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Autore: NPC_Stories    26/08/2018    4 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1287 DR: Il loro ranger scomparso (Parte 2)


Daren era rimasto solo con l'elfo che, in teoria, avrebbe dovuto sorvegliare. La pallida e pietosa creatura se ne stava ancora rannicchiata a terra, accartocciata in un inchino che sembrava più che altro un tentativo di difendersi. A Daren ricordò la posizione che i maschi drow dovevano assumere quando una femmina manifestava l'intenzione di punirli, e sentì un moto di disgusto in fondo alla gola, così forte che era quasi una sensazione fisica.
L'elfo non osava alzare gli occhi su di lui, o forse non gli interessava farlo. Di certo Daren per lui era solo l'ennesimo aguzzino, non diverso dagli altri, una nera creatura senza volto che rappresentava solo una promessa di dolore. Questo però non era rilevante per il drow, l'opinione dell'elfo o la sua paura erano decisamente in fondo alla lista dei problemi da affrontare. In quel momento Daren era preoccupato soprattutto per la salute fisica e mentale del prigioniero, perché avrebbe potuto compromettere le loro possibilità di fuga.
Inoltre, Daren non era del tutto certo che nessuno li stesse osservando. I vhaerauniti non avevano motivo di dubitare di lui, ma nemmeno di fidarsi, e la prova di questo era il fatto che non l'avessero incluso nei loro piani per combattere gli elfi di Sarenestar.

L'arrivo degli elfi era un'altra questione spinosa. Il guerriero sapeva che si trattava molto probabilmente di alleati che sapevano della sua missione, forse era stato proprio Raerlan ad avvertirli, nonostante i loro piani iniziali fossero diversi. La prospettiva che degli alleati stessero arrivando era allettante, ma si stavano andando ad infilare in un’imboscata drow, e questo poteva voler dire una totale disfatta.
Il mio primo dovere resta verso questa povera anima, si disse per farsi forza. Non posso cambiare i miei piani senza sapere cosa mi sta accadendo intorno. Gli elfi dopotutto hanno deciso di venire qui, devo fidarmi del fatto che possano sopravvivere.
Filvendor non si era mosso, se non per tremare leggermente. Dava l'impressione di essere abituato a stare molte ore in quella posa. Daren rifletté velocemente su come procedere.
“Elfo.” Lo apostrofò in lingua drow. Non sapeva se in quei mesi il prigioniero avesse avuto modo di imparare la lingua dei suoi carcerieri, ma gli sembrava plausibile che conoscesse almeno le parole basilari.
L'elfo dei boschi reagì a quel richiamo con un tremore un po’ più forte del solito, poi una voce quasi inudibile rispose “Veldruk”.
Conosce la lingua drow abbastanza da sapere come deve rivolgersi ai suoi torturatori per evitare ulteriori punizioni. Rifletté a mente lucida, cercando di tenere separata la sua reazione emotiva dalle valutazioni razionali. Non aveva il tempo, ora, di perdersi in considerazioni morali o di soccombere a quell’empatia che aveva sviluppato negli ultimi decenni. Meglio così, preferisco non dovergli parlare in elfico o in comune, nel caso in cui qualcuno ci stesse guardando.

Filvendor non era mai stato in quella grotta laterale e all'inizio mille congetture gli avevano attraversato la mente: si trattava di una nuova prigione predisposta per lui? O forse una nuova camera delle torture? Quando invece si trovò in una grotta piccola e quasi vuota insieme ad un singolo elfo nero, pensò che probabilmente era una manovra per impedirgli la fuga. Non era sicuro di quello che aveva sentito in giro, ma gli altri drow gli erano sembrati nervosi, o forse esaltati, e aveva sentito più volte la parola che indicava gli elfi di Superficie. Forse quelle malvagie creature si preparavano ad una sortita, e avevano deciso di rinchiuderlo in una grotta senza uscita per poterlo controllare meglio. A Filvendor sembrava la spiegazione più plausibile, ma in realtà sarebbe stato troppo debole per scappare, anche se l'avessero messo in una stanza con ampio accesso a diverse vie di fuga.

