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Autore: Moony16    19/08/2018    1 recensioni
Berlino non era ancora una città sporca di sangue quando Caroline vi arrivò contro la sua volontà in quell'estate del 1940, quando nessuno avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbe preso la storia. Con sè, solo una nuova identità, un nuovo nome, la stella di Davide finalmente strappata via dai vestiti e una vita intera lasciata alle spalle.
L'accompagna Joseph, un giovane ufficiale delle SS, il perfetto ariano, uno di quei uomini che potrebbe benissimo stare tra le figurine che la ragazze si passano tra i banchi di scuola, in una rivista del partito nazionalsocialista o in un volantino che incita alla guerra, per riprendersi il "Lebensraum", lo spazio vitale tedesco.
Cosa li lega? Nulla in realtà, se non un'infanzia passata insieme e un debito che pende sulla testa del giovane come una condanna.
***
LA STORIA E' INCOMPLETA QUI, MA LA STO REVISIONANDO E RIPUBBLICANDO SU WATTPAD NELL'ACCOUNT Moony_97, DOVE LA COMPLETERO'
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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Alzarsi e servire la colazione a Joseph quella mattina per Elly non fu affatto facile. Era ancora un po’ dolorante, ma quello che bruciava davvero era qualcosa di più intimo, più intrinseco nel suo animo. Si sentiva lacerata, soprafatta, umiliata e soprattutto impotente. E lo odiava. Odiava dovergli la vita, dipendere da lui, dovergli obbedire, sottostare a quello che lui diceva. Ogni volta che pensava a quel viso, a quella voce, a qualsiasi cosa gli ricordasse Joseph, un conato di nausea la investiva, odio bollente e profondo. Desiderava più di ogni altra cosa alzarsi di notte, afferrare un coltello e piantarglielo nel petto. Ma poi? Se anche avesse preso i falsi documenti, troppe persone ormai sapevano che era la sua cameriera: l’avrebbero presa e uccisa. E in ogni caso, dopo non avrebbe avuto dove andare, neanche rubando tutti i suoi soldi. No, era costretta a restare lì se voleva vivere, se voleva continuare a vedere Dimitri, se voleva restare al sicuro. 
Il prezzo da pagare però, era altissimo per lei.
Quella mattina non lo guardò in faccia, mentre gli serviva una colazione mezza cruda e per poco non gli versava addosso il caffè. Lui non commentò, la seguiva con lo sguardo in cerca di qualche reazione che non tardò ad arrivare. Caroline non riusciva più ad ignorarlo come aveva fatto negli ultimi tempi, doveva in qualche modo espellere quel sentimento bruciante verso l’ufficiale. 
«la colazione è di vostro gradimento signore?» disse con aria di sfida e sputando quel “signore” come se fosse un insulto. Lui la guardò senza ribattere, turbato dagli avvenimenti recenti. Si rendeva conto che la sera prima aveva esagerato, che aveva perso il controllo, nonostante agli occhi di lei era parso calmo e gelido.
La verità era che si era preoccupato per lei, e vederla tornare con quel ragazzo con cui le aveva espressamente proibito di stare, gli aveva dato alla testa. 
Il suo corpo poi, coperto solo dalla biancheria intima, lo aveva infiammato tanto che lui stentava ad ammetterlo persino con sé stesso. 
Quella notte Joseph non aveva chiuso occhio, tormentato dalla colpa e dal desiderio. Alla fine, aveva ceduto all’istinto di pensare a lei in un modo che fino a quel momento si era proibito a causa delle sue convinzioni. Immaginò di poter toccare quella pelle bianca, di posare le sue labbra in quel corpo e di privarlo di ogni qualsiasi altro lembo di stoffa. Immaginò come sarebbero potuto essere ascoltare i suoi gemiti, e le piccole mani di Caroline sul proprio corpo, tra i suoi capelli, nel suo collo e poi … la mano di Joseph era scesa quasi di volontà proprio lì dove pulsava forte il suo desiderio, prova di un peccato non consumato, l’evidenza che il suo corpo la desiderava. Non pensò neppure per un momento al fatto che lei fosse ebrea, mentre faceva scivolare la sua mano in un movimento familiare ma a cui non era più avvezzo da tempo, immaginando fosse la mano di lei a farlo, il suo fiato quel soffio di vento freddo che gli aveva solleticato la faccia e gli occhi chiusi, il suo corpo le lenzuola che lo avvolgevano.
