I.5
Finita
la guerra, Heero è alla deriva: disperso in mezzo a chissà quale
mare – che, calmo,
fa tanta più paura di quand'è in tempesta –, non alza lo sguardo
e non parla;
forse è troppo impegnato a tenersi a galla.
Passa
le giornate a piegare origami – di carta da zucchero e carta velina, carta
bibbia e carta di riso; di carta riciclata e cartastraccia – in
gru, rane e
farfalle; insetti tristi; poligoni impossibili, deliri
matematici; figure
antropomorfiche spettrali, che sembrano cadaveri; cuori troppo
realistici.
Duo
ci prova, però anche lui ha i propri fantasmi e, per queste
cose, ha poca
pazienza; per vederlo così, non ha più la forza.
Trowa
– avendo giocato col fuoco, o forse perché è caduto un po'
troppe volte
battendo la testa – ha sensibilità nell'animo, ma non nella
punta delle dita.
Quatre
ha a malapena il tempo per un'email e una telefonata di
circostanza; potrebbe
non averne abbastanza neanche per il senso di colpa.
Dunque
è Wufei che siede con lui nelle ore più lunghe delle mattine
pallide, dei grigi
pomeriggi.
"Insegnami",
gli chiede.
E le
mani di Heero piegano più adagio, meticolosamente, come spiegando
il piano di un'ultima
battaglia.