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Autore: Rei Murai    14/08/2018    2 recensioni
Ignorando Sakura si era alzato di scatto, era corso alla porta e lo aveva cercato con lo sguardo: lungo il corridoio affollato aveva intravisto solo una ciocca di capelli scura e lo zaino del medesimo colore, prima che questi svoltasse l’angolo sparendo di nuovo.
Con uno slancio si era lanciato all’inseguimento facendo lo slalom tra gli studenti che si erano riversati nello spazio lungo e stretto costeggiato dalle vetrate che davano sul giardino. Svoltando a destra, però, non era riuscito a trovare l’altro. Il corridoio si era presentato vuoto e al centro di esso era rimasto solo un fottuto aeroplano di carta. Lo aveva raccolto, accartocciandolo tra le dita e aveva sbattuto il piede a terra, lasciandosi scappare un epiteto poco carino.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Tanti auguri a te, Tanti auguri a te… anche se sono stonata e in ritardo, sono riuscita – FINALMENTE -a finire questa dannata fanfic.
Non è tra i miei prodotti migliori – Il SasuNaru mi è ancora ostico, giuro – ma ho provato a metterci tutte le mie infinite risorse, capacità, scapocciate e ore di sonno!
Quindi, spero vivamente che tu la possa trovare almeno un minimo gradevole o che ti strappi una risata; per tutto il resto ci sono le fan Art!
Rei!
 
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PAPER PLANE
 
 
 
Naruto ricordava ancora il giorno in cui aveva visto il primo areoplanino di carta.
Si trovava nel giardino della scuola durante un allenamento intensivo per la corsa campestre; inalava aria e cercava di sopportare il dolore alle gambe, mentre i suoi compagni di classe lo superavano velocemente lasciandolo indietro.
In breve si era trovato ultimo e osservava le schiene dei suoi compagni di classe che, poco più avanti, iniziavano ad allargare il divario gettandogli in viso la loro polvere. Perfino Chouji, armato dell’immancabile pacchetto di patatine che divorava veloce quanto correva, si trovava a diversi buoni metri di distanza.
Stava proprio per mollare tutto e fermarsi in mezzo al campo, lasciando che il suo corpo cadesse a terra, quando aveva notato il foglio scivolare dolcemente trasportato dal vento.
Lo aveva osservato con interesse piroettare sopra il campo da corsa, adagiandosi poi accanto al rialzo del marciapiede e d’istinto aveva svoltato, abbandonando il sentiero tracciato dai compagni per andarlo a recuperare.
Un aeroplano.
Le pieghe fatte ad opera d’arte, la punta leggermente ricurva per l’impatto contro l’asfalto. Lo aveva lanciato a sua volta, dimentico degli allenamenti e questo si era librato in aria prima di ricadere velocemente verso il basso, sbattendo ancora una volta contro il terreno.
Un aeroplano.
L’insegnante lo aveva richiamato e Naruto era saltato spaventato, riprendendo a correre.
Lo sguardo era andato nuovamente verso il punto in cui lo aveva visto apparire e lassù, sul tetto dell’istituto attaccata alla rete, aveva visto una figura allontanarsi in fretta sparendo oltre il suo campo visivo.
 
«Un aeroplano di carta? È per questo che mi hai portato qui? È per questo che mi sono perso le gare di nuoto femminile?» Kiba aveva addentato il korokke pan con voracità, mostrando per un singolo istante i canini accentuati prima di affondarli nel pane.
Naruto aveva colpito con il piede il contenitore del bento e poggiato il capo contro il muro.
Seduti entrambi sopra il tetto della scuola, assieme ad un'altra decina di studenti lì per lo stesso motivo, Uzumaki si era sentito stupido.
Inuzuka aveva accartocciato il contenitore di plastica, lo aveva lanciato a qualche metro di distanza da loro e aveva steso le gambe doloranti.
«Quando finisce la settimana dello sport?» aveva chiesto poi, incolore, sdraiandosi e intrecciando le dita sotto la nuca.
«Quando finisce la settimana?» gli aveva risposto sarcastico, allungando le gambe sulla sua pancia. Kiba aveva contratto il viso in un’espressione infastidita e gli aveva colpito la gamba con un lieve pugno.
«Un aeroplano di carta – aveva ripetuto poi, con tono ironico – e io che volevo vedere Hinata con il costume da bagno».
 
