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Autore: Nao Yoshikawa    28/08/2018    2 recensioni
Esistono tanti tipi di famiglia.
E ognuno cerca la propria a modo suo.
Takumi e Soma, Kuga e Tsukasa, Megumi e Shinomiya, Ryou e Akira, sono coppie tra loro diverse, ma accomunati da un desiderio comune: quello di costruirsi una famiglia.
Ma tra problemi, malintesi e situazioni avverse, le cose non saranno per niente facili.
TRATTO DAL SECONDO CAPITOLO:
Tsukasa si portò una mano sul viso. Per quale assurdo motivo in natura aveva permesso a Kuga di prendere la situazione in mano?
“Kuga… abbassa la voce”.
Terunori però gli fece segno di tacere.
“Se ho detto che le pago vuol dire che le pagherò. Cosa pensate che siamo noi, dei barbari? E’ solo un piccolo ritardo, può capitare, amico. Ah, sì? E lo sai io cosa ti rispondo, vaffa...”
“No, no, no!”, Tsukasa gli strappò prontamente il telefono dalle mani. “Pronto? Sì, chiedo scusa, mio marito è un po’ nervoso. Certo, ma certo, assolutamente, non si preoccupi. Grazie, mille grazie. Buona giornata”.
Chiuse la chiamata. Poi sospirò e guardò Kuga, il quale se ne stava imbronciato.
“Terunori, ti prego, per favore… potresti evitare di litigare con ogni essere vivente e non?”
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Kuga Terunori, Souma Yukihira, Takumi Aldini, Tsukasa Eishi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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11 - Negativo o no?

Dopo una giornata intensa era bello poter finalmente riposare. Il silenzio, il battito di Soma a cullarlo verso un sonno sicuramente piacevole e pieno di sogni. Questo era quello che Takumi aveva sempre vissuto… prima di diventare padre.
Un vagito, che subito dopo divenne un pianto, lo costrinse ad aprire gli occhi di scatto. A piangere era Kou o Hajime? Un bravo genitore avrebbe anche dovuto riconoscere il pianto dei propri figli. Doveva assolutamente impegnarsi, ma di certo la stanchezza non lo aiutava. Sollevò il capo e sbuffando si rese conto che Soma stava dormendo totalmente indisturbato. Era quasi sicuro che lo facesse di proposito per non doversi alzare, ma col cavolo che avrebbe fatto lui tutto il lavoro.
“Oh, Soma...”, sussurrò. Poi non ricevendo alcuna risposta, alzò il tono e prese a scuoterlo. “SOMA!”.
Quest’ultimo aprì gli occhi, confuso.
“È già ora di andare a lavoro?”
“No, stupido. Va dai bambini”
“Eh? Perché io? Perché non puoi andarci tu?”.
Soma si pentì subito di aver parlato nel momento in cui vide l’espressione di suo marito cambiare.
“Perché?”, domandò isterico. “Mentre tu la mattina lavori, io sono chiuso qui con tutti e due, perché sono giorni che non vedo la luce del sole e perché se non lo fai io chiedo il divorzio all’istante!”.
Convincente. Takumi sapeva essere molto convincente.
Soma alzò le mani in segno di resa.
“Va bene, d’accordo, sto andando”, tentò di sbrigarsi. 
Si avvicinò alla culla. Kou dormiva indisturbata, ma Hajime non voleva proprio saperne di starsene buono, e agitava le manine chiuse a pugni. Nel vedere il padre, prese ad agitarsi ulteriormente.
“Sssh”, sussurrò lui. “Ti prego, non piangere più, altrimenti Takumi darà di matto e mi ucciderà. Qual è il problema? Eppure hai mangiato poco fa”.
Prese il piccolo in braccio. Questi si calmò subito, succhiando avidamente il ciuccio. Soma sapeva che ci sarebbe voluto un po’ per farlo addormentare, sarebbe stato costretto a cullarlo per dieci minuti di seguito. Guardo il bambino, adesso dagli occhi socchiusi. Le sue iridi erano perlopiù verdi. La maggior parte del tempo. Sì, perché sia lui che Kou avevano gli occhi cerulei, cambiavano a seconda del tempo.
Quando fuori pioveva – o anche quando piangevano – gli occhi diventavano grigi. Con il sole e il bel tempo invece erano verdi-azzurri. Era una particolarità rara che sperava avrebbero mantenuto crescendo.
Poco dopo sentì un altro lamento. A quanto sembrava, Kou aveva deciso di seguire l’iniziativa del fratello.
“Oh”, Soma alzò gli occhi al cielo. “Takumi? La nostra principessa si è svegliata”.
Il biondo borbottò qualcosa.
“Va bene, d’accordo. Anche stanotte non si dorme”, si chinò sulla bambina e subito dopo il suo tono si addolcì. “Ma anche volendo, come potrei non sciogliermi davanti a questo faccino?”.
Kou si quietò immediatamente nel ritrovarsi tra le braccia del genitore. Poiché la nottata si prospettava essere lunga, Takumi e Soma decisero di sedersi sul materasso, in attesa che i piccoli si addormentassero.
“Ehi, Takumi… come stai?”
“Eh? Cos’è questa domanda improvvisa? Sto bene. A parte la mancanza di sonno, ma ero già preparato a quest’evenienza”
“Pensavo solo che stai facendo davvero un buon lavoro. Mi ricordo di come all’inizio non fossi convinto, e mi ricordo anche delle tue paure. Eppure, hai visto? Tu sei nato per fare questo”.
Il biondo abbassò lo sguardo, vagamente imbarazzato. Fortuna che alla fine si era convinto. Anche se era da poco che Kou e Hajime erano entrati nella sua vita, oramai non sarebbe più riuscito ad immaginare quest’ultima senza di loro.
“Il merito è tuo, perché è partito tutto da te. E anche tu stai facendo un buon lavoro, ma non potevo aspettarmi diversamente”.
Soma allora si sporse in avanti e gli posò un dolce bacio sulle labbra.
“Che dici...”, sussurrò poi. “Li facciamo dormire qui?”
“Ah, e va bene”, sospirò alzando gli occhi al cielo. “Ma che non diventi un vizio, non ho intenzioni di farli dormire con noi fino ai dieci anni”.
Soma ridacchiò. Takumi faceva tanto il duro, ma alla fine il fatto di avere i piccoli così vicini faceva piacere anche a lui. Così, Kou e Hajime si ritrovarono al centro, Takumi e Soma li stringevano tra le braccia, mentre le loro mani si sfioravano appena.

