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Autore: MarySF88    25/08/2018    3 recensioni
Clexa ispirata al telefilm The 100.
Lexa si risveglia improvvisamente dopo la sua morte ma qualcosa non va. Non c'è Clarke vicino a lei né Titus, sarà stato tutto un sogno?
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 7, Passaggi

 

Fu come chiudere gli occhi per un istante e riaprirli in un altro mondo. Non sapeva cosa diavolo fosse quel posto ma Lexa fu subito certa che non si trattasse di qualcosa di reale. Poteva sentirlo nell'aria, perfettamente immobile, quasi inconsistente e illusoria nonostante la pioggia che stava cadendole addosso. Anche l'acqua era strana, inumidiva i vestiti, i capelli, la pelle, ma non lo faceva nello stesso modo a cui era abituata. Il paesaggio intorno a lei era opprimente e sconfortante, fatto di imponenti costruzioni, alcune sembravano alte almeno quanto la torre di Polis, che impedivano la vista dell'orizzonte e lasciavano una visione obbligata del cielo. Ebbe subito la sensazione di trovarsi in una sorta di prigione dorata e scintillante. Sapeva, da alcuni dei libri che erano stati ritrovati intatti o pressoché tali, che quello doveva essere l'aspetto delle grandi città prima del Praimfaya e per la prima volta si rallegrò di non aver vissuto in quell'epoca. Tutto sembrava molto più opprimente e molto meno affascinante di quanto avesse immaginato nei suoi sogni di bambina e poi di ragazzina. Ma, forse, era colpa di quell'atmosfera irreale che la circondava.

Questa rapida carrellata di pensieri le aveva attraversato la mente come un lampo di consapevolezza mentre si guardava intorno in cerca di qualche punto di riferimento. Non ci fu bisogno di particolari ricerche perché nell'esatto momento in cui la sua mente si poggiò sul pensiero di Clarke, la sentì. La sua presenza era come un oggetto concreto appoggiato in qualche angolo di quella realtà e lei sapeva esattamente dove si trovava.

L'istante successivo scoprì che sapeva tutto ciò che era successo dall'altra parte dello specchio mentre lei era stata, come dire, assente. Non solo ciò che aveva intravisto nelle sue fugaci visioni, ma anche il resto. I chip, A.L.I.E., la Città della Luce. Era lì che era, dunque. Un'onda informe di emozioni stava per travolgerla ma decise di cavalcarla anziché farsene sommergere. Doveva fare in fretta, non era molto il tempo che avevano a disposizione.

Sguainò entrambe le spade e cominciò a correre a perdifiato per quelle strade ordinate, sentiva che Clarke era in pericolo e non c'era tempo da perdere. A quanto pareva sapeva esattamente quale direzione prendere.

Appena vide un paio di persone in lontananza prendere a calci e pugni qualcosa in cima a una scalinata, la rabbia si impossessò di lei e la guerriera che aveva dentro prese il sopravvento su ogni suo gesto.

Poteva scorgere altre persone in arrivo, così decise per un approccio dirompente. Arrivò senza rallentare al bordo del primo gradino poi con uno slancio si buttò in avanti mentre con le spade falciava i due che stavano colpendo Clarke. Un urlo di guerra le uscì istintivamente dalla gola mentre atterrava in fondo alla prima rampa e sciogliendo l'incrocio delle spade dovuto al colpo precedente, squarciava il ventre di altre due persone che stavano sopraggiungendo.

Poi, nonostante la folla in arrivo, suo malgrado, Lexa non riuscì a trattenersi e si voltò verso Clarke che ansimava a terra, il naso gocciolante di sangue e lo sguardo impaurito e sorpreso allo stesso tempo. Quando la Skaikru, in preda allo sconcerto disse incerta, “Lexa?”, il cuore della Heda scoppiò di gioia e un sorriso di pura felicità le si allargò sul volto perché in quel preciso istante fu assolutamente certa che quella era la SUA Clarke. Aveva appena imparato una cosa che non avrebbe più scordato: non aveva senso passare le ore a chiedersi o a cercare le prove di quale versione di Clarke Griffin fosse quella giusta, sarebbe bastato vederla e l'avrebbe saputo e basta.

