senso aveva ragione, ma mi ci sarebbe voluto ancora del tempo prima di poter seguire il suo consiglio. Tuttavia, gli fui grata per quelle parole, e gli sorrisi, posando, non senza esitazione, la mano sul suo braccio, stupendo entrambi. 
-Ti ringrazio. Ma non è ancora il momento. Prima devo guarire del tutto- dissi, togliendo la mano. Lui mi fece l’occhiolino
-Beh, stai facendo progressi.- osservò. Io feci spallucce
-Come ha detto mia madre: come potrei, se neanche ci provo?-
-A proposito di tua madre!- disse, per cambiare discorso -Will mi ha parlato della tua complicata storia familiare! Allora, hai puro sangue divino nelle tue vene! Forte!- io roteai gli occhi
-Non proprio…è una storia lunga e complicata. Ti basti sapere che non sono una dea, almeno non più, e che sono esattamente come te-
-Capito- mi guardò con un’espressione strana -peccato però-
-Cosa?- chiesi confusa 
-Saresti stata una dea fantastica. E poi… sei bella quanto una principessa- mormorò l’ultima parte. Io mi sdraiai sull’erba fresca, con il viso rivolto verso l’alto, immediatamente imitata da Leo. 
-Ma perché mi chiamate tutti principessa- bofonchiai -Comunque, basta parlare di me. Parliamo di te piuttosto. Sai ho conosciuto la tua ragazza, Calipso. Mi è venuta a fare compagnia quando tu non potevi e mi ha spiegato come vi siete conosciuti. È una tipa okay. Approvata!- Leo scoppiò a ridere
-Ho bisogno della tua approvazione?-
-Certo che sì!- replicai, fingendomi offesa -Sono tua amica e la mia opinione deve essere oro per te-
-Ah sì? Vogliamo parlare allora del TUO ragazzo? Io non l’ho approvato!-
-Punto primo, non è il mio ragazzo. Punto secondo, lo so che non lo approvi. Oggi la prima cosa che ho fatto dopo essere uscita è stata cercarlo per chiedergli scusa. Lui mi ha detto che non dovevo dire nulla perché ci aveva già pensato Will. E che è sparito per una settimana perché qualcuno gli ha, per così dire, consigliato di lasciarmi perdere.- mi voltai a guardarlo e vidi che lui aveva fatto la stessa cosa -Qualcosa da dire a riguardo?-
-Mi dichiaro innocente vostro onore. Il mio non era un consiglio, era un ordine!- scoppiai a ridere 
-Dai!-
-Scusa, ma quando sono uscito dall’infermeria ho visto che lui voleva a tutti i costi tronare dentro da te. Ho provato a spiegargli che volevi stare sola, ma non voleva sentire ragioni. Quindi sono ricorso alla forza bruta dei miei possenti muscoli!-
-Ma quali muscoli- risi -In ogni caso… grazie. Lo apprezzo.- 
-Non c’è di che, principessa- mi guardò negli occhi con tanta intensità da farmi sentire a disagio. Mi schiarii la voce e tornai a guardare verso il cielo
-Parlami un po’ di te. Tu mi conosci a pennello. Mentre io non so nulla di te- dissi
-Beh… avrei così tante cose da raccontarti- replicò. Feci un sorrisetto. Che ironico deja-vu
-Inizia dalla più facile.- lui sembrò pensarci un attimo
-Mia madre era una meccanica- iniziò. In fin dei conti, suppongo che spiegarmi come facesse ad essere vivo non fosse poi la cosa più facile. 
 
 
 
 
 
 
 
Non mi avete fatto niente 
Non mi avete tolto niente 
Questa è la mia vita che va avanti 
oltre tutto, oltre la gente 
Non mi avete fatto niente 
Non avete avuto niente 
Perché tutto va oltre Le vostre inutili guerre
§FINE§

*Angolo Autrice*
 
Eccoci qui. Siamo finalmente, e dopo tanta, ma tanta, fatica, giunti al fatidico capitolo finale. Ho deciso di pubblicarlo con una settimana di stacco perché volevo prendermi un po’ di tempo per rivederlo, per tagliare, cambiare e sistemare. Volevo che fosse un capitolo finale all’altezza delle aspettative, e credo che questo ci si avvicini parecchio. Inutile dire che adesso mi sento un po’ vuota. Come vi avevo già detto, avevo questa storia in cantiere da un bel po’, e non avevo mai pensato che sarei veramente arrivata a questo punto. Già sento la mancanza di Giulia, che non mi ha accompagnata solo in queste otto settimane, ma che mi ha accompagnata per anni. È il primo personaggio inventato da me di cui riesco a portare a termine la storia. Come vi avevo già anticipato, avrei piacere di continuare a scrivere su di lei. Ci sarebbero tanti spunti da cui proseguire il racconto (anche se per il momento ho ritenuto giusto chiuderla così), quindi, se pensate possa farvi piacere continuare a leggere di lei fatemelo sapere ed io mi adopererò per mettere nero su bianco tutte le mille idee che ho già, accettando anche spunti e consigli da parte vostra, se ne avete. Non ho altro da aggiungere, quindi, grazie a tutti per aver seguito la mia storia, spero vivamente vi sia piaciuta. Vorrei ringraziare una persona in particolare, che non si è mai risparmiata dal regalarmi ogni volta delle bellissime parole. Grazie mille Rexmin, le tue parole mi hanno sempre incoraggiata a continuare. Grazie anche a tutti i lettori silenziosi e a chi ha aggiunto la storia tra le ricordate/preferite. Per il momento, è tutto. Un bacio ed un abbraccio enormi,
Willie
 
 
   
 
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