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Autore: nikita82roma    29/08/2018    3 recensioni
Ambientata dopo la fine della serie. Kate Beckett e Richard Castle sono al loft, si sono da poco ripresi dal conflitto a fuoco con Caleb, si stanno riabituando ad una loro nuova quotidianità quando Rick legge una notizia sul giornale che attira la sua attenzione e le loro vite saranno di nuovo messe sotto sopra da un passato sconosciuto che viene a galla.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle, Sorpresa | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Boston

 

L’acqua scorreva sul suo corpo e bagnava le cicatrici. Nuove, vecchie, ancora sconosciute. Faticava a tenere il conto, a ricostruire la mappa del suo corpo. Ogni giorno scopriva qualcosa di sé che ignorava. Il rumore. Il rumore dell’acqua le dava ancora fastidio, le faceva paura, la faceva tremare. Aveva appoggiato le mani sulle piastrelle della doccia e stringeva i denti. Doveva resistere. Si imponeva di farlo, come se fosse una terapia d’urto, una nuova tortura, in realtà.

“Non serve a niente” le aveva detto il dottor Vega in una delle loro sedute che era obbligata a fare per rientrare nell’FBI. Senza il suo parere positivo non sarebbe potuta essere reintegrata e ne aveva bisogno, perché era l’unica cosa dalla quale ripartire, l’unico appiglio del passato per ricostruire il suo futuro.

La realtà, però, era che nulla fino a quel momento era servito a qualcosa. Provava a ricostruire la sua vita mattone dopo mattone, ma le fondamenta di tutto erano sabbiose ed era sempre al punto di partenza. Era lei la sabbia che faceva crollare ogni cosa che provava a ricostruire. Erano i suoi dubbi, i suoi incubi e le sue paure.

Emily Byrne non aveva più nulla, nemmeno se stessa, perché non riusciva più a capire chi fosse. Teneva dentro di se il segreto di quel ricordo che non sapeva nemmeno se fosse vero o solo frutto della sua mente. Non poteva confidarsi con nessuno, nemmeno con Vega, perché questo avrebbe voluto dire ripartire di nuovo da zero, essere di nuovo al centro di indagini, essere guardata con sospetto da tutti e non avrebbe retto ancora. Per tutti ora era stata scagionata da qualsiasi accusa, era innocente, le avevano fatto le loro scuse: Nick, Alice, Gibbs, Brown e gli altri dell’FBI. L’avevano incolpata, accusata di qualunque cosa, anche di aver provato ad uccidere suo figlio, e poi avevano liquidato tutto con qualche “mi dispiace” dopo averla braccata come un animale per giorni. Aveva risposto con sorrisi tirati e frasi di circostanza e l’unica cosa che si era concessa era non dire che era tutto ok a chi le chiedeva perdono, come aveva fatto Nick, il suo ex marito. Ex ora a tutti gli effetti, non solo perché era sposato con un’altra donna e perché aspettava un figlio da lei, ma perché aveva capito che non avrebbe più potuto esserci nulla tra loro, perché non poteva più stare con qualcuno che era riuscito a pensare di lei quello che aveva pensato lui. L’aveva ferita, più di quanto non avessero fatto coltelli e proiettili, ma non glielo aveva nemmeno detto, sarebbe stato inutile e non voleva dargli anche questo di se stessa.

Chiuse l’acqua della doccia ed uscì da lì. Trasalì nel vedere il suo volto in parte riflesso nel vetro appannato dello specchio. Chi era lei? Cosa era diventata? Aveva ragione Logan? Era un’assassina? Aveva ucciso lei Harlow? Quelle domande la perseguitavano da giorni, dal fine settimana precedente, dal compleanno di Flynn.

Flynn. L’unica cosa bella della sua vita, l’unica per la quale sentiva che valeva ancora la pena resistere, combattere, andare avanti, provare a ricostruire. Il passato era passato, così le aveva detto suo padre, e chi sopravvive deve guardare al futuro.

