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Autore: The_RoadSoFar    29/08/2018    0 recensioni
6 Aprile 1953, New York City. Ore 4:01. In un'ospedale della caotica città che non dorme mai, un evento del tutto fuori dall'ordinario cambia letteralmente il mondo allora conosciuto. Da quel giorno, un nuovo tipo di umani entra nella storia: i Niju, uomini dotati di due anime, una umana e una non, dotati di capacità fuori da ogni comprensione..
13 Settembre 2018, Tokyo. Ore 8:01. Nell'Istituto Niju di Tokyo la 17a generazione di Niju comincia le lezioni per diventare Niju idonei alla società. La sezione 1-B, formata da 19 studenti provenienti da ogni angolo del mondo, affronterà sin dal primo giorno una sfida: la professoressa giapponese ventiseienne appena messa in ruolo, Amaya Nukuchi, con un carattere particolare e una katana che porta sempre con sé...
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Senza un guerriero
una spada è inutile;
Senza un cuore
un'anima è vuota.

 

 

 

 

 

Tokyo, 13 Settembre 2018 – 8:01 AM

 


Un sole cocente si abbatteva sulla testa delle 9 milioni di persone che popolavano Tokyo, la capitale del Giappone, uno dei centri economici, culturali e tecnologici più importanti e famosi in tutto il mondo. Nonostante la stagione estiva fosse oramai alla sua fine per lasciar spazio al temperato autunno, i 31 gradi centigradi si manifestavano prepotentemente sull'intera popolazione della città, soprattutto per coloro che freneticamente circolavano nelle strade, a piedi o con veicoli, per svolgere i propri doveri e impegni. Sono circa 6 milioni i lavoratori occupati nella metropoli nipponica, rendendola una delle località con il minor di disoccupati al mondo, cosa che aveva reso e rendeva possibile un notevole progresso economico da parte della nazione orientale, la quale, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, aveva vissuto un momento di profonda crisi e si era ripresa in gran parte grazie all'immensa volontà dei giapponesi di voler ricominciare dalle polveri e dalle macerie di quel conflitto che aveva portato solo morte e sofferenza. Nel giro di pochi decenni, tutto questo si era ribaltato. Ora il Giappone era una delle grandi potenze del mondo, tutto grazie ai propri cittadini, che duramente e responsabilmente affrontavano ogni giorno gli ostacoli e le fatiche che dovevano superare nel corso della giornata lavorativa. Anche gli studenti, benché non tecnicamente lavoratori, ma baluardo di una generazione prossima, si davano da fare per svolgere al meglio il proprio dovere. Almeno, una grande parte di loro..


