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Autore: Spoocky    27/08/2018    1 recensioni
Subito dopo il primo scontro con l'Acheron l'equipaggio della Surprise deve fare i conti con i danni arrecati da un nemico di forza superiore mentre si affronta la perdita dei morti e si curano i feriti.
Le ferite in battaglia entrano di diritto nell'ordine naturale delle cose, è risaputo e ce ne si fa una ragione.
Quando però tra i caduti ci sono delle persone care diventa difficile, se non impossibile accettare le conseguenze naturali di un evento bellico.
Non si può che sperare in un miracolo.
Partecipa alla 26 Prompt Challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fan Art [https://www.facebook.com/groups/534054389951425/] Prompt 15/26 MIRACOLO - 16/26 GUERRA
Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Disclaimer: stesso di prima.

Buona Lettura ^.^


Quando Padeen arrivò con le ciotole di minestra per i feriti Calamy era ancora accovacciato sulle casse accanto alla branda di Blackney, accanto a quella di Pullings adesso c’era Mowett che gli stava raccontando come fossero usciti dallo scontro, pur consapevole del fatto che non fosse del tutto cosciente.
Mentre parlava il Secondo Tenente spostava i capelli dalla fronte sudata dell’altro pettinandoli all’indietro con la mano, un gesto tipico dell’intimità derivata da una lunga amicizia.
Calamy lo osservava incuriosito: era palese che i due giovani ufficiali fossero molto legati e, in cuor suo, provava una punta d’invidia per non avere accanto nessuno che tenesse tanto a lui.

Intercettando lo sguardo dell’infermiere, Mowett passò un braccio dietro alle spalle dell’amico e gli appoggiò la mano aperta sul petto, sollevandolo di peso mentre l’irlandese gli aggiustava i cuscini dietro la schiena per metterlo seduto.
Il dolore per lo spostamento fu impossibile da sopportare in silenzio e Pullings emise un grido strozzato reclinando il capo sulla spalla di Mowett che tentò inutilmente di rassicurarlo mentre lo adagiava sul guanciale, rispondendo ai suoi lamenti con parole di conforto.  

Una volta che Tom fu di nuovo a posto nella sua branda, l’ufficiale prese in mano la sua ciotola: “Grazie, Padeen, ci penso io.”
Calamy seguì il suo esempio e, di lì a poco, sentirono la sua voce stridula chiedere a Padeen la minestra per Blackney.
Con il braccio così fasciato e le costole rotte, Pullings non era in grado di alimentarsi da solo e Mowett si risolse ad imboccarlo, un cucchiaio per volta. La procedura sarebbe stata di norma piuttosto umiliante, soprattutto per un ufficiale, ma i due avevano condiviso tutto fin da ragazzini e non provavano più vergogna nell’affidarsi l’uno all’altro, sul campo di battaglia come nella vita.

Stando più dritto, Tom aveva ripreso a respirare quasi normalmente e la voce era arrochita ma perfettamente udibile quando si rivolse all’amico:“Will?”
“Dimmi.”
“Quanti ne abbiamo persi?”
Mowett sospirò profondamente prima di rispondere perché quello era ancora un tasto molto dolente: “Nove morti e ventisette feriti, compresi tu ed il piccolo Blackney.”
“Anche Blackney?”
“Purtroppo sì. E’ qui nella branda vicino alla tua, vuoi vederlo?”
“Per favore.”

