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Autore: Miguel    28/04/2005    1 recensioni
Questa storia si svolge durante gli eventi della mia altra fanfiction tuttora in svolgimento intitolata "Harry Potter e la pergamena di Grise." Avevo intenzione di iniziarla dopo che avessi finito l'altra per evitare accavallamenti e ritardi ma non ho resistito.
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è facile conquistare qualche attimo di intimità nel grande castello che ospita la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Non c'è studente che non ve lo confermerebbe. Ci sono Gazza e la sua gatta impicciona, Pix con i suoi scherzi chiassosi, i fantasmi che vagano ovunque, i quadri ciarlieri, i professori sempre impegnati in un discreto ma costante pattugliamento di ogni possibile alcova e l'elenco potrebbe continuare. Perfino la Stanza delle Necessità si rifiuta di aiutare a soddisfare il bisogno di trovare un posto tranquillo se lo scopo è quello che avrete senza dubbio intuito. Desiderate un luogo dove poter sperimentare i peggiori e pericolosi incantesimi delle Arti Oscure? Eccola che appare. Volete poter passare un po' di tempo con la persona che vi piace senza essere interrotti? Niente da fare. Questa è Hogwarts, queste sono le sue regole. Hogwarts è un luogo stupendo, certamente, ma per studenti con il corpo e la mente in subbuglio in alcune occasioni può sembrare una prigione senza via di fuga. I giovani però non sono soliti arrendersi di fronte a inezie quali i divieti. Anzi, questi diventano la miccia che ne fa esplodere l'ingegno. D'altronde qual è il fascino maggiore delle regole se non la costante che esse possono essere infrante? Si deve alle difficoltà contingenti e ai bisogni impellenti che da queste vengono frustrati, oltre alla suddetta reticenza all'ubbidire, se da qualche tempo l'abitazione di un certo mezzo gigante che noi conosciamo bene è diventata meta di clandestine visite notturne. La costruzione in legno e pietra al limitare della foresta è disabitata da mesi. Il suo occupante è impegnato in un misterioso viaggio con il penultimo Preside della grande Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Albus Silente. Nessuno sa quando tornerà ma si sa per certo che non accadrà a breve. Non è un segreto. Quindi, poiché si sa che di necessità si fa virtù, non è passato molto tempo dalla partenza prima che qualche studente abbastanza scaltro si rendesse conto di come la situazione potesse avere dei lati estremamente positivi. E dunque, nel buio della disadorna capanna, molte coppie rese coraggiose dalla passione hanno trovato la tanto desiderata intimità. Sospiri, frasi sussurrate, fragorosi silenzi hanno sostituito il possente russare del legittimo inquilino. Questa notte rischiarata dalla luna non fa eccezione. Sul grande letto del guardiacaccia sono seduti un ragazzo ed una ragazza, vicini, abbracciati. La scena è però meno idilliaca di quanto ci aspetteremmo e le voci che ci giungono non hanno il tono amorevole che dovrebbero avere, ne amorevoli sono le frasi che udiamo. Questa sera non c'è traccia di amore tra queste mura.

"Aspetta un momento, per favore." La ragazza si divincola cercando di allontanarsi.
"Aspettare? Aspettare cosa?" Il ragazzo annulla nuovamente la distanza tra i due. Nuovamente le sue mani tornano ai bottoni della camicetta già in parte aperta.
"No, per favore. Non voglio." Le mani della ragazza si posano su quelle del ragazzo cercando di ostacolarlo. Sono così piccole quelle mani al confronto di quelle del giovane. Così minute, incapaci di fermarlo. Difatti falliscono. Il ragazzo le scosta bruscamente e continua ad armeggiare con i bottoni, ormai il più e fatto. I lembi della camicetta pendono inerti rivelando la pelle chiara al di sotto.
"Sei venuta qui, cosa diamine pensavi che avremmo fatto, parlato? Quello possiamo farlo a scuola." Intanto, tra una parola e l'altra, il ragazzo non smette di armeggiare con gli abiti della ragazza.
"Mi hai detto che volevi vedermi qui perché era più tranquillo e io ho pensato..." la voce si perde in un nota di panico. Le braccia si stringono a difesa del seno, proteggendo i due piccoli, preziosi, bottoni che ancora le dita rudi e avide del ragazzo non hanno raggiunto.