Lo aveva desiderato così tanto, che quando alla fine il suo seme si era riversato su di lui e sulle lenzuola, era stato deluso di non trovarla lì.
 Joseph quasi era arrossito come un ragazzino quando l’aveva vista quella mattina, ripensando alla notte precedente e al modo in cui l’aveva pensata. 
Quando poi lei era stata sgarbata con lui, gli aveva servito una colazione improponibile, e lo aveva velatamente insultato, aveva deciso di lasciare correre, nonostante fosse evidente che cercava lo scontro.
«ho finito qui, o devo pure lustrarle le scarpe?» aveva chiesto, prima di sparire in bagno senza neppure ascoltare un’eventuale risposta.
«questa divisa è l’emblema della sua grandezza signore» aveva detto con finta ammirazione. E lui sapeva che la considerazione che Caroline aveva dei soldati era al di sotto dello sterco di cavallo.
«mi raccomando svolga bene il suo utilissimo lavoro. Sono sicura che se rovinerà un altro paio di famiglie, il mondo sarà un posto migliore» aveva detto infine prima che lui uscisse di casa con pungente ironia. 
Joseph aveva lasciato perdere, nonostante una parte remota del suo essere gli dicesse che un’ebrea non avesse alcun diritto di sentirsi offesa per una punizione più che legittima. E poi, non le aveva fatto neanche così male, anche se aveva intenzionalmente colpito il suo orgoglio.
Per lo meno così non dovrebbe vedere più quel bell’imbusto, pensò scoraggiato. Sapeva di aver esagerato, ma si diceva che c’era un motivo alle sue azioni e che lei doveva smetterla di fare di testa propria.
Caroline invece quella mattina sfogò tutta la sua rabbia nella casa che apparteneva a lui, e a lui soltanto. Rovesciò sedie, ruppe due bicchieri e un piatto, tirò posate. Poi andò nella stanza di Joseph e come una furia spalancò il cassetto in cui c’erano le sue lettere e le sue foto. Non c’era più andata da quando lui l’aveva scoperta, da allora aveva smesso di guardarlo come una persona con qualche speranza di redenzione. Con rabbia prese tutte le lettere che gli aveva scritto e le portò in cucina. Le buttò dentro una pentola, poi prese la scatola dei fiammiferi. Si muoveva in fretta, con gesti a scatti, arrabbiata come un animale ferito, calpestando incurante i cocci di vetro e porcellana. Ruppe due fiammiferi per la fretta, poi finalmente riuscì ad accenderne uno. La fiammella folgorò prima rossa, e rimase a galleggiare nella sua mano per un attimo che parve infinito. Poi cadde nella carta ingiallita dal tempo, mentre l’inchiostro scritto con tanto amore si scioglieva nell’odio dell’età adulta. Così Caroline cancellava il candore della loro infanzia, i loro giochi, il loro essere affiatati. Jo non era solo morto, non era mai esistito. All’immagine del bambino si sovrappose quella del soldato, mentre le fiamme mangiavano l’ultimo residuo di affetto che le rimaneva per lui.
Nella pentola rimase solo cenere, e l’angolo bruciacchiato di una sua foto. E Caroline la lasciò al centro del tavolo, come un re su un trono, nelle desolazione di quella cucina. Poi prese il cardigan, sistemò i capelli con le mani e uscì dall’appartamento. 
Doveva vedere Dimitri, e subito.