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Il secondo aeroplano gli era finito dritto tra i ciuffi biondi.
Era una mattina di maggio e sedeva scomposto con la schiena poggiata ad un albero di ciliegio.
Naruto aveva alzato la mano, sfiorato con le dita la consistenza della carta e, stupito, si era tolto il foglio dai capelli. Aprendo gli occhi aveva scoperto un’altra decina di aeroplani sparsi per il giardino e aveva notato nuovamente la figura ferma sul tetto della scuola. Era rimasto ad osservarlo imbambolato, stringendo tra i polpastrelli il foglio di carta bianca.
Lo aveva lasciato cadere a terra quasi subito e si era alzato, iniziando a correre verso le scale anti-incendio.
Tuttavia, quando aveva raggiunto l’ultimo pianerottolo e aveva spalancato la porta che dava sul tetto, non vi aveva trovato nessuno.  
Incerto si era avvicinato alla ringhiera, osservando il giardino sottostante: una folata di vento aveva raggruppato tutti gli aeroplani nel punto più lontano, facendoli rotolare sull’erba. Aveva stretto le mani attorno all’inferriata in ferro osservando l’albero sotto cui si trovava fino a qualche minuto prima. Il suo zaino, le carte del pranzo e il libro di matematica giacevano abbandonati sul prato, un aeroplano incastrato tra i fiori di ciliegio.
Se non fosse stato un pensiero stupido, avrebbe quasi potuto giurare che fossero stati lanciati per attirare la sua attenzione. Sembrava quasi che la figura sul tetto lo stesse osservando in attesa che lo notasse.
Aveva scosso il capo, allontanato le dita dalla grata e fatto un mezzo salto per scendere dal rialzo in cemento. Quando si era voltato era andato a sbattere contro alcuni ragazzi del terzo anno e dopo un breve inchino e una serie di scuse farfugliate era corso nuovamente giù per recuperare le sue cose.
 
