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Autore: Dira_    17/08/2018    2 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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I want the flame without the burning
(Deep Water, American Authors)



 
Harry Potter aveva partecipato a tanti di quei blitz che ormai non riusciva più a contarne il numero; negli anni la frequenza si era ridotta, ma l’adrenalina rimaneva quella di quando era ragazzo.
Come identico rimaneva l’instante il cui veniva dato il segnale alla squadra di sfondamento; identico anche il momento in cui le sfere di polvere Buiopesto venivano lanciate liberando nell’aria una nuvola scura.
Ed è quello che accadde al grido di incitamento di Ron; la squadra di sfondamento fece saltare con un Confringo il portellone che separava i due magazzini; quello in cui si erano nascosti e quello in cui era stato allestito il laboratorio.
La seconda linea, quella della squadra di Savage, lanciò le Buiopesto che si infransero con precisione collaudata in più punti, liberando la polvere nell’intero ambiente.
Protezioni su!” Urlò Ron e Harry, come gli altri, fu lesto ad agganciare la maschera di protezione che avrebbe permesso ai suoi polmoni di evitare una crisi respiratoria in piena regola; avevano infatti appena scaricato diversi chili di polvere che, dai rantoli dei Mercemaghi più vicini all’ingresso, aveva già fatto parte del proprio lavoro.
Furono poi avvolti in una nebbia senza uscita e Harry vide sparire le proprie mani come la bacchetta. A quello serviva il resto della maschera, che includeva anche una protezione per gli occhi; il congegno era stato un regalo del DALM Americano come attestato di amicizia e tutte quelle belle cose diplomatiche che, una volta tanto, erano tornate utili; mentre la parte inferiore permetteva di filtrare la maggior parte di polvere, eventuale veleno o tossine, la parte che proteggeva gli occhi era vetro temprato magicamente per poter rilevare le tracce termiche.
Nora cinque anni prima gliene aveva spedite due casse e si premurava sempre di mandare un rifornimento ad ogni nuova infornata di reclute.
 
“Attenti!”
“Alzate gli scudi!”
 
I Mercemaghi però smaltirono rapidamente l’effetto sorpresa. E non era soli. Da quel che aveva detto Albus con loro c’erano anche i primi pazienti del San Mungo, quegli Infetti che tanto panico avevano seminato nella Gran Bretagna magica; arrivò così la prima scarica di fatture e maledizioni che la squadra di Savage deflesse con Sortilegi Scudo potenziati. L’onda offensiva fu così potente che quasi riuscì a penetrare la loro difesa.
“Ci vedono!” Esclamò James di fianco a lui in parte soffocato dalla maschera.
“No, ma percepiscono la nostra aura magica … è forse è peggio.” Ribatté, spalla contro spalla, le schiene che aderivano alla paratia metallica: solo quella misera lastra di acciaio li separava dal laboratorio e da Luzhin.
Harry era nella terza squadra, quella di rinforzo: non era stato d’accordo fino all’ultimo ma Ron gli aveva fatto notare, con una certa brutalità ad essere onesti, che erano passati anni dall’ultimo blitz veramente fisico a cui aveva partecipato e che quindi non era un’idea brillante far parte della prima linea, quella più esposta al fuoco nemico; a malincuore gli aveva dato ragione.
Però.
Ad ogni attimo che passava, ogni urlo che sentiva, ogni scoppio di incantesimo che gli sfrecciava vicino, sempre più vicino, sentiva i muscoli tendersi, le mani bruciare e quella spinta, quella maledetta spinta verso lo sconto intensificarsi: gli era sempre sembrato di esserci nato e un po’ era così.
Dovresti guidare i tuoi uomini, Salvatore, non nasconderti dietro di loro.
“Papà?” Lo chiamò James.
“La seconda squadra dovrà mettere in sicurezza il perimetro prima la nostra squadra intervenga.” Mormorò a denti stretti; non fu sicuro di averlo ricordato al figlio o piuttosto a sé stesso.
“Sì, okay, ma … la tua bacchetta …”
“ … Cosa?” Harry abbassò lo sguardo: stava sprizzando scintille.
Quel piccolo psicopatico è di là, ed Al … sono riusciti a portarlo in salvo?
Tirò un respiro profondo cercando di calmare il battito furioso che sentiva in gola. “Una volta avrei avuto più sangue freddo.” Ammise.
James emise un suono frustrato, quasi a segnalarsi che no, non se la sarebbe bevuta come una recluta in adorazione. “Ma quando mai?”
“Ehi.”
“Papà, vuoi prendere quel bastardo di Luzhin e ti giuro che sono con te al cento per cento. Ma …” Non riusciva a vedere suo figlio in faccia, coperto dalla maschera, ma poteva indovinarne l’espressione. “… dobbiamo seguire gli ordini.”
“Non sono mai stato bravo in quello.”
“Mi sa che l’ho presa da te allora.”
 
 
“Avanzate!”

La voce di Ron, resa più potente da un Sonorus, echeggiava nell’hangar. Dagli scoppi violenti e dal rumore di scontro la squadra si sfondamento stava avanzando come previsto.
Il piccolo esercito che Luzhin aveva creato era un concentrato di energia ingovernabile, ma al momento erano resi ciechi dalla Buiopesto e tenuti a bada da sortilegi Scudo: la formazione a testuggine che aveva adottato la squadra di Ron non permetteva loro di scagliarsi con violenza cieca contro il primo obiettivo disponibile perché tutto ciò che trovavano era invece un muro di compatto.
E questo avrebbe permesso alla seconda squadra di lanciare loro Impedimenta e incantesimi di Pastoia. Poi, e solo poi, sarebbe intervenuta la terza e ultima squadra, quella di Savage a cui lui e James si erano aggregati.
“Sta funzionando!” Esclamò James rischiando un’occhiata oltre la porta. “Stanno indietreggiando!”
“Tuo zio è uno degli strateghi migliori della Gran Bretagna magica.” Convenne con un mezzo sorriso.
E pensare che voleva finire i suoi giorni come commesso ai Tiri Vispi …
Harry non aveva avuto bisogno di riflettere prima di dare il benestare a quel piano.  
 
 “Seconda Squadra, adesso!”

L’effetto della Buiopesto si stava diradando e quindi Harry poté vedere i bagliori degli incantesimi riflettersi sulle pareti di fronte a sé.
Giallo, Pastoia … celeste, Impedimenta.
Luzhin poteva essere un piccolo mago oscuro in erba, ma aveva commesso il classico errore del principiante: richiamare a sé le proprie forze per proteggersi, invece che dividerle e costringerli ad una guerriglia per tutta la nave.
 
“Terza squadra!”

Il richiamo lo strappò dalle proprie riflessioni. Era arrivato il loro momento: diede una pacca sulla spalla di James, che schizzò in piedi, lanciandosi fuori con il giovane leone che era.
“Capo!” Lo apostrofò Savage affiancandoglisi. “Se vuole guidare …”
“Lascio a te la Pluffa, Peter.” Gli sorrise. “Il mio obiettivo è Luzhin.”
“Sissignore!”
L’uomo, seguito dagli altri auror, si infilò a testa bassa in quella che ormai era poco più che una foschia grigiastra. A metà dell’enorme stanzone era chiaramente visibile la formazione di Auror e i Sortilegi Scudi che li proteggevano.
Dov’è Luzhin?
Oltre l’assemblamento di auror forse? Metà dell’hangar era ormai messo in sicurezza, vuoto ad eccezione di ciò che era stato rovesciato e distrutto nello scontro. Non era lì.
Dov’è?
Una mezza dozzina di voci pronunciarono l’Incanto di Stasi che avrebbe messo fine a quel blitz: non vi furono contro-attacchi. Gli Infetti non reagirono, molto probabilmente perché incapacitati dall’operato della seconda squadra.
Dov’è?
Harry si spazio tra i suoi uomini raggiungendo Ron al centro della testuggine. “Dov’è?” Gli domandò come un disco rotto.
Questo si voltò per guardarlo confuso. “Chi…?”
“Luzhin.”
“Lì in mezzo.” Disse con sicurezza. “Savage!” Chiamò poi. “Rapporto!”
 
