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Autore: Enid    24/08/2018    0 recensioni
Storia scritta per la Challenge di Natale 2017 del gruppo Aspettando Sherlock 5 - Spoiler ed Eventi
https://www.facebook.com/groups/366635016782488/
Promt di Aurora Bernardi: Sherlock e John sono sposati, vivono una vita felice e hanno finalmente trovato la serenità. Durante un caso Sherlock ha un incidente e si risveglia in ospedale, scoprendo di aver perso la memoria. A quel punto John dovrà aiutarlo a ricordare e soprattutto, dovrà riconquistare il suo amore.
Dedica:
Questo è uno dei miei trope preferiti di sempre: l’amnesia! Ho saltellato quando ho visto questo prompt e l’ho scelto subito!
Nota: ci ho messo 6 mesi MA LA FIC E' COMPLETA! Metterò un capitolo a settimana ^^
Curiosità: Il titolo della storia è il titolo di una famosa canzone folkloristica inglese che si canta a natale, e i capitoli... sono il testo della canzone, ovviamente adattati!!
Genere: Azione, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'ultimo, ULTIMISSIMO capitolo è finalmente giunto!!

OGGIOIA!!!
Grazie alla mitica Nmaetha/Hary che mi ha salvata dai Wall of Text, dai cambi di Punto di Vista a mezza frase, dalle troppe frasi che iniziano con "e" e spesso e volentieri anche dalla follia pura!! Spero vi sia piaciuta, e se vi è piaciuta, fatemelo sapere con un commentino, mi rendereste davvero felice!!

On the twelfth day of Christmas ironic fate sent to me, Twelve kisses, Eleven cups of tea, Ten Marriage Photos, nine shots a’shooting, eight New Year’s resolution, seven London Pubs, six broken kneecaps, five confused policemen, four cricket bats, three rotting corpses, two Holmeses and a retrograde amnesia 

Uscì da casa di Mrs. Hudson e non salì subito al 221b. Si sedette sull’ultimo scalino delle scale, le mani unite palmo a palmo sotto il mento, cercando di riordinare le idee. L’orologio in casa della sua padrona di casa aveva segnato le 22:30. Mary era andata via circa un’ora prima, e Sherlock aveva lasciato John sul divano a leggere. Era sceso senza cappotto e risalire per prenderlo era fuori dal personaggio, di qui, lo stazionamento in fondo alle scale.

Entrò nel suo palazzo mentale. Strutturalmente era tutto esattamente come undici giorni prima, le aggiunte su John erano tutte all’ingresso dell’ala Nord, ancora bloccata. Sherlock passò in rassegna tutto ciò che in quei giorni aveva capito e compreso di John. La sua testardaggine e la fedeltà. L’amore che diceva di provare per lui (e sicuramente Sherlock non capiva cos’altro poteva motivare tanto il dottore a rimanere con lui: sapeva di essere insopportabile, e spesso lo faceva anche apposta). Catalogò tutte le istanze dei quasi baci, compreso quello di quella stessa mattina, quando John gli aveva passato il the. Gli si era inaspettatamente stretto il cuore quando John si era ritratto all’ultimo secondo. Non sapeva di volerlo. Ogni tocco, dalla mano sulla sua quando si era svegliato all’ospedale, a quando John lo aveva coperto col proprio corpo su quel tetto. Prese a girare la fede, un tic che pareva famigliare a tutti, tranne che a lui.

Cominciava ad essere frustrato e impaziente con la proprio incapacità di ricordare. Specialmente perché era evidente che lui stesso anelava a qualcosa di più con John.

Sherlock ripensò ai buoni propositi di capodanno, al fatto che dopo quel giorno il dottore gli era sembrato più rilassato, meno in ansia. Forse anche meno insicuro. Di sicuro ancora zoppicava (ed era una cosa che lo faceva impazzire. John gli aveva raccontato come lo aveva “guarito” la prima volta, ma non sembrava funzionare più).
Provò di nuovo a sgombrare il passaggio nell’ala nord. Ci provò pensando di scavare tra i detriti, si visualizzò armato di pala, addirittura di dinamite. Nulla. Era ostinato quanto lui. Dopo l’ennesimo tentativo, Sherlock guardò l’ora.

Mezzanotte e mezza

Era il 5 di gennaio. Il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno. E Sherlock decise che era stufo di aspettare che un miracolo, un gesto gli restituissero la memoria. Non esisteva la magia, d’altronde.

Si alzò, sgranchendosi ginocchia e schiena, e poi salì le scale, con passo determinato e rapido, ormai deciso.

Quando entrò nel salotto del 221b, John era ancora sul divano, ed evidentemente si era addormentato leggendo perché si era riscosso di punto in bianco e la smorfia che aveva in viso gli diceva che la spalla non aveva gradito la posizione. Sherlock si sentì mancare un attimo il fiato quando come primo istinto gli venne da andare a massaggiare la spalla dolorante. L’ala Nord ogni tanto faceva passare qualche briciolo di informazione, e Sherlock ne approfittò. Si avvicinò al divano, rimanendo dietro, e posò le grandi mani sulla spalla del dottore, iniziando a massaggiarla così come gli suggeriva la memoria muscolare. John emise un gemito e poi un sospiro.