Lo avevano lasciato insieme ad un solo guardiano, ma questo non era di gran consolazione per il povero elfo, visto che aveva imparato a sue spese che un singolo drow poteva causargli abbastanza dolore da fargli rimpiangere di essere nato.
Il suo carceriere gli parlò, in tono aspro e deciso. Richiamò la sua attenzione con una secca parola che fino a quel momento solo il mago gli aveva rivolto: darthiiri, la parola drow per elfo di Superficie. La voce però non era quella del mago, e sebbene Filvendor potesse vedere solo gli stivali dell'elfo scuro, riconobbe che non erano le raffinate scarpe di velluto rosso dell’incantatore.
“Adesso tu dormi, darthiiri.” Gli ordinò il drow, indicando con un gesto il giaciglio che aveva preparato. L'elfo però non vide il gesto della mano perché non si azzardava ad alzare gli occhi su quell’essere. “Dormi e guarisci un po’.”
A Filvendor sembrava certamente uno strano comando, ma non si sarebbe messo a discutere. Si rannicchiò in posizione fetale sdraiandosi su un fianco e chiuse gli occhi.
Sentì il drow sospirare come se fosse infastidito, e strinse gli occhi aspettandosi di essere calciato o frustato. Non sapeva che cosa avesse fatto di male, ma per la sua esperienza ai suoi carcerieri non occorreva un vero motivo per tormentarlo.
Qualcosa gli cadde addosso, ma era un oggetto morbido, e una sorta di tessuto rigido gli sfregò contro una guancia. Aprì gli occhi, solo per vedere che un giaciglio di pelliccia gli ostruiva in parte la visuale.
“Ora tu dormi.” Tornò a ripetere il drow. “Dormi con questo. Guarisci un po’.” Insistette, parlando lentamente come se Filvendor fosse stato idiota.
L’elfo prese fra le mani il giaciglio e lo stese sul pavimento, poi ci si sdraiò sopra. Quello era un gioco che conosceva bene: ogni tanto uno di loro fingeva di essere gentile con lui, solo per pretendere qualcosa in cambio o per accendergli false speranze e poi calpestarle. Come aveva fatto Jevan. Quel pensiero gli fece salire le lacrime agli occhi, ma si costrinse a rimanere nel presente. Se questo drow voleva giocare a fare il buon padrone, Filvendor l'avrebbe assecondato. Non sarebbe durata, ma almeno per un po’ avrebbe potuto dormire su un sacco a pelo. L'aria non era abbastanza fredda da fargli desiderare di infilarsi fra le pellicce, preferiva usare il giaciglio come materasso in modo che gli strati di pelle e pelo attenuassero un po’ la sensazione del pavimento gelido e duro.
Incredibilmente, il drow gli permise davvero di addormentarsi.

Daren rimase immobile a guardare l'elfo esausto che cadeva in un sonno agitato, leggero. Dava l'impressione di potersi svegliare ad un semplice tocco. Questo non era il massimo per i suoi piani, visto che aveva sperato di poter guarire l'elfo mentre dormiva. Ora temeva che non ci sarebbe riuscito, perché quel corpo fragile e tormentato si sarebbe accorto anche del tocco più lieve. Sospirò, scuotendo la testa, ma la sua espressione rimase accuratamente neutrale. Avrebbe lasciato dormire Filvendor per un po’, tanto gli elfi non sarebbero arrivati prima di due o tre ore, secondo le stime del sacerdote drow. Per la fuga sarebbe servito che il ranger fosse il più possibile in forma, e inoltre nonostante tutto Daren preferiva non sentire su di sé il suo sguardo terrorizzato.
Bene, visto che è sfumata la possibilità di guarire il ranger, almeno per ora, tanto vale passare alla seconda fase del piano. Devo recuperare le mie armi.