“Amore mio, ti prego, perdonami. Non lo farò più ma non guardarmi così. Ti prego, ti prego!”.
Tsukasa sospirò mentre sorseggiava il suo caffè. Chiunque avrebbe pensato che Kuga stesse parlando con lui, ma di fatto non era così. Colui a cui Terunori stava chiedendo perdono in ginocchia era nientemeno che Simba. Quest’ultimo, infatti, si era sentito parecchio trascurato in effetti, e aveva dimostrato il suo mal contento accucciandosi e non reagendo minimamente alle attenzioni del suo padrone preferito.
“Andiamo, Kuga”, sospirò lui. “E allora cosa farai quando avremo davvero il bambino? Farai i turni per decidere con chi passare il tempo? ”
“Silenzio”, piagnucolò lui. “Tu non sai. Simba, ti prego, lo sai che tu rimani sempre il mio cucciolo, ma sono stato occupato. Ti prego, ti comprerò tutti croccantini e le palle che vuoi, ma non ignorarmi!”.
Rndou aprì la porta della cucina, in pigiama e assonnata. Con la scusa di essere la loro madre surrogata, non aveva più la preoccupazione di doversi cercare una casa o un lavoro. Forse se ne stava un po’ approfittando.
“Ma che succede?”
“Niente, Kuga e il cane hanno litigato”.
“Oh”, la rossa si inginocchiò. “Simba! Piccolino, vieni qui!”.
Il cane allora si sollevò immediatamente, andando dalla ragazza per godere delle sua coccole.
“Ah, ma certo! È così che funziona, non è vero? È così facile sostituirmi!”, piagnucolò Kuga con fare teatrale.
Rindou accarezzò la testa di Simba, il quale avvicinò il muso al suo ventre, annusando e strusciando la testa.
“Cosa?”, fece lei. “Avete visto cosa fa?”
“Sì, ho visto. Interessante”, costatò Tsukasa. “Magari i cani hanno una sorta di senso che fa capire a loro certe cose?”
“Certe cose?!”, esclamò Kuga. “Vuol dire che sei incinta?”.
Lei sorrise.
“Per quanto adori Simba, credo che sia meglio se faccio un test di gravidanza”
“Lo 
comprerò io stesso!”, esclamò Kuga sorridendo. “Non preoccuparti per questo, tu pensa solo a non stressarti, va bene?”.
Rindou si sorprese molto di tanta gentilezza. Probabilmente essere la loro madre surrogata aveva dei vantaggi.
“Goditi la sua calma finché puoi”, suggerì saggiamente Eishi.

