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Autore: Alicat_Barbix    27/08/2018    3 recensioni
In un universo alternativo, in cui i cuori di ognuno interagiscono con i loro proprietari, Sherlock Holmes, brillante consulente investigativo, e John Watson, disperato medico militare in congedo dall'Afghanistan, si incontrano e i loro cuori non riusciranno mai più a tacere. Ma a volte, i fatti presenti sono irrimediabilmente influenzati da sentimenti e decisioni passate...
Dal testo:
(...)
“Su questo tavolo c’è una boccetta buona e una cattiva. Il suo scopo, signor Watson, è quello di scegliere una delle due boccette, sperando di non aver preso quella velenosa.”
(...)
“La boccetta cattiva. Voglio sapere qual è.”
(...)
“E’ il suo cuore il problema, non è vero?”
(...)
“La boccetta.”
Con un fluido movimento della mano, spinge avanti una delle due boccette, un sorriso ferino sulle labbra.
(...)
Chiudo gli occhi e mi avvicino alle labbra la morte. Addio vita. Addio mondo. Addio cuore che non ho più.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IN A HEARTBEAT
 
by Alicat_Barbix
 
CAPITOLO 6
 
Le settimane che seguirono quella notte, per Sherlock, furono strazianti. Osservava impotente John uscire con le prime ragazze che gli facevano gli occhi dolci e si vestivano in maniera provocante esponendo i loro fisici generosamente rotondeggianti ai suoi occhi. Le sere, era quasi diventata abitudine per loro riunirsi in camera di John, nonostante Sherlock alloggiasse fuori dalla residenza collegiale. Quasi ogni giorno, trascorrevano un paio di ore assieme in quella cameretta angusta e durante quel tempo interminabile, John si sfogava, raccontava delle sue conquiste, dava persino un voto da uno a dieci alle capacità di qualcuna a letto. E Sherlock era lì, ad ascoltare, a consigliare, a soffrire. John era bello, eccome se era bello. Era il ragazzo più bello che avesse mai visto, ma non solo: era intelligente, gentile, carismatico, simpatico… E Dio, se lo amava. Il suo cuore, ormai, non faceva che blaterare su quanto magnifico fosse il loro Johnny, su quanto fortunati fossero ad averlo come loro amico, su quanto straordinario fosse poter essere il centro della sua giornata e lui della loro. Sherlock si era ormai abituato a quel continuo chiacchiericcio che gli sommergeva la testa nei momenti di stallo, quando aspettava il suo amico a fine allenamenti o quando sedeva sul letto di questo mentre l’altro si faceva una doccia. Era confortante, lo faceva sentire meno solo e – a volte – sapeva anche consigliarlo con giudizio. Si chiedeva, in certe occasioni, che cosa dicesse mai il cuore di John. Se fosse petulante come il suo, se fosse arrabbiato per la poca serietà che adottava nelle relazioni, se sperasse anche lui che fra loro nascesse qualcosa di più. Ma ovviamente quell’ultima ipotesi veniva sempre scartata poco dopo la sua nascita.
Irene Adler. Una bella ragazza, forse una delle più desiderate da tutta la scuola, sia fra maschi che fra femmine. Era libera, indomabile, schietta e opportunista. E ultimo, ma non per importanza, erano settimane che corteggiava spudoratamente Sherlock. Aveva iniziato a frequentare i suoi stessi corsi, a sederglisi vicino in mensa, a salutarlo all’entrata e all’uscita da scuola… Irene Adler era, inspiegabilmente, interessata a lui, ma inizialmente Sherlock non aveva dato peso a quel ridicolo e imbarazzante corteggiamento da lei avanzato. Poi, però, le battutine di John cominciarono a ronzargli nelle orecchie, i suoi commenti maliziosi presero a tormentarlo la notte, e i suoi sguardi allusivi quando passava lei lo colmavano di rabbia.
Così, un venerdì mattina qualunque, quando Irene lo salutò come al solito, la fermò e le propose un appuntamento per quel sabato. Lei, ovviamente, accettò. Il suo cuore era combattuto: da un lato apprezzava lo sforzo, il desiderio di mettersi in gioco, di voltare pagina da quel posto di blocco in cui si era impantanato quando aveva conosciuto quel biondino meraviglioso. D’altro canto, però, John rimaneva radicato in lui, ogni volta che lo vedeva gli mancava il fiato per alcuni secondi, quando si sfioravano aveva difficoltà a trattenersi dall’afferrarlo e confessargli la verità, quando gli parlava di una ragazza qualunque sentiva i pugni formicolare e la voglia di picchiarlo montare.
Attese quella sera per raccontare a John i suoi piani. Attese che l’amico si chiudesse la porta della sua camera alle spalle. Attese che si fosse seduto sul suo letto a gambe incrociate, un asciugamano a tamponargli i capelli bagnati. Attese che avesse terminato di parlargli di Jane, una delle cheerleader con cui quel pomeriggio aveva fatto sesso. Attese perfino che buttasse giù qualche sorso di birra. Infine, lentamente, accennò alla questione.
“Hai presente Irene Adler?”
“Quella figa che ci prova spudoratamente con te e che tu ancora non ti sei portato a letto? Come no!”