Il guerriero si sedette a terra e cercò di estromettere ogni pensiero che potesse causargli distrazione, cadendo in uno stato meditativo con cui alcuni guerrieri avevano familiarità. Il suo scopo però non era prepararsi alla battaglia o agevolare la guarigione delle sue ferite, anche se questa era una cosa che avrebbe comunque dovuto fare, più tardi. Adesso la sua priorità era un'altra: cercare di riallacciare il collegamento mentale che aveva sempre con la sua spada bastarda. Non era un'arma comune, era consacrata alla sua Dea e ai suoi scopi, e la magia intrinseca della lama, unita alle imprese che avevano compiuto insieme, avevano creato una specie di rapporto simbiotico fra il guerriero e la sua spada. L'oggetto alla fine aveva acquisito una sorta di rudimentale intelligenza; quando l'elfo scuro impugnava o portava con sé la spada bastarda, quella riusciva a comunicargli le sue limitate emozioni e persino pensieri elementari. Il problema era che Daren non aveva idea di come avrebbe reagito la spada alla loro separazione fisica, una cosa che non era mai successa negli ultimi decenni. Il drow aveva ceduto volontariamente quel prezioso oggetto quando gli era stato intimato di gettare le armi, e questo poteva aver compromesso il legame magico.
Per fortuna una separazione di pochi minuti non era sufficiente a interrompere il contatto sovrannaturale fra il guerriero e la sua spada. Poteva sentire in un angolo della sua mente il richiamo dell'arma che chiedeva di essere brandita ancora. Si alzò in piedi, deciso ad andare a cercarla; poteva solo sperare che anche le sue spade corte gemelle fossero state riposte nello stesso luogo.
La spada non era in grado di comunicargli la sua posizione, perché non era senziente fino a questo punto. In realtà non poteva nemmeno davvero comunicare con Daren a meno che lui non la stesse impugnando o non fosse comunque adesa al suo corpo. Il drow poteva soltanto avvertire il suo richiamo come una pulsazione distante che, se si fosse concentrato abbastanza, gli avrebbe indicato più o meno dove cercare.
Camminò oltre il breve corridoio tornando nella piccola caverna adibita a magazzino. Qui sembrava che il richiamo fosse più forte. Possibile che fosse così fortunato da essere stato segregato così vicino al luogo dove avevano nascosto le sue armi?
Cominciò a frugare in mezzo al mucchio di derrate alimentari, fagotti di giacigli e abiti di scorta, stivali più o meno appaiati, finché alla fine trovo una cassa di legno di fungo che sembrava molto pesante. All'interno c'erano diverse spade, probabilmente armi di scorta di buona qualità. Questa cosa accese la sua preoccupazione, perché quelle armi erano decisamente più di quante ne servissero al gruppetto di elfi scuri. Forse erano soltanto l'avanguardia di un esercito più grande? Le armi brillavano come se fossero di qualità eccelsa e forse perfino magiche, ma Daren sapeva che gli oggetti infusi di magia del Buio Profondo non resistevano lungo sotto i raggi del sole. Avrebbe voluto poter mostrare quell’arsenale ad un mago, in modo che potesse stabilire se era stata utilizzata la magia del Buio Profondo oppure no, questo avrebbe potuto suggerire qualcosa sulle intenzioni dei drow.
Ad ogni modo, nascoste in mezzo a tanti altri oggetti dalla forma simile, trovò le sue spade corte; questo gli riaccese la speranza, e frugando con pazienza rinvenne sul fondo della cassa anche la sua spada bastarda.
Ora si comincia a ragionare. Pensò con soddisfazione. Finalmente si sentiva utile, in grado di poter affrontare il pericolo.