Per fortuna, nonostante la distrazione, aveva mantenuto la posizione di combattimento e quando arrivarono gli altri assalitori era pronta. A mani nude contro le sue spade non ebbero scampo e furono mortalmente trafitti dalla sua furia, uno dopo l'altro. Si prese il tempo di riprendere fiato e di osservare attentamente la situazione intorno a sé in cerca di eventuali altre minacce, prima di far nuovamente ricadere la sua attenzione su Clarke: il terrore dipinto sui suoi occhi era magnetico e trascinò Lexa verso il suo corpo dandole a malapena il tempo di riporre le spade nel fodero. Il braccio teso della sua amata verso di lei le trasmise un'urgenza quasi viscerale di afferrarla. Appena la prese la sentì aggrapparsi per tirarsi su e la aiutò fornendole come supporto anche l'altro braccio. Le avrebbe donato tutto il suo corpo per sorreggerla, per stringerla, per fondersi a lei. Era internamente combattuta tra due desideri opposti: uno possessivo, feroce, che le comandava di consumarla come il fuoco con lo stoppino di una candela; l'altra che aveva quasi paura di toccarla, di vederla svanire, di sentirla inconsistente al tocco come un ologramma. Vinse la seconda, la voglia di guardarla negli occhi prima di ogni altra cosa, per perdersi dentro di lei e così non essere mai più costretta a separarsene.

Clarke doveva avere la sua stessa urgenza di toccarla, di sincerarsi che la sua presenza fosse reale e non un brutto scherzo dell'immaginazione, perché le toccò il viso delicatamente prima con una mano e poi con l'altra.

Quel tocco, quegli occhi, Lexa non riusciva nemmeno a sorridere, la felicità aveva intasato ogni brandello della sua mente tanto che non riusciva nemmeno del tutto a farla uscire.

“Oh mio Dio” sussurrò Clarke a fior di labbra. Nessuno sguardo severo, nessuna titubanza o ostilità, nessuna traccia di Wanheda in questa splendida creatura che Lexa si trovava davanti. Non riuscì più a resistere e l'abbracciò cercando di far aderire più pezzi possibile dei loro corpi l'uno con l'altro. Stava prevalendo in entrambe, lo sentiva, il desiderio di consumarsi a vicenda in quell'abbraccio a cui erano aggrappate ferocemente.

Ma i sensi di Lexa erano ancora all'erta e con la coda dell'occhio notò un innumerevole folla di persone avvicinarsi a rotta di collo: dovevano andarsene e anche in fretta.

La Heda sciolse l'abbraccio e fissò con decisione i suoi occhi in quelli di Clarke. Sapeva di doverle infondere coraggio e la forza necessaria a tentare quell'impresa disperata. Così le disse l'unica cosa che avevano sempre detto a lei per incoraggiarla.

“La nostra battaglia non è finita.”

Fece appello a tutte le sue energie e si caricò il più possibile il peso della sua Clarke addosso. Percepì immediatamente che le sue condizioni non erano le più favorevoli a una fuga rapida e tanto meno indolore così le fece mettere il braccio intorno alle sue spalle. Un grido di dolore, non appena cercarono di incamminarsi, confermò a Lexa ciò che sospettava.

Così, ricorrendo a tutte le loro forze si diressero verso quella che era la direzione che entrambe percepivano di dover prendere.

 

Erano riuscite a frapporre, chissà come vista la loro andatura rallentata, una certa distanza tra loro e il passo, invece, deciso dei loro inseguitori, quando scendendo un'altra scalinata, Lexa percepì che Clarke era diventata improvvisamente molto più pesante, il suo fiato più corto e affannato.

“Qualcosa non va.” le disse la piccola Skaikru mentre emetteva gemiti di dolore sempre più forti e tentava di afferrare l'aria per ficcarsela nei polmoni diventati improvvisamente ostili.

“Non ce la faccio.” esalò mentre si accasciava tra le braccia di Lexa che non poté far altro che accoglierla e cercare di adagiarla a terra più dolcemente che poteva mentre, allarmata, le sorreggeva la testa. Da quando era giunta in quella realtà ogni cosa le era parsa chiara: vedeva, sentiva, percepiva, sapeva, come mai prima di allora. Nonostante ciò, quello che stava succedendo a Clarke doveva riguardare il suo corpo al di fuori della Città della Luce, perché lei non ne coglieva nessuna causa plausibile nelle condizioni attuali della ragazza che teneva tra le braccia.