Furono pochi minuti, ma pieni di tensione; la terza squadra era infatti uscita dall’area protettiva degli scudi per raggiungere gli Infetti, dato che l’incantesimo di Stasi poteva essere lanciato soltanto a corto raggio. James era con loro.
“L’area è in sicurezza!” Urlò infine la voce del decano.
Harry vide le spalle dell’amico crollare dal sollievo, anche se attese comunque qualche attimo prima di far cenno di sciogliere gli incantesimi di difesa.
Oltre a loro giacevano i corpi esanimi di una dozzina di Mercemaghi; erano legati da una rete di magia violetta, l’incantesimo di stasi che li rendeva inoffensivi come neonati.
Harry e Ron si mossero per raggiungere la squadra di Savage, che girava tra gli Infetti controllando forse con zelo un po’ eccessivo che gli incanti fossero ben eseguiti.
Anche se in questo caso, forse lo zelo standard non è abbastanza.
Guardò ogni singolo volto: maghi adulti, maghi con cicatrici, maghi di ventura.
Nessuno di loro era un ragazzo giovane, dai capelli biondi ed occhi dal taglio slavo.
“Luzhin non è qui.” Mormorò, o almeno gli parve di farlo: Ron, e James che li aveva raggiunti, si voltarono di scatto come se avesse urlato.
“Sei sicuro?” Ron diede un’occhiata sommaria e proruppe in un’imprecazione. “Dove diavolo…”
“È andato dietro ad Al!” Proruppe James impallidendo. “E ora che ci penso, non dovrebbe esserci anche quel tizio di cui Albie ci ha parlato? Quel pozionista? Forse lo hanno inseguito!”
Ron sorrise feroce. “Non credo proprio. Guglani si è appena messo in contatto con noi, Peterson ha ricevuto la comunicazione. Albie è arrivato al San Mungo sano e salvo. Con lui c’è anche la Von Hoenheim.”
“No.” Disse. “È scappato.”
James esplose in un’esclamazione colorita, che gli sarebbe valsa una strigliata se fossero stati in altri frangenti. “Quei bastardi se la sono data a gambe mettendo in mezzo i Mercemaghi! Ecco perché erano tutti radunati qui!”
Harry strinse la bacchetta in pugno: c’era un solo buco da cui quel codardo e il suo topo da laboratorio potevano essere sgusciati.
Lo stesso da cui la squadra di Guglani aveva estratto Albus: quello che avevano creato loro.
“Papà, cosa …”
La voce di James gli giunse ovattata. Un passo dietro l’altro, la bacchetta bollente tra le dita. Non era ancora finita.
“Papà!”
“Harry!”
Perché era il momento di entrare in azione.
 
 
****
 
Londra, Ospedale San Mungo.
Reparto Lesioni Magiche.
 
Qualunque cosa avessero fatto a Sören su quella nave se la sarebbe portata dietro a lungo.
Lily amava rifugiarsi nella maschera della testa leggera quando le cose si facevano emotivamente difficili. Era conveniente ed era anche un modo tutto sommato positivo di reagire ai problemi: ma quando avevano portato il suo tedesco nella stanza assegnata dopo un intervento durato un’ora, un tempo enorme per la Medimagia, le era stato impossibile fingere.
Aveva a malapena dominato un fiotto di lacrime quando aveva notato, oltre le bende, quello che era rimasto al posto del braccio sinistro; un moncherino amputato fin sopra al gomito.
Aveva tenuto duro solo perché in presenza di Achille Light e di un paio di portantini: era stata una questione di orgoglio professionale.
“Si rimetterà, sta solo smaltendo gli effetti della pozione anestetica.” Gli assicurò il Guaritore amico di Al con un sorriso imbarazzato.
Forse non aveva fatto ‘sto gran lavoro di mascheramento.
“ … Come sta?”
“Non aveva ferite gravi, a parte quella al braccio. Una leggera commozione, ma qualcuno dev’essere intervenuto perché c’era già un incantesimo di guarigione in atto quando abbiamo controllato.”
“Dev’essere stato Al …” Ribatté avvicinandosi al letto dove i due portantini lo avevano adagiato: il suo amore era così pallido e sembrava terribilmente giovane, persino più giovane di lei con tutte quelle fasciature e il camice dell’ospedale. Gli passò le dita tra i capelli e li riavviò perché non gli ricadessero sul viso.
“Oh, allora ha senso che non fosse così messo male!”
“Il braccio, Achille…”
Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Tra qualche mese, quando la ferita sarà del tutto guarita potrà utilizzare una magi-protesi. Sarà come se non lo avesse mai perso!”
Gli sorrise di rimando, ma senza intenderlo: Achille era un Guaritore di Lesioni, e parlava della ferita fisica. Lei era una Psicomaga: vedeva le ripercussioni nel lungo periodo, specialmente considerando il lavoro che Ren svolgeva. A tanti Auror mancavano pezzi, ma quelli a cui mancava un arto spesso venivano relegati per sempre dietro una scrivania.
La minaccia di diventare un timbracarte, per il suo soldato coraggioso, sarebbe stata la cosa più difficile da digerire.
… ma ci sono io. Non gli permetterò di affrontarlo da solo.
Rinfrancata da quella silenziosa promessa salutò il Guaritore e si apprestò a fare quello per cui era venuta; appellò quindi una delle poltrone per visitatori, la spostò il più vicina possibile al letto e si sedette. Intrecciò le dita a quelle dell’altro. “Sono qui, Ren…” Mormorò piano. “Non ti lascio, sta’ tranquillo.”
Una lieve pressione sul palmo le fece intuire che, anche se non cosciente, aveva percepito le sua presenza.
“Ti amo…” Inspirò mentre un paio di lacrime di sollievo, preoccupazione e felicità, tutto assieme mischiato, le rotolarono lungo le guance. Ora che erano soli poteva lasciarle uscire. “Ti amo così tanto, brutto testone… grazie a Merlino sei tornato.”
Sarebbe sempre stato così? Il terrore, poi il sollievo di riaverlo tra le sue braccia e infine il conto delle ferite?
Come diavolo faceva sua madre a non aver voglia di urlare?
Jamie e papà sono ancora in quell’inferno …
Se non avesse disturbato il riposo dell’altro si sarebbe messa sul serio a gridare contro ignoti.
“Ehi.” Doveva essere una cosa delle madri, sentirsi chiamate in causa anche se non presenti. Ginny entrò con una tazza di the in mano. “Come sta?”
Si strinse nelle spalle, perché non le venivano le parole. Forse dopo, quando l’avrebbe visto sveglio. “… se ti chiedo di correggermelo con del Whiskey incendiario?”
“Non lo vendono nella sala da the al Quinto o te l’avrei preso.” Replicò sullo stesso tono prima di Appellare una poltrona e sedersi accanto a lei. “Resto qui con te se non ti do fastidio.”
“Per niente.” Scosse la testa mentre ormai le lacrime scorrevano libere da costrizioni. Sua madre la lasciò sfogare, limitandosi a strofinarle la schiena con una mano: un gesto che la riportò a quando era bambina e quando il dolore che provava era solo per una sbucciatura.
“Albie è tornato.” La informò e sì, era una cosa importante. Importantissima.
“… è qui?”
“No, Tom lo ha portato a casa. Lo vedrai domani.” Anticipò la sua domanda.  “Tom lo veglierà come una chioccia tetra e ansiosa…” Sbuffò, strofinandosi il viso con una manica della felpa. Poi fece la domanda che le girava per la testa da quando era iniziato il blitz: del resto, aveva davanti l’interlocutrice giusta. “Diventa più facile … dico, con il tempo?”
“No. E vorrei dirti che ci si abitua, ma anche questo non sarebbe vero.”
“… ah, beh. Meno male.”  
“Noi Weasley ci scegliamo degli uomini terribili tesoro.” Sospirò. Poi lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e sorrise. “Per fortuna, passano tutta la loro vita a dimostrarci quanto valga la pena amarli.”
Lily guardò Sören, l’espressione severa che non si scioglieva neanche nel sonno, le labbra sottili che, quando sveglio, si aprivano in uno dei sorrisi più belli del mondo e per baciarla come se fosse l’ultimo giorno delle loro vite.  
Sbrigati a svegliarti. Ho bisogno che tu mi stringa.
“Vero.” Accettò la tazza di the con un sospiro. “Quindi siamo fregate?”
“Puoi giurarci.” Convenne seria. “Non è questo l’amore?”
Lily ci rifletté tirò su con il naso. “Lo è, e ti rende scemo.”
“Certo che sì!” Ridacchiò sua madre. “La mia prima cotta per tuo padre fu imbarazzante.”
“Almeno non sei scappata in un altro Ministero per seguirlo.”
“Papà ti potrà raccontare di un raccapricciante biglietto di San Valentino musicale.” Inspirò e si mise a canticchiare. “Occhi verdi e lucenti di rospo in salamoia…” Fece una faccia schifata facendola ridere. “Rischiai quasi di farlo gettare dalla torre di Grifondoro per l’imbarazzo. Penso che avere reazioni fuori scala quando si è innamorate è una cosa che hai ereditato da me tesoro, mi dispiace.”
“A me no.” Le strinse la mano con affetto.
 