Zeerith stava tenendo una specie di consiglio di guerra, decidendo insieme al mago e al guerriero più esperto del gruppo quale fosse la migliore strategia per far cadere gli elfi in un'imboscata. Come al solito il chierico dava le spalle ad una parete di roccia tenendosi molto vicino ad essa, perché aveva un particolare accordo con la sua alleata incorporea: lei sapeva di potersi avvicinare a lui passando attraverso la roccia per poi sporgere appena le labbra fuori dalla parete e sussurrargli i suoi consigli. In quei momenti Zeerith aveva l'accortezza di non attivare l'oggetto magico che rendeva corporee le creature come Sulerin, altrimenti avrebbe potuto bloccarla nella pietra uccidendola.
Questa potrebbe comunque essere un'idea, ragionò il chierico, distraendosi un attimo dal discorso. Poi si rimproverò, tornando a concentrarsi sui loro piani; il pensiero della bella fata unseelie riusciva a distrarlo anche quando pianificava di ucciderla.
Come se l'avesse evocata, la voce di Sulerin giunse in un sussurro da un punto alle sue spalle: “Il vostro rifugiato ha concesso all'elfo di dormire e ha recuperato le sue armi.” Gli riferì.
Zeerith aveva chiesto alla insoril di tenere d'occhio il nuovo arrivato, con discrezione. La fata non avrebbe dovuto prendere iniziative, ma solo guardare e riferire. Il rapporto di Sulerin innescò le preoccupazioni del chierico su due diversi filoni di pensiero: il primo era che forse tutto sommato non era una buona idea mantenere questo tipo di comunicazione con la fata, visto che per lei sarebbe stato molto facile prenderlo alle spalle e ucciderlo a tradimento. Il secondo riguardava considerazioni sul drow che si era appena unito a loro; aveva lasciato che l’elfo si riposasse, sì, ma Rivven gli aveva riferito quel suo commento sul fatto che il prigioniero fosse troppo malconcio per poterci giocare, quindi la decisione di lasciare in pace l'elfo poteva essere semplicemente il preludio ad una sessione di torture. Il fatto che quel Daren avesse recuperato le armi era una cosa che aveva comunque messo in conto, perché nessun individuo sano di mente si sentirebbe vagamente tranquillo, disarmato ed attorniato da elfi scuri. Le sue azioni quindi non erano niente di sospetto, di per sé, ma Zeerith aveva imparato anche a fidarsi del suo istinto, e il suo istinto ora gli diceva di tenere d'occhio il guerriero.
Fece un discreto cenno della mano a Sulerin, un segnale tutto loro che avevano convenuto per dire l'uno all'altra di tornare a svolgere lo stesso compito. Quasi subito, Zeerith sentì la presenza alle sue spalle allontanarsi nella roccia.
“Rivven, e anche tu, Nadal. Mentre gli altri si predisporranno nelle postazioni che stiamo decidendo, voi due andrete a verificare che Daren ubbidisca agli ordini.”
I due drow si guardarono perplessi, ma non fiatarono. Non erano abituati a mettere in discussione gli ordini del sacerdote, ma entrambi gettarono uno sguardo di sfuggita verso il Primo Guerriero, che era il loro portavoce nelle discussioni con gli incantatori.
Kismet, che ufficiosamente era il capo dei guerrieri di quella piccola brigata, colse il loro tacito dubbio e prese la parola.
“Padre Zeerith, state chiedendo a due dei nostri migliori guerrieri di assentarsi da una battaglia molto importante per tenere d'occhio un singolo…”
“Non credo di doverti dare spiegazioni, Kismet!” Sibilò Zeerith, lasciando intendere una minaccia molto seria con il suo tono seccato. “Ho le mie ragioni per sospettare della lealtà di uno sconosciuto che si palesa a noi appena poche ore prima di una banda di elfi di Superficie. Potrebbe essere davvero quello che dice di essere, ma in caso contrario ci sarà più utile da morto che da vivo. E sì, sto mandando due dei nostri migliori guerrieri, perché non conosciamo affatto le abilità di quel cane solitario. Se sarà necessario ucciderlo, fatelo in fretta e potrete tornare a partecipare alla battaglia contro i darthiiri.” Suggerì, rivolgendosi ora direttamente ai due soldati.
I due si scambiarono uno sguardo cupo, ma annuirono in segno di obbedienza.