Stare nella stessa casa senza però parlarsi era strano quanto fastidioso. Ma Megumi non poteva di certo biasimare suo marito. Gli aveva nascosto qualcosa di estremamente importante, tutto ciò per egoismo. Ne era consapevole, ma non era pentita. Sapeva che, in fondo, lei e Kojiro volevano le stesse cose, quest’ultimo faceva solo più fatica ad ammetterlo.
Megumi lo osservò. Cucinava. Lo aiutava sempre a distendere i nervi. Non aveva idea se avvicinarsi a lui che stava adoperando dei coltelli affilati fosse una buona idea, ma decise comunque di seguire l’istinto. Si avvicinò lentamente senza far rumore.
“Amh… che fai?”
“Tu cosa credi?”, rispose gelido, continuando a darle le spalle. “Sto giocando a biliardo”
“Intendevo cosa cucini”
“Qualcosa con del pesce!”, esclamò tagliando con violenza la testa al povero malcapitato sgombro sul tagliere. “Sarà divertente strappargli via le lische e le interiora”.
La ragazza strabuzzò gli occhi. Tutto ciò non prometteva bene.
“D’accordo, che ne pensi di lasciare in pace lo sgombro e parlare con me?”
“Ah, adesso vuoi parlare? E che cosa devi dirmi? Il figlio non è mio?”
“Beh, adesso non mi sembra il caso di esagerare!”, esclamò con la fronte aggrottata.
“Esagerare? Farsi ingravidare a tradimento è esagerare. E poi… come ti è venuto in mente di dirlo davanti a tutti? Mi sono sentito uno stupido”
“Mi dispiace, ma non sapevo proprio come dirtelo. Ho provato a fartelo capire”, poi sospirò. “So che probabilmente il mio desiderio di maternità mi ha accecata, ma cerca di capire anche me. Sentivo che il mio momento era adesso. Voglio un figlio da te, cosa c’è di male?”
“Non c’è niente di male, ma ti avevo detto che ci avremmo pensato più avanti”
“Che tradotto significa “mai”, affermò a braccia conserte, adesso piuttosto seccata. “So che i bambini non ti piacciono e so che non hai pazienza né istinto per certe cose. Ma questo non vuol dire che le cose non possono cambiare”, la voce divenne spezzata. “Sta di fatto che ho voluto tanto questo bambino e adesso lo terrò, che ti piaccia o no, capito?”.
Megumi aveva preso a piangere.
“Adesso che ti prende? Non sto dicendo nulla”
“Sono gli ormoni, informati, stupido!”, esclamò lei asciugandosi gli occhi. “Va bene, adesso basta. Vado a preparare le mie cose”
“Le tue cose?”
“Sì”, tirò su con il naso. “Ho bisogno di staccare la spina. E un po’ di tempo separati forse ti aiuterà a capire”
“A capire?! Andiamo, ma seriamente? Megumi! Ma dove vuoi andare, si può sapere…?!”.