Un distinto bussare alla porta della stanza le fece voltare. Davanti a loro c’era Sonny Guglani, che ricordava ex studente di Grifondoro.
“Lily … Signora Potter.” Salutò cortese. “Mi dispiace disturbarvi ma ho una richiesta da parte di Lady Von Hohenheim.”
Sophia Von Hohenheim. La madre di Ren.
Si alzò in piedi di scatto e sua madre fece lo stesso, anche se con più calma. “Che cavolo vuole?” Domandò brusca.
L’auror fece un istintivo passo indietro e non poteva dire di non capirlo: glielo avevano detto tutti che quando era arrabbiata aveva il carisma spaventoso di nonna Molly. “… ha chiesto di poter salutare suo figlio prima di essere riportata ad Azkaban.” Spiegò a disagio. “Rimarremo con lei e sarà una cosa breve.” Aggiunse volenteroso.
“Non è questo il punto!”
Con tutto il male che quella terribile famiglia aveva causato a Tom ed a Ren, per quanto la riguardava, Lady Von Hohenheim poteva essere gettata in una buca profondissima per il resto dell’eternità.
“Ha una bella faccia tosta a pretenderlo dopo quello che il suo uomo ha fatto al mio ragazzo!”
“A quanto ha detto Al, è stato Luzhin a ferirlo…” Obiettò sua madre con pacatezza.
Sul serio?!
Non poteva giustificare con quella stronza!
Io l’ho fatto e non me ne sono mai pentita tanto come adesso!
Perché Sophia era su quella nave ma non aveva fatto niente per proteggere suo figlio.
Sonny spostò il peso da un piede ad un altro guardando verso sua madre in cerca di un cenno di via libera – ovviamente. “La porterei via, ma per la legge magica rimangono madre e figlio. In teoria è diritto di Lady Von Hohenheim familiare…”
“Familiare un cavolo!” Sbottò furiosa. “Sono io la sua famiglia! Io e Milo Meinster!” Aggiunse, perché era certa che se il ragazzone fosse stato lì si sarebbe unito a lei nell’impedire alla Stronza di entrare. Anche fisicamente se necessario.
“Lily …” Sua madre le appoggiò una mano sulla spalla. Alla sua faccia incredula sospirò. “Sei arrabbiata, ed hai tutte le ragioni. Ma verrà punita e quello che chiede è solo di vedere suo figlio per un’ultima volta.”
“Non è mai stata una ma…”
“Non puoi saperlo.” Bloccò la sua protesta. “Non riguarda te … ma Sören e sua madre.” Fece un sospiro. “Dobbiamo starne fuori.”
Lily chiuse la bocca: fremeva dalla voglia di mettersi in mezzo, di gridare che nessuno avrebbe fatto male a Ren, mai più, neanche e soprattutto sua madre. L’avrebbe uccisa se avesse tentato di ferirlo ancora.
… il che probabilmente era irrazionale dato le contingenze.
Si morse un labbro. “Falla entrare Sonny.”
Sua madre le passò un braccio attorno alle spalle, in parte per confortarla ma sospettava anche per tenerla ferma mentre Lady Von Hohenehim entrava nella stanza.
La prima cosa che la strega fece fu guardare nella loro direzione; assomigliava più a Tom, nella figura e nella fisionomia. Pur essendo appena uscita da ore di inferno manteneva un contegno che in parte gliela rendeva ancora più odiosa e in parte – piccolissima comunque! – gliela faceva ammirare. Persino il vestito, che una volta doveva essere un superbo esemplare da sera adesso spiegazzato e sporco, gridava vecchia nobiltà europea, la stessa che aveva visto alle feste del Ministero e che le ricordavano un libro della Austen.
“Lei deve essere la fidanzata di mio figlio.” Esordì in un inglese compito.  
Raddrizzò le spalle e ce la mise proprio tutta per condensare in una smorfia quello che provava. “In persona. Mi scusi se non le stringo la mano ma non ne ho per niente voglia.”
Sophia inaspettatamente le sorrise. “… Capisco. Adesso comprendo molte delle conversazioni avute con Sören.”
Eh?
Cercò chiarimenti da sua madre, ma questa pareva concentrata nell’analizzare l’altra strega.  
…  vai mamma! Falla nera!
Purtroppo però dovette giungere ad una conclusione completamente diversa dalla sua.
“Sören si riprenderà. Ha subito un intervento importante e lo sta smaltendo … adesso dorme, ma gli diremo che è passata.” Disse con tono amichevole, come se si conoscessero da sempre. E sua madre faceva così con tutti okay, ma con la Stronza?!
Mamma?!
Il fatto che continuasse a tenerla stretta a sé non aiutava. Avrebbe voluto divincolarsi, che non era una ragazzina e …
… No, era una ragazzina ed era meglio lasciar fare a chi aveva vissuto più compleanni di lei. Questo le disse l’espressione di Ginny Weasley ed essendo una LeNa non c’era proprio modo di ignorarlo o fraintenderlo.
Cavolo.
La tedesca fece un lieve cenno con la testa: un ringraziamento, un assenso?
Incrociò le mani in grembo e Lily notò che erano strette. Forte. E notò un’altra cosa: giocherellava con l’anello col blasone, facendolo girare sul dito.
Come fa Ren quando è nervoso …
Era incredibile: non l’aveva cresciuto, eppure era riuscita a passargli un piccolo gesto che significava un intero spettro di emozioni.
La rabbia che la infuocava cedette il posto a qualcos’altro.
Principalmente, stanchezza.
“Le lasciamo un po’ di privacy.” Sua mamma la pilotò con gentilezza verso la cornice della porta. Ebbe il buonsenso di lasciarle comunque la possibilità di monitorare la scena.
Sophia Von Hohenheim si avvicinò finalmente a suo figlio. Accanto sembravano due estranei eppure Lily aveva capito che, in qualche strano modo, dopo quell’esperienza non lo sarebbero stati più.
Perlomeno non da parte di mamma Von Hohenheim. Lily, perché era sé stessa e sarebbe nata e morta impicciona, si sfilò l’orecchino di controllo e si concentrò.
Percepì un grumo di sentimenti, sottili come un filo di ragnatela, avvolgerla.
Erano un bel po’ e tutti mischiati assieme: curiosità, dispiacere, senso di colpa, paura. Confusione, quella ce n’era davvero tanta mentre Sophia guardava Sören.
 
Perché mi vuoi bene?
 
Non era una vera e propria frase quella che aveva appena ascoltato, ma se avesse dovuto riassumere quello che la tedesca emanava per tutta la stanza, l’avrebbe fatto con quella domanda.
 
Non è stato tutto orribile allora.
 
Anche quella era una sintesi ma Lily non aveva idea di cosa volesse dire. Forse si riferiva all’esperienza sulla nave?
Sophia si chinò e sfiorò la fronte di Sören con un bacio: un gesto materno, l’avrebbe potuto catalogare solo così visto che ne aveva ricevuti a tonnellate da bambina.
Sophia si raddrizzò come se fosse lei stessa la prima a sorprendersi per quell’impulso.
Si voltò verso di loro ed era di nuovo il manichino Purosangue di prima. “Vi ringrazio per avermi dato la possibilità di dirgli addio.” Disse senza emozioni.
Lily trovò corretto dire come la pensava, nonostante la stupida empatia a cui Morgana l’aveva condannata. “Non l’abbiamo fatto per te.”
Sua madre sospirò. “Spero che avrà la possibilità di riflettere su ciò che ha fatto, Lady Von Hohenheim … e prenda esempio da Ren. Ci si può liberare dal passato.”
Sophia le contemplò un attimo. “Libertà. È una bella parola.” Considerò prima di salutarle con un leggero cenno della testa; si diresse poi verso Sonny, che era rimasto fuori dalla porta ad attenderla. “Addio Signora e Signorina Potter.”
Quando fu certa che fosse ormai lontana, specialmente dalle loro vite, Lily inspirò profondamente. “Sono stata brava?” Ironizzò agganciando nuovamente l’orecchino di controllo. “Perché volevo saltarle alla gola.”
Sua mamma scosse la testa. “Non si è affatto notato.” Sbuffò ma era divertita.
“… ma in una scala di reazioni tutta Weasley? Sei stata ineccepibile.”
“Lo penso anch’io!” Si sedette riassumendo la posizione di prima. Dita intrecciate a quelle del suo amore e in attesa.
Non vedeva l’ora che si svegliasse.
 