<< MERDA, LO SAPEVO! FARO' TARDI IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA! >> Urlò una voce da quella folla esorbitante di persone circolanti nel centro di Tokyo. L'origine di tale voce era un ragazzino vestito con una divisa diversa da quelle dei classici studenti giapponesi: pantaloni lunghi verdi, camicia bianca a maniche corte, un distintivo a croce di sant'Andrea cucito nella tasca superiore della camicia, presso il pettorale destro, scarpe marroni allacciate in fretta, tanto che i nodi erano sul punto di sciogliersi. Sulle spalle, mentre di gran foga correva e cercava di districarsi in quel groviglio di persone, reggeva una cartella nera dai bordi bianchi, di rilegatura lucida, di recente acquisto, che sbatteva su e giù, a destra e a sinistra per via dei movimenti del proprietario: occhi color terra, capelli lunghi fino al collo di un viola spento, di corporatura apparentemente robusta, dovuta ad allenamenti, di altezza media con i suoi coetanei, uno sguardo deformato e provato per via della pazza corsa che era in atto a svolgere per dirigersi verso una fermata lì vicina, diversa da quelle classiche degli autobus. Infatti, a differenza di altre, questa fermata era posta sottoterra, nella metropolitana, in un settore a parte costruito appositamente per una tipologia di persone. Sceso di fretta per le scale, appunto, si diresse verso una grande porta di metallo chiusa, sulla cui parete a fianco era posto uno scanner. Frettolosamente, il ragazzo prese quello che sembrava un ID, che mostrava una sua foto, dove mostrava una faccia sorridente ma tesa, e il suo nome: Petar Javorov, nato a Veliko Tarnovo, in Bulgaria, il 22 Giugno 2004. Porta gli occhiali, ma quel giorno aveva deciso di mettersi le lenti a contatto, sicuramente per far una bella figura il primo giorno nella sua nuova vita scolastica. Lui, però, non era come gli altri.
<< . . .ID riconosciuta. Matricola Niju n° 9915. Benvenuto e buon primo giorno! >> Disse una voce computerizzata proveniente dallo scanner. Subito dopo, la porta metallica si aprì e il giovane corse all'interno, mentre sentì il rumore della chiusura della porta alle sue spalle. Percorse un breve corridoio illuminato, poi schiacciò nervosamente il bottone per uno dei tre ascensori presenti in fondo a quel breve corridoio.
<< DAI, VELOCE! >> Pregò a gran voce il ragazzo all'ascensore, le cui porte si aprirono qualche secondo dopo che era stato chiamato. Infilatosi nel vano, premette uno dei tue tasti disponibili, che portava ad un piano addirittura inferiore alla metropolitana. Il piano N. Nell'intervallo di tempo in cui l'ascensore procedeva verso la destinazione, il ragazzo controllò maniacalmente la sua cartella, per capire se avesse con sé tutto quello che gli serviva.
<< Allora... Astuccio c'è.. Occhiali pure.. Telefono.. Auricolari.. Libri.. Quaderni.. L'ID.. Pranzo.. Bene, ho tutto.. Non sono ancora in ritardo! >> Esclamò, dopo aver visto l'orario sul suo orologio. Erano ancora le 8:09. L'ascensore si aprì e lui si precipitò fuori. Tutto sembrava simile ad una comune fermata di una metropolitana, solo che non vi erano binari, ma una strada costruita in metallo, precisamente una lega composta da rame e ferro. Vi erano panchine, tre distributori automatici di bevande, cibo e utensili come fazzoletti e posate di plastica. Si fermò poco distante dalla linea che delimitava la distanza da prendere rispetto alla strada di ferro ed aspettò nervosamente battendo velocemente il piede e guardando una schermata che mostrava:

 

FERMATA ISTITUTO NIJU – ULTIMA CORSA – 8:10 AM.

 

Guardò nuovamente l'orologio. 8:10. Nessun segnale della corsa in arrivo. Il ragazzo, però, non si fece prendere dal panico.
<< ...DOVE DIAVOLO E' LA CORSA?! >>
Presto detto. Con una folata di vento improvvisa che scombinò la sua pettinatura e gli fece sbarrare gli occhi, la corsa arrivò: era un treno IGV a trazione magnetica di ultima generazione, la G-4, in funzione dal 5 Settembre 2017, capace di passare da 0 a 120 km/h in soli 3 secondi e dotato di una potentissima intelligenza artificiale in grado di autogestire l'intero treno senza bisogno di assistenza umana. Dopo essersi immediatamente ripreso, Petar salì sul treno e notò che il vagone su cui era non accoglieva nessuno. Prevedibile, del resto, dato che l'orario di inizio delle lezioni era le 8:15 AM e il treno percorreva la distanza necessaria per arrivare all'istituto in un solo minuto. Si sedette su uno dei sedili ed aspettò che quel minuto passasse per poter respirare e pensare a come era arrivato lì. Di certo doveva tutto alla sua famiglia, il cui padre Dimitri, un Niju inserito nell'esercito, e la cui madre Erina, maestra umana, avevano dato il massimo per educare e aiutare il proprio figlio a dare il meglio di sé. Nonostante ciò, un enorme aiuto l'aveva avuto dal fratello di suo padre, il Niju Ivan Javorov, uno dei più celebri per via della sua posizione: Niju combattente. Difatti, con una disposizione ONU del 6 Maggio 1991, i Niju avevano avuto il permesso di fondare un'organizzazione formata da soli Niju che avevano il compito di affrontare i loro simili divenuti criminali. Lo zio era uno di loro, ed uno dei più forti e celebri dell'organizzazione, denominata F.U.N, Federazione Unita dei Niju. Non era sempre presente in famiglia per via del lavoro, ma durante le festività Petar passava molto tempo con lo zio, il quale gli raccontava tutte le sue imprese, nonostante fosse solo un bambino. Gli voleva bene e lo stimava tantissimo per quello che faceva. Tuttavia, un giorno...


