I.11
Ha
visto Relena cadere, come un birillo.
L'impatto
giusto, l'angolo perfetto, l'irresistibile pressione che
trapassa le cervella –
senza sforzo, senza resistenza –, e tutti s'afflosciano come
bambole di pezza.
Lei è
andata giù diritta, una mazza di scopa: probabilmente Relena è
l'eccezione
anche alla fisica e alla morte. Non alla politica.
Ed
Heero, con orrore, è colpito in faccia dalla consapevolezza di
non provar
nient'altro che rassegnazione, un po' d'amarezza.
"La
Pace è finita. Questa è la dichiarazione d'una nuova guerra", è
tutto quel
che pensa. "Sbarrate le uscite, inclusi i dotti d'aerazione, le
fogne e le
finestre", è quello che dice. E già marcia all'ingresso
principale,
inamidato quanto l'uniforme, trascinando sulla bocca dello
stomaco un peso
piccolo piccolo, che quasi non sente e forse è il suo cuore.
È Duo
che corre accanto a lei, contro il buon senso a tamponarle le
ferite, a
mormorarle parole rassicuranti (le sole che conosca, tutte
vagamente
salmodianti, in una lingua morta, retaggi dell'infanzia), ad
inginocchiarsi nel
suo sangue, perché qualcuno deve. Gli bagna i vestiti, gli
sporca le mani;
dispettoso, gli s'infila nelle scarpe, come pioggia che l'avesse
aspettato in
una pozzanghera in cui si decide di saltare; lento, ancora
caldo, come una
carezza, piano gl'inzuppa la punta della treccia, gli resta nei
capelli e fa
amicizia col resto dei defunti che Duo si porta dietro, sulle
spalle, ma che ancora
oggi non sa come piangere.
Poi,
come un cappellano militare, le chiude gli occhi e la saluta con
un bacio sulla
fronte – lei che fu la sua rivale, l'amica migliore –, un'altra
gentilezza che
non serve a niente.