****
 
Se c’era una cosa che gli era sempre stata chiara fin dalla guerra, era che quando si cacciava un nemico, tutti gli impulsi primari venivano messi in secondo piano. Fame, sete, sonno, scomparivano e rimaneva solo l’obiettivo.
Durante la sua carriera di Auror quell’assioma non era cambiato; era solo rimasto sopito dietro una scrivania, dietro una segretaria e troppe carte.
Ma al momento giusto si affacciava ed era una sensazione …
Harry non l’avrebbe definita positiva. Probabilmente non lo era.
Eppure, era così intensa da non rivaleggiare quasi con nient’altro.
Perché inseguire Luzhin e il suo Pozionista gli dava nuova linfa vitale, lo faceva essere più lucido, più forte.
Harry salì il secondo boccaporto, arrivando nell’ennesimo corridoio di servizio;  dovevano trovarsi sotto al ponte se il senso dell’orientamento non lo ingannava.
Staranno cercando di salire per prendere una scialuppa?
Non ne aveva viste quando si era Materializzato sulla nave, ma poteva non significare nulla.
L’unica via di fuga era verso l’alto.
Peccato che quando aprì con un Alohmora la porta di metallo rinforzato di fronte a sé non trovò altre scale, ma un enorme stiva riempita unicamente da container.
… un’altra?
Non era più grande del laboratorio dove aveva lasciato i suoi uomini, ma a differenza di quest’ultimo sembrava che Doe non vi avesse messo le mani. Non vi era traccia di magia e la luminescenza delle luci di emergenza rischiarava file e file di metallo e acciaio, nient’altro.
Ho sbagliato strada?
No, decise scendendo le scale che portavano a livello dei container; Luzhin poteva esser passato solo da lì, non aveva incontrato biforcazioni o ascensori di servizio.
Non sono solo.
Non poteva averlo distanziato così tanto. Inspirò leggermente e tirò fuori lo specchio comunicante dalla tasca del mantello.
Harry!” La voce e il volto stravolto di Ron riempirono l’interezza della superfice riflettente. “Dove diavolo…”
“Ho bisogno che tu mandi qualcuno sul ponte.” Lo interruppe. “Adesso.”
“Cosa…” Si mangiò evidentemente un insulto. “Harry, aspetta i rinforzi!”
“Tu fa’ quel che ti ho detto.”
L’amico stavolta si produsse in un’imprecazione che gli sarebbe valsa la scomunica da parte di Molly Weasley in persona ma si voltò per dare l’ordine. “Dove sei?” Ripeté.
“Sotto il ponte … credo che Luzhin e il suo Pozionista si stiano nascondendo qui, da qualche parte.” Si guardò attorno. “Potrebbero entrare due Sale Grandi qui dentro e forse metà Atrio del Ministero. Se devo cercarli, devo avere un buon motivo.”
Ron scosse la testa. “Non fare cazzate.” Poi si voltò di nuovo, stavolta per ascoltare la voce di qualcuno dietro a lui. “Hanno trovato qualcuno!”
“Luzhin?”
“No, dice di essere il Pozionista. Tentava di usare le scialuppe di salvataggio, ma Doe deve averle manomesse prima che arrivassimo.”
“È solo?”
“Non c’è nessun altro.”
Quindi Luzhin non era scappato assieme a Loher, il suo pozionista.
Perché qui?
C’erano solo due porte, lo poteva vedere anche da dove si trovava: quello da cui era entrato e una dall’altra parte che presumibilmente portava sopra coperta.
Perché non è scappato?
“Harry, stiamo arrivando, aspett…” Chiuse lo specchio con uno scatto secco. Una parte di sé era consapevole del fatto che Ron avesse tutte le ragioni ad intimargli di non proseguire oltre.
Il punto è che era lì, e che quel maledetto ragazzino non poteva essere da nessun’altra parte; niente più esercito di Mercemaghi drogati di Demiurgo dietro cui ripararsi.
Luzhin!” Urlò, perché non poteva impegnare la bacchetta in un Sonorus, non in quei frangenti. “È finita. Consegnati. Abbiamo Loher e il ponte è presidiato dai miei uomini, e così il laboratorio. Sei circondato.”
Nessuna risposta, ma non che se la fosse aspettata.
Le sue parole però avevano sortito l’effetto sperato; percepiva un formicolio alla nuca, ormai familiare come lo era il mantello foderato di rosso che indossava.
Non sono solo.
Il giovane tedesco emetteva così tanta magia che era percepibile, come uno ronzio lontano – non era un ronzio, ma era la cosa che più si avvicinava al descriverlo. Non poteva focalizzare il punto di origine ma era lì, vicino a lui.
“Non voglio esser costretto a toglierti la bacchetta con la forza, e non lo farò se uscirai disarmato.” Continuò con tono chiaro. “Søren.” Lo chiamò per nome voltandosi nella direzione del ronzio. “Esci fuori.”
Un’ombra spuntò da una fila di container ad una ventina di passi da lui.
Herr Potter.” Esordì. Aveva una voce giovane, con la stessa cadenza di Prince. “Mi sorprende che ci abbia messo così tanto a trovarmi.”
Harry fece un mezzo sorriso. “Perdona questa vecchia gloria di guerra.” Abbassò gli occhi e vide che il ragazzo impugnava la bacchetta. “Immagino tu non voglia seguire il mio consiglio.”
“Temo di no, Signore.”
Doveva cercare di farlo ragionare: al di là della sua personale voglia di fargliela pagare per aver rapito suo figlio e aver ferito Prince, non aveva nessuna intenzione di ucciderlo.
Perché non aveva dubbi su quello che i lineamenti del suo avversario annunciavano a grandi lettere.
Duello all’ultimo sangue.
“… anche se riuscissi a liberarti di me ci sono più di tre squadre dentro questa nave.” Si batté una mano sulla tasca interna del mantello. “Conoscono la mia posizione e, adesso, anche la tua.”
Luzhin sbatté le palpebre. Sembrò sorpreso dalla sua affermazione. “Pensava che stessi scappando?”
Harry aggrottò le sopracciglia: ora era lui ad essere confuso. “… non…”
“Non stavo scappando. Mi stavo facendo inseguire. E ci sono riuscito. Lei è qui Herr Potter.”
Volevi che ti inseguissi?” Capì di colpo. “Perché?” 
“Per realizzare il mio destino.” Fece un passo in avanti, ma vedendolo mettersi in posizione di difesa si fermò. Sorrise di nuovo, e Harry conosceva bene quei denti tirati indietro in un’espressione ferina e gli occhi fissi verso un obiettivo invisibile.
Bellatrix Lestrange.
Serrò la presa sulla bacchetta. “Non un passo in più!”
“Non ne avevo intenzione.” Mostrò le mani in un cenno di resa, vanificato in parte dalla presenza della bacchetta. In quella penombra piccoli bagliori azzurri ne scaturivano come scintille elettriche. “… non per il momento.”
“Søren, qualsiasi cosa tu abbia in mente…”
“Lei non potrebbe mai immaginarla, Herr Potter.” Lo interruppe. “È il problema delle menti limitate.”
“In cosa sarei limitato?”
“Io … lei … ci siamo incontrati per un motivo. Quante possibilità c’erano che il Magister perdesse abbastanza lucidità da decidere che quel inetto di suo nipote potesse sostituirmi?”
“Non molte?”
“Pochissime.” Convenne. “Quasi quanto quella che Doe decidesse di chiamarmi di nuovo in servizio, senza realizzare quanto lo odiassi dopo quello che mi era stato fatto. Dopo ciò di cui ero stato privato.” Serrò la mascella mentre la bacchetta continuava a sputare scintille.
Sta perdendo il controllo.
“Di cosa ti hanno privato?”
“Del mio destino.” Ripeté. Quindi era quella la parola chiave: predestinazione. Esistevano ancora maghi convinti di avere uno scopo più alto nella vita, che non fosse quello, banale, di viverla al meglio che potevano.
Voldemort, Grindenwald … Von Hohenheim. E ora Luzhin.
Finiranno mai?
“ … O almeno, così pensavo.” Aggiunse. “Non avevo capito che dovevo aspettare. Incontrare le persone giuste…” Chiuse gli occhi, quasi ad assaporare quello che sarebbe venuto dopo. “… ed arrivare a questo momento. Il mio momento.”
“E lo vuoi condividere con me?” Ironizzò, perché malgrado la situazione non poteva farne a meno; aveva già visto quel film, così come la fine. “Non mi darai un po’ troppa importanza?”
“Come i miei avi prima di me, il motivo per cui sono nato è combattere contro un grande mago.” Continuò ignorando la sua osservazione. “Contro il Salvatore dei Due Mondi.” Sogghignò. “E prendermi la sua vita.”
Ottimo.
Si era dimenticato com’era avere un bersaglio dipinto sulla schiena per colpa dei deliri di qualcun altro.
Non gli era mancato affatto.
Guardò verso l’ingresso da cui era entrato, ma ancora nessuna traccia di Ron.
“… E una volta che mi avrai tolto di mezzo, cosa pensi che accadrà?”
Luzhin non parve riflettere sulle sue parole, né considerarle degne di particolare attenzione. “Non mi interessa. Per il proprio destino si può anche morire.”
Ecco il punto di non ritorno, in quelle due semplici parole.
Ma come tutti i grifondoro, Harry non era tipo da non tentare un’ultima volta. “Søren … hai tutto il futuro davanti e…”
“Le consiglio di preoccuparsi del presente, Herr Potter.” Lo interruppe mettendosi in posizione di attacco. “E di farlo alla svelta.”
Harry inspirò sganciando gli alamari del mantello e gettandolo a lato; aveva incorporato un Sortilegio Scudo di buona entità, ma in quel caso avrebbe fatto meglio ad aver maggior libertà di movimento.
Gli sarebbe servita.
 