<< Fermata Istituto Niju. >>
Riaprì gli occhi Aveva pensato così tanto al passato che per un attimo si era appisolato. Si riprese velocemente, non poteva perdere tempo a ripensare il passato. Prese la cartella e corse fuori dal vagone, usando nuovamente l'ascensore per risalire, verso la sua meta: l'Istituto Giapponese per l'Educazione e Formazione Niju '' Hiroto Otsukami ''. Una delle strutture di istruzione per Niju più grandi al mondo, con gli edifici in modo circolare rispetto all'edificio scolastico, costruito su un modello dell'architetto italiano Lorenzo Ciani: era dotato di due piani e di due ali a formare un H, alto 20 metri, largo il triplo, può ospitare al suo interno tutti i 1.124 studenti e l'intero corpo docente, formato da circa 250 persone, tutti qualificati, non escludendo il restante personale, tra inservienti, guardie, cuochi, giardinieri e altre professioni. Difatti, a parte la scuola, edificio principale, intorno erano stati disposti, oltre i dormitori degli studenti e dei docenti, anche diversi negozi e servizi utili agli studenti, inclusi parrucchieri e fiorai, in modo tale che agli studenti che restassero nell'istituto per tutto il periodo scolastico non avessero nulla di meno rispetto a quanto avevano in superficie. Era persino dotato di un piccolo parco e tutti gli ascensori che erano collegati alla complessa rete di corse dei treni IGV trasportavano gli studenti direttamente all'interno dell'Istituto, separato dal resto del mondo esterno da una muraglia. L'intero istituto era posto a 6,7 chilometri distanti da Tokyo ed era circondato principalmente da un ambiente naturale necessario per le lezioni agli studenti Niju. Oggigiorno, l'Istituto conta, a causa dell'elevato numero di iscritti, dieci sezioni, dalla A alla J, ognuna con lo stesso numero di lezioni e le stesse materie per i primi due anni, di cui altre aggiunte nel secondo biennio, e Petar, appena giunto lì, doveva trovare la sua classe, la 1-B. Erano le 8:11. Aveva quattro minuti per trovare l'aula ed evitare di essere in ritardo il primo giorno della sua nuova vita scolastica. Aveva faticato, e non poco, tra studio ed allenamenti, per prepararsi ed affrontare il test di selezione che l'Istituto nipponico riservava agli studenti stranieri, poiché delle dieci sezioni disponibili, solo due erano riservate a tali studenti, la sezione A e la sezione B. 2 classi da 19 studenti. Ora però non era il momento di pensare a ciò. Doveva sbrigarsi. Notò che in giro gli studenti erano di etnia giapponese, pertanto si rese conto che molto probabilmente gli studenti delle due sezioni erano venuti prima appositamente per non figurare male, al contrario suo, anche se non voluto. Si era dimenticato, tra i mille preparativi e l'ansia, di attivare la sveglia al suo cellulare, e pertanto era stato svegliato solo a causa dei lavori in corso vicino alla sua abitazione in affitto a Tokyo. Aveva sudato sette camicie per tentare di essere in orario, non poteva mollare adesso, non ora che il traguardo era così vicino! Corse più forte che poteva, sotto gli sguardi sorpresi degli studenti giapponesi, che rimanevano leggermente sorpresi non solo per lo studente di nazionalità diversa, ma anche per il suo modo di correre così veloce, non molto decoroso. Raggiunse l'ingresso della scuola, dove lasciò le scarpe per mettersi quelle idonee alla scuola, facendo il più velocemente possibile. Sbrigata questa pratica, vide l'orologio: 8:14 AM. Un solo minuto. Notò un cartello con