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Autore: Nao Yoshikawa    20/08/2018    2 recensioni
Esistono tanti tipi di famiglia.
E ognuno cerca la propria a modo suo.
Takumi e Soma, Kuga e Tsukasa, Megumi e Shinomiya, Ryou e Akira, sono coppie tra loro diverse, ma accomunati da un desiderio comune: quello di costruirsi una famiglia.
Ma tra problemi, malintesi e situazioni avverse, le cose non saranno per niente facili.
TRATTO DAL SECONDO CAPITOLO:
Tsukasa si portò una mano sul viso. Per quale assurdo motivo in natura aveva permesso a Kuga di prendere la situazione in mano?
“Kuga… abbassa la voce”.
Terunori però gli fece segno di tacere.
“Se ho detto che le pago vuol dire che le pagherò. Cosa pensate che siamo noi, dei barbari? E’ solo un piccolo ritardo, può capitare, amico. Ah, sì? E lo sai io cosa ti rispondo, vaffa...”
“No, no, no!”, Tsukasa gli strappò prontamente il telefono dalle mani. “Pronto? Sì, chiedo scusa, mio marito è un po’ nervoso. Certo, ma certo, assolutamente, non si preoccupi. Grazie, mille grazie. Buona giornata”.
Chiuse la chiamata. Poi sospirò e guardò Kuga, il quale se ne stava imbronciato.
“Terunori, ti prego, per favore… potresti evitare di litigare con ogni essere vivente e non?”
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Kuga Terunori, Souma Yukihira, Takumi Aldini, Tsukasa Eishi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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9 - Gioia e inizio


Takumi e Soma si rendevano conto che di lì a poche ore la loro vita sarebbe cambiata per sempre. E il viaggio fino in Hokkaido non lo aveva avvertito quasi per niente. Tutto il tempo lo avevano passato a parlare circa le loro paure, le loro speranze. Fino all'ultimo avevano temuto che qualcosa potesse andare storto. Probabilmente era questo ciò che si provava quando ci si trovava a due passi dal proprio sogno. Insonnia, stomaco chiuso, ansia, erano tutte sensazioni che entrambi stavano provando, Takumi era forse meno bravo a nascondere il suo stato d'animo. Sembrava tutto assurdo.

