I.4
Tante
cose, Heero le ha capite quasi immediatamente:
Wufei
vede male da vicino, eppure gli occhiali da lettura gli fanno
venire gli occhi
rossi. Beve tè bianco, come se in un sorso potesse sciacquar via
l'amarezza. Shenlong,
per lui, è e non è Nataku;
Nataku, per Wufei, è
la treccia per Duo.
La sete di giustizia, il disperato senso dell'onore, sono tutto
ciò che gli
rimanga della sua gente, di quello che sarebbe potuto diventare
un grande amore.
Wufei
spera ancora nella retribuzione.
Quatre
vede più di quanto lasci intendere: le cose come sono, quelle
possibili e
quelle da evitare; per lui l'impossibile è solo un parametro da
ridefinire. Beve
troppo caffè, ma preferisce un tè verde, bollente,
disgustosamente dolce. Il
suo senso di colpa è non tanto per gli atti, quanto per le
omissioni, per il
suo sangue, per il privilegio e la tragedia della sua nascita;
s'estende ad
includere le circostanze, le scelte degli altri, e – nei giorni
difficili – le
leggi della fisica. Spesso dorme male, e mai abbastanza; non è
accertato che
sia capace di sognare. Quando suona il violino o ascolta la
musica, prima della
melodia, sente la matematica. I silenzi di Trowa sono oggetto di
pura ed
assoluta riverenza, come se gli rivelassero infine qualcosa che
non si prevede
e che non s'aspetta, l'ottava meraviglia. Quatre s'aggrappa
all'immagine che
vorrebbe avere di sé, alla sensibilità, al tatto, a un'indole
gentile: se ne
riveste, come d'una corazza, perché è terrorizzato da quel che
cova in cuore – e
da come pensa con la testa.
Trowa
ha dieci decimi, vede con chiarezza. Non beve né tè né caffè, se
Quatre o la
parte non lo forza. Riesce a dormire in ogni circostanza – bene,
qualche volta.
È di poche parole, tutte pesate, tutte giuste; quasi tutte
buone. Il suo
silenzio è eloquente, e culla qualcosa di così gentile che
diventa fragile;
l'avvolge, ma non lo nasconde. Trowa ha la serietà e la
leggerezza d'un
trapezista; sotto ai riflettori, passa inosservato, come
un'ombra. Sa essere
chiunque, all'evenienza.
Duo è
un mistero, la contraddizione e il doppio di sé stesso – quasi
un segreto che
si rivela come una domanda.
Duo
beve tutto, purché lo tenga sveglio, senza preferenza; Heero non
è ancora
convinto che Duo dorma.
Di
tutti loro, indubbiamente è Duo il miglior pilota; l'infiltrato
più scaltro; la
minaccia inattesa che entra dalla finestra – come brezza –, fa
una carneficina
come fosse una festa, ed esce senza chiudere la porta. Ne fa un
punto
d'orgoglio, però non se ne vanta. Duo è competitivo e sa che il
vero
virtuosismo è nel controcanto: è più a suo agio sullo sfondo,
per fare quel che
deve – quel che vuole – e potersi defilare indisturbato; detesta
dover prendere
commiato, perché sa per esperienza che voglia dire essere il
solo che rimane –
e lo terrorizza.
Duo
non mente mai, ma offre spesso mezze verità, in apparenza senza
alcuna
importanza – Heero, tuttora, sovente non capisce quale sia una
perla di
saggezza e quale una sciocchezza.
Duo –
che corteggia la Morte e si definisce Gramo
Mietitore – ama la vita e gli esplosivi, quasi con
tenerezza.
Duo,
con Deathscythe, ancora si confessa – o meglio, coll'unico
bullone che gli
resta.
Duo è
una tempesta che cova in un mattino di sereno. Duo è la pace
nell'occhio del
ciclone. Duo è sorprendente e spiazzante come un giorno di
pioggia per chi,
dalle colonie, non l'ha mai vista.
Duo
fa lo scemo, però alla guerra, poi, ci va lo stesso.
Ma
c'è una cosa che Heero, come un profeta, ha saputo sempre
dall'inizio: tutti
loro sono armi, un poco difettate, di distruzione di massa – e,
senza disarmo,
non c'è armistizio.