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«Questa storia comincia a ossessionarti» Sakura si era seduta davanti a lui, girando la sedia in modo da poter poggiare le braccia sullo schienale e osservandolo preoccupata.
Naruto, per contro, aveva poggiato l’aeroplano di carta e aveva alzato lo sguardo sulla compagna di classe. l’intervallo era cominciato da pochi secondi e Uzumaki aveva deciso di mangiare al proprio banco: il tempo di scartare il panino e aveva trovato uno di quei maledetti cosi dentro lo zaino. Dimentico del pranzo si era rigirato il foglio piegato tra le mani, studiandolo con attenzione; era bianco e traslucido, pesante nella sua mano destra. Quando aveva provato a farlo volare di nuovo, questi si era schiantato sul suo banco.
«Non mi sto “ossessionando”» aveva risposto scocciato, dando un colpo al foglio che era caduto dal banco. Haruno aveva inarcato un sopracciglio e lui si era ritrovato a sospirare sconsolato.
«Ah no?» la ragazza aveva rincarato poggiando il mento sulle braccia conserte. Naruto se l’era chiesto a sua volta prima di scuotere il capo con forza.
«Assolutamente no! – aveva rimarcato poi, poggiandosi con la schiena alla sedia – solo che non capisco: ogni giorno piovono dal cielo e sembrano concentrarsi nella zona dove mi trovo. Questo me lo sono ritrovato nello zaino! Sembra fatto apposta!».
«E non hai pensato che, magari, è solo una coincidenza? Magari sono dove sei tu perché li porta il vento ma chiunque li faccia li lancia a caso, sprecando fogli su fogli e lasciando cartacce in giro».
Uzumaki si era lasciato andare ad un lungo sospiro e la sua attenzione era stata catturata dai compagni di scuola che, come in una processione, avevano iniziato a lasciare l’aula per dirigersi verso la mensa scolastica.
Assorto nei suoi pensieri, si era ridestato solo quando, oltre la porta, aveva visto una figura famigliare: il ragazzo in questione camminava lento, stringendo con la mano destra lo zaino nero. Era stata una questione di un secondo: l’adolescente aveva volto il capo in sua direzione, le labbra si erano piegate in un sorriso beffardo e poi era sparito oltre il muro spesso, uscendo ancora una volta dal suo campo visivo.
Ignorando Sakura si era alzato di scatto, era corso alla porta e lo aveva cercato con lo sguardo: lungo il corridoio affollato aveva intravisto solo una ciocca di capelli scura e lo zaino del medesimo colore, prima che questi svoltasse l’angolo sparendo di nuovo.
Con uno slancio si era lanciato all’inseguimento facendo lo slalom tra gli studenti che si erano riversati nello spazio lungo e stretto costeggiato dalle vetrate che davano sul giardino. Svoltando a destra, però, non era riuscito a trovare l’altro. Il corridoio si era presentato vuoto e al centro di esso era rimasto solo un fottuto aeroplano di carta. Lo aveva raccolto, accartocciandolo tra le dita e aveva sbattuto il piede a terra, lasciandosi scappare un epiteto poco carino.
 
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Il giorno dopo Naruto aveva saltato le lezioni per rintanarsi sul tetto della scuola.
Seduto nello spiazzo di cemento bianco, era rimasto tutta la mattina ad osservare la porta con uno dei dannati aeroplani tra le mani.
Come c’era da aspettarselo nessuno si era presentato sul tetto con le braccia cariche di fogli di carta.
C’era stato un concentrato via vai di studenti: il primo intervallo era stato tranquillo; qualche teppista lo aveva raggiunto verso la quarta ora; durante il pranzo il tetto era stato preso d’assalto.
Dopo il suono dell’ultima campanella si era addormentato con la bottiglia dell’acqua bloccata tra le gambe. Le braccia conserte e il capo inclinato, rinfrescato dalla brezza fresca che lo sfiorava da sopra la divisa leggera, si era svegliato quando qualcosa lo aveva colpito in viso. Aveva aperto gli occhi frastornato e aveva incrociato gli occhi verdi di Sakura che lo osservavano preoccupati.
«Ti sei addormentato qui?» a quella domanda aveva annuito, avvertendo una fitta al collo. Haruno si era seduta accanto a lui, le ginocchia al petto e aveva osservato a sua volta la porta da cui era entrata.
«Ed è arrivato qualcuno?».
«Metà scuola» aveva risposto con la bocca impastata dal sonno. Si era passato una mano tra i capelli e aveva allungato le gambe stiracchiandosi. Sakura si era lasciata scappare uno sbuffo divertito, prima di allungargli una merendina.
Erano rimasti lì un altro paio d’ore, prima che la ragazza – probabilmente stanca – prendesse la decisione di alzarsi in piedi e trascinarlo con sé.
«Non risolverai nulla restando qui: se fosse davvero indirizzato a te, trovandoti in questo posto, una persona intelligente avrebbe evitato di farsi notare».
Aveva accettato di buon grado l’aiuto, pulendosi i pantaloni della divisa con un colpo secco della mano. La testa aveva preso a vorticargli e, prima di seguirla, si era dovuto poggiare al muro.
Alla fine erano scesi in silenzio, tenendo lo zaino stretto tra le mani: una volta raggiunto l’ingresso della scuola, gli era parso di sentirsi osservato ma aveva deciso di ignorare la sensazione.
Aveva già perso anche troppo tempo.
 