E ancora più assurdo fu il ritrovarsi davanti l'orfanotrofio in cui avevano appuntamento con l'assistente sociale. Takumi se n'era rimasto immobile per qualche istante prima che Soma lo riportasse alla realtà.
"Ehi, ti senti bene?".
Il biondo strabuzzò gli occhi.
"Eh? Cosa? Sì, sto bene. Mi sembra solo incredibile che siamo qui. Mi sembra incredibile il fatto che torneremo in tre, mi sta venendo il panico"
"Su, Takumi", suo marito gli portò una mano su una spalla. "Respiri profondi, okay? Affronteremo questa cosa insieme".
L'altro annuì, tentando di non dimenticarsi di una cosa fondamentale come il respirare.
"Va bene, andiamo",
Dentro l'orfanotrofio c'era un'aria strana, particolare. C'era lo scalpitare e i passi di bambini, c'era un'aria gioiosa ma anche di tristezza. Le creature che si trovavano lì erano sfortunate, abbandonate al loro destino per i motivi più svariati. Una volta arrivati dentro, Takumi sentì una morsa allo stomaco, stava in ansia, ma era un'ansia di quelle buone.
"Che attesa snervante", sospirò Soma a braccia conserte. "Mi chiedo poi quale problema ci sia. L'assistente sociale mi ha detto che c'era una questione di cui doveva parlarmi"
"CHE COSA?! E tu non mi hai detto niente? Soma!"
"È proprio per questo che volevo evitare di dirtelo!"
"Oh, d'accordo", annaspò. "Va bene, no problem, sicuramente non è niente di strano... spero".
Poco dopo ai due si presentò la stessa assistente sociale con cui avevano parlato al telefono.
"Dov'è il bambino?!", chiese subito il biondo senza riuscire a trattenersi. Si portò infatti le mani davanti la bocca, dandosi mentalmente dello stupido.
"Da questa parte", li invitò la donna. Takumi diede poi un pizzicotto a Soma, facendogli bene intendere cosa volesse.
"Ah, emh... qual è il problema che mi aveva accennato al telefono?".
Prima di rispondere, la donna li invitò ad entrare in quella che sembrava una nursery. Questo voleva dire una cosa sola: si trattava di un bambino molto, molto piccolo. Per un breve istante, Takumi desiderò tornare portarli a casa tutti con sé, sfortunatamente non era possibile.
"Eccoli qui", sentirono poi dire.
Soma chinò la testa di lato.
"Eccoli?".
Nella stessa culla, infatti, stavano due neonati incredibilmente somiglianti. Takumi si chinò su di loro, rimanendo colpito dai capelli biondo scuro sulle testoline, dalle guance arrossate e dalle mani così piccole e perfette. A giudicare da com'erano vestiti, erano un maschio e una femmina.
"Ma sono... sono due", sussurrò infatti il biondo.
"Il "problema" era questo. I due bambini sono gemelli e sono stati abbandonati dalla madre naturale subito dopo la nascita. Hanno infatti pochi giorni. Abbiamo provato a tenerli separati, ma piangono e urlano in maniera incontrollata se lontano l'uno dall'altro. Cercavamo qualcuno che volesse adottarli entrambi, anche se capisco che così all'improvviso è una pazzia. Sentitevi però liberi di decidere".
Takumi era semplicemente sconvolto. Se c'erano delle parole adatte, erano sicuramente "amore a prima vista" per entrambi i bambini. Il maschietto aveva aperto gli occhi, ancora dal colore indefinito, e prese a guardarlo, agitando le braccia. Il biondo allora si chinò molto lentamente - erano così piccoli che aveva paura di romperli! - e gli accarezzò delicatamente la testa. Soma invece dedicò la sua attenzione alla bambina, di cui sfiorò una mano. Quest'ultima si aprì e si richiuse subito dopo attorno al suo dito, in una morsa stretta.
Fu allora che si guardarono negli occhi. Non ci sarebbe stato bisogno di parlarne, era più che ovvio. Sebbene non fossero preparati ad un'evenienza del genere, non potevano scegliere. Non si poteva scegliere fra i propri figli, perchè era questo ciò che quei due bambini erano.
Soma allora sorrise.
"Loro verranno entrambi a casa con noi".
Takumi dovette ammettere che tenere in braccio una bambina così piccola e fragile era strano. Sarebbe stato compito suo e di Soma proteggere lei e il gemello da tutto il male, crescerli, essere la loro guida... ma improvvisamente niente faceva più paura. La bimba si era perso a guardarlo con gli occhi spalancati - e Takumi era abbastanza sicuro che quest'ultimi sarebbero stati chiari - completamente incantata. Soma invece teneva in braccio il maschietto, che si era addormentato sulla sua spalla, probabilmente doveva aver cercato inconsciamente un calore del genere.
"Allora", disse l'assistente sociale. "Dovete dirmi i nomi".
Un nome era una cosa importante. Ci avevano pensato a lungo, ne avevano ricercato qualcuno che avesse un significato profondo.
"Lei si chiama Kou"
"E lui si chiama Hajime".
"Sono davvero dei nomi bellissimi".
Fu così che Kou e Hajime Yukihira Aldini entrarono a far parte ufficialmente della famiglia.
Finalmente il loro sogno era stato realizzato, più che abbondantemente in realtà. Addirittura due gemelli, il destino doveva essere proprio dalla loro parte.
Lui e Soma avrebbero tanto voluto rimettersi subito in viaggio per tornare a casa, ma era oramai buio, quindi si arrangiarono come poterono andando in un bed and breakfast. Pensandoci... quella sarebbe stata la prima notte da genitori. A dir poco emozionante.
"Credo che sia possibile innamorasi così in fretta?", domandò Takumi con in braccio ancora Kou. "Perché sono abbastanza certo di aver perso la testa".
"Temo di sì, perché sono nella tua stessa situazione", Hajime si era appena svegliato e aveva aperto gli occhi. "Ciao, ometto. Benvenuto nella tua nuova famiglia. Prometto che a te e a tua sorella non mancherà mai nulla. Gli altri non potranno crederci quando vi vedranno. E mio padre andrà fuori di testa".
Hajime lo guardava con curiosità mentre parlava. Poi però prese a piangere.
"No!", esclamò Soma. "Che cosa ho fatto? Ho detto qualcosa che non dovevo?"
"Sciocco, magari ha solo fame. Prepara del latte, ce n'è una confezione vicino alla porta"
"Giusto, giusto!", esclamò porgendogli il bambino. "Arrivo subito!".
Il biondo alzò gli occhi al cielo, sistemandosi meglio Hajime tra le braccia. Guardò meglio i suoi due bambini, non potendo fare a meno di avvertire una felicità incontenibile. Probabilmente il difficile iniziava adesso, ma non vedeva l'ora di vivere giorno per giorno.


