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Autore: WYWH    16/08/2018    3 recensioni
"What If" sull'universo di Furisode, è passato un anno dagli avvenimenti di Kintsugi.
E se Genzo, infortunato, non fosse andato in Giappone ma fosse rimasto a Monaco? In quale forma potrebbe giungere a lui l'amore? Che tipo di amore potrebbe riuscire a scalfire la sua dura corazza? A volte, forse, non è necessario un amore romantico...
"Non può avere i miei occhi, non può avere il mio sorriso, ma ha tutto il mio cuore." [anonimo]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Oriente & Occidente'
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Epilogo: Kleine Schritte

 

I primi giorni in casa furono...beh, l’unico aggettivo che potrebbe descriverli al meglio è “strani”: non credo piaccia a nessuno sentirsi a disagio o in imbarazzo di fronte ad altre persone, specialmente se si tratta dei proprio figli. Ho sempre creduto che un genitore dovesse dimostrare sicurezza in ogni situazione dove si trovasse coinvolto il proprio figlio.

Questa era la sensazione che mi avevano sempre dato i miei genitori, assieme al loro affetto e la loro onestà.

Personalmente ho sempre cercato di evitare di mostrare il mio imbarazzo a chiunque: l’ho sempre vista come una forma di debolezza, un modo per gli altri di vedere la mia persona più segreta, ed essendo un noto stronzo la cosa non mi faceva per niente impazzire.

Preferisco che gli altri mi vedano come “il cattivo” piuttosto che mi conoscano nell’intimo e, magari, sfruttino le mie debolezze per i loro scopi. Sì, sono un uomo profondamente diffidente.

Ma come potevo esserlo nei confronti di una bambina di dieci anni con un difficile passato alle spalle e che aveva vissuto in un orfanotrofio per la maggior parte della sua vita?

Era la domanda che mi ponevo ogni volta che sentivo l’istinto di irrigidirmi, allontanarmi o fermare Andrea in situazioni a me estranee, come ad esempio la possibilità di aiutarla a farsi il bagno, in particolare ad asciugarsi i capelli.

Sapevo che era una bambina indipendente, e fin da quando entrò in casa la prima volta cercò di mostrarmi che se la cavava da sola: si sistemò da sola le sue cose nella sua nuova camera, da sola si mise a tavola a mangiare, da sola si preparò l’acqua per il bagno. Isolde, in tutto questo, era stata una silenziosa ombra, per niente invadente ma pronta se la piccola avesse avuto bisogno di qualcosa.

Io le lasciai fare, sentendomi molto impacciato e preferendo nascondermi in salotto come un animale selvatico nella sua tana; peccato che la domestica apparve all’improvviso alle mie spalle, tra le braccia un accappatoio color carta da zucchero. Era la prima volta che vedevo quel colore in casa e mi accorsi, guardandolo meglio, che aveva anche delle farfalle gialle stampate.

-Junge Meister, potrebbe portare questo ad Andrea? Credo le farebbe piacere se fosse suo padre ad aiutarla ad asciugarsi i capelli. Mi raccomando le asciughi e pettini bene i capelli, che temo possa raffreddarsi.-

Le avrebbe fatto piacere se l’avesse aiutata suo padre.

Pensai che, effettivamente, fosse una cosa normale per i padri aiutare le loro figlie, pertanto presi l’accappatoio e salii al bagno, bussandole alla porta.

-Andrea, sono io. Posso entrare?-

-...prego.-

Mi rispose con voce timida ed entrai. sentendomi investire dal vapore caldo che sapeva di pesca; lei era immersa fino al naso nell’acqua e teneva lo sguardo basso, chiaramente imbarazzata, l’acqua era piena di schiuma bianca e sbucavano a malapena le ginocchia della bambina.

Il silenzio era asfissiante, come il calore nella stanza e sentii, chiaramente, salirmi quella fastidiosa sensazione di disagio; presi un respiro profondo provando ad allontanarla, avvicinandomi e sedendomi al bordo vasca, sistemando l’accappatoio sulle gambe.

-Ti sei lavata per bene?-

Lei annuì con il naso che entrava ed usciva dall’acqua, per poi immergere per un momento la testa e tirarla su subito dopo, togliendosi l’acqua dagli occhi con le mani.

