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Autore: PandoraHearts    19/08/2018    0 recensioni
Il paese delle meraviglie.
La prima volta che ho udito questo nome, la fantasia ha iniziato a creare un mondo fantastico ed idilliaco.
Alice.
Un nome perfetto per una bambina protagonista di una storia, come anche gli altri.
Le storie hanno sempre una morale è la prassi, però per questa volta possiamo anche farne a meno.
Allora, vogliamo cominciare Signor Coniglio?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il riflesso negli occhi del ragazzo non sembrava il suo volto, distorto e mescolato nella sua iride, toni diversi sovrapposti. Cadere in quei contrasti era così semplice e dolce, quieto; il soccombere di un animo arrendevole nel silenzio, che scivolava nella polvere.

Si abbandonava a quel corpo familiare, ma allo stesso tempo sconosciuto, nel mondo della materia appariva come alterato, oppure era il mondo della mente, dove avevano vissuto così a lungo, ad esserlo. Le membra di entrambi arrivavano ad essere delle belle gabbie, delle trappole per topi, ma forse non era così rilevante quell'affermazione.
Chiusi gli occhi, il mondo diventò oscurità rassicurante.
Il respiro restò regolare, alzando ed abbassando i petti, il battito cardiaco restava l'unico suono predominante.
Nessuna parola in quella pace.
Il calore di entrambi li cullava, nessun pericolo reale nel mondo circostante, finalmente quell'esperimento era concluso.
Tornavano a vivere, ma continuando a scappare allo stesso modo di allora, questa volta insieme.

L'aria carica di fumo li aveva raggiunti, mentre erano immersi nell'oscurità della notte, protetti da quella fidata compagna di misfatti di ladri e bugiardi assassini, come loro due erano. Nulla di nuovo sotto la luna, che vegliava su quei suoi figli negligenti, mentre avevano trovato una via d'uscita da quella gabbia nefasta. Affondavano i piedi in della sabbia scura, fredda, leggera, che veniva sollevata bruscamente al loro passaggio in una corsa scattante e frettolosa, come la lepre, che avanza veloce per preservare la sua vita. La loro velocità era dettata dalla paura, non da un'impeccabile forza fisica ed allenamento, ma non esitavano ad evitare di fermarsi. Nessuna parola, neppure ne avevano il tempo, facendosi strada tra i rami, che graffiavano braccia e gambe, ostacolando il loro avanzare insieme all'incremento dei rovi. Il paesaggio si faceva man mano più arido, roccioso, non riconoscevano quel posto, ma la sensazione di familiarità era lieve, nascosta. Erano stanchi, non sapevano neppure fin dove si fossero spinti, senza mappa e con una meta vaga. L'alba non accennava a mostrarsi, anche se il tempo passava inesorabile e loro erano sempre più provati, un timore atavico si faceva strada nella mente e nel corpo, una consapevolezza. Erano tornati nella loro stessa prigione, mescolata agli altri, senza via di fuga se non il risveglio. Il fumo e la cenere stava cominciando ad offuscare la vista, senza un'origine precisa, opprimeva il petto rendendo difficile la respirazione.
Nessuno che poteva salvarli.
Quale fine orribile, ignobile, senza gloria.
Crollarono a terra, contorcendosi dal dolore, la pelle bruciava, sciogliendosi, gridando, piangendo, soli nella loro fine. Abbandonarono quel mondo nella sofferenza, come erano nati e come avevano vissuto, divisi, animi solitari ed indipendenti da altri.

*

Si svegliò di scatto, il corpo tremava, in quello smarrimento dopo un brusco risveglio. Lasciò scivolare le dita sul materasso e la coperta, neppure una fonte di luce a rischiarare quell'oscurità soffocante. Non un punto di riferimento ed il silenzio la tranquillizzò in parte.
Nessuno sembrava essersi abituato a rivedere il proprio corpo cambiato, ubbidivano il più delle volte, reprimendo l'odio ed il disprezzo per tutti quei visi apatici d'infermieri. Lo detestavano con tutto il cuore quel dottore dai capelli chiari, quasi bianchi, dagli occhi di un profondo rosso.
Non sarebbero rimasti a guardare ancora, lasciando andare in degrado la loro storia, avrebbero cambiato il finale scontato di bestie rinchiuse in anguste gabbie. Erano spietati, senza nulla da perdere e insieme, in un gruppo sgangherato loro quattro, collaborando in qualche modo, raccimolando odio, fremendo dal voler recidere i fili di tutti quei burattini blu, per colpire il capo di tutto, cercando di sistemare i corpi, troppo deboli per compiere quelle loro fantasie di sangue.
'Alice' sospirò, la guancia appoggiata alla spalla del 'lupo', le dita intrecciate alle sue e lui con la schiena appoggiata al muro.
"Finalmente un po di tranquillità.." commentò piano il ragazzo, in un sussurro, giocando con i capelli lunghi e scuri, sottili come la tela di un ragno che lo legava alla figura vicina. Sorrideva appena a sentire il respiro regolare e flebile sul suo collo. Medesima espressione sul volto della ragazza.
"Già, ci danno fin troppi esercizi da fare." Gli accarezzava il petto nudo, lentamente e lievemente, baciandogli una guancia. Lo guardava perdendosi nei suoi occhi scuri, le accarezzava una guancia piano, le sfuggì una risatina divertita, che si interruppe non appena la porta venne aperta.
La mora mugugnò infastidita, l'altro la baciò abbracciandola lanciando un occhiata di ghiaccio all addetto, come per minacciarlo, senza ringhiare. Dopo un ultimo momento di coccola, 'Alice' seguì l'infermiere, ancora in condizione di timore dopo quello scambio di occhiate, la portò poi dal dottore lasciandoli soli.