“Oddio, grazie Sherlock. La spalla mi odia quando mi addormento sul divano.” Gli disse il dottore, riempiendo il silenzio che era rimasto tra loro. Sherlock non parlò, concentrandosi per non sbagliare, per non dimenticare un passo, un gesto. Quando finalmente il muscolo gli sembrò sufficientemente rilassato, finì il giro del divano e si sedette accanto a John, in una posizione del tutto analoga a capodanno.

Vide il dottore guardarlo, la bocca socchiusa, gli occhi che indugiavano per un secondo sulla sua bocca senza però fermarsi, continuando il percorso fino a guardarlo negli occhi. Non sapeva Sherlock cosa John vedesse nel suo sguardo, non si sentiva del tutto in controllo, ma qualsiasi cosa fosse lo fece sussultare impercettibilmente. Il capitano dell’esercito però non si mosse, non cercò di mettergli pressione. Chiunque altro lo avrebbe fatto.

E lì, Sherlock seppe che la sua decisione era giusta. Si avvicinò ancora a John, e prima di poter ritrattare, ne afferrò le mani. Rimase bloccato lì, con gli occhi sulla fede di John, carezzandola.

“So cosa è scritto nella mia fede. Ma non ti ho mai chiesto cosa fosse scritto sulla tua…” John districò delicatamente le mani dal loro intreccio, e si sfilò la fede, porgendogliela ancora in silenzio. Sherlock l’afferrò e la girò fino a riuscire a leggere le parole: ‘my conductor of light, SHW’.
Non si era accorto di avere chiuso gli occhi, con la fede stretta nel pugno, fino a che la mano sinistra di John non gli toccò la guancia. Aprì gli occhi e fissò il dottore nei suoi.

“Non devi sentirti in dovere di fare niente. Te l’ho detto per il primo dell’anno, io sono qui fino a che non mi dirai che non mi vorrai più tra i piedi.”

“Sei uno sciocco, e un sentimentale. E fin troppo disposto a sacrificarti per gli altri.” Gli disse Sherlock, col tono più brusco di quello che voleva. Non si aspettava che John sorridesse.

“Lo so. È un atteggiamento poco sano, ma non mi importa. Funziono bene così.”
Sherlock distolse lo sguardo, lasciandolo cadere sulla fede nella sua mano. Lentamente, sollevò la mano destra e prese la mano sinistra di John, ancora sulla guancia. Se la rigirò tra le mani, mentre la mano sinistra, con un movimento che aveva imparato in un periodo meno bello della sua vita, si passava la fede dal palmo alle dita. Guardandolo negli occhi, con un mezzo sorriso che non riuscì proprio a trattenere, infilò la fede all’anulare di John, e poi baciò l’anello e la sua mano. Gli occhi del dottore diventarono quasi lucidi.

“Non so se recupererò mai la memoria. Ma non voglio stare qui ad aspettare che accada. Specie se tu sei qui, e se ti va bene anche questa versione mezza amnesica di me…”

“Tu sei sempre tu, non importano i ricordi.” Lo interruppe John. Sherlock gli sorrise,

“Ecco. Lo stai facendo di nuovo.” Sherlock lasciò la mano di John per pochi secondi, il tempo di togliersi la fede e porgerla al dottore, in una domanda a cui non riusciva a dare voce. John non ebbe bisogno di sentirselo chiedere. Afferrò la fede e fece di nuovo scivolare sull’anulare sinistro di Sherlock.

“Grazie per non averla tolta.” Gli disse.

“Grazie a te per avermela data.” Rispose Sherlock.
John lo attirò in un abbraccio a cui il detective non fece resistenza, portando le sue braccia attorno all’uomo che sapeva essere suo marito, anche se non lo ricordava. La testa di Sherlock si appoggiò alla spalla sinistra, e Sherlock non si fece passare l’occasione: si scostò appena quanto necessario e diede un bacio laddove, istintivamente pareva, sapeva essere la cicatrice dell’Afghanistan. John ebbe un sussulto, stringendo Sherlock più stretto prima di lasciarlo andare, nonostante il suono di protesta.
Non si allontanò di molto, però, usando le mani callose per sbottonare la manica della camicia viola e tirandola su, fino a scoprire i segni delle iniezioni. John si chinò, mentre Sherlock lo osservava, le labbra socchiuse, e ne baciò le cicatrici. E Sherlock capì che era il suo modo per ringraziarlo di non essere ricorso alla soluzione al 7%. Di seguito, John si spostò sul torace di Sherlock, appoggiando l’orecchio al suo cuore (battito accelerato, circa 120 battiti al minuto) e lasciandovi poi un altro casto bacio.
 