-Ti lavavi da sola all’orfanotrofio?-

-Si, anche se la signora Abigail ci insaponava di nuovo i capelli: diceva sempre che eravamo stati troppo veloci a lavarci.-

-Ed era vero?-

-Non lo so.-

-Ma ti faceva piacere che la signora Abigail ti insaponasse la testa?-

La vidi immergere di nuovo la testa ma questa volta si limitò ad affondare il naso sotto il pelo dell’acqua, per poi annuire timida.

L’ultima volta che avevo insaponato i capelli di qualcuno era stato a mia sorella Yasu quando avevamo sei anni e facevamo per l’ultima volta il bagno insieme; presi un profondo respiro e posai l'accappatoio da una parte, cercando con lo sguardo lo shampoo e prendendone un po’ sulle mani, una zaffata dolce di pesca mi colpì in faccia.

-Vieni qui.-

Lei si avvicinò e si mise seduta dandomi la schiena, ora che potevo vedere bene i capelli erano praticamente neri e le arrivavano quasi alle spalle; le chiesi almeno due volte se le facevo male mentre le mie dita si muovevano sulla sua testa, strofinando, e in entrambi i casi lei scosse la testa.

Non ci parlavamo, ma l’imbarazzo iniziale si stemperò nell’aria calda del bagno, dove si diffondeva il profumo del sapone; quando fui abbastanza soddisfatto del mio operato usai il soffione della doccia per sciacquarla, assicurandomi di togliere ogni traccia di sapone.

-Bene, direi che ci siamo. Forza che si esce.-

Recuperai l’accappatoio e la vidi alzarsi nella vasca continuando a darmi la schiena, vedere la pelle chiara della schiena mi fece tornare in mente il livido che le avevo scoperto appena due-tre settimane prima; vedere ora la pelle perfettamente pulita mi diede sollievo mentre le porgevo l’indumento.

-Mettiti questo.-

Guardò l’accappatoio sorpresa, per poi infilarlo velocemente e stringerlo, guardandosi le maniche con le farfalle bene in vista; aveva uno sguardo meravigliato, come se non si aspettasse di ricevere un accappatoio per coprirsi.

-Ti piace? Lo ha scelto Isolde.-

Si voltò verso di me annuendo, stava trattenendo il sorriso e la cosa mi rallegrò: oramai avevo imparato che Andrea tratteneva i sorrisi quando era particolarmente felice.

La presi sotto le ascelle e la sollevai dalla vasca, posandola sul tappetino per poi prendere un asciugamano e iniziare ad asciugarle la testa.

-Ah, posso fare da sola.-

-Isolde si è raccomandata che ti asciugassi e pettinassi per bene, come un buon papà.-

-Un papà fa questo?-

Alzò la testolina e mi guardò sorpresa.

Le annuii, facendole scendere lo sguardo con una leggera pressione delle mani e tornando ad asciugarle la testa, quella sua domanda mi aveva leggermente inquietato: se chiedeva una cosa del genere forse non era stata una cosa solita nella sua vecchia dimora, o comunque era una cosa di cui si occupava sua nonna.

Ricordo che prima di entrare in aula di tribunale, al primo incontro con il Pretore, avevo chiesto alla Direttrice dell’orfanotrofio se il padre di Andrea, nonostante quello che era successo, avesse voluto un po’ di bene alla figlia; la donna mi guardò chiaramente stupita e mi domandò perché ne fossi interessato.

“-Vorrei sapere...se un giorno verrà messo in discussione il mio affetto per lei per qualsiasi motivo...vorrei solo avere la certezza di averle dimostrato che anche se non ha il mio sangue, ha di certo il mio cuore.-”

Allontanai quel ricordo come l’asciugamano dalla massa confusa di capelli di Andrea, prendendo invece una spazzola e cercando, con la delicatezza che io potevo avere, di pettinarla, facendola sedere sulle mie ginocchia mentre io mi ero oramai accomodato sul bordo della vasca; fortunatamente solo una volta fui sicuro di averle tirato troppo i capelli, ma alla fine riuscii nell’intento di districarle i nodi e le presi il phon, cercando di far soffiare aria calda ma non bollente, come io ero solito fare con i miei capelli.

Il silenzio accompagnava i miei gesti ma sentivo che l’imbarazzo iniziale di Andrea stava pian piano passando, avevo visto le sue rigide spalle sciogliersi e mentre passavo il getto d’aria calda, e la mia mano scivolava sui suoi capelli, mi accorsi che si era rilassata, tanto che provai a sporgermi un pochino per guardarla: le vidi un sorriso che le sollevava le guance arrossate. Mi sentii contagiare da quel sorriso e continuai ad asciugarle i capelli.