“Dai, lasciati andare, vedrai che ti piacerà.” Le dice, avvicinando il volto a quello di lei nel tentativo di baciarla.
La ragazza volta il capo e le labbra di lui incontrano la cortina nera dei capelli. “Non voglio!”
“Che accidenti vuol dire che non vuoi?” L'espressione del ragazzo diventa dura.
“Ma perché fai così?” chiede la ragazza. “Mi hai detto che ti piacevo.”
Il ragazzo ride e la osserva divertito. “Certo che mi piaci. Per questo ti ho portata qui."
“Mi hai portata qui per fare... quello. Solo per questo.” sussurra la ragazza. La voce ha il tono sorpreso di chi si è appena reso conto di ciò che sta accadendo.
“Non fare l'ingenua, non ci casco. Non ti ho mica chiesto di incontrarci in biblioteca. Se ho scelto la capanna di quello stupido di Hagrid poteva essere per un solo motivo. Non mi dire che non avevi capito. Credevi che saremmo rimasti qui a tenerci per mano e a mormorarci paroline dolci sino all'alba? Ho già perso troppo tempo a fare il premuroso!" Allunga le mani e le afferra i polsi. La ragazza si placa e lo osserva con triste dignità.
“Perso tempo? E' questo che sono state queste ultime due settimane per te? Solo una perdita di tempo?” domanda. C'è dolore nella voce della ragazza, dolore e sorpresa.
Il ragazzo si irrigidisce, rendendosi conto di essere stato colto in fallo. La maschera è caduta ed è stato proprio lui a gettarla. Tenta di sorridere, prova a dire qualcosa per recuperare la situazione, infine però si rende conto che il danno è irreparabile. L'inganno è stato scoperto e tutte le sue belle parole non serviranno a rimediare. Questo però invece che scoraggiarlo lo rende più furioso, ancora più deciso ad ottenere ciò che vuole. Nemmeno per un attimo si domanda cosa stia provando la ragazzina esile rannicchiata sul grande letto. Semplicemente ciò non lo riguarda. Le afferra di nuovo i polsi e la costringe ad aprire le braccia. Si rivela più facile del previsto, la ragazza non gli resiste. Sembra essere diventata una bambola di carne. Gli occhi sono spenti, non lasciano trapelare alcuna emozione. Il volto è inespressivo. Quando anche gli ultimi due bottoni cedono lei non reagisce. Resta immobile, la camicetta aperta, il bianco del reggiseno che risalta nella penombra. Sul volto del ragazzo spunta un sorriso soddisfatto, trionfante.

Fuori dalla capanna, accucciato sotto una delle finestre da cui ha assistito a ciò che sta accadendo, Robert Wick, tredici anni, Serpeverde, stringe la bacchetta sino a che le nocche perdono colore e questa geme sul punto di spezzarsi. La bocca è serrata in una pallida linea. Gli occhi sono rivolti alla finestra. Non sa cosa fare. O per meglio dire, sa cosa vorrebbe fare ma non come farlo. Non è un vigliacco, Robert, ma nemmeno è uno sciocco impulsivo; d'altronde se è stato smistato nella casa del serpente e non in quella del grifone ci sono motivi ben precisi. Il Cappello Parlante, nonostante gli anni, continua a fare egregiamente il proprio dovere. Robert conosce le proprie capacità, i propri pregi e i propri limiti. Il ragazzo dentro la capanna ha tre anni più di lui, conosce più incantesimi di lui ed è notevolmente più grosso di lui. Robert è sicuro di non avere alcuna speranza di prevalere. Resta quindi immobile, col cuore colmo di rabbia per la consapevolezza di ciò che sta per accadere dentro l'abitazione e imprecando contro se stesso per la sua decisione di assecondare ancora una volta lo stupido altruismo di Violet Flame, sua coetanea, Grifondoro, sua amica da sempre.