Sherlock arricciò le labbra e dubitò di disporre del coraggio necessario per proseguire. “Sì, lei… Ecco, le ho chiesto di uscire.” Le sue parole sprofondarono nel silenzio. “Domani.” John lo fissava con occhi sgranati, la lattina di birra sospesa a pochi centimetri dalle labbra. “A Covent Garden.” continuò per riempire il silenzio dell’altro. “Ci sarà una manifestazione di artisti di strada e pensavo che come idea avrebbe potuto essere…”
“Volevo andarci con te.” lo interruppe John, con occhi bassi. “Avevo sentito di questa manifestazione da Sebastian e… ecco, credevo ti sarebbe piaciuto andarci.”
Sherlock si mordicchiò nervosamente il labbro, maledicendosi di quella totale mancanza di tempismo. Poteva ancora annullare l’appuntamento, tanto il numero della Adler lo aveva, era ancora in tempo, un sms e sarebbe stato libero di partecipare assieme a John a quell’evento che aspettava trepidante da quando ne aveva saputo lo svolgersi.
No, non pensarci neanche.
Perché? E’ John quello con cui vorrei andarci, non quella… quella.
Non puoi farti mettere i piedi in testa così, Sherlock! Avevi dei programmi? Rispettali! Non puoi sempre permettere a John di scombinare i tuoi piani.
Ma io voglio andarci con lui!
Sherlock, la verità è che devi smetterla di vivere nel tuo mondo fatato fatto di tanti John che ti amano. Forse dovresti… dovresti provare a voltare pagina.
Non eri tu quello che sosteneva che dovessi lottare per lui?
Ma un guerriero valoroso sa riconoscere la sconfitta quando la vede.
John non mi ha ancora rifiutato.
E allora diglielo. Digli quello che provi e togliti per sempre il pensiero. Magari mi sbaglio, magari è solo un vigliacco che ha bisogno che sia tu a fare il primo passo. E se, nella peggiore delle ipotesi, dovesse rifiutarti, almeno avrai avuto una conferma e avrai la forza di rimettere a posto la tua vita dai frammenti che un suo no potrebbe lasciarti.
A volte il suo cuore era semplicemente troppo complicato e logorroico. Sherlock non aveva alcuna intenzione di rischiare di rovinare la loro amicizia. John era troppo importante per lui, non poteva permettersi di perderlo per una sciocca cotta adolescenziale, anche se sapeva perfettamente che di questo non si trattava.
“Mi spiace, sarebbe stato bello…”
“Già… va beh, non importa. Sono felice che tu abbia finalmente deciso di-”
“Non so come baciarla.” confessò Sherlock puntando addosso all’amico uno sguardo intenso. Non che avesse la minima intenzione di baciare Irene, ovvio, ma quelle parole gli erano uscite istintive, incontrollabili. Capitava quando il suo cuore prendeva il sopravvento e compiva decisioni senza prima avvertirlo. E si ritrovava puntualmente col fare la figura dell’idiota.
“Cosa… Vuoi davvero… Posso sapere da dove nasce tutto questo improvviso interesse? Insomma, fino a ieri sembravi sopportarla a stento e adesso, tutto d’un tratto, vieni qui e mi dici che l’hai invitata ad un appuntamento e che vuoi baciarla. Cos’è, adesso vorrai anche chiedermi qualcosa su come mettere un preservativo?”
Sherlock si sentì avvampare fino alla radice dei capelli. Era raro che John parlasse così apertamente, le sue parole e il suo tono erano sempre misurati e dotati del tipico freddo garbo inglese. Eppure, quella sera, sembrava diverso, quasi infastidito da qualcosa, atteggiamento che fino a poco prima Sherlock non aveva nemmeno notato.
“V-voglio solo sapere per… per previdenza, ecco. Così se la situazione dovesse capitare, saprei cosa fare o cosa non fare.”
John sospirò rumorosamente e alzò gli occhi al cielo, infine gli fece cenno di sedersi sul letto accanto a lui. Sherlock abbandonò con riluttanza la sedia alla scrivania e prese posto vicino all’amico. “E’ davvero così importante per te?”
“Importantissimo.”
Eccolo, di nuovo il suo cuore. Era davvero frustrante quando decideva per lui. Sherlock aveva bisogno di riflettere, di ponderare, di far passare ogni cosa per la sua testa prima che per il suo cuore, ma ormai quell’esserino maledetto aveva preso il controllo. Soprattutto se si trattava di John.
“Okay, allora faremo un corso accelerato, anche se queste sono cose che impari con un po’ di esperienza.” Il biondino prese un respiro profondo prima di ricominciare a parlare. “Allora, per prima cosa si deve creare l’atmosfera e un contatto fisico che anticipi il bacio. Ad esempio, state ridendo per chissà quale aneddoto divertente, tu mentre ridi ti avvicini a lei e le tocchi appena una mano. Un gesto semplice, un banale sfregamento, niente di più. Sarà lei, quando l’effetto delle risa sarà finito, a rendersi conto di quel muto invito. E poi è importante il contatto visivo. Dopo averla toccata, non devi mai interrompere il contatto visivo, per nessuna ragione, a meno che tu non voglia essere provocante e fissarle le labbra di proposito, ma non è esattamente il tipico comportamento da te. Fin qui tutto chiaro?” Sherlock annuì. “Perfetto. Ora, sempre mantenendo il contatto visivo, approfondisci il contatto che hai appena accennato prima. Se le hai sfiorato la mano, prendigliela, se le hai toccato il ginocchio, accarezzaglielo, cose così. Aspetta finché la tensione non giungerà l’apice e poi sporgiti appena in avanti, poco poco. Se vedi che lei non si scansa, allora prosegui fino ad arrivare alla distanza limite.”