Lo aspettò al loro solito angolo, impaziente, la faccia stravolta e un gran desiderio di mettersi a piangere come una bambina. Era scombussolata come mai le era capitato prima. Essere stata umiliata in quel modo, per una ragione tanto banale, dall’uomo che aveva giurato di proteggerla, l’aveva fatta crollare. Aveva sopportato mille angherie da quando il nazionalsocialismo aveva preso il potere, si era ritrovata a fare la cameriera, dove l’avevano sempre trattata come un’appestata, dei soldati le avevano alzato le mani, era stata costretta a mangiare le cose peggiori e ad abbassare gli occhi quando qualcuno la scherniva. Ma niente, niente era stato mai paragonabile all’umiliazione della sera prima. Lo aveva pregato di non farlo, lui l’aveva ignorata. L’aveva costretta a contare i colpi di cinghia che riceveva, le aveva dimostrato che lei era assolutamente niente. 
Dimitri sbucò dalla stradina con passo svelto e un’espressione preoccupata. Aveva capito che lei avrebbe passato i guai quella sera, ma non immaginava fino a che punto. Il ragazzo non era stupido, aveva capito che in qualche modo lei era considerata una nemica dello stato. Poteva essere un’ebrea, una comunista, figlia di un traditore, o mille altre cose. Non gli importava granché, non condivideva gli ideali del partito e se era rimasto buono era solo per la propria famiglia. Quello che però non riusciva a capire era cosa c’entrasse quell’ufficiale con lei. Che non sapesse nulla, era impensabile. Dimitri aveva capito che in realtà, in qualche modo contorto, lui la proteggeva: dopotutto, la cameriera di un ufficiale era insospettabile.
Dimitri arrivò davanti a lei con quei pensieri in testa, ma non ebbe nessun modo di esprimerli, perché la ragazza gli buttò le braccia al collo e iniziò a piangere a dirotto.
Le gente li osservava stupita, così lui si affrettò a trovare un posto in cui sedersi e farla calmare. Lo trovò nel parco in cui andavano sempre dopo il mercato, su una panchina un po’ isolata.
La trascinò fino a lì imbarazzato dallo spettacolo che stavano dando e sempre più arrabbiato con quell’uomo. Che le aveva fatto? Perché non la smetteva di piangere e sembrava tanto disperata? Che l’avesse picchiata? Violentata? Umiliata? Non ne aveva idea, e il terrore che le avesse fatto qualcosa di terribile lo invase mentre guardava i capelli rossi della ragazza che aveva il viso aggrappato al suo petto. La teneva stretta, accarezzandole la schiena e i capelli nella speranza che si calmasse. 
Smise di singhiozzare dopo un po’ ma rimase in quella posizione, accoccolata nel suo petto, al sicuro tra le sue braccia, tra quell’odore di pane che lo caratterizzava e le carezze lievi che l’avevano rilassata.
Poi, parlò.
«non ne posso più, Dimitri. Non ne posso più» disse solo, ancora in quella posizione. 
«che ti ha fatto?» chiese lui rigido, trattenendo il respiro. Lei tentennò un attimo. Non voleva dirgli cosa le aveva fatto in realtà, la imbarazzava troppo, non voleva ripeterlo e poi gli avrebbe fatto capire che lei non era solo una cameriera in quella casa.
«mi ha umiliata … in tutti i modi possibili» disse solo mentre altre lacrime le scendevano dal viso.
Io non piangevo mai, guarda come mi ha ridotta, pensò in un moto di rabbia. Così fece un respiro profondo e cercò di smetterla con quelle lacrime. 
«ti ha … toccata?» chiese lui con voce tremante. Lei aggrottò le sopraciglia.
«che intendi per toccata?» chiese, senza guardarlo negli occhi.
«lui …lui … Dio Caroline ti ha forzata a fare cose che non volevi fare? Ha provato a … a … insomma dai, hai capito» chiese lui, rosso e imbarazzato, ma comunque tremante per la risposta. Lei scosse la testa lentamente, con un sorriso amaro: Joseph non l’avrebbe mai toccata in quel modo, almeno di questo era sicura: aveva troppa paura di contaminare la sua purissima razza ariana.
«ti ha picchiata?» chiese quindi Dimitri, sollevato da quella notizia, ma ancora parecchio su di giri. Lei annuì lentamente, gli occhi di nuovo lucidi.