“Seguili, Robert, tienili d'occhio mentre io vado a cercare aiuto”. Aveva detto Violet poco prima di correre via lungo lungo il corridoio per poi svoltare l'angolo e sparire, lasciando Robert con la visione dei suoi capelli rossi, raccolti come al solito in una coda, che ondeggiavano e la solita, conosciuta, odiata sensazione di essere stato per l'ennesima volta incastrato da lei in una delle sue snervanti crociate. Perché ci cascava ogni volta? L'altruismo non era mai stato una delle sue doti maggiori, tutt'altro. Eppure, ogni volta che Violet decideva di ficcare il naso negli affari altrui lui finiva invariabilmente coinvolto. La ragazza riusciva sempre a vincere ogni sua remora e lui finiva per trovarsi sempre in situazioni detestabili, rischiose. Proprio come in quel momento. Se la sua inopportuna amica non l'avesse portata alla sua attenzione, Robert non avrebbe mai notato quella banale ragazzina Tassorosso. Se Violet non si fosse eletta ad angelo custode e protettrice di lei, Robert non sarebbe mai giunto ad apprezzarne la dolcezza, il sorriso timido, l'inguaribile indole romantica. Se Violet non si fosse intromessa, Robert non avrebbe mai stretto amicizia con Sara Mulligan e ora sarebbe nel proprio letto a dormire e non sotto la finestra della capanna di Hagrid a digrignare i denti trattenendo a stento la rabbia. Dalla finestra, silenziosamente socchiusa in precedenza, giunge un gemito di protesta immediatamente zittito da una risata di scherno. Robert Wick non può sopportare oltre, balza in piedi e si dirige con passo deciso verso la porta della capanna conscio dell'inutilità del suo gesto ma incapace di trattenersi.

Sara osserva apatica le mani del ragazzo che accarezzano con calma soddisfatta le sue spalle, giocano con le spalline del reggiseno e infine le abbassano. Non sente nulla, nessuna emozione. Ogni sensazione si è spenta nel momento esatto in cui ha realizzato l'inganno ai suoi danni. Nulla di ciò che accade sembra avere importanza per lei ora. Poi il ragazzo afferra con una mano il reggiseno, lo abbassa bruscamente senza slacciarlo facendole male e Sara si lascia sfuggire un involontario gemito.
Il ragazzo reagisce ridendo, quindi si allontana un po' per osservarla meglio. “Ma guarda che roba. Ne hai ancora meno di quanto pensassi. Quasi non vali la fatica.” quindi riavvicina il volto a quello di lei. “Ma ormai che ci siamo, sarebbe un peccato non andare fino in fondo non credi?” Di nuovo sul suo volto si affaccia quel sorriso da predatore.
Poi accade qualcosa. All'improvviso la porta si spalanca e Sara, pur nella apatia in cui è precipitata, vede che c'è qualcuno che si staglia sulla soglia. Non lo riconosce ma gli sembra poco più che un bambino. Il ragazzo accanto a lei si volta sorpreso verso l'intruso ancora sorridendo, poi una voce squillante declama un incantesimo e uno dei grossi boccali disposti su una mensola scatta colpendolo in volto e cancellandone l'espressione divertita. Ancora una volta la voce urla una sola parola e un altro oggetto si stacca dalle pareti andando infallibilmente a segno. Il ragazzo che sino a pochi istanti prima era totalmente padrone della situazione adesso urla di rabbia, sorpresa e dolore. Purtroppo per Sara e per il suo salvatore, il ragazzo non è un vigliacco e non è uno sprovveduto. Quando il suo attaccante declama per la terza volta lo stesso incantesimo, balza di lato portandosi al riparo del grosso tavolo ed urla “Accio bacchetta!”, recuperandola dal mantello che ha gettato in terra in un mucchio informe, quindi scatta verso l'aggressore.