-

Non voleva avere problemi con la pupilla del capo e con lui in modo diretto, quell'uomo lo inquietava dal primo giorno che lo aveva visto mettere piede in quel posto, ancora sicuro nella sua giovinezza, un pesce sguazzante nel mare, ignaro della legge della natura e della morte imminente. Da allora non era cambiato nell' animo, almeno superficialmente, gli occhi erano molto più cattivi, pieni di un qualche stato d'animo da voler sfogare, ma lui non voleva averci nulla a che fare.
Chiudendo la porta recise quel flusso di ricordi e di pensieri, lasciando la mente vagare alle scarse aspettative per quel pranzo.


Quella stanza era uguale alla prima volta in cui l'aveva vista.
Troppo ordinata, l'aria stantia ed opprimente, satura di una sensazione di disagio che dava quella cappa di silenzio scandita dallo scrivere incessante dell'uomo con il capo chino su delle carte. La scrivania ordinata, nulla lasciato al caso, in uno spazio asettico quanto una sala operatoria.
Rivedere il signor coniglio le creava sensazioni contrastanti: una felicità mista a risentimento per l'abbandono, anche se causato da lei. Ne studiava i lineamenti, non aveva alzato lo sguardo dalle carte neppure una volta. Le dava un po fastidio, ma non gli voleva dare alcuna soddisfazione. Restò in piedi vicino alla scrivania pensando a tutti i modi con cui poteva usare i vari ninnoli da ufficio per fare a pezzi il corpo dell'uomo.
Alzò ancora lo sguardo incontrando due iridi rosso sangue, un'espressione seria non le lasciò il volto, mentre un leggero sorriso beffardo si delineava sul viso di fronte al suo, dai tratti scolpiti ed allo stesso tempo dolci. Si era sporto un po verso di lei, che stava sfiorando il legno della scrivania e portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Provava quasi un senso di confusione a guardarlo negli occhi, senza vacillare, non poteva farlo, ma il gesto abituale l'aveva tradita.
Era a disagio, almeno in minima parte, in futuro si sarebbe trattenuta.
"Allora mia cara, come ti senti? È passato un mese ed ancora non hai provato ad uccidermi, credo sia un buon inizio, come per gli altri.. State reagendo bene." il tono sembrava fin troppo pratico con un velo di divertimento.
L'altra assunse un'espressione ironica, a difesa del suo reale stato d'animo.
"Si certo.. Non ne ho avuto l'occasione 'signor coniglio'." Appoggiò i palmi al bordo della scrivania, guardandolo negli occhi, facendo trapelare sicurezza dal suo piccolo corpo di ragazza. Il dottore rise, sfiorandole una guancia piano.
"Non sei cambiata da quando sei arrivata, stesso modo di fare. Almeno non hai cominciato la terapia di riabilitazione, come quella tua 'collega'." Le passò il pollice sulle labbra, non interruppero il contatto visivo, anche quando lei gli morse forte il dito con fare d'animale, una luce intensa negli occhi.
Una bestia ribelle.
L'altro si scostò, il sorriso sul suo viso si era spento, cercò di fermare il sangue poggiando le labbra finendo poi per grugnire, quasi infastidito.
"Si... È un bene che tu non sia cambiata Alice." La ragazza sputò sul pavimento coperto da un tappeto scuro e si voltò, uscendo dall'ufficio, ne aveva abbastanza di quel tipo, le dava sui nervi.
Il suo sangue tra le labbra le dava la certezza che sarebbe stato divertente farlo fuori a momento debito.
Testa alta e nessun medico a fermarla... Guardarli le faceva pensare ad un enorme incendio per interrompere la vista di quel colore di mare. Si, sarebbe stato interessante da scatenare, vedere quei corpi dissolversi.
Sorrise, anche se la tenevano d'occhio.

