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Autore: Lost In Donbass    16/08/2018    1 recensioni
"Bishkek non era mai stata così fredda come quel 4 maggio 1990"
Perché le storie d'amore, a maggio, sono destinate a svanire nel sangue.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FAREWELL, MY LOVE

Bishkek non era mai stata così fredda come quel lontano 4 maggio 1990.

Bishkek é stranamente fredda per questa stagione; un vento gelido spira dalle montagne che si innalzano maestose sul background cittadino e sembra che le temperature non vogliano saperne di alzarsi. Non che ti importi qualcosa: ti piace il freddo che si insinua nelle case e nelle strade, ti piace il vento che ti scuote i lunghi capelli vermigli, ti piace svegliarti la mattina e sentire una brezza gelida mandarti brividi per la spina dorsale. Gli alberi nei parchi fanno fatica a fiorire ma a te piace così: trovi le piante spoglie affascinanti. Quei loro rami ritorti, quelle foglie avvizzite danno colore alle tue giornate, molto di più di quanto possano farlo dei fiori o dei boccioli. Per te, la primavera é finita quando Asel se n’é andata e adesso per te non esiste altro che l’inverno. Un lungo, tragico, malinconico inverno che ammanta la città esattamente come ammanta l’Ala-Too, incombente gigante buono che veglia su Bishkek e al quale spesso rivolgi le tue preghiere. Ogni giorno, dopo la scuola, vai a sederti in quel parco vicino all’Osh bazaar, dove vi piaceva tanto passare i vostri pomeriggi e pensi a tutte le volte che le vostre mani si sono intrecciate, a quante occhiate rubate, a quanti sorrisi celati. Sorridi e getti il capo all’indietro, i tuoi fluenti capelli colore del sangue che fuggono dal berretto di pelliccia, ripercorrendo con la mente i momenti nei quali lei ti faceva le trecce, le sue belle mani nobili che correvano a intrecciare ciocca dopo ciocca. Ti manca tanto, Asel, la bella Asel coi capelli colore del corvo e il sorriso imperfetto.
La primavera tarda ad arrivare, quest’anno, e a te va bene così. L’inverno ti aiuta a serbare caldo e pulsante il ricordo di lei, allontana la gioia malinconica dell’estate e ti culla ogni sera nel suo gelido e sterile grembo. Ricordi come era bello andare in bicicletta con lei, spingervi fino al museo Frunze e poi andare a nascondervi in una pasticceria per ingozzarvi di torta di mele e the nero bollente. Ti sporcavi sempre il nasino di panna, e lei lo puliva con un bacino a stampo, accompagnato da un vago rossore sulle guancie di entrambe.
Sorridi, ogni volta che ripensi a lei, e anche adesso, seduta sulla panchina fredda, accarezzi con la mano guantata quello che un tempo era il suo posto. Hai le cuffie sulle orecchie, e ascolti quella cantante russa che vi piaceva tanto – ricordi il vostro primo concerto, quando, eccitate come non mai, vi eravate trovate in mezzo a una calca di ragazzine urlanti come voi e lei, il vostro idolo, era lì sul palco che intonava la vostra canzone preferita. Era stato quel giorno che avevi capito di amare Asel. In mezzo alla gente, cantavi con le lacrime agli occhi dalla felicità, e non potevi trattenerti dal guardare il bel viso della tua migliore amica e pensare che quelle delicate parole d’amore rendessero appieno i tuoi sentimenti tempestosi. Era una canzone lenta, quella che  stavate cantando in quel momento, e tu avevi preso la mano di Asel, stelle negli occhi e comete tra le labbra, sperando che lei capisse che le stavi dedicando il giorno più bello, che le stavi aprendo il tuo cuoricino fremente, che volevi solamente rivelarle il tuo amore.
Era stata lei a fare il primo passo, quella notte, tra la neve che turbinava e la folla che ondeggiava a ritmo di musica. Ti aveva stretto la mano, e ti aveva baciata, senza un perché, lasciando che tu la stringessi forte a te, una campana di vetro che vi aveva isolate dal resto del mondo, regalandovi un momento solo per voi due. Nelya e Asel. Asel e Nelya. Non suonano forse così bene i vostri nomi insieme?