Da quella posizione, Pullings poteva guardarsi intorno muovendo solo la testa e riuscì ad incrociare lo sguardo dell’allievo senza troppa difficoltà quando Mowett glielo indicò. Già pallido, sbiancò completamente.
Sembrò che il cuore gli si fosse spezzato nel petto quando vide la ferita del ragazzino: pur non completamente lucido capiva benissimo che quell'arto sarebbe stato impossibile da salvare e, per quanto fosse una situazione del tutto normale nella loro vita, non era facile accettare che un bambino di pochi anni più grande del suo primogenito sarebbe rimasto mutilato a vita.
Cercò di ingoiare il groppo che gli si era formato in gola prima di rivolgere la parola all’allievo e  fece del suo meglio per darsi un contegno: “Come vi sentite, Signor Blackney?”
Il piccolo era stravolto dal dolore almeno quanto lui ma la sua vocetta lo lasciò appena trasparire: “Nulla di grave, signore. Solo un braccio rotto.”
Un dolore bruciante iniziò a farsi strada nel suo torace e sentì le costole pulsare ad ogni battito del suo cuore, Pullings strinse i denti e si portò distrattamente la mano libera al petto: “Siete un giovane coraggioso, Signor Blackney. Sono sicuro che presto starete meglio.” Si fermò a riprendere fiato  ma riuscì a sorridere nel concludere“Scommetto che nel giro di un paio di giorni tornerete a darci del filo da torcere arrampicandovi come un gatto sulle crocette.”
Anche il ragazzino sorrise con Mowett e Calamy nel ricordare quell’episodio.

Una settimana dopo aver lasciato Portsmouth il piccolo Blackney aveva brontolato sonoramente al momento di accompagnare Pullings in coperta per la sua prima comandata notturna e nel momento in cui questi aveva cercato di agguantarlo per punirlo, si era inerpicato in cima all’albero di maestra svelto come una scimmia e non c’era stato verso di recuperarlo, finché non era sceso intorno all’ora di cena e aveva trovato ad aspettarlo il bastone del Capitano in persona[1].
Aubrey aveva passato tutto il giorno a ridacchiare immaginando la scena svoltasi quella notte ma quando se lo trovò davanti non gli risparmiò nessuna delle cinque scudisciate a cui si riteneva avesse diritto.
Da quel giorno non aveva più sgarrato.


Un momento di calore e serenità che ebbe vita breve perché di lì a poco Pullings ricominciò a tossire, tanto da spaventare Mowett che fece del suo meglio per sorreggerlo fino all’arrivo di Stephen.
Il medico controllò rapidamente i bendaggi per essere sicuro che le suture fossero intatte, poi recuperò un cuscino e lo mise in braccio all’ufficiale: “Stringetevi questo al petto, Tom. Vi farà meno male.”
Pullings gli obbedì ma, alla fine, era comunque talmente stremato da avere delle zone scure davanti agli occhi che gli impedivano di vedere: “Will, ti prego: fammi coricare.”
Mowett e Padeen riuscirono ad ingegnarsi a farlo stendere senza che patisse troppo mentre Stephen si grattava nervosamente la testa: era evidente che il suo paziente stesse soffrendo molto ma, al contempo, il suo cuore e i polmoni erano sottoposti ad uno sforzo abnorme e il laudano avrebbe potuto comprometterli in modo definitivo.
Alla fine si risolse nel calibrare una dose moderata che somministrò sotto lo sguardo ansioso del Secondo Tenente, per scacciarlo subito dopo.

Voltandosi vide che Blackney era ancora sveglio nella sua branda e Calamy era ancora appollaiato poco più in là: “Quanto a voi due, l’ora di andare a letto è passata da un pezzo.”
L’allievo ancora dotato di mobilità si dileguò in un batter d’occhio e l’altro si affrettò a fingere di dormire.

Laudano o no, nessuno dei due dormì molto.
Il dolore delle ossa rotte affliggeva entrambi orribilmente, stringendoli in una morsa spietata. Nonostante le cure premurose del dottor Maturin sembravano intrappolati in un mondo a parte mentre combattevano una guerra solitaria che sembrava persa in partenza.
Passarono la notte gemendo, sudando e digrignando i denti mentre cercavano in tutti i modi di resistere a quell’assalto tremendo, sempre consapevoli della presenza dell’altro e traendo conforto dalla coscienza di non essere soli in quell’inferno.
Al sorgere del sole erano entrambi distrutti e ancora sofferenti, ma vivi.

Avevano vinto la prima battaglia.


Note: 
[1] Gli allievi venivano puniti a  colpi di canna sulle natiche e sulle gambe in numero variabile a seconda dell’infrazione commessa e somministrati dagli ufficiali o dal comandante della nave facendo piegare il colpevole sul fusto di un cannone.
  
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