Ammetto che mi piacque molto e fu una cosa che continuai a portare avanti fino a quando lei me lo permise (l’ultima volta che mi ha chiesto di asciugarle i capelli è stato l’altro ieri, quando aveva bisogno di essere consolata per una partita andata male).

Tornando invece a quel momento, quando ebbi la certezza che i suoi capelli erano asciutti spensi il phon, facendola girare verso di me per controllare bene.

-Si, mi sembri asciutta. Vai in camera a cambiarti.-

Obbeddii con un cenno del capo mentre io mi alzavo dal bordo della vasca, sentendo l’effetto della ceramica sulle mie natiche doloranti, riponendo il phon e stappando la vasca per far scendere l’acqua.

-E’ andato tutto bene?-

Mi girai e mi trovai Isolde che sporgeva la testa nel bagno. Non potei fare a meno di mettere le mani sui fianchi e squadrarla.

-Si, ma tu lo sapevi già, giusto?-

-Forse.-

Scossi la testa mentre la vecchia domestica gongolava, facendomi uscire dal bagno mentre continuava a parlarmi.

-Ha chiamato la padrona: mi ha detto di riferirle che lei e Andrea siete invitati per le prossime domeniche da loro a pranzo.-

-Immagino che muoia dalla voglia di vederla, forse però è ancora presto per portarla...-

-Lei gliene parli, magari se non per questa potete andare la prossima settimana. Di sicuro, per una cosa del genere, non c’è fretta: d’altro canto lei è appena arrivata, e non credo abbia già voglia di andarsene.-

-Si, hai ragione Isolde.-

La domestica mi sorrise affettuosa, permettendosi di farmi un buffetto sulla guancia: lei è stata una seconda madre per me e i miei fratelli, pertanto il nostro era un rapporto decisamente più profondo di una semplice domestica con il padroncino.

-Forza, vada a darle la buonanotte. Mi raccomando non le spenga lei la luce: aspetti che si addormenti, così si sentirà tranquilla.-

Annuii e, prendendo un respiro, mi avviai verso la camera da letto, trovando Andrea già sotto le lenzuola che stava guardando il soffitto con aria assente.

-Tutto bene? E’ comodo il letto?-

La vidi annuire mentre mi avvicinavo, mettendomi sul bordo del letto; la vidi nuovamente nascondere la faccia, stavolta sotto il lenzuolo, con gli occhi che guardavano un punto nel vuoto per l’imbarazzo.

-Posso darti la buonanotte?-

La sua testolina annuì nuovamente e, d’istinto, le accarezzai i capelli, anche per controllare che avessi fatto un buon lavoro in bagno.

Ora si trattava di...darle un bacio sulla fronte? Abbracciarla? Cosa avrei dovuto fare in quel caso? Mi sentii nuovamente irrigidirmi, perciò cercai di fare quello che ero solito fare: ascoltai l’istinto.

-Ehi soldatino, sei stata bravissima oggi alla partita.-

La sua squadra aveva vinto con un gol di scarto ma era stata una lotta dura, chiaramente una under-14 che si allenava regolarmente all’interno di una grossa società calcistica aveva più vantaggi di una squadra fatta e allenata in poche settimane di Summer Camp, ma nonostante il gol Andrea si era dimostrata all’altezza delle aspettative, anzi: gli avversari avevano dovuto abbassare la cresta quando era riuscita a parare due tiri, uno dietro l’altro, proprio pochi minuti dopo il primo gol.

-Davvero?-

-Certo! Quelle due parate una dietro l’altra hanno lasciato tutti a bocca aperta, hai visto le loro facce?-

La vidi trattenere un sorriso e d’istinto sorrisi a mia volta, accarezzandole i capelli asciutti mentre lei prendeva la parola.

-Domani posso venire a fare il tifo per Ralphar e gli altri?-

-Ma certo, anzi: devi venire, è tuo compito come loro compagna di squadra e, soprattutto, come loro amica.-

Annuì decisa mentre vedevo il lenzuolo scendere ulteriormente e le sue mani sbucavano; le accarezzai nuovamente il capo e poi decisi di riprendere la parola.

