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Autore: Crissi_Baby80    11/08/2018    9 recensioni
Sono trascorsi sette mesi da quel giorno di Pasqua del 1789 in cui la storia cambiò. Cosa è accaduto? Cosa accadrà? La fic “Come narcisi a primavera” continua con toni meno allegri. Racconteremo di Oscar e André; di Colombine, Alain e Girodelle; di tutti i personaggi noti e… di altri.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La stanza degli sposi


“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.”
(“Kafka sulla spiaggia” di Haruki Murakami)



Martedì 10 Novembre 1789, boschi di Vaucresson.

La neve fitta accompagnata da un vento gelido stava portando quel principio di pomeriggio rapidamente verso una notte prematura.
Quando quella mattina presto si erano messi in marcia verso Vaucresson, poco sopra Versailles, nessuno avrebbe potuto immaginare un simile peggioramento. Una fredda mattina di inizio novembre, nulla di più, ma repentinamente si era trasformata in un giorno di tempesta.
Mai tempo era stato peggiore, a memoria dei tre soldati che a stento ormai riuscivano a distinguere la via principale dai campi e le fronde dal cielo, tutto di un egual grigiore.
Né Oscar né André lo affermavano a parole, poiché era superfluo.
Di avviso contrario, Alain non faceva che ribadire l'inutile.
- Ho il culo freddo, dannazione!
I compagni avvolti nei mantelli pesanti, nelle sciarpe fino agli occhi, coi cappelli calcati fin dove possibile, neppure provarono a ribattere.
I fiocchi erano fini, ma fittissimi ed il vento, che pareva non voler calare l'intensità neppure un istante, s'insinuava sotto gli abiti, come lame sottilissime graffiava, intorpidiva le membra ed i riflessi.
- Ma che bisogno c'era di mettersi in viaggio? Solo per accontentare Lafayette in uno dei suoi ordini assurdi? Il cardinale non necessitava di tutte queste attenzioni! I beni del clero sono stati requisiti per il bene comune, bene, se ne sarebbe fatto una ragione col tempo! - esclamò Alain, sovrastando il sibilare dell'aria.
E continuò con "Flaccidi politici… Teste di legno… Burocrati dei miei…”
Oscar sospirò tra sé, sotto la lana della sciarpa ghiacciata, pensando che sarebbe stato suo obbligo rimproverargli di smetterla, che stava rasentando l'offesa all'Assemblea, alla Corona, al Comandante in capo, che era il caso di fermare quel soliloquio perché per quanto potesse essere lei un ufficiale tollerante, avrebbe potuto perder la pazienza e deferirlo al tribunale militare. E mancava solo tanto così.
André la prevenì.
- Dai, smettila Alain. Ormai siamo qui e lamentarsi fa solo ingoiare aria gelida. Per non dire che il culo freddo lo abbiamo tutti e non ci si scalda rimarcandolo.
Oscar socchiuse gli occhi, annuendo impercettibilmente: André come sempre anticipava i suoi pensieri. Avrebbe potuto spiegare quanto fosse delicata la situazione, quanto fosse necessario non inimicarsi il clero e che mandare proprio lei a portare quei documenti al vecchio e ancora potente prelato che l'aveva tenuta a battesimo, fosse un gesto di rispetto. Ma sapeva anche quanto fosse inutile: Alain era perfettamente a conoscenza della situazione.
Alain era assolutamente consapevole dell'importanza della diplomazia in quel momento; purtroppo Alain era anche semplicemente sé stesso e quel mattino, come tutte le mattine dell'ultimo mese, si era evidentemente alzato col piede sbagliato ed il motivo restava ignoto a parole, seppur intuibile ai due amici che lo conoscevano profondamente
- Dobbiamo trovare un riparo - disse decisa a non perdere il controllo della truppa, ovvero di Alain che da solo si lamentava per cinquanta. - La temperatura sta scendendo rapidamente ed il terreno comincia a farsi scivoloso.
Mai parole si rivelarono più profetiche. Lo zoccolo di César slittò sulla neve ghiacciata, perse aderenza e non riuscì a compensare con le altre zampe; e, prima ancora che anche uno solo dei tre cavalieri potesse rendersene conto, l'animale era dolorosamente finito a terra, trascinando con sé l'ufficiale.
- Oscar!
- Comandante!
