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Autore: MadLucy    22/08/2018    0 recensioni
{Hannibal/Will | Hannigram | mpreg | fluffangst | what if | segue il canon fino alla 3x07 | preg!Will}
Hannibal sorrise, commosso. «Quindi lo hai già scoperto.»
Will socchiuse gli occhi. Il concepimento è un atto oscuro, per certi versi simile alla contaminazione. L'ovulo che fagocita il gamete, come una violenza muta. La scissione di una cellula in due, lo sdoppiamento inquietante come quello di un essere con due teste, la moltiplicazione febbrile, come una raffica di proiettili, come durante lo sviluppo di un cancro. Una formicolante frenesia di affermazione. La morte e la vita si assomigliano sempre un po'.
«La tazza si è rotta. I pezzi non si rimetteranno insieme mai più» ripetè Will. «Io sto solo cercando di arrangiare i frammenti della distruzione che ti sei lasciato dietro.»
«Non mi sono lasciato dietro solo distruzione» osservò Hannibal.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti, Will Graham
Note: What if? | Avvertimenti: Mpreg
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Nell'aria tersa e limpida, tutto appariva come dietro una lente più pulita. Il lago ghiacciato era un nero specchio di ematite, rifletteva il gemello in negativo del panorama che, diviso solo da una striscia di neve azzurrata, si profilava sopra di esso: una cresta di pini scuri, che emanava verso il cielo una foschia lattiginosa. I contorni delle cose erano a tratti nitidi, a tratti confusi. Sul sentiero tappezzato di neve, abbaiava un gruppo di cani eterogenei, un bastardino color sabbia, un pastore tedesco zoppicante, un segugio con le orecchie pendule e un piccoletto bianco e peloso. Trotterellavano festosi nei dintorni, annusando i ciuffi d'erba che vincevano la coltre candida e gelata, arrampicandosi sui sassi ammassati lateralmente al sentiero. Una bambina era aggrappata ad un collie pezzato di nero, con la lingua rosa di fuori, e lo inseguiva senza staccarsene, i pugnetti serrati.
«Andiamo nel castello!» ordinò al cane, cercando di salire sul suo dorso, senza riuscirci. 
Da un capanno di legno uscì Will. In testa calzava uno zuccotto verde scuro, che nascondeva tutti i riccioli. «Fai piano.» Portava una cassa di cioppi per il camino in braccio. Richiuse la porta con il piede, poi risalì la lieve discesa del vialetto. I cani lo seguirono, e anche la bambina, drizzando la testa.
«Papà, c'è una macchina!»
Aveva ragione. Un grosso suv nero stava parcheggiando di fronte alla veranda a palafitta di casa. Will aggrottò la fronte, una piccola nuvola di condensa sfuggì dalle sue labbra e si volatilizzò nell'aria; si accertò che tutti i cani rimanessero vicino a lui finchè la macchina non spense il motore. Scese Jack Crawford, con indosso un cappotto di feltro e un cappello a falda larga.
«Chi è quel signore?» domandò la bambina, indicandolo con il dito. Jack sorrise automaticamente, attendendo che i due gli venissero incontro.
Quando furono abbastanza vicini, Will si costrinse a tirare un sorriso. «Questo signore è un vecchio amico di papà, si chiama Jack. Era da tanto tempo che non ci vedevamo.»
I due si abbracciarono. «Vecchio sarai tu, Will.»
Quando si allontanarono, Will prese in braccio la bambina, come per fargliela vedere bene in volto, ma anche quasi in un gesto di inconscia protezione. «Lei è Bianca.» Aveva un paraorecchie di pelo rosa, una giacca invernale rossa e un paio di stivaletti in miniatura. Le guance erano pallide e dolci come burro sotto un paio di piccole trecce. «Facciamo un po' di sidro caldo per Jack?»
Una volta sul portico, Will ne preparò due tazze. Bianca bevve qualche sorso da quella del padre, poi arricciò la faccia perchè si era scottata e volle scendere dal braccio.
«Hai rivisto Margot e Alana, ho sentito» divagò Jack, soffiando sul sidro. 