-Isolde mi ha detto che ha chiamato mia madre, tua nonna: ha detto che le piacerebbe molto conoscerti e ci ha invitato ad andare a pranzo da lei.-

-Quando?-

-Una di queste domeniche, dipende anche da quando ti va.-

-Io devo decidere?-

-Certo: se tu non te la senti ancora di conoscere i tuoi nuovi nonni loro possono aspettare. Nessuno vuole metterti fretta tesoro.-

Mi guardò sorpresa, poi abbassò di nuovo lo sguardo, pensandoci prima di parlare, stavolta con voce più bassa e timida.

-Vorrei...conoscerli dopo il torneo.-

Mi venne da ridere, fossi stato nei suoi panni avrei detto la stessa identica cosa: prima le partite, poi i nonni.

-Va benissimo Andrea. Dai, ora mettiti a dormire, che domani ci svegliamo presto.-

Le accarezzai di nuovo il capo e mi sporsi, dandole un bacio sui capelli dal forte profumo di pesca; poi mi alzai e mi avviai fuori dalla stanza.

-P-Papà!-

Mi voltai sorpreso, la vidi che si era alzata facendosi leva con il gomito e mi guardava con aria preoccupata.

-P-Per favore...puoi...puoi tenermi la mano? Solo fino a che non mi addormento. Per favore…-

Me lo disse con la voce che si faceva sempre più bassa per l’imbarazzo e gli occhi scendevano sul letto.

-Certo.-

Fortunatamente Isolde aveva messo una poltroncina nella stanza, così potei sedermi accanto a lei; ancora adesso sono convinto che Isolde abbia qualche sorta di potere di divinazione, non poteva essere un caso quella poltroncina dove potevo starci comodo anch’io…

Ad ogni modo le porsi la mia mano, e lei timidamente la prese tra le sue dita, guardandomi con quell’aria un po’ imbarazzata e un po’ persa che mi faceva sempre sorridere; le accarezzai i capelli con la mano libera.

-Io resto qui, tranquilla Andrea.-

Un timido sorriso fece capolino sulle labbra e la piccola annuì, mettendosi più comoda nel letto.

-...buonanotte...papà…-

Fu un fortissimo calore al petto e le sorrisi, stringendo leggermente la sua mano.

-Buonanotte tesoro.-

La vidi chiudere gli occhi e la sua mano stringere leggermente la presa; lentamente, con il passare dei minuti, sentii chiaramente la presa farsi sempre meno forte, fino a cedere e lasciare andare la mia mano, il respiro si fece più calmo e ritmico e l’espressione del volto si rilassò in maniera più dolce e serena dell’ultima volta che l’avevo vista addormentarsi, quando era scoppiata in lacrime dopo l’incidente all’orfanotrofio.

Quella non fu l’unica volta che le tenni la mano: la prima volta che si ammalò, per esempio, mi chiese di nuovo di tenerle la mano, o quando aveva qualche incubo e si svegliava nel cuore della notte turbata. Io potevo sentirla perché avevamo messo uno di quei walkie-talkie da neonato, era stata la Direttrice e lo psicologo infantile a consigliarlo.

Ammetto che, le prime notti che era a casa, mi addormentavo solo quando sentivo chiaramente il respiro di Andrea sereno mentre dormiva, e mi svegliavo all’istante quando la sentivo agitarsi troppo, raggiungendola in camera.

Il mattino dopo la prima notte nella nuova casa, la bambina mi raggiunse a colazione con un’aria così confusa e arruffata che mi fece un’enorme tenerezza, tanto che la presi in braccio e la feci sedere accanto a me mentre Isolde le preparava latte caldo e le briosche; ancora adesso si presenta con quell’aria arruffata, ma l’aria persa ha lasciato posto ad un sorriso sereno.

Fu nella seconda domenica da quando arrivò a casa, quando oramai il Summer Camp si era concluso, che decise di conoscere i suoi nonni; ovviamente mia madre fu su di giri quando la avvisai e, in quattro e quattr’otto, era riuscita a richiamare anche i miei fratelli, perfino Yasu che, stavolta da sola, si fece la traversata in aereo per assistere al momento.

Ma se mia madre era emozionatissima, Andrea era molto nervosa: le avevo detto che poteva mettersi tranquillamente la sua salopette di Jeans, che le stava bene, ma lei insistette per mettersi una gonna anche se le creava sempre tanta insicurezza, così assieme ad Isolde andammo a comprargli un completino.