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L’ennesimo aeroplano era arrivato qualche settimana dopo; si era fermato in biblioteca, dopo il suono della campana che segnava il termine delle lezioni. Seduto a uno dei tavoli, attorniato da una decina di libri da studiare per il compito che avrebbe avuto il giorno dopo, l’aveva visto planare morbido davanti a lui ed era rimasto a fissarlo annoiato.
Non voleva più saperne nulla. Era arrivato a quella conclusione con qualche difficoltà, ma una volta presa quella decisione, aveva iniziato ad ignorare la situazione.
Aveva passato settimane a interrogare ogni singolo elemento incontrato sul terrazzo della scuola, aveva cercato informazioni sia tra persone conosciute che tra persone che non conosceva.
Nessuno sembrava aver visto un ragazzo dai capelli neri intento a lanciare areoplani dal tetto della scuola. In realtà sembrava quasi che nessuno avesse mai visto un aeroplano di carta in vita sua.
Ogni occhiata che aveva ricevuto era dubbiosa, scettica. Alcuni ragazzi dell’ultimo anno avevano anche cercato di spillargli soldi senza poi aver nulla da dirgli realmente.
Per tutto il tempo che aveva effettuato le sue ricerche, nessun’altro aeroplano gli era planato in testa o era apparso nella sua visuale; sembrava quasi che il ragazzo e quei pezzi di carta misteriosi erano svaniti nel nulla.
Aveva preso l’aeroplano tra le mani, l’aveva osservato e solo successivamente aveva notato una piccola freccia che indicava l’interno del foglio.
Curioso aveva studiato quel simbolo; si era piegato sulla sua cartella, aveva tirato fuori l’aeroplano che ormai si portava appresso da quasi un mese e l’aveva comparato con l’altro. Sul primo non sembrava esserci nessun segno, niente che lasciasse intendere di ispezionare l’interno del foglio.
Per la prima volta, con dita tremanti, aveva aperto le pieghe, stendendo la carta con i palmi delle mani, per controllare l’interno.
Nel primo aeroplano non aveva trovato nulla tuttavia, nel secondo, aveva notato un messaggio all’altezza della piega interna che formava l’aeroplano:
“Domani, dopo l’ultima lezione in palestra. Non mancare”.
 