Kuga non si era mai sentito tanto nervoso in vita sua. Gli ospedali non gli piacevano - di norma non piacevano a nessuno - erano luoghi che gli mettevano ansia, nonostante si trovasse lì per un moitvo per niente spiacevole. E se lui era nervoso, Tsukasa era praticamente ad un passo dal farsi venire un attacco di panico. E se qualcosa fosse andato storto? Non voleva neanche pensarci. Stava riponendo tanta di quella fiducia che aveva paura di rimanere deluso. Rindou guardava i due. Lei era tranquilla, forse per incoscienza, forse perché si sentiva davvero troppo entusiasta.
"Su, ragazzi! Non fate quelle facce, dovete essere felici. Pensate che i vostri piccoli spermatozoi feconderanno il mio ovulo e fra nove mesi nascerà un bambino"
"Beh, spero davvero che i nostri piccoli spermatozoi facciano il loro lavoro, perché altrimenti Tsukasa morirà dall'ansia e io non saprò come fare", fece Kuga sterico.
Era stanco, il fuso orario lo faceva andare fuori di testa e gli mancava Simba. Una combo mortale.
Poco dopo il medico li chiamò, facendo loro segno di entrare.
"AH! TOCCA A NOI!", Tsukasa si schiarì la voce. Voglio dire... andiamo"
"Entrare tutti e due?", domandò Rindou.
"Certo che entriamo tutti e due, devo essere presente a questo momento", disse afferrandola per un polso. "Adesso andiamo a inseminarti!".

Yukio adesso stava meglio. I bambini avevano unì'incredibile capacità di adattamento. Lui in particolare era forte, tranquillo, proprio un bravo bambino. Hayama non gli aveva detto che sarebbe rimasto con lui, voleva prima risolvere tutte le varie seccature burocratiche. Ovviamente, questa sua scelta lo aveva portato a litigare costantemente con Ryou. Non era senza cuore come voleva far credere, ma non potevano prendersi cura di Yukio, lui doveva stare con una famiglia che poteva badare a lui... non con loro. E poi, non aveva istinto con certe cose, come poteva sperare di farcela?
"Tsk, quello stupido, quell'idiota!", imprecò tagliando qualcosa sul tagliere. "Come osa prendere certe decisioni senza il mio consenso? Eppure nel matrimonio le decisioni vanno prese in due! Ma certo, io sono il cattivo e lui è l'eroe. Mi chiedo perché devo farmi tutti questi problemi!".
Il bambino aveva raggiunto la cucina, stringendo un orsacchiotto tra le mani.
"Dov'è Akira?"
"Non ne ho idea", rispose Ryou brusco.
"Ma io voglio lui"
"Beh, lui non c'è! Temo che dovrai accontentarti!".
Il bambino gonfiò le guance, stringendo ancora più forte l'orsetto.
"Ma tu sei cattivo"
"Oh, lo puoi ben dire", tagliò corto. Non era neanche capace di parlare con un bambino di tre anni, meno ci aveva a che fare e meglio era. Yukio però pensò bene di avvicinarsi e si aggrapparsi alla sua gamba.
"Adesso che c'è?"
"Mi manca la mamma".
Adesso era nei guai. Non poteva mostrarsi del tutto insensibile e freddo davanti un'affermazione del genere, dopotutto il bambino aveva subito una grave perdita. Ma se c'era una cosa in cui Ryou non era bravo, era provare empatia per le persone.
Sospirò.
"Ma la tua mamma non tornerà", rispose sospirando. Yukio fece una smorfia. Questa era una cosa che aveva compreso abbastanza in fretta.
"È come con Chibimaru..."
"Chi è Cibimaru?"
"Chibimaru era il mio criceto", spiegò. "Un giorno però... è morto... credo. Era come quando dormiva... io e la mamma lo abbiamo sotterrato. Secondo te è andato in paradiso? E anche la mia mamma è andata in paradiso?".
Le domande dei bambini sapevano mettere in difficoltà anche il più serio e diffidente degli adulti. Ryou rimase molto sorpreso dalla sua curiosità e dalla sua profondità. Aveva solo tre anni, eppure faceva delle domande a cui non avrebbe saputo trovare una risposta.
"Io credo di sì. Sì... ne sono abbastanza sicuro".
Yukio allora sorrise, era quasi come se avesse cercato di proposito una sua conferma. Ryou scostò lo sguardo, che finalmente stessero riuscendo ad avere una conversazione normale?
Poco dopo Hayama rientrò. E quest'ultimo dovette ammettere di essere molto sorpreso di trovare quei due insieme a parlare tranquilli come se nulla fosse. Nel vederlo, gli occhi scuri di Yukio i illuminarono. Così gli andò incontro per abbracciarlo.
"Dove sei stato?"
"Ehi! Yukio, ho una bella notizia per te. Tu rimarrai con noi"
"Con voi? In che senso?"
"Nel senso che adesso io e Ryou ci prenderemo cura di te. Saremo noi la tua famiglia"
"Tsk, vedo che alla fine hai deciso comunque senza dirmi niente"
"Io in realtà te l'ho detto"
"Ma sai che non sono d'accordo".
Hayama sbuffò, posando Yukio a terra.
"Yukio, vaia giocare di là, okay?". Il bambino annuì, allontanandosi sgambettando. Ryou lo fissava con le mani poggiate sui ianchi.
"Qual è il problema?"
"Qual è il problema? Tu mi chiedi qual è il problema, seriamente? Ti stai comportando da egoista"
"No, tu ti stai comportando da egoista. Seriamente lasceresti un bambino in mezzo ad una strada? Se fosse per te tutti i poveri orfani verrebbero abbandonati di fronte le chiese e gli orfanotrofi come si vede nei film"
"Non ti sto dicendo di buttare i bambini in strada, sto dicendo che Yukio starebbe meglio con qualcun altro"
"Io non voglio che lui salti da una famiglia all'altra, voglio che si senta amato. Ci sono tanti modi per costruirsi una famiglia, magari questo è il nostro".
Per Ryou fu difficile reggere il suo sguardo, perché gli occhi di Akira sembravano guardargli dentro, fino in fondo all'anima. E questo essere così trasparente solo per lui era una cosa che lo aveva sempre innervosito.
"Beh, anche se fosse, oramai non posso dire nulla, no? Benissimo, va bene. La prossima volta, visto che ci sei, scegli tutto tu!".
Hayama sospirò. Forse poteva aver sbagliato, ma lo aveva fatto a fin di bene. Sperava che Ryou cambiasse idea.