Per qualche attimo Robert pensa che dopotutto non andrà così male. Il suo attacco è stato sufficientemente rapido da prendere di sorpresa l'avversario. E' perfino riuscito a farlo allontanare da Sara, cosicché non rischia di colpirla per sbaglio. Lasciare che questi pensieri penetrino nella sua mente è però un errore. Suo padre glielo ha ripetuto decine di volte, l'eccessiva sicurezza è il primo nemico in battaglia. E' l'errore fatale. Robert compie quell'errore. Quando punta la bacchetta verso il luogo in cui si è rifugiato il ragazzo non pensa nemmeno per un attimo che questi possa fare altro che rimanere là seduto cercando di evitare i suoi attacchi. Nemmeno per un attimo pensa che sarà altrimenti. E così, quando il suo avversario si alza in piedi e carica furibondo verso di lui, Robert si fa cogliere impreparato. Urla l'incantesimo e un altro oggetto viene lanciato ma la sua traiettoria è casuale e si schianta contro la parete opposta senza fare danno. In risposta, accanto a Robert l'aria si riscalda ed una piccola palla di fuoco appare, si contrae un paio di volte come un piccolo sole pulsante, quindi esplode. Il giovane Serpeverde viene scaraventato fuori dall'abitazione, sul prato, dove resta sdraiato supino, stordito e con un rivolo di sangue che cola dalla tempia. Il ragazzo si staglia su di lui puntandogli contro la bacchetta. Non c'è traccia del sorriso beffardo che aveva sino a poco prima.
“Chi cavolo sei?” ringhia. Quindi assesta un calcio al fianco di Robert che emette un lamento sfiatato e si rotola su un lato raccogliendo le gambe contro il petto.

Sara si è trascinata sino alla porta e osserva la scena. Le gambe sono rigide e faticano ad obbedirle. Ha riconosciuto chi è stato a tentare di salvarla. E' Robert. L'irascibile, testardo, caustico Robert. Sara vorrebbe aiutarlo, vuole bene a Robert, lui e Violet sono diventati i due suoi soli, veri amici. Adesso rammenta come entrambi, ognuno a modo proprio, hanno cercato di metterla in guardia riguardo a quel ragazzo. Ma lei li ha ignorati, ha ignorato i consigli dei suoi due amici. Anzi, è giunta ad accusarli di essere gelosi, di non volere che lei fosse felice, che avesse altri amici oltre loro. Ricorda come in risposta a quelle parole, mentre Violet cercava ancora di farla ragionare, Robert si fosse infuriato come era tipico del suo carattere e le avesse urlato che se era così che voleva, benissimo, così fosse e che ne pagasse le conseguenze. Ma Sara non poteva ascoltarli. Le belle parole, i gesti gentili del ragazzo l'avevano completamente conquistata. Era così bello aspettare la fine delle lezioni con il cuore che batteva forte e la mente in subbuglio all'idea di incontrarlo, passeggiare con lui che scherzava, la riempiva di complimenti e le diceva quanto la trovasse simpatica e carina e divertente. Nessun ragazzo l'aveva mai trattata così. Era stata felice in quelle due settimane. E ora, il ragazzo che l'aveva incantata aveva cercato di farle del male mentre Robert che aveva inveito contro di lei aveva cercato di salvarla. Sara cerca di ordinare al proprio corpo di muoversi ma questi la ignora e lei può solo rimanere ferma, appoggiata allo stipite della porta per non cadere, ad osservare il ragazzo più grande torreggiare bacchetta alla mano su quello più piccolo steso in terra. Non riesce a muoversi, non riesce ad urlare, non riesce a piangere.

Robert si da dello stupido nuovamente, come sta facendo in una continua nenia da quando l'Oblivion ha creato l'esplosione che lo ha fatto finire gambe all'aria completamente alla mercé dell'avversario. E' furibondo. Arrabbiato con Violet per averlo cacciato in quella situazione, con Sara per non aver ascoltato per giorni i suoi consigli, con se stesso per aver nuovamente ignorato il suo primo istinto a tenersi fuori dai guai e permesso a sentimenti che ritiene sintomo di debolezza di aver trovato posto nel suo cuore. Poi il ragazzo lo colpisce nuovamente con un calcio e tutta la rabbia di Robert trova un nuovo, unico bersaglio. La bacchetta è ancora stretta nel pugno e l'incantesimo si accende nella sua mente in lettere di fuoco. “Conjuctivitus!”. La luce guizza dalla bacchetta e colpisce il suo avversario. Robert ha imparato quell'incantesimo dopo averlo trovato citato nelle cronache della Coppa dei Maghi tenutasi anni prima proprio ad Hogwarts. Non lo padroneggia ancora appieno ed infatti il ragazzo più grande non rimane temporaneamente accecato come avrebbe dovuto. Urla dal dolore e quando rivolge lo sguardo furibondo verso Robert gli occhi sono gonfi e iniettati di sangue ma comunque ci vede ancora e ora è davvero, davvero furioso. Punta la bacchetta verso Robert che tenta di rialzarsi per un'ultima difesa ma è tutto inutile. Un piede del ragazzo gli inchioda a terra la mano in cui regge la bacchetta schiacciandogliela. Robert urla dal dolore e il suo aggressore risponde scoprendo i denti in un ghigno soddisfatto. “Stupe...”