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E così, quel giorno, si era ritrovato fermo davanti all’ingresso della palestra.
La campana che segnava la fine delle lezioni era suonata da una decina di minuti e Naruto, dondolando alternativamente sulle gambe per smaltire la pressione, non aveva ancora trovato il coraggio di aprire la porta.
Non capiva nemmeno perché avesse accettato quell’incontro: voleva capire perché diamine quel ragazzo gli gettasse tutti quegli areoplani e voleva anche vederlo in faccia. Anche avendo quelle risposte, dopo cosa avrebbe fatto? Se ne sarebbe andato via?
Sbuffò ed emise una mezza imprecazione, prima di aprire le porte con impeto; ci avrebbe pensato dopo! Doveva assolutamente chiarire i suoi dubbi.
La palestra sembrava immensa e fredda. Mosse i primi passi con certezza, si guardò attorno e solo ad una seconda occhiata notò il ragazzo seduto sui gradoni; il pavimento era lindo, pulito. Un pallone da volley giaceva abbandonato vicino al canestro a destra e sparsi qua e là c’erano una serie di areoplanini di carta.
A gambe incrociate il ragazzo continuava a piegare i fogli con cura; alzò lo sguardo in sua direzione, sogghignò e poggiò la pila di fogli di fianco poggiando i gomiti sulle ginocchia fasciate dal pantalone della divisa scura.
«Chi cazzo sei?».
«Sasuke Uchiha» la risposta gli arrivò lontana. Salì due a due i gradoni della palestra, fino a portarsi davanti al ragazzo che alzò lo sguardo per osservarlo dal basso.
Si ritrovò a pensare che era dannatamente bello. Le labbra sottili spiccavano sulla pelle chiara e gli occhi neri lo scrutavano maliziosi; teneva tra le mani un aeroplano piegato con cura e le unghie erano sporche di colore. Restarono ad osservarsi in silenzio per un tempo indefinito, poi le labbra del ragazzo si dischiusero lasciando uscire un piccolo sbuffo divertito.
«Sei venuto fino a qui solo per chiedermi il nome oppure ti si è fuso il cervello alla mia risposta?».
Naruto strinse le mani a pugno fino a far sbiancare le nocche e storse la bocca con un ringhio basso.
«Ovvio che no! – sentenziò, puntando un piede contro il gradone su cui era seduto l’altro. – Perché diavolo mi hai preso di mira con i tuoi fottuti areoplani?!».
Uchiha alzò la mano, prese la mira e lanciò l’areoplanino. Questi si alzò in aria e lo oltrepassò sfiorandogli la guancia; sentì il fischio del vento contro l’orecchio e non dovette voltarsi per accertarsi che planasse con grazia sul pavimento rivestito dalla moquette arancione.
«Per attirare la tua attenzione; volevo conoscerti».
Spiazzato Uzumaki aprì la bocca un paio di volte in cerca di qualcosa da dire. Sasuke si alzò in piedi senza staccargli gli occhi di dosso; la differenza di altezza lo fece indietreggiare e questi saltò sul gradino più basso solo per trovarsi occhi negli occhi con lui.
«Ci siamo incontrati al primo anno; durante la staffetta a squadre per la Golden Week. Quell’anno la tua classe è arrivata prima grazie al tuo scatto di velocità nell’ultimo tratto: noi siamo arrivati secondi per un soffio. Hai tagliato il traguardo una frazione di secondo prima di me. Da allora seguo le tue gare ogni anno e ogni anno mi preparo per batterti…».
Ci mise qualche secondo buono a registrare quello che l’altro stava dicendo e a ricollegare quel viso pallido a quello del ragazzino che, due anni prima, aveva gettato a terra la fascia osservandolo pieno d’odio.
Si ritrovò a sorridere come un’idiota, incrociando le braccia al petto e alzando il mento in direzione di Uchiha che, per tutta risposta, inarcò un sopracciglio.
«E così ti sei interessato a me perché ti ho fatto il culo più volte eh?! Beh, è logico! Nessuno è migliore di me a correre! Se vuoi qualche lezione te la posso dare, non hai che da-».
Le labbra dell’altro si piazzarono sulle sue con forza.
Naruto quasi perdette l’equilibrio, ritrovandosi ad aggrapparsi all’altro per non cadere. Occhi sgranati ed espressione totalmente ebete, studiò quella di Sasuke; gli occhi scuri pieni di sfida ricambiavano il suo sguardo. Le mani raggiunsero la sua nuca, le dita pallide si intrecciarono con i capelli biondi e il dolore lo costrinse a socchiudere occhi e labbra quando questi gli tirò le ciocche in maniera violenta.
La lingua si intrufolò nella bocca con prepotenza, in cerca della sua. Lo morse, Sasuke non si lasciò prendere dallo sconforto, riprovandoci e lui si lasciò scappare un gemito.
Il sapore del sangue gli invase la bocca quando, con i denti, gli afferrò il labbro inferiore. Uchiha si ritirò, passò la lingua sul punto offeso e sorrise facendo un passo indietro.
«Sono certo che alla prossima gara, mangerai la mia polvere» lo sfotté prima di oltrepassarlo.
Naruto si portò una mano alla bocca, stupito e si voltò in direzione dell’altro.
Lo vide solo per un’ultima frazione di secondo, prima che la porta si chiudesse alle sue spalle, lasciandolo da solo.
 
   
 
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