Adesso, ti lecchi le labbra, cercando di ritrovare il sapore delle sue, morbide e cedevoli, che profumavano di limone e vaniglia. È passato così tanto dall’ultima volta che vi siete baciate e che avete ascoltato musica insieme su questa panchina … ma tu, cocciuta, continui a ripetere questa routine, nella speranza che lei si palesi di nuovo. Sai che il tuo è uno sperare inutile, ma non puoi fare a meno di appenderti al suo ricordo per continuare a vivere. Hai diciotto anni, ma non li senti. Ti pare di essere così vecchia, così stanca da non riuscire nemmeno più ad alzarti da letto. Ti manca tanto, la bella Asel dagli occhi di ghiaccio, e ti senti soffocare ogni volta che realizzi che lei se n’è andata  e che non la rivedrai mai più.
Rovesci la testa all’indietro, e il cappello ti sfugge dalla testa ma non ci fai caso, non quando cerchi di intravedere i grandi occhi celesti di Asel nelle nuvole che si rincorrono o di risentire la sua voce nel canto degli uccellini. È il momento di alzarsi adesso, e di andare a trovarla, di andare a baciare la sua tomba e di sederti al suo fianco, come ogni giorno. Ti chiedi come mai il vostro amore sia stato così brutalmente strappato, perché di tante persone il fato abbia scelto proprio lei. Cosa aveva fatto di male, se non essere troppo bella e essersi innamorata della ragazza kirghiza coi capelli rossi? Che male c’era nell’essere di etnia uzbeka, ti domandi, scartando lentamente quella ciambella bollente. Anche Asel amava le ciambelle, le mangiavate ogni pomeriggio, sedute sul porticato di casa tua. Ma ora che lei non c’è, ti sei ridotta a sbocconcellarle in completa solitudine. Il vostro amore è tramontato nel sangue, esattamente come i tramonti infuocati che salutano ogni sera la vostra Bishkek. Sorridi, e le lentiggini sul tuo volto tremano quando lo fai, ripensando a quando osservavate il tramonto mano nella mano e vi baciavate lentamente prima di separarvi per la notte. La guardavi balzare in sella alla bicicletta e pedalare via, mentre tu continuavi ad agitare la mano, fino a che non girava l’angolo sulla Zelenaya Uliza. Solo allora ritornavi in casa, il viso ancora arrossato e le labbra frementi.
Vi amavate, tu ed Asel, di un amore che andava oltre alla razza, all’apparenza, alle convenzioni sociali: eravate fatte per stare insieme, unite come solo due diciottenni coraggiose lo possono essere. Sognavate di scappare dal Kirghizistan, di andare a San Pietroburgo e di vedere l’Ermitage in una notte d’inverno. Eppure, nonostante tutte le promesse sotto le stelle, i baci scambiati come giuramenti, i mazzi di fiori e le mani intrecciati, ora è andato tutto in fumo. Non andrete mai a Mosca insieme, non avrete mai l’occasione di sposarvi in Europa, come sognavate, il vostro viaggio di nozze in California è sfumato esattamente come è sfumato il suo bel sorriso sbarazzino. Adesso sei sola, bella Nelya dai capelli rossi, e la tua Asel con la chioma del corvo riposa in una tomba a pochi metri da te, sotto i rami ritorti di un qualche albero del cimitero di Ala-Archa. Tu sei lì, come ogni giorno, un mazzo di splendidi tulipani rossi stretti nella piccola manina e una singola lacrima a brillarti negli occhi a mandorla di quell’incredibile verde smeraldo. Ti prendono ancora in giro, a scuola, per i tuoi capelli rossi, le lentiggini e gli occhi verdi, le forme rotonde, i tratti e la pelle di tipica etnia kirghiza: sei buffa, Nelya, buffa e timida, mai capace di importi ma Asel, dall’alto della sua bellezza mozzafiato, ti aveva sempre protetto. Ora che lei non c’è più, quando ti guardi allo specchio scoppi in lacrime. Colei che ti trovava bella proprio per la tua stranezza, adesso è scomparsa. Chi sarà mai capace di amarti come faceva lei?
