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Autore: inspiteofdeepfears    21/08/2018    0 recensioni
Anemone vuol dire ''vento'', questi fiori sono chiamati così per il loro tremolio ad ogni minimo soffio di vento.
Anemone vuol dire anche ''soffio vitale'', per via della loro breve durata.
Nel linguaggio dei fiori e delle piante questo fiore prende il senso di abbandono o di ''amore tradito''. E quale altro fiore potrebbe rappresentarmi meglio? Esiste fiore più fragile e delicato che esprima quanto l'amore poco possa durare?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Min Yoongi/ Suga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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''Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Scrivere, ad esempio: La notte è stellata,
e tremolano, azzurri, gli astri in lontananza.
Il vento della notte gira nel cielo e canta.
Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Io l'amai, e a volte anche lei mi amò .
Nelle notti come questa la tenni tra le mie braccia.
La baciai tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi amò, a volte anch'io l'amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.
Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Pensare che non l'ho. Sentire che l'ho perduta.
Udire la notte immensa, più immensa senza lei.
E il verso cade sull'anima come sull'erba in rugiada.
Che importa che il mio amore non potesse conservarla.
La notte è stellata e lei non è con me.
E' tutto. In lontananza qualcuno canta. In lontananza.
La mia anima non si rassegna ad averla perduta.
Come per avvicinarla il mio sguardo la cerca.

Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.
La stessa notte che fa biancheggiare gli stessi alberi.
Noi quelli di allora, più non siamo gli stessi.
Più non l'amo, è certo, ma quanto l'amai.
La mia voce cercava il vento per toccare il suo udito.
D'altro. Sarà d'altro. Come prima dei suoi baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro . I suoi occhi infiniti.
Più non l'amo, è certo, ma forse l'amo .
E' così breve l'amore, ed è sì lungo l'oblio.
Perché in notti come questa la tenni tra le mie braccia,
la mia anima non si rassegna ad averla perduta.
Benché questo sia l'ultimo dolore che lei mi causa
e questi siano gli ultimi versi che io le scrivo.
''

-Posso scrivere i versi più tristi stanotte, Pablo Neruda.



4 Maggio 2018, 22:34 p.m

Seduto, tra l'erba di un giardino che io chiamo ''Giardino della solitudine'', mi godo il silenzio che mi circonda.
Con occhi chiusi, cerco di non pensare, provo a concentrarmi sui rumori della natura intorno a me. Ma non funziona, riapro le palpebre lentamente, rendendomi conto che ormai è buio. Questo giardino mi sta a cuore tanto quanto casa mia, è il posto in cui vengo sempre quando voglio stare da solo. E' la dimora delle mie sofferenze, conosce i miei dolori più profondi e li custodisce segretamente. Ogni fiore, albero, pianta, filo d'erba, presente qui, ha ascoltato i miei pianti, le mie urla, i miei pensieri più tristi. Questo posto è pervaso da cose che probabilmente non ho mai detto nemmeno ai miei amici più cari, e ho quasi paura quando qualcun altro che non sia io ci mette piede. Ho il timore che guardandolo si renda conto di quanto io abbia sofferto, che nel vento o nella movenza delle foglie possa sentirsi l'eco dei miei pianti, ho paura che il cogliere un fiore, da parte di qualcun altro, possa farmi avvertire dolore al cuore, come se stessero strappando via una parte di me; o se qualcuno volesse anche solo carezzare un petalo, una foglia, uno stelo di questo giardino, ho il timore che possa risvegliare supplizi che dopo tanto sono riuscito a far tacere. 
Camminare in questo giardino è come attraversarmi l'anima, sedersi sull'erba significa sostare sul mio cuore.  
* Ma, per quanto incantevole e magico possa sembrare, dietro la sua apparente bellezza si cela una crudele realtà: tutto è male, poiché il principio di esso alberga in tutte le cose. Siamo destinati alla sofferenza, perché senza di essa non sapremmo cosa sarebbe la felicità e non capiremmo i meccanismi della vita. Senza sofferenza non potremmo costruire l'armatura che ci serve per affrontare la nostra esistenza.
Dunque, ho realizzato che anche questo giardino ha sofferto e soffre ancora.
Se vi entraste, non potreste volgere lo sguardo in nessuna parte dove non ci sia pentimento: là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. E' la stessa cosa che fanno le persone, no? Irradiano la nostra vita dandoci l'illusione che tutto sia più bello di ciò che sembra, e poi all'improvviso, il buio. Ci privano anche del più piccolo raggio di sole, prosciugandoci di qualsiasi emozione, gioia, felicità.
Là quel giglio è succhiato crudelmente da un'ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali, come è successo a me. Mi è stata sottratta anche la più piccola parte d'amore, affinché nutrisse un cuore stanco e vuoto. E' stato portato via persino l'amore che nutrivo per me stesso, sono stato lasciato in piedi, vivo, ma senza energie, senza qualcosa che mi tenesse davvero in vita.
Quell'albero è infestato da un formicaio, quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato dall'aria o dal sole che penetra nella piaga. Voi non ve ne accorgete, ma è una sofferenza enorme. Senz'altro anche io mi sono sentito così, uno strano fastidio allo stomaco mi pervade se penso a come sono stato invaso da qualcosa che mi teneva intrappolato a sé e non mi lasciava respirare, volevo staccarmi ma ero incastrato come una mosca in una ragnatela. E quando mi sono reso conto di quello che era successo, ho sentito come se i raggi del sole che mi stavano illuminando, ora penetrassero nelle piaghe di un cuore squarciato nel tempo, bruciando come non mai.
Qui ci sono piante che hanno troppo caldo, troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; L'una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l'altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi.
Come me, volevo dare tutto l'amore possibile ma in qualche modo c'era sempre qualcosa che me lo impediva, o meglio, qualcuno. E adesso mi ritrovo senza forze, incapace di trovare un sostegno che regga il peso che sono diventato, stento a trovare pace perché sono diventato forse la persona più apatica del mondo. Sono abbandonato a me stesso, e vorrei tornare ad essere il vecchio me, ma sto ancora cercando di trovarlo, perché non so più niente. Non so più chi sono, ne tanto meno chi sono diventato.
E intanto, colei che ha causato in me tanto sgomento, continua a calpestare le mie pene con i suoi passi, rompendole, uccidendole.
Lo spettacolo di vita all'entrata di questo giardino è in grado di rallegrare l'anima, ma in verità questa vita è trista e infelice, ogni giardino è quasi un vasto ospitale, e se questi esseri sentissero, sono quasi sicuro che per loro il non essere, sarebbe meglio che l'essere.