«Oh, sì, spesso. Morgan e Bianca sono amici. Lei lo picchia e lui, poverino, non si ribella mai. Abbiamo fatto una grigliata a fine autunno.» Will lanciò un'occhiata torva all'amico, quasi rimproverandolo perchè non osava andare dritto al punto. Jack lo ignorò. Stava contemplando il panorama oltre il parapetto di legno, la vallata di neve, le montagne e il pineto. 
«È bello qui. Forse trasferirsi era la cosa migliore da fare.»
«Non l'ho mai dubitato.»
Ci fu ancora silenzio. Evidentemente quel che andava detto era scomodo. Per qualche attimo, lo sguardo di entrambi ricadde su Bianca, che si era seduta sullo zerbino di casa a tirare la palla a Winston, che glie la riportava sempre, zuppa di saliva.
«Non ti ha mai chiesto niente del suo secondo papà?» domandò Jack.
Il viso di Will si piegò d'astio. «È ancora troppo piccola per questo.»
«Però tra qualche anno lo farà, no?»
«Queste sono faccende private.»
«Io sono qui in veste di tuo amico, Will, non di poliziotto.»
«Non è quello che sembra, però.» Will faticava a soffocare il nervosismo. 
«Non hai nemmeno intenzione di ascoltarmi, vero?» indovinò Jack, amaramente.
«Non se intendi parlare di lui.» Will fissò ostinatamente lo sguardo sul paesaggio, tetro. Ora era dalle sue narici che si formava la condensa. Lui lo sapeva già, appena l'aveva visto arrivare. Il passato che bussava alla porta. Che reclamava ciò che lui si era votato per custodire. Li aveva trovati persino lì.
Jack palpò le tasche del cappotto. «Ho una lettera per te. Da parte sua.»
«Adesso quindi sei diventato il postino dei pluriomicidi?» Will si chiese come fosse possibile che il mondo lo assecondasse e gli desse ancora ascolto, persino ora, come se la sua capacità di influenzare la realtà che aveva intorno fosse sul serio soprannaturale. Jack ignorò il suo sarcasmo e gli offrì una busta. Il suo volto era serio.
«Ti prego di leggerla, perlomeno.»
Will la scartò, quasi con disprezzo. Dispiegò il foglio, ma prima di iniziare a leggere le poche righe -redatte in calligrafia impeccabile e svolazzante, irritantemente perfetta- guardò sua figlia che giocava con i cani. Si impresse a fondo quell'immagine, affinchè gli desse la forza. 
Caro Will, abbiamo tutti trovato una nuova vita, ma il passato insorge dalle tenebre, come follia quiescente. Temo che molto presto Jack Crawford verrà a bussare alla tua porta. Ti invito, come amico, a non attraversare la soglia che lui ti propone. È buio dall'altra parte. Ma come padre, non posso fare a meno di pregarti. 
Hannibal

Un avvertimento e un invito al tempo stesso, come per potergli poi rinfacciare di avere accettato consapevole del rischio -di avere accettato il rischio. Will gettò la lettera e la busta sul tavolo, con rabbia. «Cosa significa tutto questo? Cosa diavolo vuole?»
Jack non esitò. «Vederti. Un incontro in privato.»
Will dovette contenersi per non urlare. Come padre. «Credevo che i suoi delitti gli valessero come minimo la sottrazione di ogni diritto di ricevere visite.» 
Jack sputò il rospo. «Sarò sincero con te, Will. Abbiamo bisogno di lui per il caso di un serial killer che non siamo ancora riusciti a prendere. Gli abbiamo chiesto di darci la sua opinione, ma si rifiuta di parlare. Ha posto come condizione-»
«Quindi vuoi usare me e mia figlia come oggetto di ricatto.» Will annuì, in collera. «Ora è tutto chiaro.»
Jack giunse le mani. «Non ha chiesto neanche di vedere la bambina. Sapeva che gli sarebbe stato negato a prescindere.»
«Abbassa la voce!» lo interruppe Will, preoccupato, lanciando un'occhiata a Bianca, che però non dava segno di starli ascoltando. Ora fingeva di pescare pesci invisibili, con una canna invisibile. Attendeva che spuntassero dalle assi di legno con una fissità fiduciosa. «Lui non vedrà mai mia figlia. »
Jack notò quanto avesse calcato sulla parola "mia". «Però lui ha chiesto solo di te.»
