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Autore: NicoRobs    13/08/2018    2 recensioni
Da anni ostaggio di una società criminale, K, ex studentessa della Wammy's House, trova un modo per partecipare alle indagini su Kira al fianco di L e Watari, con la segreta speranza che questi possano aiutare lei e Bjarne a tornare liberi. Tuttavia, dovrà prima fare ammenda per i gravi crimini di cui i due la accusano, e che hanno causato il suo allontanamento dalla Wammy's House. Quali segreti si celano nel suo passato? E cosa la lega a Nate River?
Questo racconto, in cui diversi personaggi sono OC (a cominciare dalla protagonista), si pone in alternativa alla canonica indagine dei primi sette volumi del manga, esplorando in parte un passato immaginario degli studenti della Wammy's House, la famiglia e le origini di L e un concetto di giustizia alternativo rispetto a quello dei due famosi protagonisti. Il nemico da affrontare non è il solo Kira; l'esito positivo dell'indagine dipenderà pertanto dalla capacità di L e di K di scendere a patti col loro passato.
Le descrizioni scarne, la forma prettamente dialogica e monologica e il cambio repentino del punto di vista cercano di rifarsi allo stile narrativo dell'anime, da cui sono riprese alcune scene.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'About November 8th'
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november


Prologo Parte Tre


     10 agosto 2004.
     Erano quasi le undici di sera, e gli agenti decisero di spostarsi nella sala adibita ad area relax per cenare tutti insieme. Watari aveva invitato tutti a rimanere lì per la notte, vista l'ora tarda, ma Aizawa se n'era comunque andato, temendo l'ennesimo litigio con sua moglie per essere rincasato che era già notte.
Light sospirava mentre tentava di trascinare un nervoso Ryuzaki per la catena: quel giorno avevano di nuovo discusso, e solo grazie all'intervento di Matsuda non erano arrivati alle mani. Nathalie, come avevano deciso di continuare a chiamarla, era andata via da ormai una settimana, e Ryuzaki aveva di nuovo perso interesse nel caso Kira: non c'era stato alcun progresso, e la raccolta dei dati sulle vittime ordinata dalla giovane era stata momentaneamente interrotta per verificare se non ci fossero modi più rapidi di raccogliere informazioni. Ryuzaki si annoiava, era evidente, e probabilmente l'astinenza da dolci e caffè lo aveva reso estremamente insofferente, ma Light non poteva sopportare la sua poca voglia di lavorare e quell'improvvisa arrendevolezza. Non trovava giusto che la salvezza di migliaia di persone dovesse dipendere da un individuo così capriccioso ed egoista.
Avevano smesso di lavorare così tardi perché avevano passato ore a vagliare diverse soluzioni alternative rispetto alla capillare raccolta e archiviazione di dati ordinata da Nathalie, ma Ryuzaki le aveva bocciate tutte quante, finché, esasperato, Light non aveva preso ad urlargli contro, deciso a risvegliarlo dal suo torpore; era una cosa che lui e Nathalie avevano decisamente in comune. Ma alla fine Matsuda e suo padre avevano intimato loro di smetterla, e Watari aveva proposto di portare la cena a tutti nell'area relax.
     Entrando nella stanza, Light lanciò uno sguardo al pianoforte che Watari aveva fatto materializzare la mattina successiva all'esecuzione di Hayer. L'aveva visto appena era entrato nella sala per fare colazione con gli altri agenti attorno al lungo tavolino da caffè: un pianoforte a coda molto grande e sicuramente abbastanza costoso. Aveva pensato che non sarebbe stato male sedersi a suonare, ogni tanto, ma si chiedeva perché Watari ci avesse pensato solo in quel momento.
Si era poi andato a sedere sul divano, trascinato da Ryuzaki che guardava con sguardo omicida il vassoio di cupcake a disposizione di tutti gli altri agenti, mentre a lui era stato preparato dello yogurt, muesli e frutti di bosco e spremuta d'arancia; già si percepiva il suo pessimo umore.