 

Aveva lasciato cadere a terra l’asciugamano che si era stretta intorno al corpo, si guardava nello specchio dentro l’anta dell’armadio di legno scuro cercando di ricostruire un’immagine di sè. Ogni volta cercava in quei segni spiragli di quel passato dimenticato. Suo padre le aveva detto che forse era meglio così, forse era meglio non ricordare, ma lei sapeva che senza quei ricordi non sarebbe riuscita ad andare avanti. Doveva sapere chi era stata per quei sei anni, cosa aveva subito, cosa l’avevano fatta diventare.

Erano solo flash quelli che arrivavano all’improvviso alla sua mente, nulla di più, e spesso si chiedeva anche quanto fossero veri. Non c’era più nessuno adesso che potesse rispondere ai suoi dubbi, credeva che avrebbe dovuto conviverci per sempre ed era convinta che Logan avesse previsto anche questo ed era esattamente quello che avrebbe voluto per lei, che vivere non sapendo sarebbe stato peggio di una verità difficile da accettare.

Rabbrividì sfiorando la cicatrice sull’addome e non fu solo il freddo, ma il pensiero di quella notte in cui aveva veramente pensato di morire. Pensò a Jack a quello che aveva fatto per lei, a quello che si erano detti, ai loro scontri, alla sua vita e a quante volte, inconsapevolmente, l’aveva sconvolta. Lui era più forte di quanto lui stesso fosse consapevole di essere, glielo aveva dimostrato quella notte e nei giorni seguenti. Era stato un fratello. Un fratello vero e le aveva anche offerto di rimanere da lui, ma non era giusto. Jack doveva avere modo di rifarsi la sua vita e così anche lei.

Indossò le prime cose che trovò a portata di mano nell’armadio, una calda tuta, adatta per quel colpo di coda dell’inverno, un freddo inusuale per quei giorni, o forse era lei che adesso sentiva tutto amplificato, anche il clima.

Andò nella piccola cucina e si preparò una tazza di tè. Fuori pioveva e le gocce sbattevano forte sui vetri di quella casa al piano terra di una palazzina che non era di certo il massimo, ma era tutto quello che era riuscita a trovare e che poteva permettersi. Non aveva voluto l’aiuto di Nick e nemmeno aveva voluto usare i soldi che la famiglia di Harlow aveva dovuto versarle come risarcimento. Lì aveva lasciati congelati in un fondo, magari sarebbero serviti a Flynn in futuro. Voleva farcela da sola, come aveva sempre fatto e solo a Warren aveva permesso di aiutarla, così aveva trovato quella sistemazione, la più vicina possibile alla casa di Nick, a quella che era la sua casa, per essere presente più che poteva con suo figlio. Non era facile, anzi ogni volta era più difficile entrare in quella casa, in quella famiglia e sentirsi nonostante tutto estranea in quello che era il suo mondo. Era difficile vedere una donna che cresceva il proprio figlio e che lo conosceva meglio di lei e alla quale doveva chiedere ogni cosa di lui ed era curiosa di conoscere cosa avesse fatto in quegli anni ma allo stesso tempo le faceva male ascoltare i racconti degli altri e rendersi conto di tutto quello che si era perso.

Si era persa nei cerchi scuri del tè che colorava l’acqua, stringendo la tazza che le scaldava le mani. Si spostò sul divano nell’altra stanza di quel bilocale troppo piccolo per contenere la sua voglia di ricominciare, troppo grande per abbracciare la sua vita ancora vuota. Non era abituata a stare da sola, non c’era mai stata. All’orfanotrofio erano in tanti, poi a casa con suo padre, sua madre e Jack e da lì la sua vita con Nick e poi Flynn arrivato poco dopo il matrimonio, tremendamente voluto, la persona che aveva dato un senso a tutta la sua vita, che le aveva fatto capire il suo ruolo nel mondo per la prima volta, quello che aveva calmato tutte le sue ansie e inquietudini. Doveva imparare anche quello, invece. Doveva imparare a stare da sola, a convivere con i suoi ricordi e i suoi incubi.