Will non capiva se stesse giocando al finto ingenuo o se davvero si fosse dimenticato come andavano le cose ai tempi. «Non hai notato che otteneva da me sempre tutto ciò voleva?» replicò, tagliente. Non voglio pensare mai più a te. «Non gli darò l'occasione di manipolarmi di nuovo.»
«Una visita di un quarto d'ora videosorvegliata, con lui dentro una cella. Che cosa potrebbe mai succedere di così terribile?» insistette Jack, cominciando ad innervosirsi a sua volta. «Per te potrebbe non avere conseguenze, mentre potrebbe salvare la vita a diverse persone. Una volta ti importava.»
Questo era un colpo basso. 
«E l'unico risultato che ho ottenuto è stato non aiutare nessuno e rischiare di impazzire, perchè non ero in grado di affrontare ciò a cui andavo incontro» rimbeccò Will, duramente. «Nessuno ha sofferto quanto ho sofferto io. Nessuno. Non mi aspetto che tu capisca, ma non ti permetto nemmeno di definirmi un egoista. Non posso rischiare, sai quali sarebbero le conseguenze, nel peggiore dei casi. Non lo faccio solo per me. Lo faccio per la mia ragione di vita.»
Solo con l'arrivo di Bianca aveva capito quanto prima il senso di angoscia fosse quasi minimo, quando si trattava solo della sua solitudine e i suoi modesti dolori, paragonato all'idea che sua figlia gli venisse tolta dagli assistenti sociali per piazzarla in casa a degli sconosciuti. Non avrebbe mai potuto permettersi di perdere il senso della realtà. 
Jack non si smosse dalla sua posizione. «Proprio perchè adesso hai lei e sei cambiato non ti lascerai manipolare. Credo fermamente in questo.» 
I suoi occhi erano densi, accessibili, quasi liquidi. Will realizzò che lo pensava sul serio. Aveva captato una vera stabilità in quella tazza di sidro, in quel portico. In quella bambina con il cappotto allacciato giusto. 
«Lo credi tu, ma non io» ribattè, senza lasciarsi commuovere. Guardò oltre il parapetto di legno la piana sterminata del lago Moosehead, la sua vegetazione lilla, la sua collana di montagne basse e lunghe tutt'intorno. La sua pace robusta, di pietra. La sua fortezza. «Non ho niente da dirgli» gli uscì. 
«Però forse lui ha qualcosa da chiederti» insinuò Jack. 
Un motivo in più per non parlare, pensò Will. «Le sue domande non mi suscitano alcuna curiosità.»
«Non sa niente di sua figlia, Will.» Jack assunse un'espressione quasi impietosita, come se gli chiedesse di appellarsi a un senso comune della moralità, o dell'empatia. «Sa a malapena che esiste
Will non si sentì toccato. Voglio che tu sappia esattamente dove sono. Posò la tazza vuota sul tavolo, con un tonfo netto. «Se ci fosse stata la vaga possibilità che lui potesse essere un buon padre, saprebbe di più. La colpa è sua.» 
Jack inalò, richiamando a sè pazienza e spirito pratico. «Hannibal Lecter ha sbagliato molto nella sua vita, soprattutto nei tuoi confronti, sta pagando per questo, e non finirà mai di pagare. La stima ideale dei suoi anni di carcere è l'equivalente di circa dieci ergastoli. L'inizio di questa storia è buio, ma... Bianca ti ha portato tanta felicità.» Si voltò per lanciare un'occhiata affettuosa alla bambina, che sprimacciava con la neve le orecchie di un cane. «In un modo o nell'altro, tu miracolosamente sei felice, ora. Visto che per te è finita bene, tutto sommato... anche se non grazie a lui... non puoi concedergli almeno una conversazione, in cui sceglierai tu cosa dirgli e cosa no?» La questione doveva stargli molto a cuore, pensò Will. Non era semplicemente per profitto che cercava di convincerlo. Non sarebbe stato nemmeno da lui. Qualcosa in Hannibal doveva averlo commosso sinceramente. «Ci aiuterà con il caso e nessuno subirà un torto. Appena dirà qualcosa di inappropriato, interromperemo l'incontro. E tu sarai libero di andartene in qualsiasi momento, se non ti sentirai bene. Ma ti supplico... da amico. Da ex collega.» Jack cercò le sue mani, che lui teneva appositamente lontane, incrociando le braccia. E poi la disse, la cosa dura da digerire, la cosa innegabilmente vera. «Anche se nel peggior modo possibile, anche se le sue intenzioni erano perverse, alla fine dal male che ti ha fatto è scaturito del bene.»