****
 
Per i Potter era sempre una questione di vita o di morte. Il mondo contro di loro, e loro contro il mondo.
C’erano momenti in cui Ron si pentiva di aver avuto la malaugurata idea di rivolgere la parola a quel ragazzino smilzo che era poi diventato il suo migliore amico.
Erano solo momenti, certo, ma a volte venivano rafforzati quando realizzava che i figli di quello stronzetto gracilino erano esattamente come lui.
In più, con la tempra ardente Weasley.
James!” Chiamò il nipote. Niente da fare, il ragazzo correva con l’energia dei suoi gloriosi vent’anni e non era facile riuscire a stargli dietro.
Sfortuna aveva voluto, inoltre, che quel dedalo di corridoi li avesse confusi facendogli prendere la strada sbagliata. James si sarebbe fatto agevolmente l’intera nave a quell’andatura, e forse anche i membri più giovani della sua squadra. Di certo non lui e i veterani di Savage a cui aveva chiesto di dar lui supporto.
Per fortuna era arrivata la chiamata di Harry a rimetterli in carreggiata.
Il ragazzo, in testa, si fermò all’improvviso quasi mandando un’intera squadra di Auror a crollargli sulle spalle. Ron finalmente poté acciuffarlo per il cappuccio del mantello. “Per quale diavolo di motivo ti sei-”
“Porta. Dev’essere quella della seconda stiva, giusto?” Disse indicando il portellone metallico di fronte a loro. Inspirò una grossa boccata d’aria. “Che facciamo Sergente?”
Ron fu preso in contropiede; si sarebbe aspettato di vederlo lanciarsi sull’ultimo ostacolo che lo separava dal padre. Invece lo stava guardando in attesa di ordini.
… beh, forse la seconda generazione ha ancora qualche speranza.
O i figli non assomigliavano mai del tutto ai padri, come gli suggeriva sempre Hermione.
Riguardo a Rose purtroppo, ma il punto rimaneva valido.
“La apriamo. Copritemi.” Rispose mentre questo si spostava per fargli spazio. Afferrò la maniglia e spinse. Nulla. Tentò una seconda volta.
Stesso risultato.
“Qualcuno l’ha bloccata da dentro.” Realizzò.
Harry, se l’hai fatto tu giuro che ti uccido. Anche se sei morto. Ti uccido.
“Magia?” Suggerì James. “Colloportus?
Ron provò un Alohomora rapido, ma questo rimbalzò sul portellone in una pioggia di scintille. “… troppo facile.” Sbuffò contrariato. Dall’altro lato non si udivano rumori. “Cleave! Kirke!” Chiamò rispettivamente i due Spezza-incantesimi, una strega dalla sua squadra e un veterano di Savage. “Venite a dare un’occhiata!”
I due si fecero largo tra gli altri Auror. Una volta guadagnata la posizione si chinarono passando la bacchetta lungo gli stipiti recitando al tempo stesso incantesimi di Rilevamento. Dopo qualche minuto Kirke si produsse in una smorfia confusa. “… Non capisco, Sergente.”
Ci mancava solo questa.
“Cosa non capisci?”
“Non sembra che sia stato lanciato un incantesimo di blocco.” Gli diede manforte Cleave spolverandosi le ginocchia e tirandosi su. “Non rilevo niente.”
“Neanche io, Sergente.”
“La porta però è bloccata.” Fece loro notare impaziente: Harry era al di là, a fare l’eroe solitario.
Dovevano salvarlo dalla sua idiozia.
“Magari è stata chiusa a chiave?” Suggerì James. “Voglio dire … questa nave è Babbana.”
“No, l’Alohomora è rimbalzato, qualcosa c’è.” Si rivolse di nuovo ai due Auror. “Cercate meglio.”
L’uomo scosse la testa. “Sergente, non possiamo cercare qualcosa che non c’è.”
“In parole povere non riusciamo a rilevare traccia di incantesimi sulla porta.”
“Ma come…”
“Allora …” Li interruppe James, ignorando la sua occhiataccia. “Dev’essere opera di quel figlio di puttana! La sua magia non funziona come la nostra, chissà cosa diavolo ha combinato per chiuderla … e rimanere solo con papà.” Si rabbuiò, come realizzando qualcosa all’improvviso. “Vuole rimanere solo con papà, non stava scappando! L’ha attirato qui!”
Ron si scambiò un’occhiata confusa con gli altri auror. “… e perché?”
James li contemplò incredulo, come se la risposta fosse ovvia. “Papà è una leggenda del Mondo Magico e quello uno stronzo in delirio di onnipotenza. Vorrà battersi con lui per guadagnarsi la gloria eterna!”
“E come pensa di uscirne vincente?” Intervenne Kirke incredula. “Anche se riuscisse ad avere la meglio sul Capo Potter ci siamo noi.”
James scosse la testa: persino alla luce fallace dei neon lo vide impallidire. “Non credo gliene freghi qualcosa. Penso … penso che gli importi solo di essere un nome nella storia del Mondo Magico … Colui che ha superato il Salvatore.”
Ron si passò una mano tra i capelli. “… ne sei sicuro?”
James si morse un labbro. “Conosco il tipo. Secondo me ha capito di essere in trappola e allora si gioca l’ultima carta che ha. Lo ucciderà. Nella sua testa lo ucciderà per morire nella gloria.”
Ron fece per ribattere – anche se non aveva idea di cosa, perché il nipote aveva ragione, era la perfetta conclusione di quella maledetta storia di sogni infranti e gente che se n’era approfittata – quando un boato  giunse dall’altra parte della porta, così forte che si riverberò facendo tremare le paratie metalliche.
Harry!
Papà!” James mise in parole l’angoscia che provarono tutti. E poi, essendo James, passò ai fatti. Tirò una spallata contro la porta. Poi un’altra. E un’altra.
“Fermati! È bloccata con la-”
Un cigolio straziante bloccò sul nascere le sue proteste.
… sta funzionando?
Suo nipote si stava buttando con rabbia contro ciò che lo divideva da suo padre, ma non era solo un ragazzo nel pieno delle sue forze.
Jamie, il rubinetto rotto.
Era anche un mago dalla magia accidentale più incontrollata che avesse mai conosciuto.
E in quel momento, quell’energia ribelle si stava riversando tutta in un unico punto e contro un unico oggetto.
Sta funzionando!
Fermò Savage, pronto ad intervenire per fermare quella che sembrava una crisi di rabbia in piena regola. Di nuovo il rumore di cardini che cedevano, stavolta più forte.
James se ne accorse, perché a quel punto si bloccò, tirò fuori la bacchetta e scaricò un Confringo sulla porta.
L’esplosione la scaraventò all’interno, lasciando la via libera. Si voltò con il fiatone e la stessa faccia con cui Harry l’aveva convinto che c’erano buone possibilità di far fuori Voldemort.
“Andiamo?” Domandò.
“Hai distrutto una barriera magica a spallate?” Mormorò incredulo Cleave. “Che razza di…”
“Potter.” Riassunse in breve. “Muoviamoci.”
È davvero, davvero un bene che militino dalla parte giusta.
 