Dopo che tutti furono entrati e si furono sistemati per cominciare a mangiare, sulla porta era apparsa Nathalie, con la sua camicetta leggera e la gonna blu. Matsuda e Soichiro l'avevano salutata e le avevano indicato il posto lasciato libero per lei sul divano, ma lei aveva lo sguardo fisso sul pianoforte. Perciò aveva fatto cenno con una mano che non si preoccupassero e che cominciassero a mangiare, mentre si avvicinava allo strumento, lo osservava da attentamente, gli girava intorno, e timidamente allungava una mano per scoprire i tasti. Un flebile alito d'aria in quel momento aveva mosso le tende, e Light aveva colto con lo sguardo Ryuzaki guardare i raggi di sole che entravano obliqui nella stanza. Lei era la sua debolezza, non c'era alcun dubbio al riguardo. Forse, l'aggressività nei suoi confronti, il continuo atteggiamento di supponenza non erano una facciata sfruttata da Ryuzaki per allontanare i sospetti; forse, il suo era stato un affetto o un'attrazione non ricambiata. Nathalie era attraente, era carismatica, intelligente e stimolante, ed era stata la sua insegnante: non sarebbe stato strano se Ryuzaki avesse cominciato a sentirsi attratto da lei. La convinzione di Light si rafforzava ogni qualvolta vedeva il suo compagno osservare accigliato i raggi di sole che rischiavano di colpire la pelle bianca della giovane, il modo in cui si muoveva in relazione ai movimenti di lei... e poi il modo in cui l'aveva protetta il giorno prima. Certo, poteva raccontare a lui e agli altri agenti mille storie su come non volesse che lei gli spaccasse l'attrezzatura o cominciasse a tirar loro sedie addosso, ma era innegabile il fatto che le avesse, prima di tutto, impedito di farsi male. Aveva anche recitato bene la parte di quello insensibile che non aveva intenzione di andarla a vedere, ma, di fronte al suo rifiuto di aprire la porta, aveva sbloccato la serratura, era entrato di forza e l'aveva costretta a mostrargli le mani. Era per questo che Light non si capacitava di come, non molto tempo prima, Ryuzaki avesse potuto decidere di mandarla fuori, per le strade di Tokyo assieme a Misa, esponendola al pericolo. Probabilmente, pensava, contava sul fatto che lei avrebbe rifiutato. Forse la sua proposta altro non era che un tentativo per dissolvere ogni dubbio su un suo coinvolgimento nei confronti di Nathalie.
     Light non era sicuro di cosa dovesse pensare dello strano rapporto tra i due: se Ryuzaki a volte tradiva un atteggiamento molto protettivo nei confronti della giovane, lei lo trattava apertamente con maternale ma allo stesso tempo brusca premura, come se lui fosse un bambino capriccioso che lei doveva con immensa pazienza sopportare e tentare di educare. Ed, effettivamente, Ryuzaki era un bambino capriccioso. Capriccioso ed orgoglioso.
Nathalie si era poi lentamente andata a sedere sul divanetto e aveva cominciato a mangiare, guardandosi di tanto in tanto i graffi sulle mani bianche.
-Tornerò negli Stati Uniti, dopodomani.- aveva detto ad un tratto, tenendo lo sguardo basso.
Gli agenti erano rimasti in silenzio; era prevedibile: con la morte di Hayer era necessario che Nathalie fosse presente per andare quanto prima a processo. Non c'era altra soluzione, seppur questo avrebbe inevitabilmente rallentato le loro indagini e ridotto notevolmente l'efficienza del piccolo gruppo investigativo.
