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Autore: WYWH    30/08/2018    0 recensioni
La fede è definibile come l'adesione a un messaggio o un annuncio, fondata sull'accettazione di una realtà invisibile, che non risulta immediatamente evidente e viene quindi accolta come vera, nonostante l'oscurità che l'avvolge; la fede consiste pertanto nel «ritenere possibile» quel che ancora non si è sperimentato o non si conosce personalmente.
"-...e nell'adolescenza, quando i bambini diventanto adulti, questa è un'arma a doppio taglio. Guardatevi, ad esempio: siete tutti convinti che quello che vi è accaduto è stata la cosa migliore, perché? Perché avete fede in qualcuno. Che non vi salverà ora. E sapete perché?-
E si avvicinò, piegandosi verso di loro, per poter sussurrare sibilando come un serpente.
-Perché non esiste.-"
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Maki, Naoko Hyuga/Nathalie Lenders, Shun Nitta/Patrick Everett, Yayoi Aoba/Amy
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Era pomeriggio.
Quello poteva essere chiamato “l’ultimo tramonto d’estate”, visto che oramai Settembre era giunto alla sua seconda metà e le giornate iniziavano ad essere più fresche; nonostante questo sembrava che il tempo non avesse voglia di smettere di essere così bello e piacevole, e il cielo era stato terso e limpido invogliando gli studenti a stare più tempo possibile all’esterno.
In quel caso il tramonto era così bello da spingere ad affacciarsi dalle finestre e dal tetto della scuola, e c’era chi se ne approfittava per avere “il proprio momento romantico”: tenersi per mano, parlarsi, guardarsi anche solo negli occhi con quella luce a fare da sfondo.
Yayoi incappò almeno un paio di volte queste situazioni: scendendo le scale aveva trovato due amiche affacciate alle finestre che chiacchieravano allegre indicando il paesaggio davanti a loro, e lungo uno dei corridoi aveva notato, dietro la porta socchiusa di un’aula, due ragazzi che, imbarazzatissimi, riuscivano praticamente a tenersi solo per mano, sguardi bassi ma un’aria felice, anzi entusiasta.
La senpai sorrise a quel momento privato, riprendendo la marcia, con la luce del sole che si mescolava con il colore rossiccio dei suoi capelli.
Da quando aveva scoperto il suo vero essere la ragazza aveva iniziato a percepire dei mutamenti in lei, a cominciare dai suoi stessi poteri: quando danzava poteva percepire chiaramente la sua energia espandersi oltre la punta delle sue dita e diffondersi nella stanza.

Poteva così dare vita e muovere oggetti, piante e fiori, poteva mutare lo stato d’animo delle persone che gli stavano intorno e portarli verso una grande felicità come ad una grigia tristezza: gli era capitato il giorno prima, durante le prove del club, di danzare alla musica di “Kyou-no-Shiki”, e forse sarà stata l'interpretazione di Wakashimazu-sensei, sarà che quella canzone la cantava sempre sua madre quando era piccola, ma aveva provato così tanta malinconia mentre la ballava che, alla fine della sua prova, aveva visto tutte le altre compagne del club in lacrime perché “la sua danza era stata molto commovente e malinconica”.
La sua chiaroveggenza non si limitava più al riflesso della luce nello specchio, ma anche all’osservazione del cielo: nei colori dell’alba, ad esempio, poteva trovare la concentrazione per guardare più in profondità nelle pieghe del tempo e persino cercare nel suo passato più recondito, quello di dea.
Pertanto, in quel momento, stava camminando lungo i corridoi con lo Yata no Kagami tra le mani cercando un’aula o una sala vuota dove poter fare pratica: voleva sfruttare quello splendido tramonto, anche se rischiava di essere sanzionata.
Voleva mantenere la promessa fatta a Naoko: se avesse accresciuto i suoi poteri avrebbe potuto tenere nascosta la vera natura della ragazza, e protetto così Amaterasu.

Sentiva quel dovere … quasi come un bisogno.
Aprì l’ennesima porta scorrevole e si accorse che si trovava in una delle vecchie aule in disuso, che servivano più che altro come deposito per libri ed oggetti scolastici e che non venivano utilizzati spesso; la finestra dava proprio sul tramonto ed era tutto colorato di uno splendido arancio.

V’era un profondo silenzio che si espandeva lungo il corridoio, segno che nessuno era lì al momento.
Pian piano, per non disturbare quella pace, Yayoi chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò ad una sedia accanto alla finestra, sistemandola proprio di fronte alla vetrata; percepì l’odore di chiuso e polvere e aprì il vetro, l’aria fresca subito le riempì i polmoni e le parve che quella luce le entrasse fin dentro l’anima.