****
 
Rendersi conto, quasi alla soglia dei cinquant’anni, di non essere onnipotente era un duro colpo.
Non che avesse mai veramente pensato di esserlo.
O forse sì.
Forse sconfiggere l’incubo della sua infanzia l’aveva reso un filino refrattario all’idea che un giorno avrebbe potuto trovarsi nella situazione di non poterne uscire.
Non da solo.
Harry Potter crollò in ginocchio, i polmoni in fiamme, la testa stretta in una morsa dolorosa, la magia che gli sfuggiva dalle mani come acqua di fiume.
Aveva pensato di potercela fare; che sarebbe stato difficile neutralizzare quel ragazzino, ma non impossibile.
Non aveva messo in conto proprio quello: che, banalmente, era più giovane di lui.
Ogni attacco che gli aveva lanciato era stato rimandato indietro più potente, e a malapena Harry aveva deflesso l’ultima fattura.  
Luzhin era di fronte a lui, in piedi, il respiro affannoso, ma l’espressione dura, lucida, di chi aveva ancora tanto nel suo arsenale.
Facendosi forza della sua riserva di energia inumana l’aveva scaricato come una pila Babbana.
“Stanco, Herr Potter?” Lo derise. “Desidera forse una pausa?”
“Me la lasceresti fare?” Si rimise in piedi sentendo una fitta al ginocchio destro: quello che aveva infortunato qualche anno prima, durante una partita di Quidditch interministeriale.
“Temo di no, Signore.” Sorrise. “Era proprio a questo che puntavo … vederla in ginocchio.”  
Era umiliante: umiliante realizzare che il corpo non rispondeva più come una volta.
Che il respiro gli si era mozzato molto prima di quanto avesse previsto.  
“Lo immaginavo …” Si rimise in posizione, stavolta di difesa. L’unica strategia percorribile a quel punto, rifletté rapidamente, era tenere duro. Aspettare i rinforzi.
Aveva riservato per sé quello scontro, ma non era in grado di portarlo a termine.
“Pensi che valga davvero la pena uccidermi?”  
“Non sono il primo a desiderare la fama che ne conseguirà. Ma sarò il primo a riuscirci.”
Non era un tipo di troppe parole purtroppo; non gli lasciò il tempo di ribattere che un serpente dorato saettò nella sua direzione.
Harry alzò un Protego Horribilis che lo fece infrangere in mille schegge che si infransero sui container. Il contraccolpo lo fece incespicare un paio di passi. Approfittando dell’apertura tentò una serie di Stupeficium ravvicinati, ma il ragazzo li parò con altrettanta efficacia.
Harry levò nuovamente la bacchetta, ma la morsa alla testa si fece di colpo feroce, facendogli sfuggire un lamento. Le gambe gli cedettero facendolo crollare bocconi.
… cosa diavolo?
La vista gli si offuscò e a nulla valse strofinarsi gli occhi: non tornava a fuoco.
“… ci ha messo più del previsto, devo dargliene atto.”
“Cosa…?”
“È la prima volta per lei?” Gli mise un piede sulla spalla e gli diede una spinta. Provò a puntellarsi ma finì per cadere a terra come un ragazzino alle prese con i suoi primi passi.
“La sua magia. L’ha esaurita.” Spiegò con una calma sovrannaturale, quasi fosse un commesso preso ad illustrargli le proprietà di una pozione cosmetica.
Era un paragone ridicolo, ma la sua mente era ridicola. Ed ingolfata.
“La magia non è infinita, Herr Potter. Come il sangue. Si può dissanguare un uomo e si può esaurire un mago. Suppongo che lei non abbia mai portato il corpo all’estremo com’è capitato a me in questi lunghi anni di attesa.”
Certo che sì, maledetto ragazzino.
Ma non così. Era la prima volta che il suo corpo lo tradiva così.
“Ora che il Demiurgo mi ha donato nuova linfa, posso batterla.”
Sulla resistenza sicuramente …
Harry tentò di puntare la bacchetta contro l’avversario. Con grande sforzo gli riuscì, ma per quanto pensasse al prossimo incantesimo, per quanto tentasse di pronunciarlo sottovoce come una preghiera, da essa non uscì nulla.
“Sono felice che non sia svenuto.” Gli puntò la bacchetta alla testa. “Così potrò godermi la sua espressione mentre la uccido.” Fece un lieve inchino. “È un momento speciale. Ancor più speciale, con lei. Grazie per lo scontro, Salvatore.”
Non poteva morire così. Non in un dannatissimo cargo a largo delle coste inglesi, non lontano miglia dalla sua famiglia e a pochi metri da suo figlio e il suo migliore amico, che a giudicare dai rumori che sentiva erano arrivati, erano finalmente lì.
Pensa. Solo pochi secondi. Dagli solo qualche attimo per irrompere …
“… se ti pregassi di lasciarmi vivo servirebbe a qualcosa?”
Luzhin aggrottò le sopracciglia. “Il grande Harry Potter che implora per aver salva la vita?” Sembrava deluso.
“… forse sarai il primo con cui lo faccio.” Ammise. “Ma ho qualcuno da cui tornare, e mi piacerebbe farmi bere un’ultima volta il the preparato da mia moglie.” Persino in una situazione disperata come quella non riusciva a tener freno la lingua.
Ma onestamente, quando mai c’era riuscito riuscito? Neanche sotto minaccia di essere espulso dal defunto Piton.
E lui era ben più spaventoso di te, biondino.
Luzhin serrò la mascella. “Lo faccia.” Sillabò. “Mi supplichi.”
“Mi risparmierai?”
“La ucciderò senza farla soffrire.”
Ah, ecco.
Con la coda dell’occhio vide qualcosa muoversi dietro i cargo. Pur con i sensi esausti registrò l’arrivo degli Auror; l’altro non se ne era reso conto, troppo preso dall’aver finalmente la chiave del tesoro in pugno.
Siete tutti uguali …
Fece un mezzo sorriso. “A pensarci bene … non credo che lo farò.”
Luzhin emise un’imprecazione frustrata, ma non fece in tempo a Maledirlo che un incantesimo lo investì in piena forza, come un ariete di energia brillante che lo mandò a schiantarsi contro uno dei cargo.
Conosceva bene quell’impetuosità.
Lascia stare mio padre, figlio di puttana psicopatico!” Urlò James saltando fuori dal suo nascondiglio, seguito da Ron e il resto degli Auror che si apprestarono a circondare il perimetro.
L’amico lo raggiunse e lo tirò in piedi. “Harry, tutto a posto?” Breve analisi. Un’imprecazione. “Razza di …”
“Hai ragione.” Lo anticipò crollandogli praticamente tra le braccia. “D’ora in poi l’unica attività fisica che farò sarà Quidditch ed insegnare in Accademia.”
Stavolta è la verità.
Venne guardato come se gli fosse spuntato un terzo occhio sulla fronte. “… Che miseriaccia ti è successo? Hai sbattuto la testa?”
“Ho avuto un’epifania.” Riassunse. “Una craniata metaforica, se preferisci.”
Ron scosse la testa, aiutandolo a mettersi fuori dal raggio di azione dello scontro; le due squadre, con James in testa, stavano scontrandosi con un’ora furiosissimo Luzhin.
Gli hanno portato via la preda …
“Alla buon’ora.” Commentò passandogli la borraccia di Pozione Corroborante, dotazione basica di ogni Auror. “Dico, ‘sta epifacosa.”
Bevve in un paio di vigorose sorsate. “Ne hai un’altra?”
“No, ma al San Mungo potrai fartici il bagno.” Si voltò verso lo scontro, e poi di nuovo verso di lui. “La facciamo finita, sì?”
Harry gliela restituì. Stava meglio, ma non era lontanamente pronto a buttarsi di nuovo nella mischia. “Largo ai giovani…” Gli sembrò la cosa corretta e meno dolorosa da ribattere per segnalare che sì, aveva capito.
Ron si strinse nelle spalle. “Invecchiamo tutti, amico. Non è così terribile smettere di essere invincibili.”
Anche da lì potevano vedere James, il suo fiero ragazzo, combattere splendidamente assieme ai suoi compagni. Luzhin aveva i minuti contati.
Sorrise. “Credo tu abbia ragione.”
 