Daren aveva recuperato le spade ed era tornato nella piccola apertura nella roccia che temporaneamente condivideva con un ranger esausto e ferito. Filvendor dormiva ancora, e non si svegliò nemmeno al ritorno di Daren. L'elfo scuro era ancora capace di muoversi come un'ombra sulla roccia, nonostante non frequentasse assiduamente il Buio Profondo.
Daren ricordava che il chierico aveva supposto che gli elfi di Sarenestar avrebbero impiegato due o tre ore ad arrivare, ma quell'indicazione appariva sempre più fastidiosamente imprecisa man mano che il tempo passava.
Se dovesse scoppiare una battaglia, quantomeno sentirei il rumore. Però preferirei essere già pronto per allora, devo prima guarire Filvendor, così potrò approfittare della confusione per farlo fuggire di qui.
Di norma avrebbe impiegato un minuto, o forse anche meno, per curare le ferite di una persona... ma temeva che nel caso di quest’elfo sarebbe stata necessaria un po’ di opera di persuasione.


Altrove ma non molto lontano, circa tre ore dopo

Raerlan inizialmente si era messo in testa al gruppo, guidando gli altri verso la direzione giusta senza che a loro venisse spontaneo chiedersi come facesse il loro compagno a sapere quali gallerie prendere. In realtà era lo spirito di Visne a guidarlo, ma lui era l'unico a poterla vedere e sentire. Quando l'elfa gli segnalò che erano quasi arrivati e gli disse che più avanti delle persone ostili sembravano attendere il loro arrivo, l’alicorn si spostò in coda al gruppo, facendo in modo di restare un po’ indietro. Per ora la galleria non presentava bivii o cunicoli laterali, quindi non c’era bisogno della sua guida: i suoi compagni sapevano di dover proseguire dritti. Aveva il tempo di preparare un piccolo inganno che depistasse le divinazioni e la vista dei drow.
Raerlan si concentrò per riportare alla mente incantesimi che aveva appreso innumerevoli anni prima, in un periodo che sembrava un’altra vita, quando il cielo stellato e impossibilmente brillante di un mondo lontano ispirava il suo animo artistico e gli riempiva il cuore di meraviglia. Da allora aveva abbandonato la via delle arti bardiche, ma non aveva mai dimenticato, e ogni giorno con costanza rimembrava i suoi pochi incantesimi. Uno, in particolare, lo divertiva molto.
Con un rapido gesto e una cantilena sussurrata, creò alle sue spalle una copia illusoria di sé stesso, una figura apparentemente corporea che poteva passare per vivente. Ricreò un Raerlan impegnato a meditare mentre camminava lentamente, e che mormorava fonemi incomprensibili come se fosse concentrato sul compiere un incantesimo. Certo, si trattava di una magia di poco conto, ma i drow si sarebbero accorti dell’inganno solo interagendo con l’immagine illusoria; osservare il falso Raerlan con una sfera di cristallo non avrebbe rivelato che era un falso. La cosa migliore era che l’incantesimo non aveva una durata limitata nel tempo, avrebbe retto fintanto che Raerlan si fosse concentrato su di esso, e fintanto che fosse rimasto entro un centinaio di metri di distanza dall’illusione. Avrebbe lasciato credere ai drow di trovarsi un centinaio di metri indietro rispetto a dov’erano davvero, non una gran cosa, ma sarebbe tornato utile in caso di imboscata.
“Siamo quasi arrivati.” Annunciò agli altri. “Fra poco le protezioni contro la divinazione non basteranno più. Abbiamo modo di diventare invisibili?”
Lo gnomo frugò nel suo zaino ed estrasse un fascio di pergamene con l’aria di volersi rendere utile.


Nel frattempo, nella piccola caverna di Daren

L'elfo scuro era alle prese con un cruccio non da poco: non aveva un vero modo per misurare il tempo. Esistevano incantesimi che avevano una durata prestabilita, ma lui non era particolarmente avvezzo all'utilizzo della magia e non aveva mai prestato attenzione alla loro durata. Sapeva solo che l’incantesimo per nascondere i suoi principi morali manteneva il suo effetto esattamente per 24 ore, ma questo al momento non gli era di nessun aiuto.
Decise di ricorrere a un aiuto di cui di solito preferiva fare a meno, perché fare appello a un'entità più grande significava ammettere i suoi limiti o i suoi fallimenti.
Si sedette in una posizione il più possibile comoda, chiuse gli occhi e tentò di scivolare in uno stato di coscienza più sereno, simile alla meditazione.
Mia Signora. Chiamò con il pensiero. O chiunque voglia ascoltarmi in sua vece. Mi occorre aiuto. Devo salvare questa creatura, come impone la mia fede… e la mia amicizia verso Johlariel, e la gratitudine verso il suo popolo che mi ha accolto. Signora, almeno devo tentare. Per farlo mi serve una cosa che un semplice guerriero non può ottenere: la conoscenza. Devo sapere quale sarà il momento giusto per agire. Per favore, mandami un segno.
Per favore. Non chiedo altro.