Hannibal gli aveva dato Bianca. Non era possibile immaginare lei senza lui. Non era possibile desiderare davvero di cambiare qualcosa del passato, di non averlo mai incontrato.
L'unica cosa buona che Hannibal avesse fatto nella vita l'aveva fatta per Will. Era difficile pensare di dovergli essere grato per qualcosa. E dove potrai sempre trovarmi. 
«Solo il diavolo sa cosa ne sarebbe stato di noi, se non l'aveste arrestato e ci avesse portati via con sè» mormorò Will. Si appellava a questo, per continuare a condannarlo. 
Jack chiese se poteva accendersi una sigaretta, brutta abitudine, cose che il tempo porta con sè. Si premurò di fare alcuni lunghi passi lontano dalla bambina, si mise sulle scale della palafitta, controvento. Maneggiò un corto accendino verde, sputò il fumo, con amarezza. Will riuscì finalmente a percepire un invecchiamento nel suo sguardo. 
«Non l'abbiamo arrestato. Si è consegnato.»

***
Molte cose erano cambiate in tre anni.
Il sacco bianco in cui Hannibal era rinchiuso tempo prima era scomparso, sostituito da una specie di pigiama intero beige, di seta, dall'aria distinta. Intorno a lui, come per magia, gli scaffali si erano colmati di tomi e volumi, dalle rilegature nere e le vergature che splendevano in controluce, da terra fino al soffitto. Una specie di struttura portante con le ruote, simile a un cavalletto, esibiva degli schizzi a matita. 
Era riuscito ad appropriarsi persino di quello spazio. Era innegabilmente diventato il suo regno. 
Hannibal era di spalle. Quando si voltò, Will potè accorgersi del fatto che il suo volto era ben sbarbato. 
Sì, molte cose erano cambiate.
«Ciao, Will.» La sua voce, la sua espressione, erano meste, come quelle di un amico che si è rassegnato all'idea di aver perso l'amicizia dell'altro, ma che si rende conto delle ragioni, le trova condivisibili, e non prova rancore, solo una tristezza che non osa pretendere nulla per paura di essere maltrattata. «Hai ricevuto la mia lettera.»
Due luci dominavano geometricamente lo spazio, quella gialla e calda che proveniva dal paralume della lampada a muro del corridoio di mogano in cui stava Will, e quella azzurra, gelida, asettica, della cella di Hannibal. Contro il vetro, si scontravano e cozzavano.
Will sapeva che il suo sguardo lo stava esaminando dalla testa ai piedi, anche se fingeva di appuntarsi semplicemente nei suoi occhi. Era pronto all'esame. Si era messo una giacca nera, inusuale, un po' informe, pantaloni dalla stoffa troppo rigida, comprati e indossati una volta sola, che ancora sapevano di negozio. Anche lui voleva apparirgli un altro. I capelli più corti, sforbiciata via ogni ciocca di distrazione, di estro, di sregolatezza. Una faccia pulita, austera, adulta. 
«Hai un dono per questi ermetismi superflui.»
«Quindi l'hai letta prima di bruciarla.»
«Per ricordarmi ancora una volta perchè fosse così importante bruciarla.»
Ora il viso di Hannibal era in ombra e il torace invaso di luce sintetica. Le ombre si annidavano negli angoli dei suoi lineamenti, nelle orbite dei suoi occhi.
«Ma ora eccoti qui.»
«Per aiutare Jack, e basta» ribattè subito Will, duro.
Hannibal fece qualche passo avanti, verso i buchi circolari nel vetro, verso di lui, facendolo inavvertitamente deglutire a vuoto. Era serio e malinconico. Ora il volto era illuminato solo per metà. Quando appariva così inerme era quando era più pericoloso. 
«Sono contento che tu sia venuto. Sei l'unica persona che io volessi vedere. Ogni giorno che ci ha separati l'ho trascorso ad aspettarti.»
Gli occhi di Will erano lucidi, ma fermi. Lo ascoltò, e quando Hannibal smise di parlare aprì le labbra, incerto su come articolare le parole. 