Le afferrò il viso puntandole gli occhi nei suoi, tentando di tranquillizzarla. Tra una pena d'aria e la successiva, Clarke aveva urgenza di dirle qualcosa.

“Credevo che non ti avrei più rivista.” disse la Skaikru ansimante.

Quanto avrebbe voluto dirle, Lexa, di tutto quello che aveva vissuto, di come avesse pensato la stessa identica cosa risvegliandosi al di là dello specchio, di come aveva recuperato la speranza quando l'Altro Titus le aveva parlato di lei o di come si era sentita quando aveva visto l'Altra, Wanheda, in lontananza. Dello sconcerto nello scoprirla diversa da colei che cercava, del dolore che le aveva causato la sua ostilità, di come aveva quasi sfiorato la pazzia non appena l'aveva vista comparire nel riflesso immateriale dello specchio...

Ma non era quello il momento per simili rivelazioni, leggeva ancora negli occhi di Clarke la sorpresa e l'incredulità di vederla ancora al suo fianco. Così optò per un tentativo di sdrammatizzare e sorridendo dolcemente le disse:

“Te l'avevo detto che il mio spirito avrebbe scelto saggiamente.”

Aveva funzionato e la sua piccola Skaikru stava annuendo mentre cercava di controllare meglio la respirazione e il dolore che la attanagliava quando improvvisamente il cielo cominciò a muoversi vorticosamente passando dal giorno alla notte in pochi istanti. Le luci dei palazzi si erano accese in ogni stanza di ogni piano, creando uno spettacolo luminoso inaspettato. Per un momento Lexa si chiese quante candele dovevano essere state accese a quello scopo.

“Che succede?” chiese Clarke, se possibile ancora più preoccupata.

Un lampo di consapevolezza attraversò la mente di Lexa.

“A.L.I.E. Sa che sei qui.” disse ad alta voce la Heda guardandosi intorno con apprensione. “Sta caricando la Fiamma dalla tua mente. E la tua mente sta cambiando le cose. Il giorno è diventato notte. Piove.” poi guardando Clarke negli occhi aggiunse: “Dobbiamo muoverci.”

Visto che la piccola Griffin acconsentiva, si caricò nuovamente il suo peso addosso pronta a ripartire, ma il corpo di Clarke cedette.

“Clarke?” la supplicò Lexa mentre la avvolgeva in un abbraccio tentando di sorreggerla. Ma la ragazza cominciò a scuotersi in preda alle convulsioni. Qualcosa di decisamente brutto stava accadendole al di fuori di quel mondo digitalizzato. Tentò di trattenerla, di calmarla, di placare la sofferenza che provava, capì improvvisamente cosa doveva aver provato la ragazza mentre lei le moriva tra le braccia senza che potesse far nulla e una sensazione di panico, come non aveva mai provato prima, nonostante i molti pericoli cui era andata incontro, si impossessò di lei.

“Clarke? Clarke?” continuò a chiamarla sperando che il suono della sua voce la guidasse nelle tenebre in cui stava piombando.

“Clarke! Torna indietro. Abbiamo bisogno di te!” la disperazione cominciava a farsi strada nella sua voce e non voleva perché doveva essere forte per entrambe.

Miracolosamente le convulsioni si arrestarono e Lexa accarezzò dolcemente quel volto pallido, ma sereno. Per un attimo temette che fosse la serenità della morte quella che scorgeva, ma la sensazione calda di un tenue respiro si infranse sulla pelle della sua mano mentre ricorreva al tatto per sincerarsi delle

sue condizioni.

In quel momento Clarke riaprì gli occhi iniziando a guardarsi intorno smarrita. Il panico dentro Lexa cominciò ad attenuarsi e cercando di non mostrare quanto tutto ciò l'avesse allarmata ripeté per un'ultima volta un tenue: “Clarke...”

La Skaikru si tirò su improvvisamente rianimata e la guardò senza più alcuna traccia di sofferenza ma con quello che Lexa sentiva essere desiderio. Si fissarono negli occhi per qualche istante, stordite da ciò che provavano e da quanto era appena successo. La Heda non riuscì a impedire al suo sguardo di ricadere per una frazione di secondo sulle labbra piccole e chiare della donna che dopo tanto cercare aveva finalmente ritrovato e che allo stesso tempo rischiava di perdere a ogni momento un poco di più.

Fu, tuttavia, Clarke ad azzerare impaziente la distanza, afferrandola in un bacio che sapeva di urgenza, di disperazione, di qualcosa di insaziabile che però bisognava comunque provare ad appagare.