“Qual è la distanza limite?”
“Fa’ conto che tra i vostri nasi devono esserci un paio di centimetri.”
“E poi?”
“Poi è il suo turno. Se è quello che vuole – cosa che ci auguriamo – si avvicinerà e a questo punto dipende dal tipo che ti ritrovi di fronte. Conoscendo la Adler ti salterà addosso e ti sbranerà la faccia, ma con le ragazze più timide sarai tu ad azzerare la distanza che vi separa, il così detto punto del non ritorno. Hai capito?”
“Più o meno, sì.”
“Bene, allora facciamo una prova.”
“Una cosa?”
“Una prova. Io e te. Ci siamo già baciati e poi il bacio è qualcosa di istintivo, non è strettamente necessario provarlo. E’ già abbastanza irreale programmare la situazione.”
Sherlock annuì, ma dentro, il cuore cavalcava impazzito su quelle parole. Una prova. Lui e John. La prova di un bacio vero. O forse era finto? Non lo sapeva più nemmeno lui.
“Okay, crea la situazione.” lo incoraggiò John, strappandolo dai suoi pensieri.
“Sì, giusto, certo, dunque…” Cercò di raccogliere le idee, di intavolare una discussione interessante, di rendere il tutto il più vero possibile. “Sai, quando ero piccolo avevo un cane, nonostante l’allergia di mio padre.” Estrasse il cellulare e lo aprì sulla galleria, lì dove erano tenute le poche foto. Una di queste ritraeva un setter irlandese dal lucente pelo rossiccio. Aveva scattato una foto ad una di quelle immagini custodite in uno di quei vecchi album di famiglia che gli era capitato tra le mani così, senza che l’avesse cercato. Mostrò anche a John lo schermo del cellulare e continuò imperterrito, completamente dimentico del reale obbiettivo che avrebbe dovuto tenere a mente: “Si chiamava Barbarossa. Lo amavo profondamente, per me era tutto. Un giorno abbiamo scoperto una grave malattia all’intestino e per amor suo fummo costretti a sopprimerlo.”
“E’ terribile.”
“Barbarossa fu il mio primo, vero amico. Il nostro rapporto andava oltre il semplice legame fra animale e padrone. Era molto di più. E credevo, forse scioccamente, che sarebbe durato per sempre.”
John sospirò profondamente. “Ci sono poche cose che durano per sempre.”
Sherlock distolse lo sguardo dallo schermo del telefono e lo posò sull’amico, ancora concentrato sulla fotografia. Quant’era bello. Come poteva qualcuno essere così bello? Così perfetto. “E io voglio che tu sia una di queste.”
A quelle parole, a malapena udibili, John si volse con espressione sconcertata. I loro visi si trovarono vicini, estremamente vicini e nella testa di Sherlock si scatenò il panico e la confusione. Qual era la distanza limite? Il punto di non ritorno? Cosa doveva fare dopo aver creato l’atmosfera? Rimase a fissarlo intensamente, mentre qualche sprazzo della conversazione di prima gli tornava in mente.
Bravo, mantieni il contatto visivo.
Non ho bisogno del tuo aiuto.
Gli occhi di John erano così dolci e così limpidi, una distesa tersa come il cielo d’estate che Londra scorgeva di rado. E lasciarsi guardare da lui, così vicini, così uniti, era una delle cose migliori che potessero esserci.
Ora toccalo.
Sherlock assentì mentalmente, ma proprio mentre era sul punto di farlo, la mano di John si mosse verso di lui e gli scostò dagli occhi il ricciolo che, come al solito, gli ricadeva pesante tra gli occhi. “Non dovevo essere io a fare una cosa del genere?” sussurrò allora a fil di voce, terrorizzato dall’idea di interrompere la magia.
“E’ uguale, Sherlock, non si tratta di una formula chimica, è solo un bacio.” Ma anche lui stava mormorando e dal suo sguardo non sembrava affatto intenzionato a fermare quel meraviglioso teatrino.
Avvicinati a lui fino a due centimetri dal suo naso.
Sherlock seguì le istruzioni cinguettate dal suo cuore felice. Si accostò al viso dell’altro, fino ad arrivare a pochissima distanza dal suo naso, forse si era spinto troppo oltre. Si chiese che cosa sarebbe successo adesso, se John si sarebbe scansato, se lo avrebbe allontanato, se avrebbe fatto un’uscita del tipo fortuna che non sono frocio.
“Va bene questa distanza?”
“Forse sei un po’ troppo vicino, ma può andare.” rispose in un farfuglio John, i cui occhi, subito dopo, scivolarono in direzione delle labbra dell’altro. Allora, si avvicinò a sua volta, sempre di più, finché Sherlock non avvertì il suo fiato caldo penetrargli nelle labbra appena schiuse per l’emozione.
Il punto di non ritorno.
“Il punto di non ritorno.” disse anche l’amico. “Ora devi scegliere: bacia o voltati.”
E Sherlock rimase immobile a contemplare il viso spaventosamente vicino dell’altro. Voleva baciarlo, però aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere dopo. Ma in fondo, non gliene fregava più un cazzo di niente. Aveva aspettato, sofferto, passato notti insonni. Ora meritava un fottuto bacio, anche se falso. Meritava John Watson e l’avrebbe preso.