«Visto che sono venuto, ora dovrai dare la tua opinione a Jack su quel caso, dottor Lecter.» Suonava quasi come un tentativo di congedarsi, ma sapeva che non se la sarebbe cavata così facilmente.
«Sì, gli accordi erano questi.» Hannibal lo fissò, come per sbugiardarlo, con occhi sinceri, aperti, disarmati. Cercando di sciogliere di nuovo il mollume della confidenza nello schermo che li divideva. «Non ci chiamiamo più per nome, adesso?»
«Sarò più a mio agio se manterremo un atteggiamento formale» zoppicò la voce di Will, rauca. Guardò il proprio riflesso sul vetro mentre parlava, pallido, al contrario. Non poteva sostenere quello sguardo senza soffrire per l'ipocrisia che implicava. Era troppo tardi per essere guardati così. Quando era stato lui a rovinare tutto. 
Ora Hannibal aveva abbassato lo sguardo, come si depone uno strumento chirurgico che ha fallito. Pareva esserci un filo di lacrime tra la palpebra inferiore e l'occhio. Forse era un effetto della luce. Mosse il mento, leggermente, senza saper che fare, come incassando il colpo e metabolizzandolo. Una triste realizzazione parve muoversi nei suoi occhi. Poi battè le ciglia e abbassò anche le palpebre, un po', come per difendersi. Il silenzio che dipinse tra di loro era come un'accusa. 
«Riesco a sentire il profumo della crema idratante per bambini di mia figlia sulle tue mani. Camomilla, farina d'avena ed estratto di alghe marine.»
Fu difficile rimanere impassibili a questo. Anche questa volta Will aprì la bocca, e ci aspirò il fiato, prima di parlare.
«Sono venuto qui per aiutare Jack» sibilò, senza chiudere compleamente le labbra, lasciando aperta quella fessura paralizzata di odio.
Gli angoli della sua bocca fremettero appena, come se volessero sollevarsi in un sorriso, ma Hannibal si trattenne. Lo sguardo ora aveva un bagliore ironico, di uno che legge la verità dentro di te e ride delle bugie che stai raccontando. Come bucando bonariamente la scenografia. Empatizzando con la verità che Will nascondeva. «Come sta Abigail?»
Ma empatizzare con lui era l'ultima cosa che Will voleva. «Non si chiama Abigail.» La voce ora grattava, portandosi via residui.
«Secondo nome, allora.» Hannibal era tranquillo, a suo agio. «Non potevi farne a meno.»
Will chiuse gli occhi e abbandonò il mento in un cenno esasperato, sospirando con una sorta di stizza incredula e salace. Poi lo dardeggiò con un'occhiata truce, ostile, le sopracciglia aggrottate di disgusto. «Lei non è Abigail. Tu hai ucciso Abigail.»
«Sai che non è vero» obiettò Hannibal con delicatezza. Ma non insistette. «Ha quasi tre anni. L'età che aveva Mischa quando è morta.» La voce non pesò su quel nome, lo lasciò scivolare apparentemente senza dolore.  
Will affrontò il suo sguardo, battagliero ma ferito. «Lei non è nemmeno Mischa. Smettila di infliggere i tuoi fantasmi ai vivi.»
Hannibal sembrava non ascoltare le sue risposte. I suoi occhi erano rischiarati dal devoto fervore che Will aveva intravisto quel giorno di tre anni fa, a Wolf Trap, prima del suo arresto. «Sei un bravo padre, Will?» 
Will non rispose. Il suo sguardo era tagliente, quasi tradito. Glie lo conficcò addosso come un bisturi. Sono l'ammasso dei resti che hai lasciato dietro di te dopo la tua distruzione. Uno che può solo provare, sperare di non rovinare tutto, senza mai potersi fidare di se stesso. Uno che ha paura di far del male a sua figlia. 
«I tuoi geni e i miei combinati insieme hanno prodotto la creatura impura che temevi?» continuò Hannibal. Ora sulla sua fronte batteva il riflesso della luce ambrata del corridoio. 