Anche se non avrebbe mai voluto, Lexa staccò le sue labbra e si concesse solo un breve attimo per osservare ancora una volta il viso angosciato di Clarke. Le carezzò i capelli, ravviandoli dietro l'orecchio mentre tentava di sfoderare la voce più rassicurante di cui era capace, nonostante il turbinio di emozioni che le si agitavano dentro.

“Ora che il caricamento ha avuto inizio, gli uomini di A.L.I.E. Sono in grado di vederci.” la risposta fluì dalla sua mente alla sua bocca senza che lei sapesse veramente da dove proveniva. Strinse istintivamente la mano della sua piccola Skaikru quando cominciò a guardarsi intorno spaventata e aggiunse, “Dobbiamo essere più attente.”

“Perché non sono già qui?” le chiese Clarke.

“La Fiamma ci da un po' di protezione, ma sempre meno di momento in momento.” le rispose Lexa. “Capisci?”

“Sì.” la giovane Griffin aveva riacquistato il dominio di sé e uno sguardo deciso aveva preso il posto della paura.

Entrambe si erano alzate senza che la Heda riuscisse a staccarle gli occhi di dosso, ancora incerta sulle sue condizioni, per quanto sembrasse essersi ripresa completamente. Fu allora che Clarke si accorse di avere indosso un orologio, “L'orologio di mio padre, funziona.”

“Va all'indietro.” osservò Lexa.

“Abbiamo 10 minuti per trovare quell'interruttore di arresto.” constatò Clarke.

Fu allora che sentirono il rumore del campanello di una bicicletta. Lexa ne aveva vista una, una volta, al mercato di Polis, ma era molto mal ridotta. Quella invece era rosa e scintillante e la bambina che la guidava aveva uno strano giubbotto con il simbolo della Fiamma impresso sopra.

“Grazie, Becca.” disse la Heda sicura che quello fosse un segnale inviatole dal primo comandante.

Senza interrompere il contatto tra di loro, si misero a correre giù per le scale inseguendo la bici. Ora che si erano ritrovate non riuscivano più a lasciarsi.

 

Senza nemmeno accorgersene entrarono in quello che doveva essere il parcheggio sotterraneo di un'alta torre. Ma si trovarono davanti un cancello chiuso da un lucchetto che gli impedì di proseguire.

Lexa premeva impaziente contro il cancello, “È un Firewall!”, sentiva che il loro tempo era vicino a scadere.

“Non capisco...” Clarke si guardava intorno incerta.

Una voce alle loro spalle interruppe il silenzio, “Non arriverete all'interruttore di arresto in tempo.”. Lexa estrasse istantaneamente le spade e si avviò verso il ragazzino che con calma, mani in tasca, si avviava verso di loro. Non avrebbe permesso che qualcuno le fermasse e soprattutto che facesse del male alla sua Clarke. Esitò qualche secondo, non capiva perché fosse così sicuro di sé e per niente intimorito. Si aspettava un qualche asso nella manica. Prima che potesse decidere cosa fare la sua amata Griffin la fermò.

“No, è tutto ok. Jasper, cosa ci fai qui?”

Il ragazzo non tardò a rispondere a quell'invocazione.

“Sto cercando di fermarti. Hai visto la Città della Luce, ora. C'è pace, felicità, sicurezza. Perché vorresti negarlo a qualcuno?”

“Lei sta torturando le persone per portarle qui, Jasper, prende i loro ricordi, li controlla. Non sei nemmeno tu, è A.L.I.E”

Lexa si mantenne a distanza controllando ogni mossa del ragazzo che Clarke sembrava conoscere molto bene. Le era chiaro tuttavia che quel tentativo di convincerlo non stava funzionando, perciò stava pronta ad intervenire.

“Sta facendo ciò che deve esser fatto.” ribatté inflessibile Jasper.

“Ci toglie la possibilità di scegliere! Gli esseri umani hanno il libero arbitrio. Dobbiamo decidere il modo in cui vogliamo vivere!” continuò Clarke. Era incredibile come cercasse sempre di risvegliare il meglio dentro alle persone, come provasse sempre a fare la cosa giusta, quella che avrebbe causato meno sofferenza. Era qualcosa che Lexa aveva riscontrato solo in lei.