«non vuole che ci vediamo. Non chiedermi perché, non riesco a capirlo, ma non vuole» 
«Elly … se non vuoi più stare con lui, se ti alza le mani, ti umilia e ti rende la vita così impossibile, perché non ti licenzi?» lei lo guardò negli occhi e scosse la testa.
«non posso licenziarmi, non posso andarmene …» disse con una nota di disperazione nella voce.
«devo restare lì almeno fino a che la guerra non finirà … poi lascerò questo paese» disse in un sussurro a malapena udibile da Dimitri, le labbra nascoste nel suo petto. Lui mise la faccia nei suo capelli.
«lui sa?» chiese anche lui sussurrando, intuendo già la risposta. Lei annuì, impercettibilmente.
«ti ricatta?»
«più o meno. Ma gli devo la vita. Ti prego, non chiedermi di più» Dimitri sospirò a quella risposta così enigmatica e le si allontanò.
«Dimitri, stare con me è pericoloso. Non credo che arriverebbe a minacciarti però … sarebbe meglio se lasciassi perdere» disse spaventata. Alzò il viso, per guardarlo negli occhi. Lui la guardò scuotendo la testa.
«vuol dire che ci vedremo solo così … non se ne accorgerà» disse apparentemente calmo.
«Dimitri, io non voglio avere te e la tua famiglia sulla coscienza»
«infatti non ci avrai. Mi hai detto come stanno le cose, più o meno. Ho fatto la mia scelta, Elly: voglio stare con te» lei lo guardò quasi con disperazione.
«è una cosa senza futuro»
«voglio stare con te»
«se sapesse che tu sai queste cose, ti ucciderebbe» esagerò.
«voglio stare con te» lei scosse la testa.
«sempre se tu lo vuoi, Elly. Sei disposta a subirne le conseguenze?» 
«qui l’unico che subirebbe le conseguenze sei tu. Lui, per un motivo o per un altro mi tratterà sempre così,  ma non mi farebbe mai del male seriamente. Io sono relativamente al sicuro. Sei tu che rischi tutto» disse lei con una nota di panico nella voce. Lui le baciò la fronte, in un gesto spontaneo che la fece trasalire.
«siamo d’accordo, allora» disse con un sorriso, gli occhi blu fissi sul suo viso. Lei lo abbracciò di nuovo, e rimasero lì ancora un po’. Stavano in silenzio ma non c’era imbarazzo, era più un angolo di paradiso, di pace, in cui non c’erano bisogno di parole. 
Quando tornò a casa Caroline si guardò intorno sospirando. La cucina era un disastro, strapieno di cocci di vetro e porcellana, cenere e puzza di bruciato. Rassegnata, risistemò il caos nel pavimento, spazzando via i piatti rotti e i bicchieri frantumati. Rimise al loro posto le cose ancora intere, ma non toccò la pentola con i residui delle sue lettere sul tavolo. Non fece altro, non pranzò, non risistemò nulla, non ascoltò la radio, né prese in mano qualcuno dei libri di Joseph. Stette a letto, le ginocchia al petto e un sonno disturbato che si interrompeva spesso. Quella notte non aveva chiuso occhio e voleva recuperare un po’, anche se con scarsi risultati. Aveva la nausea per il nervosismo, era preoccupata per Dimitri e sperava che qualche carrozza o auto mettesse sotto Joseph, facendolo fuori una volta e per tutte. 
Ma lui tornò a casa, puntuale come un orologio svizzero, senza avere la più pallida idea di cosa lo aspettasse. Trovò la casa silenziosa e buia come una tomba, e per poco ebbe paura che lei se ne fosse andata. Sarebbe stata una mossa stupida, ma non improbabile. Dopotutto, aveva i documenti che le servivano per non essere arrestata, in casa c’era qualche spicciolo e non era improbabile che preferisse l’ignoto a lui. Gli mancò il respiro pensando a quell’eventualità.
«Caroline?» chiamò incerto. Nessuna risposta. Avanzò nel corridoio a grandi falcate.