In piedi davanti alla tomba, osservi la foto e i mazzi di fiori che porti ogni giorno, e risenti nelle orecchie la sua voce argentina, la sua risata, le sue promesse di portarti via, di iniziare una vita insieme lontane da Bishkek, lontane dall’odio razziale, lontane da una nazione in crisi e da un’Unione Sovietica oramai prossima al crollo. Ma ora sei sola, e i sogni si stanno pian piano sgretolando ogni giorno di più. Con chi andrai in California, adesso? Con chi percorrerai la Nevskij Prospekt? Con chi visiterai Berlino? Con chi scorrazzerai per le strade di Londra? Con nessuno che non sia il suo fantasma. Ti inginocchi al suolo, posando il mazzo di tulipani vicino al suo viso gentile e fresco, sentendo un fremito scuoterti nelle profondità del tuo io. Te l’hanno portata via. Te l’hanno uccisa sotto gli occhi. Ma esattamente come hanno ucciso lei, hanno ucciso anche te, strappandoti l’unica ragione che avevi per svegliarti e sorridere al sole mattutino.
Prendi un fiore e lo annusi, sorridendo tra le lacrime che silenziose hanno cominciato a rigarti le guance rotonde e lentigginose. Ha il suo stesso profumo – il profumo dei suoi baci, dei suoi cappotti, del suo collo pallido. Bagni il fiore col tuo pianto prima di posarlo di nuovo su quella lapide, indugiando con le dita sulla fredda pietra, dove sotto riposa la tua migliore amica, la tua ragazza, la tua vita.
Piccola Nelya, quanto soffre il tuo piccolo cuoricino, quanto dolore deve sopportare la tua anima violata e sensibile.
Posi un delicato bacio sulla foto di Asel, lasciando che si bagni delle tue lacrime pesanti e si accoccoli al fianco della lapide, come se lei fosse ancora viva e foste abbracciate sul prato del parco, intente a ridere piano e a contare le nuvole. Sospiri, e ti mordi il labbro per trattenere un singhiozzo.
Hai smesso di parlare da quando lei è morta, e non ci sono stati medici, insegnanti o familiari che siano riusciti a forzare il tuo silenzio tombale. Avevi giurato che non avresti più aperto bocca se vi avessero separate, e non hai intenzione di spezzare quel giuramento: ora che lei non c’è più, che senso ha parlare? A chi devi comunicare i tuoi sentimenti, far sentire la tua voce, se l’unica persona di cui ti importava è volata in cielo? Sorridi ancora, con quel tuo dolce sorriso malinconico, ma non lasci che nessun suono turbi il tuo eterno lutto. Ora che non puoi più strillare il suo nome, dirle quanto la ami o ridere dei suoi scherzi, ora che non puoi più fare nulla, il silenzio non ti pesa nemmeno. Non ti pesa, esattamente come non pesa il coltello che ti affonda nei polsi soffici. Il sangue, scarlatto come i tuoi splendidi capelli, comincia a scorrere sui tulipani, anch’essi rossi, e una strana sonnolenza si impossessa del tuo corpo accasciato sulla tomba, nel silenzioso cimitero. Non c’è nessuno, e tu sei grata di ciò. Vi meritate un ultimo momento di intimità, in mezzo al disastro, a un tripudio di amore, morte e rosso, il profumo acre del sangue che si mischia a quello dei fiori e che ti da alla testa come una droga. Tieni la testa poggiata sulla lapide, come a riposarle in grembo, e aspetti con pazienza che i tuoi polsi tagliati ti strappino a quell’inferno in terra e ti riportino tra le braccia della ragazza che ami. Sorridi, tra le lacrime che ti annebbiano la vista, mentre le ultime immagini di Asel ti danzano davanti agli occhi, insieme a scatti dell’Ala-Too, di Bishkek, dell’Osh bazaar. Sulle tue labbra fredde, un solo nome. Quell’ “Asel” che non sei riuscita a pronunciare ancora incastrato nella tua bella bocca di rosa, un suono dolce che per sempre risuonerà in quei lidi gelidi, impregnati dal sangue delle due giovani ragazzine amanti.
Sorridi Nelya, buffa Nelya, la tua Asel ti sta aspettando a braccia aperte.
Vola Nelya, dolce Nelya, vola lontano dalle montagne kirghize.
Addio, Nelya, bella Nelya, mandale un ultimo bacio prima di scomparire, saluta la tua splendida Asel, saluta la città che ha custodito il vostro amore, saluta i monti che vi hanno vegliato da lontano.
Nelya e Asel. Asel e Nelya. I vostri nomi hanno sempre suonato così bene insieme.

Bishek non era mai stata così fredda come in quel lontano 4 maggio 1990.

  
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