Era davvero uno splendido pomeriggio di fine estate.
Ad Ise capitavano spesso tramonti così belli, soprattutto in primavera, e lei era solita ammirarli sul camminamento fuori dalla sua stanza, il più delle volte da sola, specie quando era una bambina; delle volte v’erano anche i suoi genitori, suo padre in particolare apprezzava molto il paesaggio mentre sua madre era solita suonare il Shamisen e cantare.
Altre volte invece, specie quando era da sola, veniva disturbata dalla presenza delle altre miko, le quali si soffermavano pochi minuti a guardare per poi voltarsi e, cercando di essere affettuose, le ricordavano che, un giorno, il cielo sarebbe ritornato suo.
Ma lei non aveva mai voluto il cielo. Lei amava soltanto guardare l’alba e il tramonto.
Poi, con l’arrivo di Wakabayashi, lei e il ragazzino si erano ritrovati più di una volta, in silenzio, seduti a guardare, e ogni volta che qualche miko passava per disturbare, ci pensava proprio lui ad allontanarle.

-La divina Yayoi sta meditante, vi prego di non disturbarla con le vostre chiacchiere. Se avete tempo da perdere tornate ai vostri doveri di miko, grazie.-”

La ragazza sorrise divertita a quel ricordo, aveva chiara l’immagine delle miko che strabuzzavano gli occhi sdegnate, lamentandosi ad alta voce della maleducazione di quel ragazzo, aspettandosi che la piccola lo rimproverasse; ma non ricevendo alcuna gratificazione da parte di quest'ultima se ne andavano offese, e ritornava la pace.

-Ho sentito dire che Nakazawa ha chiesto a Wakabayashi di mettersi con lei e lasciare Aoba senpai.-

-EH?! Davvero?!-

-Pare che sia stato lui stesso a rifiutarla.-

-Dev'essere davvero innamorato di Aoba, al contrario di quella sciacquetta.-

-Già, lei non si merita un tipo come Wakabayashi.-

-Che troia, fare la fidanzatina con lui e poi incontrarsi di nascosto con Misugi-sensei.-

-Come se non lo sapesse nessuno nella Kami!-”

Già, la pace.
Yayoi sospirò, avvicinandosi alla sedia, togliendovi la polvere e accomodandosi, rivelando lo specchio dal suo involucro di stoffa, osservando come il bronzo apparisse morbido e malleabile in quella luce aranciata; sfiorandolo con le dita la ragazza ebbe la sensazione che fosse perfino caldo, la pietra al centro scintillava al pari di una stella.
Respirò profondamente, concentrando il suo sguardo sulla pietra, e sentì immediatamente i suoi poteri risvegliarsi; in pochi secondi il riflesso di luce dorata si sciolse come ghiaccio, e una patina d’acqua ricoprì l’oggetto fino ai suoi bordi, pareva una bellissima fonte d'acqua e la fanciulla un'elegante statua che l'adornava.

Ad ogni respiro di Yayoi l’acqua vibrava e ondeggiava dolcemente, la luce al suo interno pareva ballare e in quel movimento la ragazza immerse il suo sguardo.
Pian piano la luce assunse una forma, e riuscì a intravedere le maniche di una grande veste, lunghi capelli che volteggiavano mentre un volto appariva e scompariva nei riflessi e nelle pieghe dell'acqua; una persona stava girando su se stessa e ne poteva percepire la gioia, l’allegria.

Pian piano il movimento iniziò a rallentare ma quella frizzante sensazione non si spense, e continuò a irradiare da quel corpo, che ora dava le spalle ad Uzume.
Era un ricordo del suo passato, poteva percepirlo nella malinconia che iniziava a crescere in lei.
Una figura l’affiancò, probabilmente una sua conoscenza mentre osservava l’allegra e piccola fanciulla davanti a lei allontanarsi, una ragazzina che raggiungeva due figure davanti a lei, maschili; una seconda figura si fece avanti e alle sue spalle sentì parlare a bassa voce mentre i suoi occhi continuavano ad osservare la scena.

“-Ah, la divina Amaterasu oggi è più radiosa che mai.-
-Presto diverrà una splendida regina.-
-Sempre che non si creino faide tra i tre fratelli.-
-Che dite?! Impossibile!-
-Credete? Ho sentito dire che Susanoo abbia l’intento di prendersi il regno del cielo.-
-Ma no, il grande Izanagi ha già dato al dio la Piana del Mare! Non andrebbe mai contro i voleri del dio creatore!-
-Devo però ricordarvi la natura … inquieta del nostro signore: un carattere bellicoso e arrogante come il suo di certo non starà fermo a guardare l’incoronazione della sua piccola sorella, considerando che è anche la minore dei tre.-
-Farebbe davvero del male alla sua stessa sorella?!-
-Io non mi fiderei di un dio che abbandona il compito assegnatogli dal suo stesso padre, il dio creatore.-”

Uzume ascoltò in silenzio, preferendo non intervenire alla discussione, era quasi infastidita da quelle voci che bisbigliavano alle sue spalle, sembravano cercare di far entrare nella sua mente teorie e chiacchiere di cui non dava adito. I suoi occhi guardavano affascinati i tre fratelli, quelle parole e insinuazioni le parvero impossibili: vedeva chiaramente, nei gesti trattenuti di Susanoo, un profondo rispetto e affetto verso la sorella, dal grande sorriso gioioso.