Si sporse in avanti con impeto, incontrando le labbra di John per la seconda volta in vita sua e per la seconda volta era solo una finzione, una farsa. Ma a Sherlock non importava, inebriato com’era dal calore di quel contatto così bello e terrificante al contempo. John schiuse le labbra e catturò la sua lingua in una morsa possessiva, prima di esplorargli la bocca con curiosità e bramosia. Sherlock lo lasciò fare, lasciò che fosse lui a condurre i giochi, a mantenerlo sulla retta via, a fare di lui ciò che voleva, perché gli apparteneva completamente, corpo e anima. Non seppe come fu possibile ritrovarsi disteso sopra di lui, le labbra fuse assieme e le gambe scompostamente intrecciate fra loro. Non si rese neanche conto della mani dell’amico che s’infilarono sotto la sua felpa, accarezzandogli lascivamente la schiena e i fianchi, facendolo rabbrividire. Né, tantomeno, si accorse che le sue labbra, da quella splendida bocca, si erano spostate al collo per assaggiare quella pelle che nei suoi sogni proibiti aveva già percorso con i denti e la lingua. Improvvisamente, John si inarcò con un sospirò verso l’altro, strofinando il proprio bacino bollente con quello di Sherlock che, da parte sua, gemette, un rantolo roco, prima di accogliere nuovamente la lingua del biondo nella sua bocca.
“John-” sussultò quando avvertì le mani dell’amico serrarsi sulla carne morbida delle sue natiche e per un attimo si chiese se non fosse solo l’ennesimo sogno che l’avrebbe fatto risvegliare completamente madido di sudore e non solo, bisognoso di una doccia immediata e di una distrazione grazie a cui sedare i suoi impulsi. Quante notti John lo aveva baciato così? Quante notti i suoi occhi si erano spalancati nel buio vuoto della sua camera proprio mentre si apprestavano ad andare oltre?
“John…” ripeté, allora, di nuovo, mentre l’altro gli mordeva il collo con un ringhio basso, quasi cavernoso, e succhiava la sua pelle, lasciandovi un inconfondibile macchia rosea. Avvertì il desiderio cocente farsi strada in lui mentre le sue mani cercarono di tirare via la maglietta dell’amico per approfondire quel contatto, per farsi del male, per avere la prova di quella dimensione distorta, rischiando di interrompere ogni cosa.
“Sherlock-” gemette allora John inarcando la testa all’indietro e accogliendolo tra le sue braccia in un abbraccio possessivo mentre quello continuava a baciargli il collo, leccandogli il pomo d’Adamo.
Bastò un attimo perché tutto quello andasse in frantumi. Ci fu una bussata alla porta che fece trasalire entrambi. Si fermarono, con i vestiti in disordine, l’uno sopra all’altro, ansanti, le labbra umide e violacee. Si guardarono confusi, stralunati, ma quello che Sherlock lesse negli occhi di John fu una tortura pura e semplice: c’era orrore, in quello sguardo, e paura e rabbia. Quegli occhi lo incolpavano. Capì che l’illusione era terminata, che la realtà si stava progressivamente riappropriando dell’egemonia che le spettava, perciò capì anche che sarebbe stata questione di tempo prima che John lo sbattesse fuori dalla sua camera. Così, si affrettò ad alzarsi, cercando di sistemarsi i vestiti e i capelli mentre sprofondava quasi alla cieca sulla sedia. John scattò in piedi a sua volta, sistemandosi i capelli e gli abiti, e si affrettò ad aprire.
“John?”
“Steve. Problemi?”
“No… Tu, piuttosto, ti ho forse colto in flagrante, tre continenti?”
“Io… No, macché. Stavo ripassando.”
“Con quel rossore alle guance e il fiato corto, Johnny? Mi credi scemo?”
“Steve-”
“Tranquillo, non ti farò nessuna domanda né mi sporgerò per scoprire l’attuale scopa-amica dell’illustre Watson. Ero venuto semplicemente per avvisarti che io e i ragazzi stiamo guardando un film in camera di Oliver.”
“Che film?”
“007.”
“Sono dei vostri. Dammi solo… due minuti. Due minuti e sono da voi.”
Quando la porta si richiuse, calò un greve silenzio. Sherlock fissò la schiena dell’amico, ancora scossa da alcuni ansiti, e attese.
“John…” mormorò alla fine con voce colpevole, anche se non aveva fatto niente di male, e se invece l’avesse fatto, beh, non era stato lui quello a ficcare la lingua nella bocca dell’altro.
“Devi andartene.”
Avrebbe voluto replicare. Forse avrebbe anche dovuto. Ma la paura lo assalì, la paura di dover rivelare la verità celata, i sentimenti repressi, la sessualità occultata. Era successo anche troppo per quella sera e l’intero weekend lontani l’uno dall’altro avrebbe messo ogni cosa al suo posto. Forse.
“O-okay.”
Aprì la finestra e si preparò, come ogni sera, a saltare giù nel cortile. Si volse nuovamente verso di John e lo scoprì osservarlo intensamente, ma quando i loro sguardi s’incontrarono, l’amico lo distolse, puntandolo sul pallone da rugby accanto alle pantofole.
“Buonanotte, John.”
E saltò.