In quel momento, anche se era assolutamente sicuro di non aver fatto il minimo rumore, Filvendor si svegliò di colpo. Dalla fretta con cui si alzò a sedere - pur se ovviamente non poteva sapere nulla di quello che stava succedendo! - Daren si chiese se il momento giusto non fosse già passato.
Si rimboccò le maniche, alzandosi per avvicinarsi all'elfo. Prevedibilmente, il prigioniero spaventato si ritrasse contro la parete, guardandolo con terrore.
Poi quel momento di sincera manifestazione di paura passò, e Filvendor si prostrò in un nuovo inchino, come se avesse appena ricordato quale fosse il modo giusto per rivolgersi a uno dei suoi carcerieri.
“Elfo, adesso dovrò toccarti.” Gli annunciò Daren, parlando in lingua comune e con una certa urgenza. “Capisci quello che dico?”
Filvendor alzo il viso per guardarlo, e Daren per un momento colse il suo sguardo interrogativo, poi l'elfo dei boschi tornò a chinare la testa. “Sì, veldruk. Capisco.” Gli rispose nella stessa lingua, sebbene con un accento tipico della parlata elfica.
Daren si chinò sul prigioniero e sporse una mano, lasciandosi sfuggire un sospiro di tristezza quando Filvendor chiuse gli occhi e si trasse indietro inconsciamente.
“Non intendo toccarti laddove può darti fastidio, elfo. Dammi una mano, andrà bene ugualmente.”
Il ranger tremò più forte, ma poi sporse una mano così come il drow gli aveva comandato. Era intimidito e titubante come se si aspettasse che quella mano gli venisse recisa da un momento all'altro.
Daren afferrò la mano dell'elfo pallido e cominciò a riversarci sopra gli incantesimi di guarigione che conosceva, partendo da quelli meno potenti perché non aveva idea di quanta magia sarebbe servita per guarire tutte le ferite del povero prigioniero. La magia avrebbe agito come per volontà propria, guarendo prima le ferite più gravi, quindi non era necessario che il drow toccasse direttamente le parti del corpo più abusate.
“Ho bisogno che tu mi dica come ti senti.” Chiese al ferito, inchiodandolo con uno sguardo penetrante. “Devi parlarmi, oppure dovrò togliere i tuoi vestiti per controllare il tuo stato di salute.”
L'elfo cominciò a tremare così forte che Daren temeva gli sarebbero venute le convulsioni.
“No, vi prego, padrone… veldruk… vi prego no, farò quello che volete…”
“Sì, bravo. Voglio che mi dici come stai. Hai capito cosa ti sto chiedendo?” Filvendor si calmò lievemente, anche se la cosa gli costò un notevole sforzo.
“Sto meglio ora, padrone. Meglio di come sia stato in molti mesi. Abbastanza da…” gli occhi gli si riempirono di lacrime, ma si rifiutò di piangere “abbastanza da sopportare un po’ di frustate o la mazza spezza-ossa o il catino d'acqua, o il… ferro che brucia…” annaspò, non conoscendo le parole giuste in lingua comune “o quel liquido che toglie la pelle, ma non tutto insieme.” Quando finì di parlare, la sua voce ormai era un sussurro.
Daren continuò a salmodiare incantesimi di guarigione, rifiutandosi di trasformare in immagini mentali le parole dell'elfo. Era un drow, sapeva bene di quali tormenti fosse capace la sua razza. Questo non significava che volesse indulgere in simili ricordi.
“Non mi interessano queste cose, voglio sapere se riesci a camminare e a tenere in mano una spada.” Lo corresse. “Stiamo per andarcene da qui.”

           

   
 
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