«Caroline?» chiamò, alzando il tono. La cucina era buia come il resto della casa, le tende della finestra tirate. C’era una pentola sul tavolo. La guardò aggrottando le sopraciglia e gli si avvicinò. Dentro c’era cenere di carta. 
«Caroline?» disse, guardando meglio dentro la pentola, cercando di capire di cosa fosse. C’era un angolo ancora intero. Era una foto.
Una foto? Afferrò quel lembo di carta bruciacchiato e con sguardo inorridito si rese conto di cosa si trattava. Era la foto che lei gli aveva spedito quando aveva compiuto dieci anni, insieme alla lettera con cui lo ringraziava per il regalo che aveva ricevuto. 
Le lettere.
Guardò quella cenere scioccato, immobile. Sono le sue lettere.
Un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male. Le aveva conservate per così tanto tempo … erano le prove che qualcuno gli aveva voluto bene, che lui aveva ricambiato. Che anche lui una volta era stato una persona normale, che aveva provato sentimenti. La sua umanità, la parte migliore di sé stesso, era in quelle lettere bruciate davanti ai suoi occhi.
«Caroline!» urlò spazientito.  Lei non rispose, ma adesso Joseph era sicuro che fosse in casa. Un gesto di rabbia simile poteva essere dettato solo dall’impotenza. Se fosse scappata, non avrebbe nemmeno pensato a fare una cosa del genere.
Guardò tremante un’ultima volta la carta bruciata, poi si diresse verso la porta della stanzetta in cui dormiva e la spalancò con furia. La ragazza era rannicchiata nel letto con i capelli sparsi ovunque e il viso nascosto nelle braccia e coperto dal lenzuolo. A guardarla così, si sentì un mostro, mentre tutta la sua rabbia veniva spazzata via.
«Caroline …» addolcì la voce. Un singhiozzo scappò da sotto il lenzuolo.
«vattene Joseph. Và via» gli disse. Aveva la voce rauca e ovattata per il lenzuolo che si teneva ostinatamente addosso. Lui rimase immobile davanti la porta, incerto su come comportarsi.
«se tu mi avessi ascoltato non sarebbe successo niente di tutto questo» disse alla fine quasi con un tono di scusa, guardandosi i piedi. Lei non rispose, ma si rannicchiò di più su sé stessa.
«vattene Joseph» lui sospirò e si sedette sul letto. La rabbia per le foto bruciate era stata sostituita dal senso di colpa. Aveva superato il limite di sopportazione della ragazza, se ne rendeva conto.
«hai bruciate le lettere» disse. Non aveva la voce arrabbiata, solo stanca. Sembrava stanco della vita stessa, di sé stesso, di quella situazione. Sembrava volesse solo sparire nel nulla, essere inghiottito dall’universo e smettere d’esistere. Lei uscì la testa dalle lenzuola e lo guardò con gli occhi rossi gonfi di lacrime e d’odio.
«le avevo scritte per un ragazzino che non esiste più. Non erano per te, non ti spettavano, non le meritavi. Erano le mie lettere, e decido io dove devono stare» lui la fissò per un secondo, poi abbassò lo sguardo.
«no, non è vero. Volevi solo ferirmi in qualche modo» osservò lui con amarezza.
«se ti ho ferito, felice di averlo fatto. Ma non era per quello. Non erano tue, erano mie. Forse, le uniche cose davvero mie in questa casa» poi, guardandolo negli occhi, continuò il suo monologo.
«Una volta mi hai chiesto se ti odiavo e io non ti ho risposto: mi avevi salvato la vita, mi sentivo un’ingrata a dirti la verità. Ma sai Joseph? Io ti odio, come odio quel Fhurer che tanto decanti. Quando ti guardo è come se guardassi il diavolo. Io vorrei solo ucciderti, cancellarti da questa terra, che senza di te sarebbe un posto migliore! Ma non preoccuparti, non lo farò, continuerò a piangere e a odiarti, perché purtroppo ho bisogno di te per sopravvivere. E odio anche questo!»  lui barcollò un po’ di fronte a parole così dure. Lei aveva gli occhi rossi di pianto spalancati e sembrava sul punto di una crisi di nervi. 
