Lisa Kane,
caporedattore dello Zenosyne, ha il serbatoio della pazienza in
riserva. Toglie gli occhiali, la cui montatura verde tiffany fa pendant
con la poltroncina sulla quale è seduta, e li infila tra i
riccioli della capigliatura afro mentre scruta in cagnesco la presenza
molesta che infesta il suo ufficio da cinque minuti.
La suddetta presenza se ne sta in piedi, impettita,
dall’altro lato
della costosa scrivania in vetro curvato: borsa a tracolla, mani sui
fianchi, maniche della giacca in denim nero tirate a
metà degli avambracci.
«Barton, per l'ultima volta» sospira Lisa.
«Se Malone non vuole pubblicare il tuo pezzo, io non posso
farci niente. È lui il direttore.»
«Esattamente cosa c’è che non va
nell’articolo?» insiste Nova.
«Non è il genere di articolo che si aspettano i
nostri lettori.»
Nova allarga le braccia. «Ai lettori non
verrà un infarto se, una volta tanto, leggono qualcosa di
diverso dal resoconto dell'ultima faida tra starlettine.»
Lo sguardo di Lisa è un pozzo di disinteresse.
«Magari» rincara Nova, piantando i palmi sulla
scrivania, gli anelli tintinnano contro il ventro, «offrire
dei contenuti nuovi potrebbe far bene
all'immagine dello Zenosyne.»
«Alleluia per la nostra salvatrice. Togli le mani dalla
scrivania. Ci lasci le impronte.»
Nova raddrizza la schiena e arretra di un passetto.
Cala un istante di tregua.
Oltre il vetro satinato della doppia porta è una bagarre di
voci, squilli di telefono e ronzii di stampanti; si lavora senza sosta
nella redazione dello Zenosyne: un corridoio e cinque stanze, bagni e
sgabuzzino esclusi, all’ottavo piano di un moderno palazzo
sulla State Street.
«In ogni caso» brontola Lisa, «se proprio
vuoi protestare, parla con Malone.»
«A che ora arriva?»
«Non prima delle undici. Aveva un incontro con il suo
avvocato, questa mattina.»
«Il divorzista?»
«Sì.»
Nova sbuffa come un cavallo.
Lisa la guarda storto.
Poi entrambe si girano verso la porta: annunciata da un leggiadro
colpetto di nocche, una ST400 entra nell’ufficio. Regge un
vassoio tra le manine bianche e affusolate da androide; sopra il
vassoio ci
sono un grosso bicchiere di plastica biodegradabile e una scatolina di
carta. Entrambi
rosa cipria. Entrambi decorati con il lezioso monogramma di una
pasticceria.
«Era ora!» sbotta Lisa. «Ma quanto ci
è voluto?»
«Mi dispiace, signora Kane» comunica
l’androide,
sistemando il vassoio sulla scrivania. Riesce a essere, allo stesso
tempo, impeccabilmente gentile e assolutamente
priva di espressività. «Il traffico intenso di
questa mattina ha rallentato il fattorino del Bizier
Cafè.»
L’hanno battezzata Hildy – Nova sospetta che in
redazione ci sia qualche fanatico delle commedie della Hollywood degli
anni d’oro – ed è la segretaria
perfetta: efficiente nel lavoro e bella da guardare. Le è
stato dato l'aspetto di una giovane donna accessoriata di grandi occhi
nocciola, capelli corvini dall’aspetto setoso sempre legati
in una bassa coda e una pioggerellina di efelidi sul nasino
all'insù. La divisa ricorda il taglio di un tubino nero
senza maniche. Una flebile fosforescenza azzurra anima la fascia al
braccio e il triangolo cucito sul petto.
Hildy porta le mani dietro la schiena e Nova comprende di essere
entrata nel raggio dell'interfaccia visiva quando le sorride
nel modo, a parer suo vagamente disturbante, in cui sorridono tutti gli
androidi: gli angoli della bocca salgono verso l’alto, la
pelle sintetica fa le dovute pieghe d’espressione, ma lo
sguardo resta distante e imperturbato.
«Buongiorno, signorina Barton. È un piacere
rivederla in redazione.»
«‘Giorno, Hildy» butta lì Nova.
Un tremolio del LED e l'androide torna a rivolgersi a Lisa.