Così il resto della colazione era trascorso in silenzio, finché tutti si erano alzati, lasciando Nathalie seduta al tavolino da sola a finire di sorseggiare il proprio tè. Erano tutti usciti dalla stanza e avevano chiamato i due ascensori per scendere al piano terra e cominciare a lavorare, quando, dalla porta socchiusa della sala relax, aveva cominciato a venire della musica. Dapprima titubante e bassa, piena di errori ed incertezze, poi progressivamente più decisa e precisa. Era Chopin, il “Nocturne Op. 9 No. 2”.
Gli ascensori erano giunti al piano, ma nessuno si era mosso dal corridoio. Era come se la musica li stesse trattenendo, come se Nathalie stesse rivelando un lato di sé che nessuno aveva previsto, e ora volessero scoprire di più, rimanendo voyeuristicamente ad ascoltare senza farsi beccare. Light era rimasto alquanto stupito dalla scelta del brano di apertura di quel bizzarro concerto privato e mattutino: credeva che a Nathalie si addicesse molto di più qualcosa come “Sonata al chiaro di luna” di Beethoven; così intensa e oscura, per certi versi. E poi, Nathalie poteva, a suo parere, apparire esattamente come un raggio di luna, flebile luce riflessa, freddo satellite che brilla grazie alla luce di un sole lontano.
     Ma, ad un certo punto, la giovane aveva cominciato a mutare melodia, una melodia che Light non aveva mai sentito. Era malinconica, ma anche un po' rabbiosa, come lei; sembrava ci fossero due voci, una maschile ed una femminile che si facevano da contrappunto, e la voce femminile era indubbiamente quella di Nathalie: a volte esagitata, rumorosa, a volte fragile. Light era stato, però, l'unico a riscuotersi dallo stato di sospensione che aveva avvolto tutto il gruppo, quando aveva notato le dita di Ryuzaki scivolare a destra e sinistra lungo una linea immaginaria, per poi ogni tanto fermarsi e tremare sul posto; come se stesse accompagnando la musica suonando un violino invisibile.

     Watari aveva lasciato la cena nella sala relax e se ne andò non appena L e gli altri entrarono. Voleva andare all'appartamento di K per innaffiarle i fiori; voleva che la ragazza ritrovasse tutto in ordine, quando fosse tornata da loro.
K gli aveva domandato già un paio di volte il motivo che lo aveva portato a trasformarsi dal distante e intransigente direttore del “Wammy Lager”, come lo chiamava lei, nel docile e servizievole Alfred il Maggiordomo, ma lui aveva sempre tergiversato; non credeva lei fosse ancora nelle condizioni psicologiche adatte a scoprire qual era stata la reazione di L allo scoprire che si era buttata da un palazzo col loro bambino nel grembo. O meglio, con la loro bambina. Per depistarli, infatti, quelli della Hogson avevano fornito l'autopsia di una donna incinta di una femmina, affetta da albinismo e da malattia di Huntington. Magari credevano che, in quel modo, loro non avrebbero fatto caso al bambino maschio che era stato dato in adozione ad uno degli orfanotrofi segretamente a lui affiliati, tre mesi più tardi.
     In realtà, dopo una vita trascorsa tra la realizzazione delle sue invenzioni, l'insegnamento e la direzione della Wammy's House, Watari trovava rilassante potersi dedicare a faccende quotidiane. Anzi, si divertiva abbastanza a recitare la parte del mite maggiordomo, per poi vedere l'espressione confusa dipinta sui volti dei propri collaboratori quando decideva di passare all'azione.
Watari riempì una bottiglietta d'acqua nel lavello dell'angolo cucina, per poi andare a versarla in tutti i sottovasi dell'appartamento. K aveva sempre avuto una vera e propria fissazione per i fiori (rigorosamente non recisi): aveva curato con maniacale attenzione quelli del giardino della Wammy's House, era addirittura arrivata a procurarsi il necessario per potare il ciliegio in riva al fiume a nord dell'accademia, il suo albero preferito, quello verso il quale scappava ogni notte, portandosi dietro il piccolo L. Anche i suoi appartamenti erano sempre pieni di fiori; difatti, poco dopo essere stata dimessa, oltre alle orchidee ordinate per lei dai genitori di Bjarne e quelle prese da Burton quando era venuto a trovarla, K aveva preferito che Watari le prendesse un altro paio di piante, anziché dei vestiti nuovi. Gli aveva confessato che questa sua mania si era però rivelata utile, perché Bjarne l'aveva sfruttata per creare un semplice codice segreto basato sui fiori che lei gli aveva regalato per il suo appartamento.