Sherlock lo avvolse nel suo abbraccio, chinando la testa fino a che non raggiunse con le labbra il punto sul collo di John dove poteva sentire il cuore, vedere il battito (110 battiti, per il suo bradicardico dottore, molto accelerato), e lasciò un bacio lì, di contraltare a quello sul cuore. John emise una risata umida, sollevando la testa per guardarlo negli occhi, e Sherlock sentì le mani del dottore avvicinarsi alla sua testa, tirandola verso di sé, lasciandogli un bacio sulla fronte, sorridendogli con gli occhi umidi.
Sherlock ricambiò il sorriso, e si chinò verso di lui, lasciandogli due baci sulle palpebre, portandosi via il sapore del sale sulle labbra.

“John…” disse il detective, socchiudendo gli occhi mentre le mani del dottore salivano fino a scostare un ciuffo di capelli, sotto al quale Sherlock sapeva avere una linea bianca, a zig zag, unico ricordo della caduta.

“Shhh, Sherlock, lo so.” Gli rispose il dottore, prima di baciarlo proprio lì. Di rimando, Sherlock gli baciò la tempia, per poi trovarsi fronte a fronte con l’unico uomo da cui non si era sentito giudicato e trovato mancante. “Ti amo.” Sillabarono le labbra di fronte a lui, che annuì leggermente alla silenziosa richiesta di John. Le mani intrecciate tra i suoi riccioli allora lo tirarono, e Sherlock chiuse gli occhi appena prima che le loro labbra si toccassero.

E il ricordo di ognuno dei loro baci si riaffacciò di colpo, senza soluzione di continuità. Sherlock sussultò, portando le sue mani ai lati del viso di John e inclinandolo leggermente, e subito dopo la mano sinistra si spostò dietro la testa del dottore, mentre la destra andava al suo collo, proprio nel punto dove l’aveva baciato, a sentire il cuore.
Si separarono dopo alcuni secondi, rimanendo fronte a fronte, guardandosi. E Sherlock sorrise, tanto ampio quanto il giorno in cui aveva visto John venirgli incontro per la cerimonia e il dottore sussultò.

“Sherlock?” chiese, in un’unica parola capace di chiedere ‘ti sei ricordato? Sei tu? Stai bene?’

John, il mio John.” Fu la risposta di Sherlock, mentre, ridendo, lo abbracciava stretto e se lo tirava addosso. John iniziò a ridere anche lui, lo abbracciò stretto e lo baciò di nuovo.

In silenzio, senza lasciarsi le mani per più di qualche secondo, si trasferirono in camera, la loro camera, Sherlock sapeva che John era esausto e lui in quel momento non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare fuori dalla sua portata.

Sotto le coperte, Sherlock assaporò la sensazione di poter di nuovo accedere a tutta la sua testa, stendendosi quasi sopra il dottore, sopra suo marito, e continuando a guardarlo. John ricambiò lo sguardo, sorridendo come ubriaco, e gli diede un altro bacio. E poi scoppiò a ridere.

 “John, che cos’è che trovi così ilare proprio orai?” chiese il consulente detective, mettendosi a ridere anche lui.

“Ti rendi conto che la memoria ti è tornata dopo che ti ho baciato?” gli fece notare John, scostandogli dalla fronte un ricciolo ribelle.

“Aha. Un gesto che ha attivato contemporaneamente i centri mnemonici visivi, uditivi, tattili, olfattivi e gustativi, sbloccando l’ala nord.” Rispose seriamente Sherlock. John continuò a ridere. “Allora?”

“No è che… praticamente… sei una principessa Disney. Salvato dal bacio del vero amore.”

“Tu e le tue sciocche fiabe infantili.” Rise Sherlock.

“Aspetta che lo racconti agli altri…” lo sfidò John. Sherlock alzò gli occhi al cielo, e lo baciò di nuovo, per lunghi minuti.

“Magari riesco a fartelo dimenticare…” gli disse, dopo il lungo bacio, con la voce più bassa di un’ottava.

“Puoi sempre provare…” rispose John, divincolandosi leggermente sotto di lui, e tirandoselo di nuovo vicino per baciarlo, “Puoi sempre provare…”

***

Il giorno dopo

Se non altro, il fatto che Sherlock avesse recuperato la memoria aveva permesso a John di non fargli scoprire la festa a sorpresa. Il giorno dopo, a pranzo, si trovarono tutti a casa di Mrs. Hudson, dove la padrona di casa, suo fratello, Gary (Greg! Aveva detto John, ridendo), Molly, Mary e Anthea gli augurarono buon compleanno. Sarebbe dovuto essere più infastidito dalla festa, ma era troppo impegnato a baciare John per ringraziarlo del regalo. Le esclamazioni dei loro amici che festeggiavano il ritorno della sua memoria erano, per una volta, gradite. Perfino le risate quando, alla domanda di Mrs. Hudson su come fosse successo, John aveva risposto “Sherlock è una principessa Disney”.
   
 
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