In pochi istanti furono accanto a lei. Mentre Alain tirava il povero César cercando di tranquillizzarlo per farlo rialzare senza gravare sulla donna, André rivolse le sue attenzioni ad Oscar.
- Ce la fai? - chiese infilando le braccia al di sotto del mantello, afferrandola alle ascelle per aiutarla a sfilarsi da sotto il peso del cavallo che, in un attimo, si risollevò rischiando però di crollare dopo un improvviso nuovo cedimento.
André la tirò abbastanza lontano da evitare che finissero entrambi sotto gli zoccoli.
- Ti sei rotta qualcosa? - chiese avvicinando i loro volti affinché la voce non venisse sovrastata dal vento, cercando di valutare la gravità dell'incidente nell'azzurro dei suoi occhi, solo in quel modo avrebbe potuto comprenderne la reale situazione.
Oscar portò una mano al ginocchio che per pochi istanti aveva sopportato in parte il peso di César, stringendo i denti.
- No, non credo... anche se fa dannatamente male... Come sta lui? - gridò preoccupata verso l'altro soldato.
Alain che stava ancora tastando la zampa del cavallo, si rizzò, tenendo le briglie.
- Non è rotta, ma non può proseguire, gli fa male! - esclamò irritato.
André invitò Oscar a sorreggersi a lui.
- Meglio se cerchi di alzarti dalla neve... - disse.
Tenendo la gamba dritta ed i denti stretti, ella acconsentì, sorretta dal compagno. La presa di lui attorno al suo costato le fece mancare il respiro, tanto era la forza che vi stata mettendo.
- André, dobbiamo trovare un riparo. Ogni passo è un rischio per i cavalli e per noi ed il prossimo villaggio è ancora troppo lontano. In queste condizioni non ci arriveremo mai prima di notte. - disse reggendosi a lui, che annuì.
Si guardarono attorno, stringendo gli occhi contro l'aria sferzante. Fu allora che lei intravide qualcosa nel fondo di un campo, qualcosa in mezzo al nulla.
- Alain! - gridò per attirare l'attenzione ed indicò in quella direzione.
L'uomo guardò ove gli veniva mostrato ed annuì. Prese le loro cavalcature per le redini e si avviò davanti ai due amici che tenendosi il più possibile al riparo, lo seguivano appresso.
L'edificio notato da Oscar, altro non era che un palazzetto di caccia, uno di quelli sparsi nei dintorni di Versailles, utilizzati come punto d'appoggio durante le estenuanti cacce e, all'occasione, come riparo dalle intemperie.
Alain alloggiò i cavalli nella stalla mentre André, con Oscar allacciata al collo per sostenersi, raggiungeva l'ingresso del padiglione, salendo i pochi gradini già sepolti dalla neve. Non dovette faticare per aprire una porta già scassinata ed entrarono senza problemi; per contro, invece, fecero l'impossibile per evitare di rovinare a terra, faticando per non scivolare, disturbati da un vento sempre più feroce. Il gigante li seguì velocemente, entrando senza preoccuparsi di scuotere la neve che lo ricopriva e d'un colpo richiuse l'uscio alle spalle, interrompendo bruscamente l'ululare della tempesta.
- Alain, fai attenzione! - lo riprese Oscar quando egli sbatté gli abiti zuppi creando una monticciola di neve ai suoi piedi e per tutto l'ingresso. - Già rischiamo l'assideramento, ci manca solo di scivolare sul pavimento, cerca di stare più attento!
- Sissignore... - mugugnò accompagnandosi con un sorriso ironico.
- Certo che... è un po' piccolo qui... - mormorò lei guardandosi attorno. Le era capitato solo una volta di scortare il Re in una delle sue battute di caccia e non era mai entrata in uno dei padiglioni. Davanti a lei c'erano quattro porte aperte su locali spogli, precedentemente saccheggiati di tutto ciò che era utile e asportabile.
- Certo, comandante, non siamo a palazzo Jarjayes ma almeno avremo le terga all'asciutto, o quasi...! - ribatté Alain senza peli sulla lingua.
Oscar si limitò ad inarcare un sopracciglio, senza però ribattere all'evidenza.
André, uomo pratico quale era, l'aveva lasciata per ispezionare il luogo di già in penombra. Uscì dal locale alla loro sinistra, una cucina.
- Non c'è legna per il camino. - mormorò avvilito dopo aver scrutato inutilmente quei pochi metri quadrati.