 
Okay, quel crucco era la personificazione della rabbia cieca.
James deflesse qualcosa che assomigliava terribilmente ad un Anatema che Uccide e cercò di bloccarlo con una Pastoia.
Luzhin la spezzò praticamente nel momento in cui gli toccò le gambe.
“Quanto cazzo ci mette ad andare giù?!” Gridò Savage: avevano formato un cerchio che si stava chiudendo attorno al tizio, e lo stavano sfinendo, garantito, ma non abbastanza in fretta.
È come una bestia presa in trappola.
Li avrebbe morsi a sangue persino con le ultime forze rimaste.
E James intuiva le ragioni di quella furia: gli avevano appena sottratto un obiettivo, e aveva il corpo intero teso nel disperato tentativo di sfondare le loro difese e raggiungere suo padre.
Sul mio corpo freddo, bello.
“È finita, arrenditi! Siamo in troppi!” Provò a convincerlo, perché diavolo, voleva crepare?
“Siete solo insetti!” Ringhiò. “Inutili insetti fastidiosi, è Potter che voglio!”
“Beh, io sono un Potter, accontentati!” Di nuovo tentò di mandarlo gambe all’aria, perché forse c’era un modo per non finire con un cadavere da impacchettare.
Che okay, se dovevano farlo secco non ci avrebbe perso del sonno, ma come diceva Lily, bisognava dare una possibilità a tutti. Anche se quest’ultima era una prigione.
Luzhin castò un’altra fattura squarcia-qualcosa, e schermò una scarica di incantesimi da parte della squadra di Savage. Le vene del collo e delle tempie erano in rilievo, come una specie di culturista sotto steroidi. 
Era abbastanza spaventoso.
“Mio padre è solo un mago, cercare di appendere la sua testa in salotto è una cazzata! La gloria eterna è una cazzata!”
Sta’ zitto!
“Potter, che diavolo stai facendo?” Sbottò Savage. “Vuoi farlo infuriare ancora di più?”
“Voglio farlo ragionare!”
“Ti pare che abbia voglia di prendere il the e parlare dei suoi sentimenti?!” Lo spinse via per lanciare su entrambi un Protego Horribilis.  
“Insetti!” Ruggì quasi scagliandosi fisicamente contro di loro. “Il mio Destino è uccidere l’Uomo che visse due volte e ascendere all’Orbis Alius! Non sarò mai solo l’ombra di una gloria familiare sepolta!”
… di che diamine sta parlando?! È fuori come un calderone sfondato!
Ed era orribile pensare che in una versione molto, molto distorta della sua storia personale avrebbe potuto finire proprio come quel tizio.
Okay, non uguale. Ma tipo.
A disperarsi per cercare di uscire dall’ombra dell’anonimato e diventare un mago ammirato da tutti. Come Harry Potter, appunto.
Che poi, per parte sua, l’aveva pensato fino ai sedici anni. Prima di scontrarsi con la realtà e capire che c’erano cose più importanti: l’amicizia, l’amore per Teddy e per il proprio lavoro.
Sì, insomma. Si cresce.
Luzhin non aveva ricevuto il memo.
“Il contenimento … Proviamo con l’incantesimo di Stasi!” Tuonò Savage e James si scambiò un cenno di intesa con la giovane Auror accanto a lui: dalle bacchette uscì una robusta ragnatela di magia azzurrina, che cominciò a chiudersi attorno a Luzhin.
Il quale tentò di dibattersi, ma più vi scaricava contro magia, più quella si serrava in risposta.
L’incantesimi di contenimento per gli Infetti. Lui è un Infetto. Funziona alla grande.
Luzhin urlò di rabbia per l’ennesima volta, e James, di colpo, notò un particolare.
Gli occhi bianchi.
Così come il resto del corpo sembravano emettere una sorta di luminescenza interna.
… momento. Lo deve fare?
No che non lo doveva fare. Come il tizio americano della locanda, come gli Infetti di Notturn Alley e come Flannery, aveva raggiunto il punto di saturazione.
Solo che non era il classico mago della strada. E a giudicare dal ghigno folle che gli comparve sul volto, aveva un piano che non prevedeva di disintegrarsi in un nugolo di polvere.
Ci vuole portare tutti con sé.
“Sergente!” Attirò l’attenzione di Savage. “Gli occhi!”
L’uomo si rese immediatamente conto di quel che stava succedendo. “Sta per farsi esplodere … Smaterializzarsi sopra coperta, adesso!”
Una serie di schiocchi seguirono l’ordine. La barriera di contenimento si dissolse nell’aria, lasciando Luzhin al suo centro, sempre più luminoso, come una dannatissima supernova pazza.
James corse verso suo padre e suo zio, a distanza di sicurezza e quindi non a portata d’orecchio. “Esplosione!” Gridò col fiato corto.
Gli bastò uno sguardo per intendersi con i due Auror più anziani.
Si Smaterializzarono mentre attorno a loro tutto esplodeva.
 
 
Si Materializzarono al tenue lucore dell’alba; non fecero in tempo a realizzare di essere usciti da un inferno di fiamme che la nave, con un orribile rumore di lamiere che si piegavano e roba che si spezzava, cominciò ad inclinarsi di lato.
… e adesso cosa?!
Suo zio lo afferrò per il retro del mantello, prima che finisse fuori bordo, tenendo al tempo stesso in piedi suo padre. “Leviamoci di qui, ne ho le tasche piene!” Sbottò.
Suo padre inspirò, aggrappandosi al parapetto. “Anche perché l’esplosione deve averla danneggiato la stiva … stiamo imbarcando acqua.”
Ron annuì. “Squadre, ora di usare le Passaporte! Gli Infetti sono stati messi in sicurezza?”
“Tutti Signore!”
“Civili trovati? Babbani?”
“Uno, il Pozionista. È stato arrestato!”
“Okay, ora di andarsene! Lasciamo che del resto se ne occupi la Marina Militare Babbana.”
 
James si voltò verso Harry, che abbozzò un sorriso. Non gli chiese se avesse bisogno di aiuto, si passò direttamente un suo braccio sulle spalle, prendendo la Passaporta che l’altro gli porgeva.
“Hai fatto un buon lavoro lì dentro. E mi hai salvato la vita. Bravo, James.”
Si impedì di gonfiare il petto o sorridere come un ragazzino felice. Anche se era un bel po’ complicato visto che si sentiva scoppiare il cuore di orgoglio. “… ho ricambiato il favore, no? Tu me l’hai data ed io te la salvo.” Inspirò per non farsi venire gli occhi lucidi. “Ora però torniamo a casa papà … c’è gente che ci aspetta.”
Suo padre gli arruffò i capelli. “Torniamo a casa.”
 
****
 
“Signora Potter, suo marito è qui.”
Ginny sobbalzò quando la mano di Guglani la scosse dolcemente; dopo aver portato Sophia ad Azkaban era tornato in ospedale mettendosi a completa disposizione sua e di Lily.
I piccoli privilegi di essere la moglie del Capo …
Controllò che Lily stesse ancora dormendo, raggomitolata a fianco di Sören, e sorrise al ragazzo. “Grazie, Sonny … adesso arrivo.”
Ogni volta che Harry tornava dopo una missione era come esser di nuovo ragazza e rivederlo sporco e lacero sulle scale di Hogwarts.
Ogni volta, come quella volta, rivide il ragazzo coraggioso e insopportabile di cui si era innamorata, oltre le rughe e i primi fili grigi tra i capelli.
Harry era sostenuto da James e Ron, ma quando la notò, ovviamente si staccò per andarle incontro e dimostrarle che stava bene.
Fortuna voleva non avesse sposato una silfide, ma una donna Weasley di robusta costituzione che ebbe la forza di sostenerlo e fingere che quella frana fosse un abbraccio tra coniugi ancora molto innamorati.
“Non ti chiederò com’è andata…” Gli sussurrò all’orecchio. “… ti chiederò solo se hai intenzione di farla finita di farmi preoccupare così, Potter.”
“È più o meno la stessa cosa che mi ha detto tuo fratello.” Borbottò contro la sua spalla passandole un braccio attorno alla vita. “Firmate le dovute scartoffie mi metterò in ferie, promesso.”
“ … o ho la licenza per una fattura Orcovolante?”
“Fai del tuo peggio.”  
Harry alzò il viso e posò la fronte contro la sua. Aveva perso gli occhiali da qualche parte, o forse li aveva volutamente tolti, da serpe qual’era. Quei dannati occhi avevano ancora il potere di mozzarle il fiato.
“Ce l’abbiamo fatta, Ginny. Tutti a casa sani e salvi.”
Gli prese il viso tra le mani e lo baciò: dalle retrovie sentì qualcuno fischiare e probabilmente era James. Vide balenare anche un flash e si appuntò di comprare l’Edizione del Profeta il giorno dopo.
Giusto per vedere cosa Rita si sarebbe inventata stavolta per giustificare la tesi secondo cui fossero prossimi al divorzio.
Divorziami questo.
Harry si staccò battendo le palpebre con un sorriso che per fortuna non aveva mai regalato alla stampa, o avrebbe ancora dovuto combattere contro orde di streghe di mezza età con gli ormoni in subbuglio. “… pensandoci forse potrei chiedere a M un congedo temporaneo.”
“Come se ti credessi.” Lo prese a braccetto e fece cenno a James di avvicinarsi.
“Te lo porti via mamma? Fai bene! Agli scribacchini e altre cazzate pensiamo noi!” Esordì allegro: sporco, lacero e con qualche bruciatura di troppo aveva comunque un sorriso capace di illuminare uno stadio. Come poteva impedire ai suoi figli di seguire i propri sogni, anche se pericolosi, quando li rendevano così felici?
Per quanto riguarda il padre, quella è un’altra storia.
“Jamie…” Tentò Harry ma lo bloccò serrando la presa. “… okay, fa’ parlare tuo zio Ron. E digli che domani va’ organizzata una conferenza stampa con M e Malfoy.”
“Ehi, guarda che me lo ricordo come funziona la grande macchina del Ministero!” Esclamò con aria offesa. Poi strizzò loro l’occhio. “Sono meno scemo di quanto si pensi.”
Ginny gli strinse una spalla. Gli bastò leggere nello sguardo fiero di Harry e quello finalmente appagato del figlio per capire che James era riuscito a dimostrare qualcosa di importante a sé stesso quella notte. “Buon rientro ad Hogsmeade”
“Grazie ma’.” Parve ricordarsi qualcosa di colpo. “Ah, vi devo dare una notizia bomba. Ma dopo.
“Dopo.” Convenne, che suo marito non sembrava in grado di tenere gli occhi aperti, figuriamoci gestire una notizia in pieno stile primogenito Potter.
“Tua sorella è con Ren. Se la trovi sveglia aggiornala.”
“Ricevuto!”
 