Bjarne era stato una creatura straordinaria; e Watari, nella propria vita, aveva avuto solo a che fare con persone straordinarie, ma in un altro senso: altri inventori geniali come lui, ricercatori conosciuti in tutto il mondo, luminari, e poi tanti, tantissimi bambini prodigio. Bjarne non faceva parte di nessuna di queste categorie: aveva studiato come avvocato, era vero, era molto intelligente e colto, amava leggere ed esplorare diversi campi, ma era estremamente... ordinario. Nessuno avrebbe pensato che fosse destinato a grandi cose. Eppure, Bjarne era stato una persona straordinaria, capace di portare luce laddove c'era solo buio e tristezza.
     Watari ripensò al pacco che aveva già imballato e che era pronto per essere spedito alla Wammy's House. Non gli piaceva fare uno strappo alle proprie regole, e nemmeno fare favoritismi, ma sapeva di doverlo, almeno a Bjarne.
-Avrei un altro favore da chiederti.- gli aveva detto K, seria, prima di partire per gli Stati Uniti la settimana prima.
-Non sei obbligato a farlo, e non solo perché è una regola che gli studenti della Wammy's House non possano ricevere nulla dal mondo esterno, ma perché capisco perfettamente che se un bambino d'un tratto ricevesse un regalo, gli altri si ingelosirebbero e lo prenderebbero subito di mira. Ma... voi non lo sapete perché data e luogo di nascita sono stati modificati sul suo certificato di nascita, ma vedi... Nate River è nato il 24 agosto. Perciò tra qualche settimana sarà il suo compleanno.-
Si era passata una mano sulla nuca, guardando altrove, imbarazzata.
-Bjarne si era messo in testa di imparare a lavorare il legno, sai? Per cui... ha provato a scolpirgli delle figure. Ogni anno, una per il suo compleanno e una per Natale. Sono tra le cose che mi sono portata sempre dietro. Vedi, ora che lui non c'è più, vorrei che suo nipote avesse queste cose. Penso lo renderebbe felice.-
Watari le aveva messo paternamente una mano sulla spalla, mentre lei continuava a guardare altrove.
-In realtà... c'è anche un'altra cosa.- aveva ripreso a dire, arricciandosi una ciocca di capelli attorno al dito indice. -Io... ho provato a scrivere delle storie, su dei quadernetti. Racconti gialli, insomma, senza troppe pretese. Più che altro sono annotazioni di casi a cui ho lavorato, un po' romanzati.-
Poi aveva stretto la mano attorno al tessuto della propria gonna.
-Sai che L da bambino leggeva solo Arthur Conan Doyle. Ecco, ho pensato che un bambino nato da lui avrebbe letto soltanto romanzi gialli, così ho cercato di arrangiare qualcosa del genere. Insomma, immagino presto avrà finito tutti i romanzi gialli della biblioteca della Wammy's House, almeno avrà qualcos'altro da leggere.-
Watari aveva sorriso nel vederla così imbarazzata, e lei si era un po' imbronciata.
-Non sono totalmente un mostro, ok?- aveva detto, incrociando le braccia. -L'ho messo al mondo e l'ho mandato in un posto che ho sempre reputato disumano. Mi sento responsabile per lui, e ora che finalmente posso fare qualcosa per lui senza che rischi di lasciarci le penne, vorrei poterlo fare. È un inizio, no?-
Watari aveva stretto la presa sulla sua spalla.