- Allora usciamo a cercarne. - ribatté placidamente lei.
- Cercarla dove? - sbottò Alain - Siamo nel bel mezzo di un dannato niente!
Oscar inarcò anche il secondo sopracciglio.
- E va bene! Ho capito... - brontolò richiudendo il mantello, prima di uscire lasciandosi alle spalle una nuova serie di "flaccidi politici…, teste di legno…, burocrati dei miei…”
Oscar, zoppicante, con cautela sedette su una panca in pietra. Si strinse fra le braccia cercando di scaldarsi un poco, mentre la minima differenza di temperatura tra l'interno e l'esterno, aiutava soltanto a scioglierle la neve che aveva sull'uniforme, infradiciandola fino alle ossa.
- Senti ancora dolore? - si preoccupò lui.
- Non so... Credo di non sentire più nulla ... - gli rispose, passando a sfregarsi con energia le cosce.
André lasciò cadere il proprio mantello e cominciò a sfilarsi la giacca.
- Toglitela e metti la mia, è calda.
- Vuoi darla a me per morire di freddo tu? - obiettò.
- No, non ti preoccupare.
- Il nostro Grandier ha il sangue caldo, comandante! Dovrebbe vedere come attira le cameriere delle locande, ancora di più da quando è un uomo impegnato! - rivelò Alain, che era appena rientrato portandosi dietro l'inverno. - Non guardarmi storto, André, ambasciator non porta pena... però ti porto qualche ciocco! Pochi a dir il vero: i tarli hanno mandato alla malora quasi l’intera scorta di legname. La foresteria laggiù appare intatta, ma deve esserci stata una razzia anche lì. Più tardi andrò a controllare, appena si calma il vento. - disse passandogli pochi legni sghembi.
André li prese, lanciando velocemente un'occhiata ad Oscar che cominciava a dar segni di nervosismo.
- Ti serve l'acciarino o il fuoco lo accendi con le carezze? - lo istigò strizzandogli l'occhio.
- Piantala di scherzare. - gli intimò.
Guardò ancora Oscar che tremava visibilmente. Finì di levarsi la giacca e gliela mise sulle spalle con quel piglio deciso che non accetta obiezioni, e stavolta lei non oppose resistenza.
- La legna non è molta, ma dovremo farcela bastare. - disse azionando ripetutamente l'acciarino sulla paglia raccattata per avviare il fuoco. - Alain, perché non esci a prendere un po' di neve così prepariamo del caffè?
- Comandi, sempre al vostro servizio. Il soldato Soisson non aspettava altro che riportare il culo fuori al freddo.
- Almeno tu non sei bagnato fino al midollo! - sbottò Oscar, infilandosi la giacca di André, calda e asciutta.
Alain perse il piglio ironico.
- E' meglio che non vi risponda, comandante... o davvero finisco in gattabuia.
Ed uscì nuovamente per prendere bisacce e coperte, sbattendosi l'uscio alle spalle.
- Sarà una lunga notte. - mormorò André. - Riesci a scaldarti un po'?
- Sì, grazie. Ma tu… -
- Devo solo accendere questo camino; e poi abbiamo delle coperte, ci stringeremo, io scalderò te, tu scalderai me… - sorrise avvicinandosi alle sue labbra. - Proprio come l'altra notte... bé, non proprio come l'altra notte visto che non siamo soli.
Oscar si sentì avvampare, il che era un bene per contrastare il gelo che le si era infilato al di sotto delle carni, fin dentro le ossa. Ritornò con la mente alla notte di qualche giorno addietro, nell'appartamento in Rue Des Moineaux che un tempo era stato di sua sorella Colombine, ma che ora era la loro residenza, in affitto, poiché di più non potevano permettersi. Chiuse gli occhi e immaginò la loro camera da letto, il letto grande con il materasso di piume, morbido. Avrebbe concesso tutto l'oro del mondo per potervici sdraiare, non c'era muscolo che non le dolesse e il freddo l'aveva resa una statua di marmo, così che anche il più lieve movimento le faceva provare dolore e fatica.
Riaprì le palpebre trovandosi davanti il bellissimo volto di André, che le stava sorridendo con fare dolce e malizioso. Anche lui rammentava di quelle ore notturne che avevano raccontato del loro amore intenso e travolgente.