Joseph non riuscì a sostenere il suo sguardo, così lo punto sulla vecchia coperta stesa sul letto.
«non dovevi disobbedirmi» disse solo, quasi in preda al panico.
«Io ho dovuto lasciare la mia famiglia per venire a stare con te, che non fai altro che disprezzarmi, darmi ordini e punizioni … e poi, quando trovo una cosa bella, un motivo per sorridere, tu vuoi portarmelo via! Credevi davvero che ci sarei stata lontana solo perché tu me lo avevi ordinato? Credevi che avrei rinunciato all’unica cosa bella della mia vita solo per un tuo capriccio?» lui sollevò lo sguardo sui suoi occhi.
«dovevi farlo, Caroline. Non puoi vederlo, diamine, non è tanto difficile da capire! Non è solo pericoloso, è proibito dalla legge! Io non aiuterò un’ebrea a contaminare la mia razza!» lei spalancò gli occhi.
«a contaminare la tua razza? Pericoloso? Guarda che non sono tutti pazzi come te, Joseph! È una persona con cui sto bene, e lui sta bene con me!»
Joseph dovette trattenersi dal lanciarle uno schiaffo e andò per ribattere, ma lei lo interruppe.
«cosa c’è vuoi alzarmi le mani? Da quando è un problema? Sei un uomo senza onore, questo lo so già»
«Caroline, non passare il limite» l’avvertì.
«tu lo hai già passato! Hai passato il mio limite di sopportazione alle tue stronzate, ai tuoi cambi d’umore, ai tuoi capricci! Io voglio andarmene»
«non te ne andrai» rispose lui tranquillo con un ghigno.
«cosa? Si che lo farò!»
«non lo farai. L’unica cosa che ti è rimasta, è il desiderio di sopravvivere. Fai tutto in funzione di quello, e il modo migliore per farlo è stare con me» disse amaramente. Caroline era fuori di sé dalla rabbia, ma lui continuò a parlare, carico di amarezza, rabbia, delusione e anche un bel po’ di senso di colpa: qualsiasi cosa facesse era sbagliata.
«lo hai detto pure tu, poco fa. Non te ne andrai» aggiunse sicuro. Lei si alzò dal letto e lo guardò con occhi spiritati.
«fuori di qui, Joseph» urlò. Lui ghignò alzandosi.
«che compro per cena? Perché dipendi da me anche per quello»
«fuori ho detto!»
«ah non vuoi nulla? Beh peggio per te, mia cara. Quando vorrai qualcosa, dovrai chiedermela. E siamo sempre punto e a capo: non ti lascerai morire di fame, prima o poi cederai. Il tempo di leccarti le ferite»
«Joseph, esci» lui la guardò un’ultima volta, poi uscì e si chiuse la porta alle spalle. Arrabbiato, recuperò la chiave della stanza da un cassetto nella propria camera, poi a passo di marcia raggiunse la porta di quella stanzetta, infilò la chiave e girò due volte, per poi lasciarla nella toppa.
«Joseph! Cosa hai fatto?» urlò lei in preda al panico.
«vuoi uscire? Basta chiedere Caroline» ringhiò da dietro la porta.
«ti odio!»
«sentimento ricambiato. Solo che a differenza tua, io vivo molto meglio senza di te!» detto questo si allontanò dalla porta.
Mentre le emozioni gli vorticavano dentro, tirò fuori la sua bottiglia di Whiskey e si chiuse nel proprio ufficio invaso di carte che non aveva mai il tempo di guardare. Buttò tutto a terra spazzando i fogli con un colpo secco del braccio e appoggiò la bottiglia sulla scrivania, poi con gesti arrabbiati fece cadere tutto intorno i pezzi della propria uniforme rimanendo in camicia e pantaloni. Tolse anche gli anfibi, poi si sedette sulla poltrona, i piedi sulla scrivania e il liquore in mano. Beveva il liquido ambrato direttamente dalla bottiglia, senza curarsi di sgocciolare per terra e sulla camicia che poi Caroline avrebbe dovuto sbiancare.  