scritte tutte le indicazioni necessarie per raggiungere la propria classe. La 1-B si trovava al primo piano, primo corridoio a sinistra, seconda aula. Poteva farcela, se usava le ultime energie rimaste per un ultimo scatto. Corse verso le scale, salendo a due a due, per poi sterzare a sinistra, rischiando di scivolare, e si diresse a tutta velocità, con il sudore sulla fronte, verso la seconda aula. 1-B! Era lì! A pochi passi! Nessun passo sbagliato, non ora che la sua destinazione era davanti ai suoi occhi. Frenò bruscamente per trovarsi di fronte alla porta, respirando a fatica e tenendosi sulle ginocchia.
<< Sì.. Finalmente.. Ce l'ho f- >>
Campanello. 8:15 AM. Lezioni iniziate. La porta dell'aula, interamente computerizzata, si chiuse in automatico per gli studenti. Solo l'ID di un insegnante poteva aprirla. Sul viso di Petar vi era enorme rassegnazione e disperazione. Finse di non aver sentito la campanella. Tentò di aprire la porta, ma nulla. Era fuori dall'aula, il suo primo giorno di scuola. Tremò, si trattenne, non sapeva se urlare furibondo contro sé stesso o piangere disperatamente per via della situazione tragica che gli si poneva davanti ai suoi occhi. Ritirò le labbra all'interno della bocca e inclinò le spalle, lasciando scivolare leggermente la cartella. Peggiore cosa che gli potesse capitare quel giorno. Cosa avrebbe detto ai suoi genitori? Soprattutto a suo padre, che avrebbe iniziato a martellarlo di rimproveri. Cosa più importante: cosa avrebbero pensato i suoi compagni che ancora non conosceva?! Sicuramente che era un poco di buono, uno che andava contro le regole, un furfante, un delinquente. Questo passò per la sua mente, poi un urlo interiore. Si lasciò scivolare con le gambe e mise le mani a terra, piagnucolando, sconfitto, afflitto, poiché non era riuscito nella sua impresa. Arrivare in orario il primo giorno di scuola. Una catastrofe inimmaginabile per uno studente novello delle superiori.
<< ...Ei. Che ci fai lì a terra? Guarda che ti sporchi i vestiti di polvere. >>
Una voce alle spalle riattivò per un istante le sue normali funzioni cognitive, tutte interessate alla depressione e alla disperazione di quel momento. Alzò di poco la testa, ancora con alcune lacrime agli occhi e le labbra retratte, tremante. Vide una figura dai capelli rossi, corti, con un ciuffo che arrivava sopra l'occhio destro, vestita con pantaloni neri, in cui aveva infilato nelle tasche le mani, insieme ad una giacca a collo stretto, camicia bianca e uno sguardo impenetrabile, quasi gelido, che incuteva quasi timore. Solo qualche secondo dopo al suo cervello arrivarono i dati necessari per capire che quella figura era una donna, a prima vista molto giovane, per via della voce.
<< ...Fammi indovinare. Sei rimasto chiuso fuori l'aula, giusto? >> Esclamò la donna, capendo facilmente cosa fosse successo visto dove si trovavano. Furono necessari alcuni secondi per Petar affinché potesse tornare alla normalità, del resto c'era da biasimarlo, non era per nulla piacevole presentarsi in tal modo il primo giorno di scuola, soprattutto in quella scuola.
<< ...Sì.. E' così.. Sono finito.. Il primo giorno di scuola... Rovinato... >> Disse disperato Petar, rialzatosi, ma completamente avvilito e ancora con la testa in basso.
<< ..Ragazzino, com'è che ti chiami? >> Chiese la donna, non molto interessata.
<< ..Petar... Petar Javorov... >> Rispose dopo qualche istante, con tono pesante, circondato da un'aura completamente nera e con la testa un po più in su, per rispondere il più cortesemente possibile.