Megumi si trovava in un perenne stato di ansia e felicità. Il fatto che il suo sogno si fosse veramente avverato la faceva sentire davvero al settimo cielo, ma di contro c'era la preoccupazione di doverlo dire a Shinomiya, il quale ovviamente non sospettava nulla.
Era stata così impegnata a cercare di rimanere incinta che non aveva neanche pensato a come dirglielo. Non era un buon momento: Shinomiya era stra impegnato con il lavoro e preso dall'apertura del nuovo ristorante. Megumi non era sicura al cento per cento della cosa, ma doveva quanto meno provarci.
Andò in soggiorno, dove Shinomiya se ne stava piegato su scartoffie e documenti con un'espressione concentrata. Sospirò profondamente, dipingendosi sul viso il sorriso più naturale che conosceva.
"Tesoro, tutto bene?"
"Bene è un eufemismo. Io non ci ho mai capito niente di documenti e seccature varie, ma perché tutto il lavoro più difficile va sempre a me?", domandò sistemandosi gli occhiali.
"Su... le cose potrebbero andare meglio", sussurrò lei accarezzandogli la schiena.
"Perché? Abbiamo vinto alla lotteria?".
"No, non è questo purtroppo... magari più in là..."
"Spero che sia davvero come dici tu. Anche se, per ora le cose non mi vanno del tutto male, mi pare...".
Nel dire ciò, la sua espressione era divenuta assai maliziosa. Aveva afferrato le mani di sua moglie, la quale aveva sentito il cuore battere a mille. Non è che non avesse voglia di fare certe cose, ma con tutti i pensieri che aveva per la mente, dubitava del fatto che sarebbe riuscita a lasciarsi andare.
"Amh... Kojiro, scusa... ma non mi sento tanto bene. Sai, penso di avere l'influenza"
"L'influenza? Ah, d'accordo allora. Non preoccuparti. Mi prendo io cura di te", la tranquillizzò, accarezzandola la testa.
Megumi non avrebbe potuto fare a meno di sentirsi in colpa. Aveva di per sé sbagliato a farsi ingravidare a tradimento, non poteva permettersi di tenere nascosta la gravidanza. Ma aveva paura che dicendolo direttamente, a suo marito sarebbe venuto un colpo. Forse poteva provare a farglielo capire, sebbene la maggior parte degli uomini non fosse molto sveglii nel comprendere certe cose. Ma Shinomiya era abbastanza sveglio. Stretta nel suo abbraccio, pensò che dall'indomani avrebbe fatto di tutto per farglielo capire.