 
John’s POV. Due biglietti per la Nuova Zelanda. Se solo una spesa da Tesco e una litigata con la cassa automatica portassero tutte le volte a dei risvolti così piacevolmente inaspettati! E’ ormai passato un altro mese dal mio trasferimento e mi sorprende come in soli trenta giorni possano accadere così tante cose: Lestrade, con l’aiuto di Sherlock, naturalmente, è riuscito a cogliere gli Smith con le mani nella marmellata, o forse è meglio dire con le mani in un furgone che trasportava quindici chili di droga; ho cominciato a lavorare in un ambulatorio, conoscendo la mia attuale fidanzata, Sarah, una dottoressa niente male che però nel mio cuore provoca più sbuffi che altro; e da ultimo, ma non per importanza, al contrario, Sherlock ha cominciato ad atteggiarsi più civilmente nei miei confronti, permettendomi persino di seguirlo nei casi e di postarli nel mio blog. Non abbiamo più parlato dei fatti successi a casa Smith e, da un lato, è stato meglio così. So che Sherlock mi è riconoscente per averlo tratto in salvo, me lo dimostra rivolgendomi più risposte monosillabiche che insulti secchi, e questo mi basta.
Mi rigiro tra le mani la vincita, ancora sbalordito. I miei pensieri corrono a Sarah e al suo desiderio di prendersi qualche giorno di ferie e di andare da qualche parte fuori il continente per respirare aria nuova e rigenerarsi. Potrebbe essere l’occasione buona per stare un po’ soli, senza casi né Sherlock, e chiarirci.
No.
Perché no?
Perché sai che non è lei la persona con cui vorresti andare.
Ti sbagli.
John, dannazione… Invita Sherlock. Passereste cinque giorni lontano da Londra e dal vostro passato. Solo tu e lui. Sono certo che, alla fine, il vostro rapporto potrebbe finalmente aggiustarsi.
O andare a rotoli. Pensaci, e se facessi o dicessi una cazzata? Ora stiamo bene, le acque sono calme, perché rischiare di incasinare tutto?
Cosa vuoi che incasini una vacanza? A meno che tu non progetti di provare a fare qualcosa di più…
Non è quello che ho detto.
Ma è quello che vorresti. Andiamo, John, sul serio stiamo ancora a parlarne? Dovresti averla imparata la lezione rispetto a venticinque anni fa, no?
Io… Ho imparato la lezione, sì, ma devo ancora capire che cos’è voglio davvero.
Da Sherlock?
In generale. La mia vita non ruota attorno a Sherlock.
Oh, John, non immagini neanche quanto ti sbagli…
“Sono a casa!”
Sussulto all’udire la voce baritonale di Sherlock provenire dall’ingresso al piano di sotto.
Eccolo. Tieniti pronto, John, mi raccomando. Di solito non saluta mai, magari è di buon umore. Potrebbe essere l’occasione giusta per proporglielo.
Ma io non…
“Sono a casa, mi hai sentito?”
Sobbalzo per la seconda volta trovandomi il viso di Sherlock a pochi centimetri dal mio, intento a fissarmi incuriosito.
“Ti eri incantato?”
“No, no… Sto bene. Ero… perso nei miei pensieri.”
“Dunque direi che ti ho salvato.” Lo osservo mentre si sfila il Belstaff con la sua solita grazia divina e lo appende accanto alla porta. Ammirarlo in ogni gesto che fa è ormai diventata un’abitudine a cui, recentemente, mi sono totalmente assuefatto. “Che c’è per cena? Ho fame.”
“F-fame? Sherlock Holmes ha fame?” esclamo sgranando gli occhi e lasciandomi sfuggire una risatina divertita. “Questa mi è nuova.”
“E’ stata una giornata faticosa.” si giustifica lui con una smorfia.
“Eri con Lestrade?”
“No, con uno dei suoi poliziotti.”
Le mie labbra si aprono a sussurrare un Oh che però rimane muto, schiacciato in profondità. Era con un poliziotto. Non può… non può intendere… “Capisco.” mormoro solo voltandomi verso la cucina per andare a rimediare qualcosa da mangiare, ma improvvisamente mi trovo di nuovo con gli occhi fissi su di lui. “E che cosa stavate facendo di bello?” Solo dopo che la domanda è stata formulata, mi rendo conto di aver perso, per pochi secondi, il controllo del mio corpo.
Sei impazzito?
Al contrario, cerco di fare quello sano di mente visto che tu non ci arrivi, zuccone.
“Non credo vorresti davvero saperlo.”
“Hai ragione, in effetti non… Anzi, no, voglio saperlo.”
Vuoi startene al tuo posto, dannazione!?
Non quando si tratta di Sherlock.
Perché ci tieni così tanto a farmi…
A farti cosa, John?
A farmi…
Avanti, dillo.
A farmi del male, cazzo!
“Sesso, John. Stavamo facendo sesso. E’ una risposta che può soddisfarti?”
Avverto qualcosa, all’altezza del petto, pungere dolorosamente e subito dopo è quasi come udire un gemito appena appena pigolato. Sherlock stava facendo sesso con qualcuno. Con una persona. Un’altra persona. Stringo i pugni fino a far sbiancare le nocche. Conosco bene questa sensazione. L’ho provata tanto tempo fa, in una cameretta al college, dopo un sms laconico da parte del mio migliore amico.
Io e Irene stiamo insieme, adesso.
E adesso, di nuovo questo dolore. Non posso essere geloso di Sherlock Holmes. Non di lui. Perché, fra tutti, proprio di lui?
Soddisfatto, adesso?
Mi risponde solo il silenzio. Sinistro e corposo.
Ehi? Sei lì?
Attendo quella vocina, quella note cristalline che a volte trovo fastidiose. Silenzio. Vuoto. Il terrore mi assale con una morsa bruciante e mi ritrovo a trattenere il respiro, una mano al petto.