Takumi e Soma erano del tutto ignari del fatto che di lì a poco una loro amica, triste, sconsolata e incinta avrebbe bussato alla loro porta. Il primo si trovava ad un passo dall’implodere, poiché si stava ritrovando a dare il biberon a Hajime, mentre Kou piangeva a causa delle coliche.
“Ti prego, falla smettere”, piagnucolò. “Non sopporto sentirla soffrire in questo modo”.
La bimba stava distesa sul divano e agitava le mani in segno di protesta. Soma aveva preso a massaggiarle il pancino nel tentativo di calmare il suo dolore.
“Su, Kou… adesso passa. Suonano alla porta”
“Certo! Effettivamente è il momento più adatto!”, borbottò.
Quando aprì, si ritrovò una sofferente Megumi di fronte agli occhi.
“M-Megumi? Ciao, ma cosa… che è successo?”
“Posso restare qui per qualche giorno?”, domandò. “Credo che io e Kojiro abbiamo bisogno di un attimo di pausa”
“Un attimo di pausa? Un momento!”, esclamò mentre lei entrava. “Non starete divorziando, vero?”
“No, non credo. Ma il fatto di avergli nascosto ciò che ho fatto… beh, ha reso tutto più difficile. Giuro che non voglio disturbare”
“Ah, va tutto bene”, Soma stava ora cullando Kou. “Per noi puoi rimanere, anche se non so quanto bello possa essere dormire in una casa con due neonati strillanti”
“Oh”, gli occhi di lei si illuminarono all’istante. “Povera piccola, che cos’ha?”
“Coliche. Non riesco a farla smettere di piangere”
“Posso provare io?”
“Accomodati”, fece Soma porgendole sua figlia. Megumi aveva un istinto innato per certe cose, e i bambini sembravano percepire anche a distanza il suo esagerato istinto materno. Il dolce tocco e il calore della ragazza furono lenitivi per Kou, la quale si quietò poco dopo, limitandosi solo a qualche vagito e lamento.
“Cavolo, Megumi”, disse Takumi, “Tu hai davvero un dono, sarai una bravissima madre”
“Sì… e spero di non essere una bravissima madre single”.
E prese di nuovo a piangere. Lui e Soma si guardarono negli occhi sconvolti. Badare a due neonati e ad una donna incinta in preda agli ormoni, potevano farcela, no?

Akira e Ryou erano arrivati ad un compromesso. Avrebbero fatto i turni per andare a lavoro, in modo che così Yukio non sarebbe stato da solo. Il problema era che quella sera in particolare toccava proprio a lui.
Ryou avrebbe preferito perdere l’uso delle braccia piuttosto che rimanersene in casa con quel ragazzino.
Il piccolo stava adesso seduto sul pavimento e stava disegnando qualcosa con i suoi pastelli, aveva un’espressione estremamente concentrata. 
“Ehi, vedi di riordinare dopo”, affermò brusco. Yukio però sollevò lo sguardo, e con gran fierezza gli mostrò il disegno che aveva fatto.
“E questo cosa sarebbe?”
“Noi!”, esclamò, indicando una figura più piccola disegnata su un foglio che teneva per mano altre due figure più grandi. “Questo sono io. Questo è Akira e questo sei tu. Ti piace?”.
In genere i ragazzini a quell’età disegnavano sempre in modo orribile, e Yukio non era da meno. Tuttavia temevo che essere troppo sincero lo avrebbe portato in seguito a dover sopportare il suo pianto.
“Carino...”, commentò nel tono più convincente possibile. Questo bastò al bambino per essere soddisfatto.
“Lo sai, io penso di essere felice. Perché anche se non ho più la mamma ci siete voi che vi prendete cura di me. Non andate anche voi, vero?”

Quella domanda lasciò non poco sorpreso Ryou. Un bambino che aveva perso la famiglia voleva essere rassicurato. Ma era una sicurezza che poteva effettivamente dargli?
Non c’era parole giuste per momenti come quelli. Bisognava dire ciò che una persona sentiva di voler dire.
“No. Non andiamo”, rispose semplicemente. Quella risposta parve quietare molto Yukio, il quale guardò orgogliosamente il disegno che aveva fatto.
“Possiamo appenderlo da qualche parte?”
“Sì...”, fece poco convinto. “Immagino di sì”.
Si alzò per cercare del nastro adesivo da qualche parte. All’improvviso si sentiva strano, triste, intenerito, provava un miscuglio di sensazioni bizzarre. Ed era tutto a causa di Yukio, che con il suo affetto e la sua dolcezza mandava a monte ogni tentativo di Ryou di rimanere distaccato. Era sempre stato contrario all’idea di avere figli. Insomma, non si poteva di crto dire che avesse un istinto paterno! Eppure lui pareva piacere a Yukio, il quale non badava mai al suo sguardo infastidito o alla sua poca gentilezza.
Pensava ciò mentre osservava il cassetto vuoto. Forse Akira aveva ragione? Doveva semplicemente imparare a sciogliersi almeno un po’?
Fu la voce stessa del bambino a destarlo dai suoi pensieri.
“Ciao, Akira! Bentornato!”, esclamò correndogli incontro. Hayama allora lo prese in braccio.
“Ehi, che stavi facendo?”
“Disegnavo. Ryou mi stava aiutando a cercare qualcosa per appenderlo”
“Ma davvero?”, domandò sorpreso, guardandolo. Il corvino sembrava piuttosto imbarazzato da quella situazione, non era da lui mostrare il suo lato più tenero.
“Sì, beh… finalmente sei tornato. Stasera vado a lavoro io, comunque!”, affermò passandogli accanto.
“Amh… d’accordo. Su, Yukio. Ti aiuto io ad appenderlo”.