Ovviamente per la domestica fu un ottimo pretesto per mostrarmi che abiti comprarle e quale taglia.

-Sempre una taglia più grande, Junge Meister, specie per le scarpe: i bambini crescono in fretta. E al massimo il vestito si aggiusta con un po’ di filo.-

Così la mia piccola portiera, quasi sempre in tuta da ginnastica e berretto sulla testa, mi si presentò la domenica mattina con un vestito color cioccolato e bianco perla con la gonna, le calze bianche e le ballerine scure, una giacchina abbinata e un cerchietto bianco a fermarle i capelli.

Era deliziosa. E molto preoccupata.

-Sei bellissima. Pronta ad andare?-

Annuì ma avevo le sopracciglia aggrottate; mi inginocchiai di fronte a lei, prendendole le mani. Erano ghiacciate.

-Te la senti? Possiamo anche restare a casa.-

Scosse il capo. Io continuai a stringerle le mani.

-Non ti succederà nulla. Io sarò accanto a te tutto il tempo e appena me lo chiedi prendiamo la macchina e torniamo a casa, ok?-

Mi guardò con le guance piene di rosso imbarazzo e gli occhi lucidi, e mi buttò le braccia al collo, stringendo forte. Ricambiai l’abbraccio e la sentii sussurrare.

-Ho paura papà.-

-Lo so. Ti prometto che andrà tutto bene.-

-Gli piacerò?-

Annuii, accarezzandole i capelli.

-Senza alcun dubbio.-

Lasciò l’abbraccio e mi guardò con aria tremendamente decisa.

-Anche se gioco a calcio?-

Le feci un buffetto sul mento.

-Non si aspettano niente di diverso dalla figlia dell’SGGK.-

Ancora si imbarazzava all’idea di essere “mia figlia”, ma si vedeva chiaramente che le faceva un enorme piacere, pertanto mi alzai in piedi e mi sistemai la camicia e la cravatta, prendendo la mia giaccia.

-Forza, andiamo soldatino.-

Le porsi la mia mano e lei la prese decisa mentre io mi rivolgevo ad Isolde in cucina.

-Noi andiamo.-

-Divertitevi.-

Quel giorno decisi di guidare io e portai la macchina oltre i cancelli esterni, fino all’interno del giardino che circondava la casa; ad accogliermi come al solito l’abbaiare di Getupft, l’alano arlecchino dei miei genitori.

-Ti piacciono i cani, Andrea?-

La vidi annuire e le indicai fuori dal finestrino: Getupft stava scodinzolando con la sua solita aria festosa, in bocca aveva portato la sua pallina da tennis.

La bambina spalancò gli occhi dalla sorpresa.

-Che grande!-

-E’ l’alano dei tuoi nonni. Non è cattivo ma aspetta a scendere, ok?-

Lei annuì e uscii dalla macchina, ignorando i richiami del cane fino a quando non lo vidi mettersi seduto in attesa; a quel punto aprii la porta.

-Adesso vorrà annusarti. Niente movimenti bruschi, ok?-

Annuì di nuovo e scese piano dalla macchina. Ovviamente, alla vista del piccolo essere umano, Getupft rimase colpito, tanto che girò da un lato la testa, sporgendo poi il muso per fiutare l’odore; guidando le mani di Andrea, gli feci accarezzare la testa e il collo dell’alano.

Magicamente i due diventarono immediatamente migliori amici, tanto che fu Andrea a lanciargli la palla e fu sempre lei a comandargli di sedersi prima di lanciargliela di nuovo; tecnicamente Getupft era un cane da guardia, ma in quel momento sembrava solo un cucciolone con una nuova amica con cui giocare.

Dovetti separarli a malincuore e portare Andrea dentro casa, man mano che salivamo le scale verso la sala da pranzo la sentii nascondersi sempre di più dietro la mia schiena, tanto che non potei allontanarmi da lei quando mia madre ci accolse.

-Ben arrivati! Vi abbiamo visto intrattenervi con Getupft.-

-Si, sembra che non sia un granché come cane da guardia.-

-Lo sai che quando riconosce odori familiari diventa un cucciolone.-

Mia madre mi abbracciò e poi fece qualche passo indietro, rivolgendo uno sguardo alla signorina che sporgeva da dietro le mie gambe.