«Posso essere utile in qualcos’altro, signora
Kane?»
Lisa sta sorseggiando il latte al matcha.
«No, va’ via. Devo lavorare.»
Hildy obbedisce.
Nova, invece, riceve l’ennesima occhiataccia.
«Vale anche per te.»
/\ \/
La
sala riunioni
è vuota. Nova si è piazzata in una delle
poltroncine di pelle, con la caviglie accavallate sopra il lucido
tavolo ovale. Dal soffitto un sottile lampadario a cerchio incombe come
un'astronave aliena e sulla parete alle spalle di Nova è
agganciato un display da settanta pollici. Il resto delle pareti,
lisce come paratie di uno shuttle, sono tappezzate di foto di
copertina, titoloni e stralci di
articoli tirati fuori da numeri passati dello
Zenosyne.
«Uh-uh, le leggende erano vere. Nova Barton è
tornata.»
Nova mette giù i piedi.
La testa di Zachary Walton, che dal terzo anno di liceo Nova chiama
Walty e non ha intenzione di smettere oggi, si è affacciata
tra i battenti della porta.
«Avevo avvertito un disturbo nella forza.»
Walty entra, chiude la porta e parcheggia le chiappe sul tavolo, di
fianco a Nova. Sotto la camicia di flanella, indossa una
t-shirt nera con la locandina di Star Wars Episodio Dodici, l'ultimo
della quarta trilogia. «Allora... contro chi hai scatenato la
tua ira?» chiede, cavando dalla tasca dei larghi jeans un
Butterfinger imbustato in carta gialla e crepitante.
«Contro nessuno» assicura Nova. «Sto
aspettando di parlare con Malone. Ha rifiutato il mio ultimo articolo.
Voglio solo sapere perché.»
Walty scarta la barretta al cioccolato. «Finirà
male. Molto male» preannuncia.
«Uomini. Sempre a buttarla sul tragico.»
Walty la fissa socchiudendo le palpebre sopra le pupille verde acqua.
Ha ventisette anni ma sembra ancora un liceale: alto, tutto gomiti e
ginocchia, e una testa che gronda riccioli rosso rame.
«Senti» sospira lui, «lo vuoi un
consiglio?»
«Mostrami la via, sensei.»
«Non farlo incazzare. Malone, dico.»
Improvvisamente, Walty sembra serio. E Walty in modalità
seria è come un’eclissi solare: un evento raro e
c’è chi lo considera preannuncio di sventura.
«Ultimamente è... come dire, a corto di
pazienza.»
«Che problemi ha?»
«I problemi che abbiamo tutti. Non è mica facile
tenere in piedi un giornale di questi tempi. Ringrazia che sia ancora
disposto a pagarci. Hai idea di quanto risparmierebbe se sostituisse la
metà di noi con gli androidi?»
Come evocato da quelle parole, il WG100 modellato sulle fattezze di un
ragazzotto di colore fa la sua comparsa
sulla porta, spingendo il carrello delle pulizie. L’androide
si immobilizza
sulla soglia. La luce azzurra del suo LED sfarfalla.
«Chiedo scusa. Tornerò quando la sala
sarà libera.»
«Pulisci pure, Jimmy, amico» lo ferma Walty, con un
sorriso allegro. «Stiamo solo cazzeggiando.»
Jimmy spinge il carrello fino al lato opposto della sala e, in
silenzio, inizia a trafficare tra strofinacci e flaconi.
«Non vi licenzierà» riprende Nova.
«Non è così bastardo. Siete in dodici
qui dentro e solo due sono androidi. È buon segno.»
Walty le rifila un'occhiata strana e per un attimo Nova ha la mezza
impressione che lui sappia qualcosa che non le sta dicendo. Ma alla
fine Walty distoglie lo sguardo e dà un morso alla barretta.
«Beh...» mastica. E fissa lo snack decapitato.
«Se mai dovesse sostituirci con gli androidi, mi sa che il
programmatore qui presente sarà il primo a essere buttato
fuori. E se perdo il posto... sono già in ritardo di tre
mesi, con l'affitto.»
Nova si acciglia.
«Ma quanto ti paga Malone?»
«Non è lo stipendio il problema. È che
le medicine per papà... quelle costano.»
«Quanto ti serve? Per l’affitto, intendo.»
«Non ci pensare nemmeno.»