“Gli esseri umani sono l'unica specie che agisce contro il proprio stesso interesse.” nonostante la nobiltà del tentativo il ragazzo era certamente sotto il controllo della I. A.

“Ci torturiamo a vicenda, ci combattiamo, ci feriamo, ci spezziamo il cuore l'un l'altro.” aveva pronunciato quelle ultime parole guardando Lexa negli occhi, il che le aveva causato un tuffo al cuore. Sapeva a cosa si riferiva: il suo tradimento, il suo più grande rimpianto. Inoltre, si stava avvicinando decisamente troppo a Clarke.

“Niente di tutto questo esiste qui. A.L.I.E., ci sta proteggendo da noi stessi.”

Lexa cominciava a sentirsi decisamente a disagio, percepiva che qualcosa non andava.

“Clarke, c'è ancora tempo. Troveremo un altro segnale. Andiamo.” la esortò impaziente avviandosi nella direzione da cui erano venute.

“Non possiamo lasciartelo fare.” la minacciò il ragazzo parandosi davanti a lei.

Fu allora che comparve Jaha, seguito da una moltitudine di persone.

Lexa pensò che avrebbe dovuto ucciderlo quando ne aveva avuto l'occasione.

“Clarke, non c'è alcun posto dove andare.” disse l'ex cancelliere. “È finita. La seconda I. A. non può proteggerti ancora.”

La Skaikru si voltò verso Lexa e le chiese incerta: “Se io rimuovo la Fiamma, il caricamento si fermerà?”

“Sì, ma nessuno l'ha mai fatto prima volontariamente. E comunque tu saresti una di loro. A.L.I.E., avrà la fiamma in altro modo.” non sapeva da dove diavolo le giungessero quelle conoscenze ma la Heda non aveva alcun dubbio su ciò.

“Smettete di combattere.” insisté Jasper, pericolosamente vicino a loro.

Lexa osservò i presenti soppesandone le forze, non sarebbe riuscita ad eliminarli tutti da sola. Notò allora qualcosa che stava comparendo come per magia sul muro alla loro destra. “Clarke.” la avvisò attirando la sua attenzione.

Si materializzò allora una strana porta circolare e pochi secondi dopo su di essa si impresse il bianco simbolo di un uccello.

“Raven...” sussurrò Clarke come se fosse qualcosa di positivo, ma prima che potessero fare qualsiasi cosa il ragazzo si parò davanti alla porta impedendo loro di avvicinarsi.

“Jasper, levati di mezzo.” la ragazza fece appena in tempo a pronunciare quelle parole che Lexa lo aveva già steso con un pugno ben assestato sul viso.

Appena il ragazzo cadde a terrà la folla si scatenò nella loro direzione. Spettava alla Heda agire e proteggere Clarke, era il momento di combattere quella battaglia disperata. La sua forza di guerriera si era già risvegliata e Lexa si apprestava a combattere. “Non possiamo lasciare che ti seguano. Vai, io li bloccherò.” disse, quando si sentì afferrare per un braccio.

“No, Lexa.” la voce disperata di Clarke le si conficcò nel cervello. Sapeva che il loro tempo era scaduto, ne avevano rubato già fin troppo al destino. Forse tutto ciò che era accaduto era servito a far si che lei fosse lì in quel momento, per salvarla ancora una volta.

“Ti amo...” quasi la supplicò la giovane Skaikru che aveva cambiato la sua vita. Forse sperava veramente che quelle parole avrebbero cambiato tutto, come le formulette magiche delle favole.

Lexa le sorrise, il suo primo pensiero era rassicurarla, in quell'addio, come in quello che l'aveva preceduto. “Sarò sempre con te.” le disse. Poi, senza indugiare nel dolore che quella separazione le procurava, si voltò e con tutta la furia che provava per tutto ciò che era successo fino a quel giorno, si scagliò verso i suoi nemici, incerta su quale destino l'avrebbe attesa.

 

 

 

Una luce accecante avvolse ogni cosa mentre Lexa ancora menava fendenti a destra e a manca, alla cieca. Quando la luce si attenuò tutti i presenti erano a terra, alcuni in una pozza di sangue a causa delle ferite che lei gli aveva inferto.