Non c’era niente di peggio di Kuga quando era nervoso. Soprattutto quando parlava al telefono e se la prendeva con i fornitori per qualche ordine in ritardo o mai arrivato o sbagliato.
“Che cosa?! Diecimila yen? Ma per cosa?! Aragoste? Ma io non le ho ordinate! TSUKASA! Non dirmi che è un altro dei tuoi brillante scherzi! Ti ho detto mille volte che l’aragosta è troppo costosa!”
“Io non ho fatto nulla! Ci sarà stato un errore!”, tentò di giustificarsi.
“Ah”, sospirò lui. “Sì… no, senta, si riporti tutto, d’accordo? Noi non abbiamo ordinato niente, e quindi non intendo pagare. Sì. Sì, esatto, annulli tutto. Che razza di idiota”, borbottò chiudendo la chiamata. “È veramente ridicolo!”
“La gente così finirà con il pensare che sei avido”
“Non è un problema io”, affermò a braccia conserte. “E poi, tutto quello che sto mettendo da parte mi serve per il nostro futuro figlio. Hai idea di quante cose abbia bisogno un bambino?”
“Immagino tante”
“Già, appunto. Quindi niente spese strane!”.
Tsukasa temeva di doversi sorbire un altro discorso di Kuga su quanto fosse importante risparmiare, ma per sua fortuna Rindou era rientrata in casa proprio in quel momento.
“Dove sei stata?!”, Terunori le andò addosso. “Non devi uscire da sola, la strada è pericolosa per una donna nelle tue condizioni!”.
Si accorse solo in seguito dell'espressione strana dell’amica. Sembrava delusa.
“Eh? Rindou, tutto a posto?”.
Per tuta risposta, lei mostrò loro ciò che teneva in mano: un test di gravidanza.
“Scusate, ragazzi. Ma non ho resistito e l’ho fatto. Vi chiedo scusa, davvero”
“Ti stai scusando troppo, mi pare...”, Kuga aveva sorriso nervosamente. Finse di non capre il perché.
“Mi dispiace… è negativo”.
Quel risultato fu sia per Kuga che per Tsukasa peggio di un’accoltellata. Com’era possibile? Forse qualcosa era andato storto?
“Ma… ma… ma...”, Terunori era senza parole.
“Emh… andiamo, non fatela così tragica. Un test di gravidanza può sempre sbagliare, forse ci vorrebbe una visita più approfondita”, Tsukasa tentò di tirarli su di morale, ma in verità neanche lui sembrava convinto. Rindou aveva l’espressione di una persona estremamente depressa. Per forza era così, ci teneva davvero a rendere felici i suoi migliori amici.
“Vado a dormire, adesso...”, sussurrò. Vederla così era strano.
Kuga aveva fatto una smorfia,
“E adesso?”
“No. Non saltiamo a conclusioni affrettate. Se non facciamo una visita approfondita non possiamo esserne certi”
“Non sono sicuro di volerlo sapere a questo punto”
“Cosa? E rimanere nell’indecisione per sempre? Ma vuoi farmi morire d’ansia?”
“E va bene, d’accordo”, sbuffò. “Ma se il risultato sarà davvero negativo… beh, preparati ad asciugare le mie lacrime per i prossimi anni”.
E anche Kuga si era lasciato andare alla depressione. Per Eishi sarebbe stato così facile seguire il suo esempio, ma almeno uno di loro doveva pur tenere la rotta.
Chissà come sarebbe andata a finire...



NDA
Come finirà? Rindou è davvero incinta o no? Megumi e Shinomiya risolveranno i loro problemi? Intanto Ryou sembra starsi addolcendo, mentre Takumi e Soma affrontano le sfide di tutti i giorni. Tra l'altro, la particolarità degli occhi cerulei che cambiano con il tempo/il pianto... era mia. Già, mia, peccato che crescendo se ne sia andata :D
Alla prossima.
   
 
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