Le labbra di Will, storte, sigillate, ostinate a non concedergli una parola più del necessario, si scucirono, fecero saltare i punti. «Tu pensi che io e te siamo uguali, ma ti sbagli. Tu non sei mai stato in grado di prenderti cura di niente. Io invece ce l'ho fatta. E tu non tolleri questo. Ti piacerebbe mandare tutto all'aria.» S'interruppe, temendo di piangere.
Hannibal lo osservò, stringendo gli occhi in due fessure, come mezzelune. Ora la sua espressione appariva malevola. «Sapevi che era meglio non riprodursi. Ma lo hai fatto lo stesso. Sei contento di aver corso questo rischio?»
Will ricordò. Tre anni prima. Quando quel peso che ancora non aveva massa schiacciava nella sua pancia. Quella frase che lo aveva colpito alle spalle, mentre se ne stava andando. Mentre credeva di essere già al sicuro. Hai paura che diventi come te. Ma non hai paura che possa diventare come me?
«Lei è tutta la purezza che mi rimane» biascicò Will, «e mi sono ripromesso che riuscirò a proteggerla da te. Quello è l'unico rischio, per noi.» Automaticamente, la sua mano corse alla cicatrice, la linea arrossata, in rilievo, sulla sua fronte. Come un monito. Hannibal soppesò con noncuranza quel gesto. 
«Mi sono perso tre anni di vita con la mia famiglia. Puoi biasimarmi se ti invidio?»
La parola famiglia indispose Will. Forse era quello l'obiettivo. 
«Tu non vuoi che io abbia niente nella mia vita tranne te. Così come hai fatto in modo che l'avessi, troveresti il modo di eliminarla.» Provò il desiderio fisico di aggredirlo, di far sparire quel vetro per potergli strappare via la faccia. «È solo fortunata del fatto che non ti vedrà mai.»
Hannibal fece di nuovo quella faccia delusa, intristita, come se pensasse di essere stato picchiato troppo forte, come per sgonfiare il suo rancore in una sorta di senso di colpa. 
«Sono adorabili i bambini a quell'età. È molto divertente giocare con loro. Hanno ancora tutta la spensieratezza di prima, ma la loro immaginazione comincia a svilupparsi in modo più elaborato.» Non guardava più lui. Il suo sguardo andava oltre quella stanza, attraversava il tempo e lo spazio. «Mischa amava giocare con le melanzane. Glie lo lasciavamo sempre fare. Era una bambina viziata.» Hannibal tacque, annichilito da se stesso. Sembrava che anche la presenza di Will non gli importasse più. Invece, assorto, disse: «Che cosa ha preso da me? Puoi dirmi almeno questo?»
Will esitò, combattuto. Dopo qualche istante di riflessione, aprì la bocca. «Ha una sensibilità insolita. Certe cose che secondo il senso comune dovrebbe considerare tristi, non la toccano. Invece piange per altri motivi, più imperscrutabili. Le foglie che cadono, il fuoco che si spegne. La manifestazione naturale della fine le infonde una profonda sofferenza. Parla in modo diverso dagli altri bambini, poco ma sempre con precisione sintattica. Preferisce i giochi che si basano sulla fantasia a quelli di gruppo. È capace di stare seduta per un'ora immersa nel suo gioco, senza bisogno di niente. È molto sveglia.» Will s'interruppe, come accorgendosi di aver straparlato. Credeva di capire cosa doveva aver intenerito Jack, perchè ora il viso di Hannibal appariva sinceramente commosso. 
«A giudicare da quello che dici, sembra che somigli più a te che a me» dichiarò. Non gli dispiaceva.
«Eppure ti vedo ogni volta che la guardo» sussurrò Will. Poi si pentì di quel che stava dicendo. Si stropicciò il volto, rapidamente, spaventato. «Io... devo andare. Farai quel che Jack vuole da te?»
«Sono un uomo di parola» rispose Hannibal. Aveva un'aria soddisfatta, come se avesse ottenuto esattamente quello che voleva. 
«Allora il mio lavoro qua è finito» dichiarò Will, irrigidendosi di nuovo. Si aggiustò la giacca. «Buona giornata, dottor Lecter.»
Corse via di fretta, quasi temendo di essere trattenuto da una forza misteriosa. Hannibal era di un umore molto migliore rispetto al risveglio. Tornò alla scrivania e si mise a tratteggiare uno schizzo per riprodurre la versione miniata originale di Ah! Sun-flower di William Blake.
  
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