-Piacere, io sono Kimiko.-

-...piacere...Andrea.-

-Andrea, che bel nome. Ti piace Getupft?-

Mia figlia annuì, continuando però a tenermi per mano mentre mia madre si inginocchiava verso di lei.

-Se vuoi, dopo pranzo, puoi tornare a giocare con lui. A lui piace tanto la compagnia.-

-...grazie.-

Andrea fece uno dei suoi soliti sorrisi timidi e poi si accorse di una faccia familiare, dato che il sorriso le si aprì un pochino: Yasu era poco dietro a mia madre, con le braccia aperte.

-Guarda un po’ chi c’è!-

-Z...zia Yasu.-

-Posso avere un abbraccio?-

Andrea si avvicinò timida e mia sorella praticamente la stritolò tra le sue braccia.

-Sai che sei bellissima? Il tuo vestito è proprio carino! Te lo ha preso Isolde?-

-Assieme a papà.-

Percepii chiaramente lo sguardo di tutti spostarsi da Andrea a me e mi sentii incredibilmente a disagio, facendomi forza con l’istinto paterno che, pian piano, stava uscendo fuori dal mio essere orso.

-Voleva vestirsi bene per l’occasione.-

-Hai fatto proprio bene, sei bellissima.-

Con anche l’aiuto di Yasu, Andrea conobbe il resto della sua nuova famiglia: nonno Hiroshi, zio Ichirou che, con mia grande sorpresa, l’accolse con un sorriso affettuoso e con un “te l’avevo detto” di mia sorella bisbigliatomi all’orecchio, e infine gli zii Akio e Amelia.

Ovviamente tutti volevano fare domande alla piccola, ma avvertiti da me e da nostra madre sul suo “stato momentaneo” cercarono di spostare la conversazione su altro, permettendole di respirare e di sentirsi pian piano a suo agio, fino a che si sentì abbastanza coraggiosa da prendere la parola a tavola se le veniva fatta qualche domanda.

-Com’è andato il torneo?-

-La mia squadra è arrivata seconda.-

-Wow, che bravi!-

Mi permisi di farle una carezza dietro la testa.

-E’ stata bravissima fin dalla prima partita, ha difeso egregiamente la porta.-

-Tale padre tale figlia insomma.-

Fu mio padre a dire quella frase e Andrea lo guardò sorpresa, rivolgendomi poi il suo sguardo, come al solito un po’ perso. Io ricambiai con un sorriso, rispondendo poi a quell’affermazione.

-Proprio così.-

Il pranzo continuò serenamente e, dopo il dolce, alla fine Andrea mi chiese di poter tornare a giocare con il cane.

-Va pure tesoro, ti chiamo quando andiamo a casa, ok?-

Lei annuì e scese dalla tavola, allontanandosi con calma ma poi correndo fuori in giardino, dove Getupft non aspettava altro che far finta di inseguirla, potevo tranquillamente vederli dalle grandi vetrate della sala.

-Mi sembra che stia andando bene.-

Mia madre mi sorrise con aria contenta mentre Amelia prendeva la parola.

-E’ una bambina buonissima.-

-Già, ma aspetta Amelia: tra qualche mese la vedremo girare perennemente con il berretto in testa come il padre e presentarsi a pranzo da mamma con la tuta.-

-Ah no eh! Non pensarci nemmeno Genzo!-

-Ma che c’entro io, è tua figlia che si è messa in testa questa idea!-

Tra le risate generali mio padre cambiò direzione del discorso.

-Piuttosto, tra quanto hai l’ispezione dell’assistente sociale?-

-A fine Settembre, quando sarà iniziata la scuola.-

-Alla fine sei riuscito ad iscriverla all’istituto?-

-Si non preoccuparti mamma, abbiamo già i libri e i quaderno nuovi.-

-Cos’ha scelto di fare?-

-Un percorso di lingue: pare che sentire Ken parlare giapponese l’abbia stimolata.-

Yasu quasi batté il pugno sul tavolo per l’entusiasmo.

-Ah se la caverà alla grande! E’ molto sveglia ed impara in fretta.-

-L’importante è che le piaccia, i bambini come lei meritano un futuro sereno.-

-Beh, adesso ha papà Genzo a badare a lei, no?-

Akio fece quella domanda porgendomi il suo bicchiere di vino e io lo colpii leggermente con il mio sorridendogli. A quel punto Ichirou, che l’aveva seguita in giardino con lo sguardo per tutto il tempo, si lasciò andare ad un commento.