-È un inizio. Hai ragione.-
     Watari si era interrogato a lungo su cosa fosse meglio fare con quella scatola imballata: dentro c'erano una semplice trottola di legno con gli spicchi colorati, un puzzle tridimensionale, un nodo di legno cinese e altri rompicapo, più sei libretti con la copertina rigida finemente decorata, scritti a mano con la spigolosa calligrafia di K.
Certo, voleva che quelle cose arrivassero a Near, ma non sapeva come giustificarle; per questo motivo non aveva ancora spedito il pacco. Near era di certo abbastanza schivo e riservato da non fare parola con nessuno del dono ricevuto, perciò non temeva che i suoi compagni lo avrebbero preso di mira per quel motivo, ma non sapeva come avrebbe potuto reagire un bambino di sei anni alla notizia che alcuni suoi parenti si erano rifatti vivi.
Ci aveva pensato un'intera settimana. Aveva fatto tanto per tentare di tenere i suoi studenti lontani dalle famiglie che li avevano abbandonati, per far dimenticare loro l'esistenza dei loro affetti e cercare così di diminuire la loro sofferenza, e ora si ritrovava a fare esattamente il contrario.
Ma, alla fine, il senso di colpa per aver impedito a L di rivedere i parenti rimastigli in vita a Boston, una volta uscito dalla Wammy's House, ebbero il sopravvento. Chissà se K aveva fatto leva proprio su quello. La piccola canaglia... lei aveva vissuto a Boston, di certo aveva fatto ricerche su L, perciò era possibile che sapesse che sua zia e suo nonno erano ancora vivi e che Watari gli aveva impedito di vederli. Era stata davvero così subdolamente astuta? O forse davvero si sentiva in debito nei confronti di quel bambino che non aveva voluto?
Watari decise che nulla di tutto ciò aveva importanza. Avrebbe detto la verità a Near: suo zio era morto e gli aveva lasciato un regalo di compleanno per ogni suo anno di vita, assieme ad alcuni quaderni scritti da sua madre.
Magari a Near non sarebbe nemmeno importato.

     L aveva notato lo sguardo che Light aveva rivolto al pianoforte, e anche nella sua mente, quasi le due fossero collegate, erano affiorati i pensieri relativi a quel bizzarro concerto privato di una settimana prima.
Quando finalmente furono entrati in ascensore, Light si era messo a commentare ciò che aveva appena sentito e aveva esposto i propri dubbi. L lo aveva guardato intensamente, con uno sguardo in cui interesse e ammirazione si fondevano nel vuoto nero delle sue enormi pupille dilatate.
-”Sonata al chiaro di luna” di Beethoven è esattamente la melodia che userei per descriverla.- aveva detto infine.
Il detective aveva pensato che non c'erano parole migliori con cui Light avrebbe potuto descrivere K: un raggio di luna. Capriccioso, incostante, freddo, vivo solo grazie ad un sole lontano. E quel sole era Bjarne. Cosa sarebbe successo ora che quel sole era scomparso?
Ma anche le osservazioni del ragazzo sulla canzone che K aveva composto erano assolutamente corrette. L si chiedeva come fosse possibile che una persona con all'apparenza un così scarso interesse per qualsiasi cosa al mondo al di fuori di sé potesse percepire l'essenza di un'altra persona attraverso la musica. L era sempre stato convinto che Light osservasse con occhio critico e meticoloso ogni cosa, che ne facesse una radiografia mentale, ma che non fosse in grado di percepire le cose. Per questo si sentiva così simile a lui; era stato Bjarne a dirglielo: -L, tu sei in grado di osservare ogni cosa e comprenderne il significato, ma non ascolti.-
     Era stato durante il loro viaggio in macchina, nell'estate del '97. Si erano accampati e ora osservavano il cielo stellato sdraiati sul cofano ancora caldo di motore della Mustang Cobra blu del '91, la macchina che Bjarne era riuscito a comprarsi coi suoi sudati risparmi.