Era passato un po' di tempo. Kuga non avrebbe saputo dire quanto, probabilmente aveva perso la cognizione di quest'ultimo, ma quando era uscito dal'ospedale si era sentito stordito, come se da una vita non vedesse la luce del sole. Tsukasa era confuso almeno quanto lui, Rindou era come al solito assolutamente tranquilla e indifferente.
"Io ho fame, possiamo mangiare qualcosa?"
"Hai fame?!", chiese Eishi. "Come ti senti? Ti senti diversa? Ti senti strana?"
"Frena, Tsukasa. I dottori hanno detto che dovremo aspettare un po' per vedere se effettivamente l'inseminazione ha funzionato"
"Tranquilla, i nostri spermatozoi sono efficienti", la rassicurò Kuga. "Adesso scusate, ma devo fare una telefonata".
Dicendo ciò si allontanò. Doveva assolutamente sapere come stava Simba.
Quindi telefonò a Takumi, il quale stava tentando di cambiare il pannolino a Hajime.

"Maledizione, avrei dovuto fare pratica con questi arnesi", sbuffò il biondo.
"Perché? Sono facilissimi da usare", gongolò Soma, cullando Kou che era già felicemente cambiata e profumata.
"Non sei affatto divertente! E adesso chi è che mi sta chiamando?!".
Takumi cercò il telefono disperso nel letto. Rispose, mentre con una mano cercava di cambiare suo figlio.
"Ehi"
"Takumicchiiiii, ciao! Come sta il mio Simba?"
"Ah, ciao Kuga!", disse nervoso. Dopotutto nessuno ancora sapeva che avessero già adottato. "Simba, io... sì, sta bene"
"Puoi passarmelo?".
Il biondo imprecò. Ma era serio oppure no?
"Soltanto un momento!", abbassò la voce. "Soma, vieni qui e fingiti un cane"
"Cosa? Ma perché?!"
"Fallo e basta!". Il rosso non capì, tuttavia si limitò ad ubbidire.
"Bau"
"Eh?!", fece Kuga. "Questo non è Simba, è Soma! Takumi, che cosa sta succedendo?"
"Va bene, la verità è che Simba non è con me. Ma l'ho lasciato a Joichiro, è in buone mani"
"Che cosa?! Io ti ho affidato il mio preziosissimo bambino e tu te ne sei lavato le mani? Vorrei sapere cosa ti...".
Kuga fu costretto a zittirsi quando sentì in sottofondo il lamento di un neonato. Hajime infatti aveva preso a protestare perchè voleva essere preso in braccio.
"Ma c'è un bambino?"
"Già... è mio figlio... uno dei due in realtà, l'altra è in braccio Soma", spiegò sospirando. Kuga spalancò gli occhi.
"Cosa?! Due?! Voi... li avete adottati ufficialmente? Come? Dove?"
"In Hokkaido e... non dirlo a nessuno, a parte Joichiro non lo sa nessuno... per favore"
"Te lo prometto, Takumicchi", abbassò la voce. "Noi abbiamo fatto l'inseminazione. Spero abbia funzionato"
"Davvero? Io sono sicuro di sì, sta tranquillo"
"Grazie! Adesso devo andare, non vedo l'ora di conoscere i due bambini. Come si chiamano?"
"Hajime e Kou"
"Aaaw, che bei nomi. Dovrò trovarne uno altrettanto bello per mio figlio. Beh, ti saluto adesso, dai un bacio a Soma e ai due piccoli da parte mia, ciao-ciao!".
Takumi lasciò cadere il telefono, prendendo poi in braccio Hajime.
"Mi è sembrato molto felice", commentò Soma.
"Era felice", sospirò. "Domani torniamo a casa"
"Già. E sono sicuro che saranno tutti molto felici di conoscervi, vero Kou?".
La bimba lo guardò. Le sue iridi adesso apparivano grige, esattamente come il cielo fuori in quel momento, nuvoloso e prossimo alla pioggia
.



NDA
Kou e Hajime vogliono dire rispettivamente "gioia" e "inizio". Non potevo che sceglierli. Ve li aspettavate addirittura due bambini? Implodo di fluff. Rindou intanto si è fatta inseminare, avrà funzionato? Riuscirà Ryou a sciogliersi un po'? Ma sopratutto, Megumi riuscirà a dire a Shinomiya della gravidanza senza parlo farlo sclerare?
   
 
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