*

Lo spettacolo cominciò in perfetto orario, scandito da movimenti febbrili, topi neri di fuliggine che abbandonavano la nave. Lasciarono andare tutto in declino, fuggendo per aver salva la vita, nessun ideale particolare, solo la mente dominata da un impeto atavico e galoppante, simili a degli indomiti puledri imbizzarriti. L'istinto di sopravvivenza dirigeva ogni mossa spasmodica, senza possibilità di riprendere coscienza di sé. Il brillare delle lame, l'odore di sangue misto a cenere li perseguitava, le ombre dei 'bambini' li seguivano, mastini da caccia impazziti, folli, alla ricerca dell'ebbrezza della caccia.
Era la fine di ogni cosa, ma quel tiranno, riverso nella cenere del suo glorioso dominio, contro la sua crescente frustrazione del suo sogno distrutto, trovò una fine violenta, straziante. La sua pelle diafana affogata nel sangue, sfregiato il suo candore, macchiata visibilmente dal peccato compiuto, in precedenza celato nella sua anima. Gettarono il cuore pulsante, strappate le interiora, accompagnate da delle risate isteriche, concitate, un'operazione grossolana e grottesca, compiuta, mentre la preda guardava i suoi carnefici negli occhi.
Un'esecuzione.
Non erano umani, neppure lo erano mai stati.
"I simili si uccidono tra loro", considerò, nell'ultimo barlume di vita, accolse quel buio con ribrezzo e un sapore metallico nella gola, misto allo scontento di quell'operazione non conclusa nel migliore dei modi.
Nelle orecchie un vecchio motivetto lo accompagnò per l'ultima volta, a ricordo di un'infanzia svanita da tempo e mai vissuta.

"On the farm, ev'ry Friday
On the farm, it's rabbit pie day
So ev'ry Friday that ever comes along
I get up early and sing this little song"


La prossima volta avrebbe fatto il proprio compito al meglio.
Ne era convinto.
Un ultimo respiro strozzato, agonizzante e il dottore lasciò quel mondo, per l'ennesima volta.
Un nuovo ciclo prese il posto di quello precedente, un accecante fiamma prese ad ardere nel buio attizzata dalla volontà, senza sosta e divorando ogni cosa, per ricreare la sua precedente gloria. La psiche e la mente si migliorano, come la conoscenza del passato e di una variante del futuro.

Una nuova storia.

Un coniglietto dal manto bianco emerse dalla cenere e carcasse di metallo, il tutto sparso su un perimetro definito dall'uomo, una macchia scura, indelebile. Iniziò a muovere qualche passetto incerto, il pelo a chiazze nere e bianche, storse il musetto, come contrariato o infastidito dall'odore di carne e materiale arso fino a un tempo indefinito. L'alba tingeva sempre più il cielo dei suoi colori caldi, schiarendo la vista del piccolo batuffolo leggermente tremante, in balia della brezza del nuovo dì. Le orecchie si rizzarono a sentire qualcosa cadere con un tonfo sordo, il cuore del piccolo animale prese a battere forte, memore del brutto passato della sua specie a livello inconscio.
Scappò via.

"Run rabbit, run rabbit, run, run, run
Run rabbit, run rabbit, run, run, run
Bang, bang, bang, bang goes the farmer's gun"


Dal passato e da quella landa nascosta a occhi indiscreti.
Si nascose tra i cespugli, continuando a procedere tra i rami secchi e le foglie morenti. Il resto si svolse in un attimo, assolvendo al suo compito di preda negli ultimi stadi della catena alimentare, stretto nella morsa del lupo dagli occhi di ghiaccio, implacabili e gelidi, sparì nel regno del suo assassino, che lasciava una sottile scia scarlatta sull erba bagnata di rugiada.
Al riparo della sguardo del padre Sole tanto detestato e in attesa dell adorata madre Luna.
Trepidante per l'arrivo della sua Selene, ne riconosceva l'odore nell aria, portato dal vento leggero della mattina. Si nutrì della carne del suo antico sfidante, reso innocuo da quel nuovo ciclo, vincendo quella battaglia, ma non quella guerra dall'esito incerto.

"Run rabbit, run rabbit, run, run, run, run
Run rabbit, run rabbit, run, run, run
Don't give the farmer his fun, fun, fun
He'll get by without his rabbit pie
So run rabbit, run rabbit, run, run, run"

 

- Fine




Note: - brano musicale, "run rabbit run" cantata da Flanagan and Allen. (1939)
Link: https://youtu.be/SXmk8dbFv_o

   
 
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