Si voltò in cerca di Clarke, la porta era sparita. Era scomparso anche il cancello e al di là di esso si estendeva un lunghissimo corridoio perfettamente illuminato. Ad ogni lato di esso poteva scorgere una moltitudine di porte, ciascuna con una luce sopra ad illuminarne l'ingresso. Accertatasi dell'effettivo stato di incoscienza dei suoi inseguitori, ripose le spade nel fodero e cominciò a correre verso le porte. Forse faceva ancora in tempo a raggiungere Clarke?

Arrivò alla prima porta e la spalancò.

“Clarke?” chiese incerta, ma nella stanza al di là dell'ingresso non c'era nessuno, solo... uno specchio. Frantumato in mille pezzi. Non si fermò a pensare su cosa stesse succedendo, non voleva pensarci. Corse alla porta successiva.

“Clarke?”, un altro specchio, integro in cui strane immagini scorrevano senza che lei capisse cosa mostrassero.

Corse di nuovo al successivo ingresso.

“Clarke?”, uno specchio.

“Clarke?” due specchi.

“Clarke?” decine di specchi.

“Clarke?”, buio e frantumi.

Correva disperatamente da una porta all'altra, trovando sempre lo stesso contenuto. Non riusciva a capire. Che senso poteva avere tutto ciò? Cosa stava succedendo?

All'improvviso la terra cominciò a tremare e fu presa da una strana urgenza come se il tempo stesse per scadere e lei dovesse muoversi a prendere una decisione. Per di più le luci si stavano spegnendo sia all'inizio, ancora visibile, del corridoio che in direzione di quella che sembrava essere la sua interminabile fine.

Qualcosa dentro di lei le diceva, “Muoviti Lexa, vai, prendi una strada. Non c'è più tempo!”

Così, mentre un buio che sapeva di nulla le si faceva sempre più intorno, entrò in una stanza qualsiasi e si chiuse la porta alle spalle. Non sapeva cosa fare, aveva il fiatone. Le luci, intensissime nella stanza cominciarono a tremare.

Si sentì improvvisamente terribilmente attratta dallo specchio, come se fosse l'unica cosa capace di attenuare il terrore di essere ingoiata dal nulla che si stava facendo strada in lei.

Lentamente gli si avvicinò, al di là vedeva solo una stanza sconosciuta illuminata da alcune torce. La vedeva dall'alto, il che non fece che accrescere la sua preoccupazione. Sfiorò la superficie dello specchio, si formarono delle piccole onde, come se fosse stata liquida. Riconobbe la sensazione di inconsistenza che aveva provato già l'altra volta, mentre intorno a lei le pareti cominciavano a svanire. Non c'era più tempo, prendere o lasciare.

Così Lexa Kom Trikru, senza prendere la rincorsa, si lascio cadere verso quello spazio liquido e attraversò nuovamente lo specchio.

 

 

 

 

 

Inspirò con tutta la forza che aveva in corpo come se fino a pochi secondi prima avesse rischiato di soffocare. Aprì gli occhi tirandosi su di scatto, ma un dolore lancinante a una caviglia le impedì di alzarsi. Respirò affannosamente mentre si guardava la gamba. Era fasciata e gonfia, sentiva che probabilmente era rotta. Passò ad esaminare il resto del suo corpo, aveva indosso alcuni vestiti logori e strappati. Si toccò la testa, aveva un cencio a coprirle i capelli. Si osservò le mani e le braccia, erano piene di tagli e ricoperte di sporco e fuliggine. Si tastò il volto, sembrava essere a posto, eccezion fatta per un taglio sul labbro.

Allora si guardò intorno, era tutto buio e lei era adagiata su una specie di giaciglio di paglia. Alla sua sinistra c'era, molto in alto, una piccola fessura chiusa da tre sbarre. Alla sua destra il muro era interrotto soltanto da una spessa porta di legno, circa a metà della quale c'era una feritoia chiusa da un elemento in legno che sembrava essere scorrevole.

“Sono in una cella.” sussurrò e fu colta da un terribile mal di testa. Evidentemente doveva aver battuto anche quella.

Fu allora che una figura si mosse nell'ombra al lato opposto al suo. Lexa cercò a tentoni le sue spade o qualsiasi altra arma, ma non c'era niente a parte l'umido pavimento e la paglia.

“Temo di sì...” sentì una voce femminile, tenue e dolce, sussurrarle.

La figura si avvicinò ancora un po' porgendole qualcosa e alla tenue luce della luna, che filtrava a mala pena dalla finestra, le sembrò di scorgere una ragazza bionda.

 

   
 
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