No… Non di nuovo… Ti prego, non di nuovo… Non andartene, ho bisogno di te, cazzo!
John?
Un sollievo prorompente mi riempie i polmoni, assieme ad una boccata d’aria. Sospiro profondamente, stringo le dita sulla camicia, come per cercare conferme, per assicurarmi che non sia solo la mia immaginazione o un’effimera illusione.
Ci sei ancora?
Sì, John… Certo che ci sono ancora. Non potrei mai abbandonarti.
In passato lo hai fatto.
In passato mi hai ripudiato.
Promettimi che non te ne andrai. Per favore.
Te lo prometto, John. Finché mi vorrai, lotterò con te e per te.
Perché non rispondevi?
Perché fa male, John… Fa tanto male… E mantenere il contatto empatico con te è difficile quando…
Quando?
Quando si crea una ferita.
Mi ritrovo a sbattere convulsamente le palpebre per dissipare la leggerissima nube di lacrime che mi appanna gli occhi. Il terrore, ancora, è qui, lo sento, la sua orma è impressa vivida in me. Ricordo ancora quel mattino, quella sveglia alle sei e cinquanta come al solito, quelle tende che ho aperto per lasciar filtrare la luce del sole, quella pigra routine mattiniera che si è spezzata quando mi sono reso conto del vuoto, dell’abbandono, della voragine… Anche allora chiamavo, piangevo, addirittura. Ero un ragazzo sciocco, solo, impaurito e con la testa infarcita di tutte quelle lezioni che la società imprimeva su noi giovani.
Prendo un respiro profondo e faccio correre lo sguardo fino alla figura di Sherlock, in piedi di fronte alla finestra, col violino in mano. Vorrebbe suonare qualcosa, ma ha la testa da un’altra parte – ormai ho imparato a conoscerlo. Sorrido a questo pensiero. Una volta, sapevo tutto di lui. Era un libro aperto, mentre ora… Ora sono io quello facile da leggere e lui quello protetto da una serie inespugnabile di porte sprangate.
Chiediglielo, John.
E’ una supplica quella che mi rivolge il mio cuore. E’ provato, stanco, ferito, eppure ancora non si arrende. E’ irrimediabilmente attratto da quell’uomo dai folti ricci corvini e lo sguardo impenetrabile, gelido. Ed è più facile pensare che sia il mio cuore quello ad desiderare Sherlock più di ogni altra cosa. Forse, non sono così diverso dal ragazzino di tanti anni fa.
“Cambiando completamente discorso” incomincio guadagnandomi l’attenzione del mio coinquilino. “Ho vinto, tramite chissà quale buono sconto, due biglietti per andare in Nuova Zelanda cinque giorni. Mi chiedevo se…”
“Come va con Shailene?”
“Chi?”
“La tua fidanzata, quella dell’ambulatorio.”
“Si chiama Sarah. Comunque, non mi lamento, ma perché-”
“Sono sicuro che muore dalla voglia di farsi una vacanza col suo fidanzato.”
“Ne sono certo anche io, ma vedi-”
“Tra l’altro dicono che passare dei giorni fuori sia l’ideale per risolvere conflitti o per rafforzare un rapporto.”
“Sì, anche questo è vero, però-”
“E non dimenticare che le notti in vacanza sono perfette per il sesso, cosa molto importante per una cop-”
“IO VOGLIO ANDARCI CON TE!” sbotto alla fine, esasperato dal fiume di parole che mi ha riversato contro. Lui inarca un sopracciglio e mi guarda in silenzio per un po’, così prendo il coraggio e proseguo: “Ho pensato che sarebbe una buona occasione per prenderci una boccata d’aria. Sono ormai passati quasi quattro mesi e mi farebbe davvero piacere trascorrere cinque giorni in tua compagnia lontano da qui.”
Lontano dalle mie cazzate e dalle sue ferite.
Sherlock continua a fissarmi, il violino ancora in mano. Infine, si volta e si prepara per intonare qualcosa. “Mi spiace, sono occupato.” E comincia a suonare un orecchiabile motivetto che giuro di aver sentito da qualche parte, forse in uno di quei biglietti di compleanno musicali che vanno tanto ultimamente.
“Occupato?” ripeto aggrottando la fronte. “Non stai facendo niente dalla mattina alla sera, ogni volta che torno ti trovo disteso sul divano a ripetere che ti annoi perché Lestrade non ha un caso da affidarti da quello degli Smith, passi il tuo tempo a poltrire perché non sei dell’umore adatto per suonare, e infine sei andato a letto con un poliziotto di Scotland Yard solo per convincerlo a trovarti un fottuto caso, mi sbaglio?”
Sherlock interrompe la sua esecuzione e si volta lentamente, in un modo tale che devo mantenere i nervi saldi per non permettere a qualche brivido di percorrermi la schiena. “Che hai detto?” mi chiede con tono basso, quasi minaccioso.
“Ho detto, anzi, ti ho pregato di venire con me.” rispondo abbandonando le braccia lungo i fianchi e assumendo l’espressione più disperata che riesco ad imprimermi in faccia. “E ho detto anche, a parole mie, che ho capito che il vero motivo per cui non vuoi venire non è perché sei impegnato, ma perché ci sarei io.” E so che la sola idea di stare solo con me ti disgusta. Ma questo è un pensiero che tengo per me, troppo è l’orgoglio che ancora mi frena dallo spogliarmi completamente di fronte a lui. “Sherlock, io ci voglio provare, okay? Te l’ho detto mille volte ma continuerò a ripeterlo finché non ne sarai convinto anche tu: io sono cambiato e voglio che tutto torni come prima.”