-Ha tutti noi. Sarà felice qui.-

-Quindi sarai un buon zio?-

Yasu si sporse a vedere nostro fratello, che si sistemò gli occhiali sul naso mentre distoglieva lo sguardo dalla finestra.

-Certo. Lo sarai anche tu, no?-

-Assolutamente, non vedo l’ora di viziarla come solo una zia sa fare!-

-Meno male che vi incrocerete poche volte nel corso dell’anno.-

-Che fosse la scusa ideale per vederti più spesso!-

-Guarda che non è una passeggiata venire qui mamma…-

E il discorso si spostò sui soldi, la situazione economica di tutti e il matrimonio imminente di mia sorella mentre io, in silenzio, continuavo a guardare mia figlia correre felice dietro quel grosso alano arlecchino, pensando a come tre settimane avessero cambiato completamente la mia vita: ero partito con uno strappo muscolare e il fastidio di dover far da spalla ad un Summer Camp e mi ero ritrovato ad essere padre di una bambina di dieci anni.

-Genzo.-

Mi girai verso mia madre, sia lei che mio padre mi stavano guardando con aria attenta.

-Sei felice della tua scelta?-

-Come mai questa domanda? Non sembro felice?-

-Al contrario: non ti abbiamo mai visto con un’espressione così attenta e felice verso qualcuno.-

Mi sentii molto in imbarazzo per quelle parole, ma mia madre aveva ancora qualcosa da dire, tanto che posò una sua mano sopra la mia.

-E questo ci rende molto fieri e felici di te.-

Sorrisi e le strinsi la mano, ricambiando l’affetto.

A quel punto eravamo pronti a tornare a casa, pertanto recuperai la mia giacca e quella di Andrea, salutando tutti e promettendo, ancora una volta, a Yasu di arrivare qualche giorno prima in Giappone che voleva portare sua nipote a provare qualche kimono e chissà, magari a comprarne uno, per la gioia malcelata di mia madre.

Scesi le scale con la mia famiglia che ancora chiacchierava alle mie spalle e aprii la porta sul giardino, riconoscendo una macchia vaniglia e cioccolato che stava lanciando una palla lontano, con un gigantesco alano che andava a recuperarla.

-Andrea.-

Mia figlia si voltò a guardarmi e mi raggiunse, aveva l’aria scomposta ma gli occhi allegri.

-Andiamo?-

-Si. ti sei divertita con Getupft?-

Lei annuì.

-Possiamo tornare a trovarlo?-

Approfittai della sua domanda per prenderla in braccio.

-Certamente, farà di sicuro molto piacere alla nonna. Ti piacciono i tuoi nuovi nonni?-

Annuì di nuovo. Io la girai verso le finestre che davano sulla sala da pranzo, indicandogliele con un dito.

-E tu piaci a loro. Guarda.-

La mia famiglia la salutò dalla finestra; lei, all’inizio un po’ imbarazzata, ricambiò contenta, lo si vedeva dagli occhi lucidi, tanto che si morse il labbro inferiore, com’era solita fare per trattenere un singhiozzo.

-Ehi tesoro, che succede? Perché piangi?-

Si girò a guardarmi con una lacrima che scendeva dalla guancia.

-Papà, resterò con voi per sempre?-

Le sorrisi, posandole la mia fronte sulla sua.

-Per sempre: ora sei Andrea Hotaru Wakabayashi. E sei mia figlia. Nessuno ti porterà via. Promesso.-

Le sue braccia mi avvolsero in un abbraccio e io la strinsi forte, avviandomi verso la macchina.

-...ti voglio bene papà.-

-E io voglio bene a te, figlia mia.-

 

**

 

E si conclude qui questa storia.

So che avreste voluto vedere altre scene di intimità familiare tra Andrea e Genzo, ma considerandoli al pari di persone vere preferisco lasciare loro privacy e godere di questi ultimi momenti.

Ringrazio tantissimo Fafanella e Innominetuo che hanno seguito assiduamente questo percorso, sono davvero contenta che vi sia piaciuto così tanto.

Ora mi dedicherò a portare avanti e concludere “Kami e no negai” per poi tornare nuovamente con questo filone What If e concludere con l’ultimo personaggio coinvolto in questa serie: Yayoi.

Vi ringrazio ancora una volta, al prossimo aggiornamento!

 
   
 
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