“Expelliarmus!” Il tono è imperioso. Un ordine più che un incantesimo. Le bacchette dei due ragazzi volano lontano. Sara ne segue il lento arco sino a che spariscono nell'erba. Si odono dei passi che fanno gemere la ghiaia intorno alla capanna, alcuni brevi e frenetici, altri lenti come di chi avanza senza alcuna premura.
Violet si precipita di corsa verso Robert passando vicino al ragazzo che lo ha colpito come se questi non esistesse. Si inginocchia e prende la mano dell'amico.
Senza preavviso alcuno accanto a Sara si staglia Severus Piton. Gli occhi neri e gelidi dell'uomo si posano su di lei per qualche attimo per poi volgersi verso gli altri. L'apatia della ragazza viene spazzata via nel momento in cui diventa consapevole dello spettacolo che sta offrendo, della camicetta ancora aperta e del reggiseno strappato. Il volto del Preside non ha lasciato trapelare alcuna emozione. Per Sara però quegli occhi esprimono tutta la disapprovazione e il biasimo del mondo. Come può essere altrimenti? E' quello che lei ora prova per se stessa in questo stesso istante, e dunque come può il terribile e severo Piton provare qualcosa di meno? Quindi, per la vergogna, fugge. Non le passa per la mente altro pensiero. Fuggire, fuggire senza pensare a dove andare. Solo fuggire lontano da quegli occhi in cui lei adesso è convinta di avere letto una dura, spietata condanna. E così Sara corre via.

Severus Piton osserva per qualche attimo la sua studentessa, quindi riporta la propria attenzione sul terzetto di fronte a se. “Come sta il signor Wick, signorina Flame?” chiede.
Quando Violet parla la voce è colma di sollievo. “Sta bene. Ha solo un piccolo taglio alla testa. Lo porto subito in infermeria.” dice, mentre aiuta Robert a mettersi in piedi. Piton nota che il giovane barcolla leggermente mentre si allontana ma giudica che effettivamente non sia nulla di grave. La sua attenzione allora si sposta sull'ultimo studente rimasto. La mente di Piton scorre il suo schedario mentale raccogliendo notizie sul ragazzo che, pallidissimo, sta in piedi di di fronte a lui. Adesso il giovane ha un nome: Andrew Liefield, sedici anni, Grifondoro. Piton osserva, non senza soddisfazione, che il ragazzo trema anche se fa di tutto per controllarsi. Il volto esangue è quello di un animale in trappola. In effetti, si dice Severus, è proprio così. Un piccolo, viscido predatore, capace solo di attaccare senza pietà prede più piccole di lui ma che si riduce ad un cucciolo spaurito e tremante di fronte ad una belva più grande. Piton sorride, per meglio dire la sua bocca scopre un certo numero di denti in quello che dovrebbe essere un sorriso ma che per Andrew è uno ghigno terrificante. Un cucciolo, ripete tra se l'attuale Preside di Hogwarts, io odio i cuccioli. Se solo Silente non lo avesse convinto ad accettare l'incarico di Preside. Lui voleva solo la cattedra di Difesa dalle Arti Oscure, il suo sogno, il suo desiderio da sempre frustrato. Dopo la dipartita di Voldemort, in virtù del fatto che egli aveva avuto un ruolo non di poco conto in essa riconosciutogli da tutti, aveva pensato che finalmente avrebbe ottenuto ciò che voleva. Il giorno in cui era stato convocato da Albus Silente nel suo ufficio si era detto che finalmente era giunto il momento. Quando poi l'anziano mago gli aveva comunicato sorridendo che doveva dargli una stupenda notizia, Piton aveva suo malgrado sorriso a propria volta, evento davvero raro. Quel sorriso si era però gelato sul suo volto quando aveva udito le parole di Silente. Ed ora eccolo qui, Severus Piton Preside di Hogwarts, costretto suo malgrado a doversi preoccupare non solo della condotta scolastica dei suoi allievi ma anche di disgustosi episodi come quello che si era verificato quella sera. Gli occhi di Piton si riducono a due fessure mentre osserva Andrew Liefield.