Entrambi si addossarono alle labbra dell'altro, schiudendo la bocca nel medesimo istante, godendo dei propri respiri, forse la sola fonte di calore che gli sarebbe stata concessa quella sera. Ma quando il bacio si stava ormai preparando a mutare in puro piacere, vennero interrotti da un fastidioso elemento di disturbo.
La porta d’ingresso tornò a spalancarsi.
- Dannazione! - lo richiamarono all’unisono, sperando di celare l'imbarazzo con un tono di rimprovero.
- Per tutti i ghiaccioli dell'inferno! - imprecò il soldato mentre una ventata di neve lo spingeva dentro.
- La porta, Alain, la porta!!!
Richiuse pesantemente il battente e la calma ritornò, mentre fuori il vento pareva non voler accennare a placarsi.
Posò rumorosamente il loro equipaggiamento sul pavimento.
- Ho trovato lo scivolo di una legnaia qui fuori, credo ci sia della legna nello scantinato. Almeno non congeleremo… spero. Scendo a vedere. - spiegò scomparendo veloce lungo le scale per la cantina.
- Ahi! ma chi diamine avrà costruito questo scantinato! - lo udirono strillare. - Un nano?
- Non ci toccherà andare a recuperarlo laggiù, vero?
- Vi ho sentito comandante! Sono grande e grosso, è vero, ma si sa, ciò che entra è destinato ad uscire... persino dai pertugi più stretti. - sentenziò Alain con un sottinteso malizioso, per poi aggiungere -  Buone notizie! Hanno lasciato qualche pezzo di legna!
- Che anime benedette - mormorò ironico André – almeno così la smetterà di lagnarsi.
- Sei un ottimista, André! - ribatté Oscar.
L'alterco era durato meno di niente, lasciando il passo ad un silenzio insolito per Alain, lui che della polemica aveva fatto il proprio tratto distintivo. Distesero le coperte sul pavimento freddo, una minima difesa per il loro corpo; seduti mordicchiarono le scarse razioni di carne salata, indulgendo in piccoli morsi, allontanando l'ultimo boccone affinché il desinare sembrasse più lungo, illudendo lo stomaco di aver ricevuto un vero pasto. André ravvivò il fuoco, prima di coricarsi accanto ad Oscar, di fianco ad Alain che aveva riposto il berretto, tormentato in silenzio per tutta la sera.
Così, tra un istante di quiete e il lamentarsi del vento al di fuori della dimora, la sera era scivolata via, fin troppo lievemente.

Era giorno ormai. La notte era stata lenta e feroce, il sonno aveva stentato ad arrivare a differenza della fame, che si era fatta sentire con prepotenza, rammentando ai tre lo scorrere fiacco del tempo.
Oscar scivolò via dalla coperta calda, aveva bisogno di sgranchirsi. Uscì dalla cucina senza fare rumore. Dalle finestre del salone adiacente entrava luce grigia. Nevicava ancora, fiocchi grandi e pigri, eleganti. Sarebbe stata a osservarli per ore, svuotando la mente da ogni tetro pensiero che ogni giorno andava ad aggiungersi a quelli del giorno precedente, portandosi via la tranquillità.
Oscar prese a calpestare il parquet pregiato della stanza, quasi completamente vuota, regalando la propria attenzione ad una libreria d'una foggia pregiata che, orfana dei suoi spiriti di carta non era altro che uno scheletro senza anima.
I suppellettili di piccole dimensioni e tutto quanto poteva essere rimosso era stato levato, messo al sicuro o saccheggiato.
Ma quando entrò nell’ultima stanza, al piano superiore, si sorprese di trovarla intatta nella sua quotidianità: il letto rifatto, soprammobili al loro posto, perfino un vaso di fiori appassiti e congelati dal tempo. Probabilmente il padiglione, scarsamente utilizzato, era stato affittato a qualcuno che ne aveva fatto la propria abitazione, fino a quando, quell'estate, la situazione era precipitata. Mosse qualche passo guardandosi intorno, e nel voltarsi si trovò faccia a faccia con un grande quadro. Una coppia giovane e sorridente pareva darle il benvenuto; lei ritratta seduta, lui alle sue spalle con lo sfondo di un giardino fiorito; novelli sposi, avrebbe detto da come lui poggiava la mano sulla spalla della donna e da come lei poggiava la sua su quella di lui, entrambe con una fede lucente al dito.