-Riuscirai anche ad elencarmi tutte le costellazioni che si vedono in questa porzione di cielo, e a predire entro quanto spunteranno le prossime e quali saranno, ma mi sai dire cosa ti trasmette questa vista?-
L era rimasto con le mani intrecciate dietro i suoi spessi capelli neri e ribelli.
-Io e tua sorella da piccoli scappavamo spesso per andare a guardare le stelle in riva al fiume, sotto il ciliegio. Era il suo posto preferito.- aveva detto, voltandosi leggermente a guardare la figura di K in pantaloncini e top che scuoteva la tovaglia dalle briciole.
-Quella porzione di cielo mi provoca nostalgia. Ma qui... è diverso. Non siamo in Inghilterra. L'atlante del cielo è come spostato, e io... mi sento come se ci fosse qualcosa fuori posto.-
Di fianco a lui, Bjarne aveva sorriso, senza voltarsi.
-È un inizio.-
     Forse ci sarebbe voluto uno come Bjarne per sradicare del tutto Kira dal cuore di Light; lui, di sicuro, non ne sarebbe stato in grado. K, neanche a parlarne.
Mentre si sedevano tutti intorno al tavolino attendendo che Watari portasse loro la cena, L continuava a pensare alla canzone composta da K. La sua vena melodrammatica e teatrale l'aveva sempre portata a vedere le proprie mani come portatrici di morte, lo ripeteva ogni volta che aveva una crisi. -Tutto ciò che tocco muore.- diceva, o -Le mie mani sono coperte di sangue.-, come fosse una moderna Re Mida del sangue, o una Lady Macbeth dei poveri.
Per questo, il suo autolesionismo di concentrava sulle mani: K non si tagliava (era successo una sola volta, e ne portava una cicatrice quasi invisibile), bensì iniziava a colpire qualsiasi cosa le capitasse a tiro fino a ferirsi le nocche, sbucciarsi le dita o graffiarsi i palmi con le proprie unghie. Per questo aveva voluto che Watari mettesse quel pianoforte: era il suo modo per ricordarle che le sue mani erano anche capaci di cose belle.
Per questo lei aveva cominciato a suonare quando sapeva che lui era ancora nei paraggi: e aveva cominciato col Nocturne di Chopin: la sua ninnananna. I sogni di L erano sempre stati infestati dagli incubi, e, dalla prima notte in cui K lo aveva trovato sepolto sotto la neve e lo aveva accudito e tenuto al caldo nel proprio letto, lui aveva sempre cercato di trovare il modo di dormire con lei: il rumore del suo respiro lo calmava, sia che lei fosse accanto a lui, sotto l'albero di ciliegio, mentre lo avvolgeva nella coperta nelle serene notti d'estate, sia che lei stesse dormendo sotto il suo letto per nascondersi dagli altri bambini maschi. E, soprattutto, per farlo dormire lei gli canticchiava il Nocturne, oppure glielo suonava al pianoforte della sala grande della Wammy's House; era anche stata la canzone con cui gli aveva insegnato a suonare il piano, sebbene lo avesse sempre spronato a suonare qualche altro strumento.
-Così potremmo suonare insieme!- gli diceva.
     L non era stupito dal fatto che K fosse riuscita a comporre una canzone per Bjarne senza, probabilmente aver toccato un pianoforte per anni: quando vivevano alla Wammy's House, e anche in seguito, quando si erano trasferiti a Shoreditch, K aveva sempre “suonato” una tavola di legno, su cui aveva inciso con un taglierino la forma di tutti i tasti. A Shoreditch non c'era spazio per un pianoforte, e alla Wammy's House ce n'era soltanto uno a disposizione di tutti gli studenti e dei professori. Per questo lei si era costruita quel surrogato di pianoforte, dinanzi al quale si sedeva di tanto in tanto, sgranchiva le mani, e cominciava a suonare melodie mute ed immaginarie. La sua musica, sia quando proveniva da un vero piano, sia quando era un semplice mugolio delle sue labbra serrate di fronte alla tavola di legno, lo aveva sempre colpito: non era a musica di una bambina prodigio della Wammy's House, era la musica di Stephanie.