<< …Vediamo.. >> Disse la donna mentre prendeva qualcosa dalla sua cartella, di cui il ragazzo non aveva fatto caso. E non solo a quello. Ora che aveva guardato meglio, sulla spalla sinistra, dove non vi era la cartella, c'era qualcos'altro. Il cervello di Petar, ancor leggermente sotto shock, faticò per riconoscere cosa fosse, ma appena lo capì, il suo sguardo passò dall'essere disperato all'essere leggermente spaventato. Legata ad un cinturino nero, infatti, alla spalla destra, vi era una katana. L'elsa era inconfondibile, dopotutto le armi erano uno dei suoi campi, dato che suo padre gli aveva praticamente imposto di studiare ogni arma possibile su questo pianeta. Era una katana. Perché aveva una katana, in una scuola, poi? I pensieri scorrevano veloci nella mente di Petar, mentre un brivido e un po' di sudore freddo si impossessavano della sua mente e della sua pelle. I suoi occhi si dilatarono molto di più, sorpresi, e rimase fermo immobile sia per paura sia per lo shock da pochissimo accaduto.
<< ...Vediamo, vediamo... >> Continuò la donna, la quale aveva tra le mani un foglio, evidente piegato più volte e rovinato. Lesse con calma il contenuto nella mente, mentre Petar non riusciva a muovere un muscolo << ...Trovato. Javorov. Sì, sei con me, sei fortunato ragazz- …Ei, non dirmi che ti sei imbambolato un altra volta? Pronto?! >> Disse, per poi schioccare le dita di fronte al viso del ragazzo dai capelli violacei, il quale ritornò in sé, benché leggermente sorpreso e timoroso ora della donna armata.
<< ..S-S-Sì...? >> Balbettò, oramai completamente con la testa in subbuglio. Prima il ritardo, ora questo. Un segno? Doveva morire lì per il peccato che aveva commesso? Era entrato in contatto con una criminale psicopatica che si era intrufolata nell'Istituto? Non ragionò molto sul come e perché fosse arrivata, non poteva. Restò fermo, con il cuore a mille, mentre la donna sbuffò.
<< Oh, ci sei allora. Dicevo, è il tuo giorno fortunato, moccioso. >> Continuò la donna, avvicinandosi alla porta dell'aula. Petar la seguì con lo sguardo, in preda al panico. Ora che voleva fare? Entrare nella classe per fare una strage con quell'arma? Imprecò mentalmente, stringendo i pugni per via della sua mancanza di coraggio.
<< ...ID riconosciuta. Benvenuta, professoressa Ayami Nukuchi. >> Proferì la voce metallica dall'interfono della porta, che si sbloccò.
<< ...Bene, entria- ...Ragazzino? Tutto bene? Sicuro di sentirti bene? >> Disse la rossa, giratasi di spalle verso Petar, che era crollato a terra per i nervi andati a pezzi per via della tensione della situazione che si era creato nella sua mente.
<< Muoviti, guarda che la porta si richiude, ti lascio fuori se non ti sbrighi. >> Continuò, poco importandosi nuovamente del ragazzo, mentre aprì la porta dell'aula.
<< ...Sì... Sì... >> Queste furono le uniche parole che uscì a dire, rialzandosi da terra e mettendo sulla spalla la cartella. Cercò di ritrovare la sua solita compostezza, a fatica, mentre la donna, scoperta una delle professoresse della sua sezione, entrò dentro l'aula. La seguì subito dopo, chiudendosi la porta alle spalle, che si bloccò nuovamente.