“Accio bacchette!” escalama. Le bacchette magiche di Andrew e Robert planano docili sulla sua mano aperta e spariscono in una delle tante tasche del mantello.
“Signor Liefield, cosa è successo qui stasera?” Il tono è leggero, quasi amichevole.
Lo studente si passa una mano tra i capelli scompigliandoli. Tace.
“Si stava divertendo signor Liefield? E' il suo modo di combattere la noia?” Piton incrocia le braccia e resta qualche attimo immobile a fissare lo studente.
Il silenzio è intollerabile per il ragazzo, così dice la prima cosa che gli viene in mente pur di infrangerlo. “Devo preparare i bagagli?”
Le sopracciglia di Piton disegnano archi di simulato stupore. “Preparare i bagagli? E perché mai?”
Andrew è confuso, impaurito, sconcertato. Legge nelle parole del Preside un appiglio, una speranza, anche se non ne comprende il perché. Tenta di sorridere, nuovamente porta la mano ai capelli, senza immaginare quanto quel gesto sia odioso per l'uomo di fronte a lui, e risponde. “Non ho fatto nulla di male. E' stata lei a voler venire qui.”
Piton annuisce. “Capisco.” si avvicina al suo studente, infila una mano nel mantello e ne estrae la bacchetta di Liefield, porgendogliela. Il ragazzo esita un attimo e poi la prende.
“Capisco.” ripete. “Sono sicuro che si sia trattato solo di uno stupido fraintendimento. Poco più che un gioco dettato dalla noia.” Nuovamente incrocia le braccia e attende.
Gli occhi di Liefield si spalancano per un attimo, un sorriso incerto appare sulla sua bocca. “Si, si certo. Solo un gioco. Solo per noia.” si affretta ad assentire.
Piton sente una gelida, perfida gioia crescere, appoggia una mano sulla spalla robusta del suo studente. “Ma certo, signor Liefield. E' proprio così. Ma non si preoccupi. Io farò in modo che lei non abbia mai più a provare noia sino a che rimarrà ad Hogwarts.” Di nuovo il sorriso aguzzo si manifesta. Andrew Liefield, sedici anni, Grifondoro, capitano della squadra di quidditch, se possibile impallidisce ancora di più. Cadaverico, osserva le labbra del Preside che sussurrano. “Mi assicurerò che quest'anno e il prossimo siano per lei indimenticabili. E' una promessa.” Detto ciò si volta e si incammina verso il castello.

Severus Piton sta camminando lungo il sentiero quando ode il rumore di zoccoli. Si ferma e attende. Poco dopo dall'oscurità emerge l'imponente figura di un centauro.
“Buonasera Fiorenzo.” La forma del saluto è cordiale, il tono è gelido.
“Buonasera Preside Piton.” La voce del centauro è profonda, calda. “Credo che tu stia andando nella direzione sbagliata.”
“Credo di essere ancora in grado di sapere da che parte è la scuola, Fiorenzo.”
Il centauro sorride. “Non ne dubito Severus, ma non credo che sia verso la scuola che tu ti debba dirigere. Una tua studentessa si è inoltrata nella Foresta Proibita. Fossi in te la porterei fuori da li prima possibile.”
“Sara Mulligan.” Sussurra Piton. Chiude gli occhi per un attimo cercando di riprendere il controllo di se. Quella sciocca ragazzina! Come le è venuto in mente di fare una cosa tanto stupida? Si rivolge al centauro. “Sei un insegnante di questa scuola Fiorenzo, dimmi, per quale motivo non le hai impedito di entrare nella foresta?” La rabbia ribolle in quelle parole. Rabbia controllata, terribile ma controllata. Piton non aspetta una risposta, si volta e si incammina con passo rapido verso il buio muro di alberi che si staglia alla sua destra e una volta che lo ha raggiunto vi si inoltra svanendo ben presto alla vista.
Fiorenzo resta a lungo ad osservare, pare quasi che egli riesca ancora a vedere la figura del Preside e a seguirne gli spostamenti e forse è davvero così. Alfine sorride.

  
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