Ginny pilotò il marito, fattosi docilissimo, verso l’uscita.  
“È ora di riposarsi, Salvatore.”
Harry le sorrise, intrecciando la mano alla sua. “Non puoi che trovarmi d’accordo stavolta.”
C’era del sottotesto in quelle parole, ma decise che non era il momento per sviscerarlo.
Avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per farlo.
 
****
 
Teddy non era riuscito a rimanere lontano da Benedetta in quei giorni: vuoi quanto capitato con Vulneraria, vuoi perché James era lontano – e in pericolo – da quasi quarantotto ore.
Del resto Ben in quei frangenti si era comportata … da Ben, e questo l’aveva distratto più di un centinaio di libri di narrativa letti uno di fila all’altro.
Scusate libri. Ma è la verità.
Per questo quando la notte prima si era infilata nel loro letto pretendendo di dormirci non aveva cercato di dissuaderla come molti testi pedagogici consigliavano.
Ne avevano bisogno entrambi.
Aveva trascorso la notte in dormiveglia, ma con la testolina arruffata della sua bambina a solleticargli il collo, era stato tutto un po’ meno ansiogeno.
Quando il compagno tornò stava praticamente dormendo; percepì comunque il peso del letto abbassarsi.
“… Jamie?”
“Mi hai già rimpiazzato, Teddyblu?” Lo apostrofò con il nomignolo di infanzia, per poi baciargli la guancia: aveva l’odore di polvere bruciata addosso (la magia) e del sudore dato dall’adrenalina. Non si era tolto neppure il corpetto dell’uniforme.
Gli passò una mano dietro il collo, tirandoselo ancora più addosso. Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato ad amare un odore del genere.
Eppure.
L’altro ridacchiò, stendendoglisi accanto e calciando via gli stivali che finirono da qualche parte con un tonfo sordo.
Sul tappeto, perlomeno…
“Tutto bene…?” Mormorò mentre il compagno allungava la mano per arruffare i capelli di Ben, la quale emise un brontolio di protesta pur senza svegliarsi.
“Il cattivo è stato sconfitto, i buoni hanno vinto.” Gli rispose. “Voi?”
“Ti aspettavamo.”
James rimase un attimo in silenzio per poi stringerlo più forte. “Quello lì era proprio un coglione.”  
Ted si voltò per specchiarsi nelle iridi nocciola del compagno. Chi diceva che gli occhi chiari erano i più belli, non aveva mai contemplato quelli del suo ragazzino. “… di chi parli?” Domandò accarezzandogli una guancia.
“Nessuno di importante.” Scrollò le spalle. Sogghignò. “Come sempre, ho fatto la scelta vincente!”
Ted sbuffò divertito. “Anche dormire sarebbe una scelta vincente. È l’alba.”
James, quasi a riprova della sua affermazione, gli sbadigliò in faccia. “Mi faccio una doccia e arrivo.”
Fece in tempo a scivolare di nuovo nella prima fase del sonno, quella vera stavolta, quella sollevata e serena, che James si infilò sotto le coperte, adesso tutto cotone e profumo di bagnoschiuma. Era quello che sia lui che Benedetta usavano, e profumava di casa. In mezzo a loro la bambina si espanse ulteriormente a stella marina.
James la contemplò un po’, con una strana espressione che gli fece venir voglia di baciarlo. Cosa che fece.
Quel giorno parevano capirsi meglio a gesti, che a parole.
“La scelta giusta…” Gli ripeté sulle labbra. “… siete la mia scelta giusta, Teddy.”
“E tu la nostra.” Lo guardò addormentarsi e poi, finalmente, lo seguì.
 
****
 
 
Quando Doe gli raccontava di cosa c’era dietro il velo, con il solo desiderio di spaventarlo, sosteneva che dopo non ci sarebbe stato nulla.
Solo buio infinito, l’oblio.
Da ragazzino aveva pensato che non fosse un brutto modo di andarsene. Anzi, considerato come stava vivendo, quando il momento sarebbe arrivato lo avrebbe accolto a braccia aperte.
Non si sarebbe mai aspettato di aprire gli occhi su un mattino infuocato di luce.
“Ehi, straniero… buongiorno!”
Né con la voce dell’amore della sua vita nelle orecchie.
“… sono morto?” La sua, di voce, invece sembrava ben poco eterea: roca e dolorante, piuttosto.
Una breve risata e il mondo riprese i propri contorni e giusti colori.
Non era il mattino ad essere di fuoco, ma i capelli di Lily, alla finestra. Poi, vicina a lui.
“Un morto potrebbe fare questo?” Gli premette un bacio sulle labbra. Lo ricambiò come se gli stesse porgendo un bicchier d’acqua in una giornata di afa torrida.
Direi di no.
Quando riaprì gli occhi Lily era ancora lì: quindi era la realtà.
Dalla realtà voleva però avere delle risposte. “… Luzhin?”
“Morto. Si è suicidato nel tentativo di far fuori papà … gli Infetti sono in cura. I Mercemaghi e il Pozionista sono ad Azkaban.” Illustrò diligente mentre gli porgeva un bicchiere d’acqua.
Sören, ancora intontito, fece fatica a distinguere il nesso delle parole dell’altra ma bevve diligente: assaporò qualcosa di dolce e doveva trattarsi di una Pozione perché gli parve di recuperare lucidità.
Gli ostaggi.
Era una fortuna essersi innamorato di una Legimante Naturale perché non dovette trovare le parole: Lily poteva farlo per lui. “Al sta bene, è a casa con Tom. Tua madre è di nuovo ad Azkaban, ma è viva e scoppia di salute. Tranne quel pazzo, tutti vivi.”
Vivi.
Era un buon risultato. Un ottimo risultato. Perché significava che aveva ottenuto ciò che aveva desiderato da quando era stato coinvolto in quel caso.
Sono libero.
Finalmente libero dall’ombra di Doe e assolto dalle colpe della sua famiglia. Libero di scegliere che uomo essere e di poter stare accanto alla strega dei suoi sogni, che in quel momento lo stava guardando come non l’aveva mai guardato nessuno.
Come qualcuno da amare. Alzò una mano a scostarle i capelli dalla fronte. La sua unica mano.
Qualcosa nella sua espressione dovette tradirlo, perché l’altra gliela prese, baciando ogni singolo dito. “Hai mantenuto la promessa, Ren. Sei tornato da me.” Mormorò. “Il resto … lo affronteremo. Assieme. Anche questa è una promessa.”
Annuì, perché le credeva. Perché d’ora in poi qualsiasi cosa il mondo avesse deciso di tirargli addosso, avrebbe avuto qualcuno a combattere con lui.
“… siamo bravi a mantenerle, mia Lily.”
“Bravissimi.”
Ed era una differenza fondamentale.
L’unica che davvero contasse.
 
 
 
 
 
****
 

Note:

Non tirate ancora fuori i fazzoletti. C’è l’epilogo! Che è già stato scritto. ;)
Indicativamente penso di postarlo lunedì pomeriggio.
 
Qui la canzone del capitolo.



 
 
  
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