Voleva solo stordirsi quella sera, dimenticare tutto. Si sentiva come in una tragedia greca, in cui ogni sua azione sarebbe stata giudicata sbagliata, senza vie di scampo. 
Bevve un altro sorso.
Stava infrangendo la legge, e in onore di quella legge che non rispettava la puniva in continuazione.
Bevve un altro sorso.
Forse avrebbe dovuto espiare lui i propri peccati, non quella povera disperata nella camera accanto.
Bevve un altro sorso.
Era tutta colpa di quella schifosa ebrea. Gli stava avvelenando la vita. Prima di lei era tutto dannatamente facile, non doveva mettere in discussione ogni sua scelta, aveva una lista di cose giuste e una di cose sbagliate. Non c’erano mezze misure. Ora invece era nel caos più assoluto.
Bevve un altro sorso.
Forse aveva ragione Caroline quando diceva che soffriva di bipolarismo.
Gli girava la testa, forse aveva bevuto troppo. Guardò la bottiglia e si rese conto che ne mancava più di quanto avrebbe dovuto. Stava esagerando con l’alcool, si sentiva sul ponte di una nave in tempesta. Posò con malagrazia la bottiglia sulla scrivania.
Si alzò appoggiandosi ai muri per non cadere. Dovette trattenersi dal raggiungere la sua camera per dirle che no lui non la odiava, e non l’avrebbe mai uccisa. E che la sua vita, per quanto fosse incasina, era più viva da quando c’era lei lì. C’erano più colori … 
Scacciando via quel pensiero si buttò a letto ancora vestito.
Si addormentò quasi subito, ubriaco. 
Doveva smettere di bere così tanto.
08/09/1933
Cara Elly
So che non vuoi parlare di politica e altre cose che tu giudichi noiose nelle nostre lettere, ma questa volta credo che dovrò fare un’eccezione. 
Sai come la penso sul nazionalsocialismo, no? Credo di aver capito che voi non ne condividiate le idee, anche se non ne capisco il motivo, ma per quanto mi riguarda sono felice che finalmente Hitler sia cancelliere, ora. Sai cosa ha fatto questo paese alla mia famiglia, sai che se sono lontano da te è per colpa di queste leggi assurde che non hanno permesso ai tuoi genitori di ottenere l’affidamento. Mia madre è morta per una guerra inutile, Elly, che abbiamo perso per colpa dei dannati comunisti. E chi tira le loro file? Gli ebrei. Dio mio, sono felice che ci sia qualcuno che finalmente abbia capito qualcosa in questo marasma, perché io voglio, anzi pretendo, la mia vendetta. So che non è una cosa bella da dire, so che disapproverai, tu che sei sempre stata così buona. Ma non hai passato quello che invece io ho dovuto subire. Questo paese, che non è stato capace di risollevarsi dopo la guerra, ha ucciso mio padre. Mio padre, l’unica persona che mi era rimasta in questo mondo è morto per strada, da solo come una cane, per il freddo e per la fame. Capirai perché voglio che loro soffrano come ho fatto io. Capirai perché, finalmente che c’è un uomo che propone la grandezza di questa nazione distrutta e che ha trovato le cause di tutti i nostri mali (e ha il coraggio di provare a eliminarle), io voglio appoggiarlo. È per questo che mi sono iscritto alla gioventù hitleriana. Ti prego, capiscimi. 
Tu sarai sempre la persona a me più cara in questo mondo che mi ha tolto tutto, te compresa. Sarai sempre la persona a cui penserò quando avrò bisogno di sorridere e l’unica con cui mai parlerei di certe cose, nonostante la distanza e il tempo che corre, nonostante non possa vederti da anni. Sei la cosa più bella della mia vita Elly, quindi per favore non tagliarmi fuori per una scelta che non condividi. È una cosa mia, cerca di capirmi.
Ti voglio bene
Jo
  
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