Se ne stava rannicchiata e forse avrebbe dovuto amare quei momenti di totale calma dopo tutto quello che aveva passato, ma non era così. Scrutava attenta quell’ambiente che ancora faticava a definire familiare: le due poltrone di pelle rosso scuro molto più nuove di quel divano di una tonalità di rosso diverso, un po’ rovinato alle estremità, dove si era accucciata in un angolo, quasi avesse bisogno di sentirsi protetta tra la spalliera, il bracciolo e i cuscini. Gli unici tocchi della sua presenza erano le foto di Flynn che aveva messo sul mobile in fondo alla stanza. C’era lui appena nato, loro insieme sulla neve e poi le foto più recenti, fino a quella del compleanno di pochi giorni prima, appoggiata, ancora da incorniciare. Non c’erano foto di quei maledetti sei anni, non sapeva ancora se era un caso o una scelta.

Appena sentì bussare alla porta i suoi sensi si allarmarono. Poggiò la tazza sul tavolino di legno all’angolo del divano e si alzò per vedere chi fosse, poi aprì la porta facendo scorrere la serratura rumorosamente.

- Ciao.

- Flynn! Cosa ci fai qui? - Disse abbracciando suo figlio accorgendosi in quel momento che era bagnato e invitandolo a togliersi la giacca che prese ed appoggiò vicino al termosifone.

- Volevo vederti. - Rispose il ragazzo alzando le spalle, impacciato ancora nel relazionarsi con sua madre. Emily strusciò le mani più volte sulle sua braccia per scaldarlo, era visibilmente infreddolito.

- Da dove vieni?

- Dalla piscina.

- Tuo padre sa che sei qui?

- No. Gli ho detto che andavo a casa di un compagno di corso. - Si giustificò.

- Potevi chiamarmi, sarei venuta a prenderti. - Lo rimproverò bonariamente stringendolo a se. Si rendeva conto delle sue difficoltà di relazionarsi ancora con lei e di come la voglia di passare più tempo insieme si scontrava con l’incapacità che ancora aveva di chiedergli qualsiasi cosa, come se fosse un’estranea, come se avesse paura di disturbare, così agiva d’istinto e invece che chiedere, si era presentato lì. Andò a sedersi anche lui sul divano e subito Emily gli mise un plaid sulle spalle che Flynn si strinse di più addosso.

- Vuoi una cioccolata? - Gli chiese e lui rispose annuendo energicamente ed accennando un timido sorriso. Gli diede un bacio sulla fronte ed andò a prepararla, tornando poco dopo con la tazza fumante in mano e una scatola di biscotti, non era ancora molto fornita, ma sapeva che quelli erano i suoi preferiti e Flynn ne prese subito un paio mentre aspettò che la cioccolata si raffreddasse un po’. Emily si sedette accanto a lui, guardandolo mangiare con gusto, notando le sue occhiate furtive nella sua direzione che lei fece finta di non cogliere. Aspettò che finì quella merenda improvvisata e poi lasciò che si distendesse appoggiato a lei. Nessuno dei due disse nulla, lei gli accarezzava i capelli senza il coraggio di chiedergli niente e lui non le diede spiegazioni del perché fosse lì. Avrebbero avuto tante cose da dirsi, del presente e del passato, di quello che lei aveva subito che poi aveva subito anche lui. Eppure non lo avevano mai fatto.

Si erano ritrovati in ospedale lei ferita nel fisico, lui nell’animo. Emily l’aveva abbracciato e lui si era lasciato abbracciare da sua madre. Avevano pianto, tutti e due e non lo avevano voluto far vedere all’altro, ma lo sapevano. Non si erano detti nulla, ma si erano capiti, per il momento bastava quello. Per le parole ci sarebbe stato tempo.

- Posso rimanere con te questa sera? - Le chiese Flynn rompendo il silenzio.

- Sì, certo che puoi.

Non gli aveva detto che avrebbe dovuto sentire suo padre, come faceva sempre. Aveva sorpreso tanto Flynn quanto se stessa. Era suo figlio non doveva chiedere il permesso a nessuno per stare con lui, tanto più se era lui che lo voleva. Sentiva che ne aveva tutto il diritto. Prese il cellulare vicino alla tazza di tè ormai freddo e mandò un messaggio a Nick per avvisarlo di quello che avevano appena deciso. Flynn sarebbe rimasto con lei. Non sapeva perché, se avesse voluto, glielo avrebbe spiegato lui poi.

   
 
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