Si domandò perché quella stanza non fosse stata smantellata come le altre e solo una risposta riusciva a soddisfare tale quesito: era stata una stanza nuziale e nessuno, neppure un ladro, aveva voluto cancellare i ricordi felici, quel genere di ricordi che per molti ormai erano solo sogni di un tempo passato che sempre più velocemente scompariva.
Erano stati per la prima volta felici come coppia tra quelle mura e, sebbene obbligati a lasciare quella dimora, non erano riusciti a dire addio alla vita che speravano di condurvi. Chissà, forse quella stanza era l'ancora che li avrebbe tenuti legati alla Francia, la speranza di poter un giorno tornare e riprendere da dove avevano interrotto.
Arretrò di qualche passo verso il letto e dovette sedersi. Una sorta di stretta allo stomaco le fece mancare il respiro. Strinse il copriletto di pizzo chantilly tra le mani e ingoiò aria. I tempi che stavano per arrivare si preannunciavano molto difficili, forse anche spaventosi, di sicuro estremamente incerti, e per un istante provò empatia per quella coppia: neppure lei voleva uscire da lì.
In quel momento André si affacciò alla porta.
- Ah, ecco dove eri finita – esclamò! - Avremmo dovuto ispezionare ieri il piano di sopra, avremmo dormito sul morbido e ci saremmo risparmiati il borbottare di Alain. - rise - A proposito, visto che non c'è vento, l'ho mandato a dare un'occhiata alla foresteria laggiù, chissà mai che trovi ancora un po' di legna... Oscar…
Si zittì di fronte al silenzio, non aveva nemmeno alzato lo sguardo.
- Oscar, che succede? Perché stai qui seduta? - domandò avvicinandosi - Ti senti male?
Vide i suoi piedi comparire nel campo visivo quando si fermò davanti a lei, ma qualsiasi altra cosa attorno stava diventando flebile, come avvolta da una nebbia scura. Non doveva perdere i sensi, no. Non poteva permetterselo. Ma quanto era difficile mantenere il controllo di sé, del proprio corpo. Inspirò profondamente e attese la dipartita del malessere.
- Oscar, ti senti bene? - chiese ancora preoccupato, afferrandola per le spalle e chinandosi per guardarla meglio. Era pallida, spaventosamente pallida. Si figurò il peggio, pensando che la caduta della sera prima magari le avesse provocato qualche trauma interno, una emorragia.
Alzò lo sguardo su di lui, alle sue spalle la coppia felice sorrideva.
- André, io… ho un ritardo.
Il sorriso di lui si spense, immaginando cosa stesse passando nella sua mente. Sapendo esattamente cosa stava pensando la sua; sollievo, innanzitutto. Gli scenari funesti svanirono, non era in pericolo di vita a causa della caduta da cavallo e quello di per sé era già una consolazione. Ma, perché vi era un ma. Come potevano mettere al mondo un figlio, in un mondo così incerto? Si sentì il più sciocco degli incoscienti. In un passato che oramai ricordava a malapena, il pensiero di un bambino era stato in grado di curare il suo cuore ferito e, in un futuro che temeva anche solo di nominare, sarebbe stato una benedizione. Ma il presente era crudele.
Sedette accanto a lei sul letto e le prese la mano, fredda, tremante. Minuta come mai l'aveva percepita.
- Eppure siamo stati attenti… - mormorò, lo sguardo perso sul pavimento come quello di lei.
- Non proprio… - dissentì la donna.
- Oh… sì, hai ragione. Quindi… Siamo di cinque settimane?
- Sono…
- Sì, certo. - sorrise - Quindi noi…?
- Potrebbe essere un falso allarme, André.
- Andrà tutto bene, in ogni caso. - la rassicurò. O forse stava rassicurando se stesso.
Gli rispose con un sospiro.
- Sei pentita?
- No, è che… me la immaginavo diversa la nostra vita. - abbassò il capo sulla sua spalla. - Come siamo arrivati a questo momento, André... Cosa abbiamo passato, ricordi?
Certo, ricordava ogni momento, bello o terrificante. Solo sei mesi da quel giorno di Pasqua, eppure sembrava un’eternità per quanti avvenimenti erano occorsi.
Guardò gli sposi felici sulla parete.
- Pensi ancora alla piccola chiesa? - le domandò.
- No. - mentì Oscar.
   
 
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