Incrocio le gambe, stanco di tenerle stese, e con le dita sfioro un Anemone blu. Prima di scoprire questo giardino non sapevo sarebbe diventato il mio fiore, che mi ci sarei affezionato così tanto. Sono fiori che amano poco la luce diretta dei raggi solari, magari per paura di scottarsi e di rovinarsi irrimediabilmente. 
Anemone vuol dire ''vento'', sono chiamati così per il loro tremolio ad ogni minimo soffio di vento. Può qualcosa essere sensibile a tal punto? Sì, me ne sono reso conto la prima volta che ho provato a toccarne uno, strappandone involontariamente un petalo.
Anemone vuol dire anche ''soffio vitale'', per via della loro breve durata. 
Non è orribile esser privati di qualcosa che ci piace così tanto? E a prescindere da questo, non è triste che una cosa bella debba avere la durata di un soffio, quando invece le cose brutte durano in eterno? 
Nella mitologia greca Anemone era una bellissima ninfa della corte di Flora (dea della vegetazione e dei fiori) che aveva fatto innamorare due venti, Zefiro, il leggiadro vento primaverile, e Borea, il freddo vento di tramontana. I due venti essendo in competizione iniziarono a lottare tra di loro per contendersi il cuore della loro amata Anemone ma, così facendo scatenarono bufere e tempeste. Flora, risentita e ingelosita, decise di scagliare un incantesimo su Anemone trasformandola in un fiore bellissimo e legandola, in questo modo, ai sui amanti per sempre. Infatti la corte di Zefiro, vento di primavera, l’avrebbe fatta schiudere e le carezze di Borea, vento freddo, le avrebbe fatto disperdere precocemente i petali. Per questo motivo mitologico l’anemone è un fiore di brevissima durata.
Analizzando questa storia, mi sono rivisto sia in Zefiro che in Anemone: volevo amare con protezione, leggerezza, delicatezza, volevo che soltanto a me venissero mostrati i colori di un amore ricambiato, avrei voluto che il mio vento primaverile conducesse quell'amore a me e a nessun altro, ma senza pretese. 
E invece mi sono ritrovato nel bel mezzo di una bufera improvvisa, un vento talmente violento da strapparmi tutti i petali che con cura avevo protetto per anni e anni della mia vita, talmente freddo da tagliarmi il viso, e il cuore, rendendomi uno stelo immobile e inutile, senza alcun significato.
Al contempo, sono diventato io stesso freddo come un vento di tramontana, determinato a non voler provare più nulla che anche solo si avvicini all'amore. 
Nel linguaggio dei fiori e delle piante questo fiore prende il senso di abbandono o di ''amore tradito''. E quale altro fiore potrebbe rappresentarmi meglio? Esiste fiore più fragile e delicato che esprima quanto l'amore poco possa durare?