«Eddai, Walty.»
«Hai vinto la lotteria e non me lo hai detto?»
«Non navigo nell’oro, ma posso ancora salvare un
idiota dallo sfratto.» Nova sottolinea le buone intenzioni
rifilando un calcetto allo stinco di Walty. Alla Huron High, Nova e
Walty erano nella stessa classe di algebra. Lui
era un genio, lei una schiappa, ma erano entrambi membri di spicco del
club degli sfigati. Aver ritrovato Walty, quasi dieci anni dopo, nel
caos di Detroit è stata una sorpresa e una fortuna.
«Non ti fidi di me? Mica faccio la strozzina per
arrotondare.»
«Non dire cazzate... probabilmente in tutta Detroit sei una
delle poche persone di cui mi fido. E da quando lavoro in questa
redazione, sei anche l’unica giornalista di cui mi
fid–»
Per la terza volta la porta della sala viene aperta. Con violenza.
«Walton, sei qui!»
Per quanto ne sa Nova, ci sono due costanti nell’esistenza di
Marie Montgomery: il liscio al limite del reale dell’algido
caschetto biondo e il cattivo umore. «Ti cercano al telefono
quelli della Liner. Ma tu guarda se devo dirtelo io! Dov'è
quella stupida di Hildy?» Veloce come è arrivata,
Marie si allontana in corridoio, continuando a pulpare come un condor
della California.
Walty scivola giù dal tavolo.
«Il discorso non è chiuso» avverte
Nova.
Walty la saluta con una cameratesca pacca sulla spalla. Poi, lui e la
sua barretta al cioccolato, lasciano la sala e Nova resta con Jimmy. Il
che equivale a restare da sola. L’androide sta lavando il
pavimento e lei abbandona la poltroncina per ciondolare fino al
finestrone.
È una giornata fredda e luminosa
e l’asfalto e i
marciapiedi sono bagnati dalla pioggia della notte passata. La State
Street formicola
di automobili, taxi e autobus. Un drone di sorveglianza sorvola la
strada, ondeggiando in una traiettoria a zig zag.
Nova getta un’occhiata alle proprie spalle. Non sente
più l’umido strofinio dello spazzolone contro il
pavimento. Jimmy, in effetti, ha interrotto il lavoro: fermo e
immobile, le mani strette attorno al manico dello spazzolone, sembra
fissare una delle riproduzioni alle pareti.
Nova aggrotta la fronte. Si avvicina.
E Jimmy non si muove.
La donna osserva il profilo regolare dell'androide: il LED installato
nella tempia destra è
giallo, segno che Jimmy sta processando dei dati; poi guarda
anche lei la fotografia: uno scatto notturno dell'Ambassador Bridge.
Sullo sfondo
del ponte, lo skyline di Detroit è un caleidoscopio di luci
simile a un immenso e infernale luna park.
«Jimmy...» azzarda Nova, «ti piace questa
fotografia?»
Il LED torna azzurro nell’istante in cui Jimmy, inespressivo,
si volta verso di lei.
«Signorina Barton.»
Hildy è entrata nella sala.
«La informo che il signor Malone è in
redazione.»
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L’ufficio
del direttore può essere raggiunto solo passando prima per
quello di Lisa e il caporedattore alza gli occhi dal documento
digitale, che Hildy le sta facendo firmare, per godere del cammino di
Nova verso il patibolo. Quando sei un giornalista freelance e la
rivista di turno non accetta un tuo articolo, la mossa migliore
è battere dignitosamente in ritirata, in cerca di lidi
più accoglienti. Ma Nova non è mai stata un asso
in materia di scelte migliori.
Però riconosce che parlare faccia a faccia con Nico Malone
sia un privilegio non da poco.
È altrettanto vero tuttavia che Malone le sta sulle palle. E
quindi
non ha intenzione di mostrare chissà
quale gratitudine adesso che è al suo cospetto.
Rimane
in piedi, in mezzo all’ufficio, i pollici agganciati alle
tasche sul davanti dei jeans. È la prima volta che
entra lì dentro e ne deduce che Malone deve avere la fobia
degli angoli. Il
piano di cristallo della scrivania è ovale, il pavimento in
resina ha un motivo a cerchi, le sedie somigliano
vagamente a enormi bicchieri da champagne e gli scaffali, traboccanti
targhe, awards e soprammobili in stile neo-simbolista, hanno gli angoli
smussati. Forse anche le forbici, infilate nel portapenne
rigorosamente cilindrico, hanno la punta arrotondata.