Una risata sprezzante lascia le labbra di Sherlock. “Come, scusa? Ma ti senti? La verità, John, è che io non voglio che torni tutto come prima, perché io prima ho finito solo per ridicolizzarmi e per soffrire. Quindi la mia risposta è no, ma grazie dell’invito.”
“Sherlock…”
“Ho detto di no, John. Credevo fosse un concetto abbastanza elementare anche per un cervello dalle dimensioni ridotte come il tuo.”
E quando la musica si diffonde nuovamente, ripartendo dall’esatto punto in cui si era interrotta, capisco che la conversazione è conclusa.
 
Sherlock’s POV. L’appartamento è silenzioso, avvolto da un’irreale quiete. Niente rumore dei tasti del portatile, niente gorgoglio della caffettiera, niente passi sulle scale di legno. John è partito poco fa per l’aeroporto, probabilmente prima passerà a prendere Sarah – non è il tipo che lascia un’appartenente del gentil sesso sola in balia della folla degli aeroporti. Ventidue ore di aereo… Chissà se mi chiamerà, una volta atterrato, per dirmi che sta bene… Chissà se sarò io, a un certo punto, a non resistere più e ad alzare la cornetta solo per sentire la sua voce metallica proveniente dall’altra parte del mondo. La verità è che ho fatto così tanta fatica a rifiutare il suo invito. Così tanta fatica… E’ stato solo il buon senso a trattenermi qui, a Baker Street. Passare cinque giorni lontano da Londra, da solo con John, con l’illusione che venticinque anni fa non sia accaduto niente… sarebbe stato pericoloso, troppo.
“Sherlock, caro, ti senti bene?”
La signora Hudson, sbucata da chissà dove, mi osserva preoccupata.
“Sì, sto bene, grazie.”
“John sarà in aeroporto fra poco. Mi spiace per quel tuo caso, Sherlock.”
Inarco entrambe le sopracciglia. “Quale caso?”
“John mi ha detto che non sei potuto andare per un caso molto difficile che avevi in sospeso. Sarebbe stato bello, per voi due, passare un po’ di tempo da soli.”
“Perché è quello che dite tutti?” sospiro io scuotendo la testa. “Comunque sia, John se la passerà meglio senza di me e in compagnia di Sarah.”
“Oh, cielo! Ma davvero non lo sai?”
“Che cosa?”
“John e Sarah si sono lasciati da poco, quando la poverina ha scoperto che lui sarebbe partito senza di lei.”
Sbatto ripetutamente le palpebre. “Dev’esserci un errore… Con chi partirà, allora, John?”
“Con nessuno, caro. Andrà da solo. Quando gli ho chiesto perché non avesse voluto invitare la fidanzata, mi ha risposto che sarebbe partito da solo o con te. Che caro ragazzo.”
Mi passo una mano sul volto, allibito, mentre la voce della signora Hudson continua a petulare qualcosa dalla cucina dove, probabilmente, ha trovato i pollici che questo pomeriggio andrò ad analizzare. Casualmente, i miei occhi incontrano il mobiletto su cui è appoggiato Billy, il mio teschio, e su di esso scorgo un pezzo di carta che ieri sera non c’era. So di cosa si tratta ancora prima di avvicinarmi e averlo in mano. Il secondo biglietto. Dannato Watson.
Mi fiondo in camera e recupero la valigia da sopra l’armadio, vi ficco dentro il minimo indispensabile, e mi affretto a salutare la signora Hudson e a scendere in strada per fermare un taxi.
“Ma Sherlock, e quel caso?”
“Era uno vecchio, signora Hudson! Molto, molto vecchio. E’ tempo di smettere di rimuginarci sopra, non crede?”
E mi infilo nel taxi.
 
Il gate per Sidney chiude fra cinque minuti. Corro come se stessi inseguendo un serial killer, eccitato, col corpo tremante di adrenalina. Voglio raggiungere John. Lo voglio disperatamente. Voglio trascorrere cinque giorni in sua compagnia. Voglio ricominciare a fidarmi di lui. Voglio dargli la possibilità di essere mio amico.
“Scusi!? Aspetti, per favore!” grido al tizio del gate che proprio ora stava per alzarsi e comunicare che tutti i passeggeri erano a bordo. “Perdoni il mio ritardo, ma ho avuto un contrattempo. Questo è il mio biglietto, il mio amico è già sull’aereo.”
L’uomo osserva il biglietto incuriosito mentre gli consegno anche la mia carta d’identità. “Lei è davvero Sherlock Holmes? L’investigatore privato?”
“Consulente investigativo, a dire il vero, ma sì, sono io.”
“E parte con il dottor Watson? Adoro il suo blog, amo leggerlo e vorrei avere il piacere di vederlo di persona.”
“Beh, forse se l’è perso. Come le ho già detto, è già sull’aereo.” replico io con voce che tradisce tutta la mia fretta.
“Mi perdoni, signor Holmes, ma me lo ricorderei se avessi avuto fra le mani la carta d’identità del dottor Watson, non crede?”