L aveva continuato a pensare a quella melodia che aveva ascoltato quella mattina, prima che K partisse per gli Stati Uniti, e non aveva potuto far altro se non comporre nella sua mente un accompagnamento col violino; si rendeva conto del fatto che fosse un'intrusione da parte sua nel dialogo disperato tra K e Bjarne, ma ne aveva sentito la necessità fin dalle prime note.
     Quella musica era cominciata come se fosse stata una voce maschile, malinconica ma allo stesso tempo risoluta, a parlare, una voce che ad un tratto si faceva più dolce e rassicurante, come se cercasse col suo affetto di cacciare via la tristezza.
E a quel punto interveniva una voce femminile esagitata, incalzante, affannata, che quasi copriva quella di lui, lui che tentava di continuare il proprio canto consolatorio. Alla fine era la voce di lei a prendere il sopravvento, ripetendo con tristezza il motivo di lui; finché il suo canto acuto non si spezzava, non si sdoppiava, come se il pianto avesse preso il sopravvento, come se si stesse chiedendo il perché di tutto questo mentre le lacrime cadevano a due a due, finché la sua voce non scoppiava e le parole si susseguivano come un fiume in piena. Non c'era spiegazione per quel dolore, non c'era rimedio, era rimasta una sola voce e il cielo era muto. Il suo sole si era spento, e lei, povera luna arida e fredda, non poteva più brillare della sua luce riflessa.
Cercava di recuperare la ragione, sembrava stesse prendendo un bel respiro, la sua melodia non era più così acuta e concitata, ma questa quiete durava poco, perché la voce si strozzava nella gola, e ricominciava il pianto.
Ma lui ritornava a parlarle, la sua voce faceva da contrappunto a quella di lei... o forse era solo un'illusione? Forse era un'eco lontana di lui che ormai non c'era più? Forse era per questo che il canto di lei si faceva così aggressivo, si ribellava alla melodia, anche se lui, distante, tentava di rassicurarla. E ci riusciva. Riusciva a riportarla alla melodia che insieme avevano cominciato, e, approfittando della ritrovata calma di lei, lui riprendeva a parlarle dolcemente, abbracciandola, bagnandosi con le sue lacrime.
Ma la rabbia tornava ad impadronirsi della voce femminile capricciosa ed inconsolabile, che quindi si staccava da lui, si ribellava alla melodia e batteva i piedi per terra come le dita che in quel momento colpivano violentemente i tasti.
Eppure lui riusciva a riprendere il sopravvento, sempre così calmo, così malinconico, come se stesse cercando di affondare le grida di lei nel proprio petto. Triste non tanto per il fatto di non esserci più, quanto perché in questo modo aveva lasciato lei da sola.
Così lei gli rispondeva, a volte in modo titubante, con le medesime parole che lui aveva per primo pronunciato, mentre le lacrime le cadevano dagli occhi ritmiche e distanti, finché la voce non si spezzava di nuovo per il pianto; eppure, ora non c'era più rabbia nella sua voce. E, mentre lei continuava il suo canto sempre malinconico, ma ora più tranquillo, la voce di lui si era fatta muta, e non sarebbe più tornata. Ma tutte le parole erano state ormai dette, e lei era finalmente libera di dargli il suo ultimo addio.
     E L ora accompagnava quel pianto disperato col suono di un violino invisibile. Un intruso, in quel dolore e in quella relazione, com'era sempre stato. Eppure, non poteva evitare di sentire il bisogno di partecipare a quel canto, se non altro, almeno per accompagnare e sostenere quelle due voci malinconiche.