«Negli ultimi tre mesi ho accettato tutti i tuoi articoli.
Sei brava. Mi piaci» snocciola Malone, da dietro la
scrivania. Il viso largo è tirato in un sorriso di maschile
accondiscendenza.
Nova ha sempre pensato che Malone abbia il physique du rôle
dell'uomo d'affari che, presto o tardi, finirà sulle prime
pagine dei giornali. E non per buoni motivi. È un
cinquantacinquenne brizzolato, alto e grosso, ma non grasso, infilato
in una camicia di alta sartoria color carta da zucchero. E non sembra
minimamente consapevole della macchia di rossetto rimasta sul colletto.
«Ma il tuo ultimo pezzo...» L'uomo sospira. Scuote
la testa. Ha tra le mani il suo fidatissimo datapad ultimo modello.
Apre il file di testo e legge: «Che cosa dicono di noi
questi diffusi comportamenti?
È veramente soltanto un ʻmodo per scaricare lo
stressʼ, come hanno risposto la maggior parte degli
intervistati? O rivela una vena latente di sadismo? Il buon cittadino
americano prova forse piacere nell’esercitare una forma di
abuso, rassicurato e assolto dalla certezza di non aver infranto
nessuna legge e nessuna morale? – Cristo, Barton, che hai
mandato giù prima di sederti al pc e scrivere questa
roba?»
«Quella roba» spiega Nova, con calma,
«l'ho scritta dopo aver osservato come il cittadino medio si
relaziona con gli androidi che acquista. Ho fatto ricerche. Tra le mie
fonti ci sono anche i sondaggi condotti e diffusi dalla Cyberlife. Li
cito, nell'articolo.»
«Barton, bimba»
la interrompe Malone.
E Nova non è sicura di essere riuscita a frenare in tempo
il tic all'occhio destro.
«Non metto in dubbio la tua... professionalità. Ma
i
miei lettori non vogliono farsi angosciare.»
«Ha già pubblicato articoli su temi sociali in
passato.»
«Certo.» Malone mette giù il datapad.
«Ma il punto è che lo Zenosyne non fa la morale ai
suoi lettori. Quando gli mostriamo il peggio della società
è per lasciargli credere che loro, al contrario, sono brava
gente.»
Nova sta per ribattere, ma Malone è uno che adora il suono
delle propria voce.
«Vuoi scrivere di androidi?» Parla come se stesse
cercando di far contento un bambino capriccioso. «Ho io
l’articolo per te. Lo so che dovrebbe funzionare al
contrario, ma per questa volta facciamo un'eccezione. Che resti tra
noi.» Ammicca. «Il Gossips Weekly ha pubblicato il
risultato di un sondaggio. Pare che il sessantotto per cento degli
uomini preferisce fare sesso con gli androidi che con le donne. Ecco la
mia idea... noi rilanciamo con un articolo rivolto alle donne, quelle
vere, in carne e ossa. Dimmi Barton, come fa la donna americana del
duemilatrentotto a competere con quei capelli perfetti, la pelle senza
rughe e i culetti sodi?»
Malone fa una pausa. Si china leggermente in avanti.
«C'è una certa azienda cosmetica, di cui ora non
ti faccio il nome, che avrebbe veramente bisogno di
pubblicità per i suoi ultimi prodotti
anticellulite.»
Nova prende fiato.
«Malone» sillaba, «non mi
metterò a scrivere di culi.»
Tanto basta perché Nico Malone perda la calma, come un
uovo che si spiaccica sul pavimento. Alla faccia
dell’essere a corto di pazienza, pensa Nova. Il
cambiamento è così rapido che sarebbe
più esatto dire che Malone è sulla via del
disturbo dissociativo d’identità.
L’uomo contrae la mascella glabra, chiude un pugno grosso
come un melone sulla
scrivania e punta l'indice verso Nova. «Senti,
stronzetta, ho tra le mani dozzine di morti di fame come te pronti a
buttarsi in ginocchio davanti alla mia scrivania. Ringrazia e accetta
l'articolo. O sparisci e non mettere mai più piede nella mia
redazione. A te la scelta.»