Il panico mi assale. John non è qui. John. Non. E’. Qui. E se… se gli fosse successo qualcosa? Se qualcuno avesse attentato alla sua vita per arrivare a me? Abbiamo ricevuto molte lettere minatorie in questo periodo, perché non potrebbe? John… John… John… Il suo nome mi echeggia in testa, mi perseguita, mi tortura. Penso al suo sorriso, alle sue premure, ai suoi strenui tentativi di rimanermi accanto nonostante io l’abbia sempre allontanato. Non c’è più il ragazzino di venticinque anni fa che mi ha fatto soffrire. Non c’è più quel John Watson. C’è l’uomo che si è infilato nella mia vita con sfrontatezza, senza neanche chiedermelo. C’è l’uomo che mi ha ribadito di essere cambiato e di odiarsi per il male inflittomi per settimane. C’è l’uomo che ha partecipato ad un’operazione delicata per conto del Governo solo per guardarmi le spalle. C’è l’uomo che, anche se ferito, ha resistito fino a quando non ha avuto la conferma di avermi salvato.
John.
Improvvisamente, un tocco gentile, ma deciso alla spalla. Mi volto di scatto, convinto di trovarmi di fronte il sequestratore di John, magari il suo assassino. Ma mai, mai mi sarei aspettato di scrutare il suo viso sereno.
“Eccoti, finalmente! Nell’attesa sono andato a prendere un caffè. Tu e i tuoi soliti casi… siete sempre così complicati. Oh, scusi, ecco il mio biglietto.”
Lo osservo porgere il proprio biglietto al ragazzo del gate e arrossire per i numerosi complimenti di quest’ultimo riguardo al blog. Lo osservo respirare, vivere. E lo seguo nel corridoio per le piste degli aerei, contemplando la sua nuca, i suoi capelli, la sua schiena, il suo incedere militare… Ho creduto di averlo perso. Di aver perso tutto questo. E ora che ne prendo consapevolezza, la rabbia mi attanaglia e lascio che sia lei a guidare ogni mio movimento.
Gli afferro un braccio e lo sbatto contro il muro, come ho fatto alla festa degli Smith, la stessa notte in cui lui mi ha salvato la vita. Lui mi guarda, ma non ha paura. E’ solo stupito, forse curioso di sapere dove, stavolta, il mio temperamento imprevedibile e focoso mi porterà. Ci porterà.
“Tu… razza di idiota! Hai idea dello spavento che mi hai fatto prendere?? Credevo che qualcuno ti avesse rapito, credevo che qualcuno ti avesse fatto del male per colpa mia, credevo che tu fossi… Dannazione! Sei solo uno stupido, John Watson. Sei solo uno-”
Ma non riesco a portare a compimento la frase che mi ritrovo circondato dalle sue braccia forti, premuto contro il suo copro caldo. Mi accarezza i capelli amorevolmente, sussurrandomi parole di conforto all’orecchio, che al momento non m’importa di ascoltare. E’ bello stare tra le sue braccia. Quando ero piccolo, lo adoravo… E lo adoro tutt’ora. E nonostante qualcosa, in me, si agiti, decido di respingere per un attimo le paure e le insicurezze e lasciare che il calore del suo abbraccio mi culli un altro po’.
“Non ti lascerò, Sherlock. Non più. Non ora che ti ho finalmente ritrovato.”
E ci credo, in questa promessa, in questo giuramento così fragile. Mi lascerà, prima o poi. Non so come, non so quando, ma in un modo o nell’altro mi abbandonerà e allora dovrò, nuovamente, raccogliere i pezzi di me che John Watson mi ha lasciato, portando con sé gli altri. Sarò un’ombra di me stesso. Ma ora non conta. Ora è qui. E’ reale. Ed è meravigliosamente vero.
“Dovremmo andare. Abbiamo già ritardato abbastanza.” borbotto allontanandomi appena da lui.
“Sì, hai ragione.”
Mentre ci incamminiamo, vicini come non lo siamo mai stati in questi mesi, capisco e non so se arrabbiarmi ancora di più o se bearmi al pensiero. “Sapevi che sarei venuto.”
“Certo che lo sapevo.”
“Come?”
“Per quanto tu voglia negarlo, ti conosco, Sherlock. E non sei poi così cambiato da quel ragazzino che conoscevo.”
E forse, forse non c’è ragione più vera.

SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti e bentrovati! Sto ricevendo un mucchio di soddisfazioni con questa storia che non credevo avrei mai raccolto. Grazie mille a tutti voi che avete aggiunto la storia in una cartella, recensito e letto! Vi adoro, davvero!

Ora, passiamo a delle cose più serie: la prima cosa che ci tengo a precisare è che ho dovuto inserire Irene perché la adoro e le attenzioni che riserva a Sherlock non sono davvero romantiche, quindi non mi linciate per aver rovinato questo personagio meraviglioso. Anche nella mia storia è una a cui piace giocare, in particolar modo con qualcuno di interessante come il nostro Sherl. Poi, il bacio... Dio, quanto ci ho messo! Non riuscivo davvero a buttarla giù, questa scena e spero che alla fine il risultato sia decente, boh. Però, ragazzi, ammetto che questo capitolo lo adoro perché il bacio è una cosa che ho voluto inserire e che nell'immaginarmelo all'interno della storia mi è piaciuto subito, poi il presente... cioè, Sherlock che corre all'aeroporto per partire con John il quale sapeva perfettamente che sarebbe venuto... E poi si abbracciano e io sarà che sono un po' flaffosa, ma amo gli abbracci. E... niente, ho finito.

Fatemi sapere quello che ne pensate, spero che continuerete a seguire questa ff perché siamo quasi alla fine... Mancano due capitoli al gran finale... Curiosi?

 
   
 
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