Mentre continuo con le dita a toccare i petali di questo fiore il più lentamente possibile, realizzo che non mi è rimasto nulla se non la convinzione che tutto faccia male e che l'amore in se per se non è altro che un demone che i poeti cercano di addolcire. E la musica.
Forse se sono ancora in grado di affrontare le mie giornate è solo per la musica: è la mia meta, la via retta, la mia vetta. *
Le canzoni migliori credo di averle scritte mentre stavo soffrendo per qualcosa, penso sia un atto coraggioso. E' più facile scrivere una canzone felice, parlare della serenità ci rende più leggeri e quindi ci viene più semplice farlo.
Non è altrettanto semplice ritrovarsi sveglio alle 2 del mattino, con gli occhi gonfi di lacrime, cercando di dar voce al dolore che ci tormenta dentro, tentando di tirar fuori anche la più piccola parte di dispiacere pur di versare anche una sola lacrima in meno; voler rendere la sofferenza meno atroce di quello che sembra, trasformare il dolore in versi, in poesia, purché sembri più bello anche agli occhi degli altri. Scrivo canzoni per liberarmi di quello che mi tormenta ma cerco sempre di nasconderlo in modo che nessuno capisca cosa mi sia davvero successo, questo naturalmente non vale per chi mi conosce bene.

Pertanto, tiro fuori dalla tasca della mia giacca il mio piccolo quaderno ed una penna iniziando a buttar giù qualche frase.
Scrivere di questo è come versare sale sulle proprie ferite, ma quale altro modo ho per liberarmene? Nessuno.
Man mano che vado avanti la mia mano diventa sempre più debole, tanto che sono costretto a fermarmi. Non voglio credere che qualcuno mi abbia ridotto in questo stato, ancora più assurdo è che io abbia permesso tutto questo.
La mia mente è macchiata di odio verso me stesso, odio me stesso per aver lasciato che un amore così mi consumasse interamente, odio me stesso per aver creduto alle bugie che mi venivano raccontate. 
Se potessi tornare indietro nel tempo forse sarei più onesto con me stesso, avrei creduto di più a quello che i miei amici dicevano, e avrei chiesto a lei, Hae- Neul, come ha fatto a guardarmi con quel sorriso e a parlarmi di ''per sempre'' per tutto quel tempo?
Tutto ciò che mi diceva suonava troppo confortante e io non voglio più ascoltare la sua voce, o perdermi nei suoi occhi.
Mi è sembrato come se io non l'avessi amata affatto, perché chi rimarrebbe indifferente dinnanzi all'amore che io le ho dato? Chi mai avrebbe il coraggio di tradire l'amore che soltanto io le ho dimostrato? 

Distolgo lo sguardo dal foglio, prendendo un lungo respiro. Devo smetterla. Ho scritto abbastanza, se continuo finirà come la scorsa volta e non ho voglia di stare una notte intera a piangere per un passato che rimarrà tale.
Al mio fianco ho il bagliore della luna, in un primo momento penso di esser stato io ad essermi seduto in un'angolazione dove la luna non potesse illuminarmi, ma forse essa non vuole toccarmi per paura di mostrare la mia parte peggiore. Allora resto nell'oscurità della sera, osservando il plelinunio e beandomi dell'aria fresca che mi scompiglia leggermente i capelli.
Vorrei rimanere qui ancora qualche ora, per sentirmi consolato in un posto che soffre tanto quanto me, ma domani io e gli altri partiamo per l'America e non posso permettermi di essere stanco.
Sento dei passi provenire alle mie spalle, non mi volto nemmeno quando li sento farsi sempre più vicini. 
Una mano viene poggiata sulla mia spalla, è fredda, giro il collo quel poco che mi basta per posarci gli occhi e mi rendo conto della persona che è in piedi dietro di me: Teahyung.
Mi rilasso, sentendomi un po' pi sicuro per via della sua presenza, lui sa del legame tra me e questo giardino. 

''Yoongi, ti va di rientrare? Stiamo quasi per cenare.'' parla a voce bassa, come a non voler interrompere l'armonia che ho creato con questo luogo.
Annuisco e senza dire una sola parola, mi alzo, gli rivolgo un debole sorriso e insieme a lui mi avvio verso la villetta che si trova a pochi passi da noi.






* n.1: Mentre descrivevo il giardino, ho cercato qualcosa di Leopardi a proposito della natura, dato il suo legame con essa, e ho trovato un passo contenuto nel suo diario, Lo Zibaldone, che si chiama ''Il giardino della sofferenza.''
 
*n. 2: è una frase di una canzone di Nitro, rapper italiano. Si chiama ''Ho fatto bene''.
 
   
 
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