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Autore: BakemonoMori    16/08/2018    0 recensioni
Alessandra Mancini, Alex, una giovane ragazza di 14 anni, viene cacciata di casa e rinchiusa nel luogo che diverrà il suo incubo, la comunità chiamata "la Quercia".
Lì conoscerà persone di ogni sorta, vivendo esperienze e scoprendo segreti che mai avrebbe creduto di conoscere.
Genere: Avventura, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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02 Febbraio, Giovedì

Mi svegliai di soprassalto in seguito alla brutta notte passata. Tutto era nella norma, il sole già riempiva la
stanza con i suoi raggi e Benedetta stava sistemando.
«Muoviti ad alzarti, sei in ritardo, devi pulire» disse con il suo solito tono inespressivo, sia nella voce che nel
volto «E’ pure il giorno del bucato!»

Mi sollevai lentamente dal letto, e barcollando stordita lo rifeci lentamente, per poi buttarmici ancora una
volta sopra, dopodiché chiusi gli occhi.

La mia parte di stanza era in ordine, avendo traslocato il giorno precedente, perciò non mi preoccupai ad
assopirmi nuovamente.
«Ancora dormi?! Muoviti, è tardi!»

Ma tardi per cosa, continuavo a chiedermi, non è che ci fossero molte attività lì dentro.
«Avanti! Prima che si arrabbi qualcuno!»

All’inizio non ci feci caso, ma presto mi accorsi che quella non era una voce nota, perciò balzai sul letto e mi
svegliai di soprassalto.
«Fortuna che ho dormito vestita.» pensai allora, sedendomi sul letto.

Ancora una volta, il nome del mio interlocutore mi parve sconosciuto, ma ricordavo con particolare minuzia
il suo aspetto, dato che qualche suo dettaglio mi era rimasto impresso nella mente.

Era apparentemente più giovane di me, e ciò faceva di lui il più piccolo della comunità. Aveva dei selvaggi
capelli castani chiari con alcuni riflessi biondi o rosso fuoco, il viso tondo e leggermente paffuto, gli occhi
marroni che parevano brillare di luce propria, un minuto naso a patata e labbra fine, che davano su un
enorme sorriso sdentato – probabilmente in seguito alla caduta dell’ultimo dente da latte –.

La sua pelle presentava molte irregolarità, era scura, olivastra come la mia, ma con delle zone del viso più
chiare.

Saltellando qua e là per la stanza insistette perché io mi alzassi, e così feci. Mi afferrò per l’orlo della
maglietta con una delle sue mani rovinate, cercando di trascinarmi fuori ma senza riuscirci. Tuttavia lo
seguii incuriosita riguardo ciò che voleva mostrarmi.

Camminando lungo i corridoi, erano tutti svegli – o almeno, erano tutti in piedi – e non sapevo che ore
fossero, ma sicuramente era troppo presto per pranzo, eppure eravamo diretti tutti nella stessa direzione:
la cucina.
«Il dolce!!» urlò, prima ancora di varcare la soglia.
«La camera?» rispose una voce femminile.
«A posto!»
«Hai svegliato sette?» che immaginai essere io.. ma alle presentazioni.. non eravamo solo in sei?
«Si! E’ con me!» parve diventare molto orgoglioso di questa affermazione, quasi come se avesse compiuto
un’impresa eroica.

E così, tra chiacchiere e noiose ramanzine sullo svegliarsi presto, mi spedirono a spazzare e passare lo
straccio in camera prima di poter mangiare, ma una volta tornata, il dolce era finito.

Peccato, non ero neppure riuscita a vederlo.

Girai sui tacchi e mi diressi nuovamente in camera, ma appena mi voltai, vidi il bimbo di prima, mentre mi
bloccava volontariamente il passo, masticando – quasi sicuramente il dolce –. Credo di averlo guardato in
modo estremamente confuso, cercando di ricordare il suo nome ignoto, e di capire cosa stesse facendo, ma
lui ricambiò lo sguardo – probabilmente cercando di capire a cosa pensassi –, ma nessuno dei due disse una
parola per una lunga manciata di secondi. Fino a che lui non prese la parola.
«Tieni! Te l’ho tenuto da parte!» allungò, stretto tra le mani, una fetta del dolce, e allargando quanto
possibile quel suo storto sorriso.
«Ehm… grazie…» balbettai cercando con tutte le mie forze di ricordare il suo nome, e fallendo miseramente.
«Enrico!» disse, mostrando un briciolo di intelligenza, più di quanto avrei creduto.

Sorrisi e mangiai. Era soffice e buono, dovetti ringraziare Enrico almeno un altro paio di volte, facendomi
rispondere ogni volta con il suo sorriso, vasto come l’orizzonte.

Chiacchierammo a lungo, ma di nulla di serio. Mi disse che a breve sarebbe tornata una certa Irene – dato
che, ad amplificare la mia pessima memoria, lui tendeva a dire nomi, ignorando se l’interlocutore lo
conoscesse o meno – e che non ne vedeva l’ora, che era una persona fantastica, simpatica, che gli
manava…

Andò avanti dieci minuti buoni parlandone… ma credo di essermi distratta, dato che, finito il suo soliloquio,
già non ricordavo assolutamente nulla, a parte il nome.

Banale pranzo, banale pomeriggio – passato in camera a fissare il soffitto o a dormire –, banale cena e
banale serata.

Ci mandarono a letto, misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte, ma avendo dormito tutto il pomeriggio
non riuscii a prender sonno. Così pensai, pensai e pensai, la mia mente vagò e cambiò un argomento dopo
l’altro: «Chissà se domani ci sarà di nuovo il dolce? Non credo, dalle reazioni pareva un evento più unico che
raro.»
«E se domani piovesse? Sarebbe bello, il caldo mi stressa.»
«Vorrei una bella carbonara, e ora che ci penso, ho pure fame.»
«Chissà dov’è Federico… non l’ho più visto ne avuto notizie…»

E fu su quell’ultimo pensiero che mi soffermai – anche se, certo che pure la carbonara era un pensiero
invitante – molte domande mi sorsero, ma continuando a ragionarci, mi addormentai.

   
 
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