Entrato in aula, Petar, ancora un po' con la mente scombussolata, analizzò solo i dettagli necessari del luogo: cattedra rialzata di un gradino, lavagna classica con gessi, lavagna digitale, diciannove banchi, disposti in tre file: due file da sei banchi e una sola da sette. Notò il banco vuoto, il suo, nella fila centrale, quella da sette. Era il quarto a partire dalla cattedra, proprio quello centrale, dove si trovava più esposto ai suoi nuovi compagni, che dopo essersi alzati rispettosamente per salutare la docente, fissarono, in modo diverso ognuno, l'ultimo arrivato.
<< …Siediti, non restare lì come un palo. Non perdiamo ulteriore tempo. >> Disse la donna, togliendosi la katana,che poggiò sulla cattedra, la cartella e la giacca nera, che posò sulla spalliera della sedia.
Petar, intanto, coraggiosamente e con le forze ancora in corpo rimaste dopo la folle corsa e l'imbarazzante situazione di prima, si diresse verso il suo banco, con gli occhi puntati addosso di tutti i suoi compagni, di cui cercò di non fare caso, anche se l'aria intorno a lui cominciò ad appesantirsi. Finalmente, poté sedersi sul suo banco, distrutto fisicamente e mentalmente. Appese la cartella sul gancio posto sotto la superficie del banco e respirò, poggiando le braccia sul banco e respirando, stanco. Che doveva fare ora? Cosa pensavano i suoi compagni di lui? Certo non cose rassicuranti o belle. Tutti i suoi sogni di far una bella figura il primo giorno di scuola erano saltati. Non voleva pensarci. Prima di tutto, ora come ora doveva seguire le lezioni ed aspettare almeno la prima pausa, fissata alle 11:15 AM. Guardò davanti a lui, verso la professoressa che, di nuovo, colse di sorpresa lui ed anche tutta la classe. Sfoderò la katana e, dopo aver preso un gesso, lo schiacciò tra le dita e mise sulla punta della lama la polvere che usciva dal pugno chiuso. Dopodiché fissò la lavagna e, con tre fendenti ben mirati e controllati, scrisse il proprio nome, con l'alfabeto alla occidentale, sulla superficie nera della lavagna: Ayama Nukuchi. Fatto ciò, mise il dorso della lama sulla spalle e si girò verso gli studenti, sorpresi, Petar incluso.
<< Questo è il mio nome. Per vostra informazione, questo è il mio primo anno d'insegnamento. Nonostante questo, sarò la vostra coordinatrice. Seguo tre semplici regole che spero tutti voi abbiate il buon senso di tenere stampate nelle vostre menti. >> Detto ciò, la professoressa alzò l'indice destro per indicare che era in procinto di spiegarle elencando con i numeri. << Numero uno. Voi portate rispetto a me, io porterò rispetto a voi; numero due. Qualsiasi problema che non sia inerente all'intero contesto classe ve la sbattete voi. Non sono la vostra mamma o il vostro papà; numero tre. Anche se non sono la vostra mamma o il vostro papà, questo non vuol dire che io non mi preoccupo per voi. Siete sotto la mia tutela, non esitate a rivolgervi a me. Bene.. Spiegato questo... >> Finì, per poi prendere un panno presente nel fodero e pulire la punta della lama, sporcatasi di gesso, davanti agli studenti sempre più sorpresi dell'atteggiamento della loro docente. Rinfoderata la katana, schioccò le dita e il collo. D'improvviso, il suo sguardo distaccato e freddo, quello che Petar aveva potuto osservare qualche minuto prima, mutò. Era scurito, sorriso leggero, occhi, il cui colore dorato divenne ancora più acceso, e un'aura intorno a lei alquanto minacciosa e sull'orlo del maligno.
<< ..Benvenuti all'inferno, mocciosi. >>

 

 

n.d.r. : la lingua che Petar prima dell'incontro con la professoressa è quella della sua nazione, il bulgaro. Quando incontra la professoressa, entrambi si rivolgono in inglese, la lingua che si parla negli Istituti Niju.

   
 
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