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Autore: dreamkath    21/08/2018    5 recensioni
Un compleanno. Due luoghi. Due persone. Due ricordi.
"Eri una ragazza scostante.
Sorridevi, apparentemente senza motivo, tra te e te, sorridevi alle gelosie delle tue amiche, sorridevi alle nostre bravate; ma quei sorrisi potevano svanire in un istante, sostituiti da un’aria corrucciata o distratta. E ti arrabbiavi, anche, facilmente per un nonnulla e perdonavi inaspettatamente ad una velocità sorprendente. Eri detestabile, lo sai?"
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suo compleanno

Lui

Ti vedo. Sei seduta, come se dovessi prendere il volo da un momento all’altro, sul bordo di una delle tante panche di marmo, sotto il portico del cortile interno del tuo condominio. Gli occhi bassi, fissi sul foglio bianco poggiato sulle ginocchia, i capelli ribelli, perennemente disordinati, che sembrano fare a pugni con la tua espressione felice e pensosa. La mano destra, abbandonata inerte al tuo fianco, stringe una piuma, la sinistra, invece, picchietta involontariamente il bordo della lettera che hai appena finito di leggere.
Ti ricordi di me?
Ero il ragazzo sempre seduto in ultima fila, al banco vicino la finestra. D’inverno i nostri compagni di classe non mi sopportavano perché monopolizzavo la finestra e pretendevo che rimanesse aperta almeno per dieci minuti ogni ora. Tu ignoravi le discussioni, dopo averci dato un’occhiata distratta, perché troppo impegnata ad ascoltare la musica dal tuo ipod e a perderti in pensieri che, forse, solo in parte mi hai rivelato. Eri una ragazza scostante.
Sorridevi, apparentemente senza motivo, tra te e te, sorridevi alle gelosie delle tue amiche, sorridevi alle nostre bravate; ma quei sorrisi potevano svanire in un istante, sostituiti da un’aria corrucciata o distratta.  E ti arrabbiavi, anche, facilmente per un nonnulla e perdonavi inaspettatamente ad una velocità sorprendente. Eri detestabile, lo sai? Sì, che lo sai. Ma eri anche affascinante. D’un carisma quasi infantile. Le fossette che si formavano agli angoli della tua bocca quando sorridevi, a volte, mi facevano dimenticare i motivi per cui mi ero ripromesso di evitarti per almeno un paio di giorni. Eri così: riuscivi a piegare il mondo come meglio preferivi, senza che in realtà lo desiderassi davvero. O forse era il mondo a modellarsi per te, proprio perché era curioso di scoprire il motivo dell’alternarsi delle tue emozioni: dalla tua brutale indifferenza e alla tua spontanea allegria.
E non c’era verso di scoprirlo.
Tutti ti conoscevano, ma nessuno così tanto da poterlo sapere veramente. Ed ognuno aveva una propria impressione su di te, e tutti erano convinti di avere in mano la giusta soluzione. Non io. Per me sei sempre stato un puzzle contorto che non riuscivo a far quadrare, nonostante, a quei tempi, fossi molto ferrato sia in matematica che in filosofia. Riuscivamo a scherzare e litigare, a farci dei dispetti e, talvolta, aiutarci durante i compiti in classe, ma avevo sempre l’impressione che fossi sfuggente.
Forse proprio perché condividevi solo i momenti allegri, mentre il dolore preferivi nasconderlo facendo finta di non provarlo.
Eri gelosa anche della tua malinconia e non permettevi a nessuno di ascoltarti in quei momenti, solo la musica riusciva a farti compagnia. Forse avrei dovuto avvicinarmi pian piano, senza pretendere di dire qualcosa, restandoti vicino in silenzio aspettando con pazienza che fossi tu a sfogarti. E, invece, quei tuoi momenti mi mandavano in palla e non riuscivo a decidermi cosa fare.
 
Faccio un passo verso di te. Mi fermo. Inspiro. Espiro.
Una folata di vento mi distrae e foglie d’autunno si abbattono sul prato. Di colpo non ci sei più.

Un sussurro... il vento sussurra tra le foglie:
“È il tuo compleanno, lo sai?”
 
“Loras, facciamo tardi alla partita. Dai che è la finale. Vinciamo ed andiamo a festeggiare!”
 
Alzo la mano in cenno d’assenso e volto le spalle alla panchina. Solo un ipod e due cuffie bianche su di essa.
 
Una strana malinconia il “non è stato, ma poteva essere”.
 
 
 Lei
 
“Una birra, per favore”
Con le labbra incurvate in un sorriso, aspetta i suoi amici. Picchietta le dita sul tavolo per poi scoprire che la finestra di mogano alla sua sinistra è un ottimo strumento per il passar del tempo. La fissa. E, di colpo, senza alcun preavviso, lo vede. È lì, in quel parcheggio, tra auto anonime e scuter dagli specchietti consunti. È lì, con le sopracciglia distese, gli occhi concentrati sul pallone che si passa da un ginocchio all’altro, e l’aria di chi non darebbe retta a nessun altro.
Ha diciassette anni.
E lei lo sa.
Aveva quella età quando l’ha visto l’ultima volta.
Ha i capelli corti corti, e la fronte leggermente lucida di sudore.
Proprio come è rimasto nella sua memoria.
Perché questa è l’immagine che le riaffiora nella mente quando pensa a lui.
Certo, era bravo nello studio. E, senza alcun dubbio, aveva carattere. Quando rispondeva a tono ai compagni di classe aveva carisma e in una discussione riusciva spuntava sempre, anche se non aveva la ragione dalla sua parte.
Ma non era questo che gli accendeva lo sguardo. Era il calcio la sua passione. Una passione che lo infiammava in fondo all’anima. Una passione che si vedeva in modo fisico.
Il rossore delle guance dopo un allenamento, il fiato corto e il suo sorriso erano ciò che l’avevano fatta girare nella sua direzione.
Ed era proprio per le espressioni facciali, che esternava per il calcio, che lei aveva cominciato a prestargli attenzione. E, di colpo, si erano parlati. Si erano scambiati opinioni. Erano diventati complici. Avevano riso. E, talvolta, avevano combinato guai.

E, adesso, lui si ricorda di lei?

Era una ragazzo fantastico. Non uno di quei “bad boy” che oramai sembrano essere diventati gli idoli delle ragazze.
Era un bravo ragazzo. Uno di quelli che se eri triste ti stava accanto. Poco importava se non sapesse cosa dire. La sua presenza bastava.
 
Fa per alzare la mano per appoggiarla sul vetro, ma, prima che possa mettere in moto i muscoli, un coro di voci familiari intona:

“Tanti auguri a te!”

Una torta con ventitré candeline si avvicina al tavolo con al seguito una decina di amici, mentre sullo sfondo il cronista alla tv dà inizio alla partita.
Una lacrima di commozione e nostalgia le solca il viso.

È una strana malinconia “il non essere stato, ma poteva essere”.
  
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