Note

     Stavo cominciando a perdere le speranze con questa fic: la parte della Yotsuba è lenta e noiosa, e io la sto tirando ancora di più per le lunghe perché c'erano mille argomenti, tutti più o meno pesanti, che avrei voluto trattare. Fortunatamente sono riuscita a ritrovare un po' il giusto slancio leggendo altro (tra cui le fanfiction su Death Note di Alumina, che vi consiglio, in caso non le abbiate già lette) e cominciando la stesura del prequel Before November 8th. Mi serviva proprio, è stata una boccata d'aria fresca. Ho scritto questo prologo e la prima one-shot di Before insieme, e credo che questo prologo sia anche indicato come prologo delle one-shot di Before November 8th. In ogni caso, se avete delle fic di Death Note da suggerirmi come lettura, non esitate a dirmelo tramite messaggio privato! Nelle prossime settimane sarò impegnata a preparare gli esami per settembre, ma spero di potermi ritagliare del tempo per leggere e scrivere.
     Ci tenevo a fare alcune precisazioni su questo capitolo: innanzitutto, la canzone che K “compone” per elaborare il lutto di Bjarne è “Comptine d'une autre été” del film “Il Favoloso Mondo di Amélie”. La scena del piano l'avevo immaginata mesi e mesi fa come risposta alla scena delle mani insanguinate (che qui non ha la pregnanza che le avevo dato in una stesura intermedia, perché sto modificando alcune cose della trama), e sentivo che la canzone suonata da K doveva essere quella. Così ho immaginato un ultimo dialogo tra K e Bjarne, visto dagli occhi di L.
Per il Nocturne, o meglio, per la mia conoscenza e il mio apprezzamento di Chopin, sono debitrice ai Muse: il Nocturne in E-flat Major Op. 9 No. 2 è infatti inserito nella coda “Collateral Damage” a “United States of Eurasia”. Pensavo che un piccolo L, terrorizzato dagli incubi di sua madre che si butta giù dalla finestra, potesse effettivamente addormentarsi al suono di una voce che “canta” il Nocturne. Il dettaglio dell'asse di legno coi tasti su cui K immaginava di suonare l'ho invece preso dal film “Il Pianista”.
     Altra cosa, che ora mi sento in dovere di spiegare: Bjarne è palesemente un sole, e K una luna, in più di un senso, ed era talmente palese che persino L probabilmente sarebbe giunto ad una considerazione così “romantica”. Eppure, anche se pensa di essere escluso dalla cerchia degli affetti più profondi di K, io non la vedo così. Per me K è la luna, e L la Terra. La luna è nata dalla Terra quando questa era ancora troppo giovane per ricordarsene; K ha scelto il suo nome in relazione a L, che aveva deciso di farsi chiamare così. K era una ragazzina rimasta in orfanotrofio per tre anni per superare il trauma della morte dei propri genitori, prima di entrare alla Wammy's House. Quando arriva è una bambina distrutta, che sta cercando una ragione per continuare a vivere; poi incontra L, e vede nei suoi occhi il vuoto in cui lei stessa aveva avuto paura di sprofondare, per questo decide di prenderlo sotto la propria ala. Sceglie il nome di K per non farlo sentire solo, diventa una figura di riferimento per lui perché solo salvando lui crede di poter salvare se stessa. K gravita attorno ad L e, forse, con gli anni L ha dato un po' per scontata la sua presenza, tanto da infuriarsi nei pochi momenti in cui lei è più presente per suo fratello che per lui. Ricordiamo che L è canonicamente infantile e capriccioso, e io gli ho aggiunto un bel trauma con la madre e un complesso edipico irrisolto. Avrei voluto trattare prima o poi questa questione, ma faccio fatica a trovare qualcuno che possa dare voce a questi pensieri: forse l'unico che avrebbe potuto farlo sarebbe stato Bjarne, ma io, purtroppo, Bjarne l'ho fatto morire.
     Per questo gli ho scritto un prequel.

     Grazie davvero dal profondo del cuore a chi ancora mi segue, a presto!
   
 
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