Si poteva vedere dai capelli scarmigliati, dalle vesti spiegazzate e anche dai suoi occhi cupi che il dio sì, non possedeva un carattere quieto o sereno; era molto più visibile questo nel fratello Tsukuyomi, signore della Luna: il colorito pallido e il sorriso gentile mostravano chiaramente una natura più dolce e tranquilla. Susanoo, al contrario, sembrava sempre pronto ad alzarsi, a correre, o ad agitarsi, proprio come la burrasca, che non ha mai pace.
Eppure, neanche per un istante, i suoi gesti parvero minacciare Amaterasu. Anzi: sembrava, con i movimenti delle sue braccia, cercare di avvolgere lei e Tsukuyomi in un protettivo abbraccio e difenderli da tutte quelle persone che, in quegli istanti, erano rispettosamente seduti davanti a loro, ad ammirare i tre figli di Izanagi, il creatore.

Il volto di Amaterasu, sempre sorridente, all'improvviso si rivolse proprio verso di lei, e la voce limpida della giovane fanciulla la chiamò.

“-Dea Uzume! Ci potete fare l'onore di una delle vostre danze? Allietereste tutti quanti noi.-”

E la ragazzina mosse la manica del grande abito indicando l'intera sala; in ogni suo gesto sembrava che la luce si muovesse con lei, illuminando ogni angolo della grande sala. Alle sue spalle, i due fratelli rivolsero lo sguardo alla dea, due paia di occhi la guardavano in maniera opposta: i primi diffidenti, i secondi sereni.

-Sarà per me un onore...maestà…-

Yayoi si rese conto che stava effettivamente parlando con la sua voce e d'istinto abbassò leggermente il volume e il tono, facendosi più timida mentre notava come il volto della dea del sole assomigliasse nelle forme a quello di Naoko Hyuga.

Amaterasu si emozionò e le rivolse un sorriso talmente luminoso che Uzume ebbe la sensazione di essere direttamente baciata dal sole estivo; Yayoi percepì, suo ricordo che, si alzò in piedi e camminò davanti ai tre reali, dove s’inginocchiò e li salutò con il capo a terra.
I tre ebbero tre reazioni completamente differenti: Tsukuyomi sorrise e fece un cenno della mano, Susanoo sbuffò ma sembrò approvare la decisione e Amaterasu nascose la bocca con le maniche, per trattenere un sorriso felice.
Uzume si permise di guardare quell’ultima e si sentì emozionata: mai come in quel momento qualcuno aveva reagito con così tanto entusiasmo ad una delle sue esibizioni.
Il koto fu portato e le divinità si spostarono, per lasciare spazio alla danzatrice.
Mai come in quel momento, il cuore di Uzume batteva così forte.
Ma proprio in quel momento la porta scorrevole della stanza si aprì con un colpo, e Yayoi rialzò il capo, sorpresa e spaventata; le sue mani, in un gesto oramai automatico, coprirono lo specchio con la stoffa e la luce che lo ricopriva si spense all’istante.
Si voltò, temendo che si trattasse di un professore o di uno studente del suo anno, e rimase ancora più meravigliata nel trovarsi davanti la figura di Misugi-sensei, rimasto sull’uscio a guardarla.
-Ah! P-p-professore!-
-Aoba, che ci fai qui?-
-Ah, i-io … ecco …-
La sorpresa era stata tale ed improvvisa che non riusciva a trovare una buona scusa in testa; l’uomo, intanto, chiuse la porta alle sue spalle e fece un sospiro mentre si avvicinava alla ragazza, parlandole con tono severo.
-So che, qualunque cosa tu stessi facendo, non era fatta con cattive intenzioni, ma se fossi stato un altro insegnante rischiavi la sospensione, o il sigillo. Lo sai, no?-
Le mani della ragazza coprirono, più veloce che poterono, lo specchio mentre lei annuiva, ancora agitata ma consapevole che non era in pericolo.
-Mi dispiace professore. Farò in modo che non succeda più.-
-… come mai un tono così distaccato?-
Yayoi alzò lo sguardo colpita e si rese conto che l’uomo era arrivato al suo fianco destro, appoggiato con la mano all’angolo del sedile della sedia. Aveva lo sguardo … rattristato, che colpì molto la studentessa.
-Ultimamente ti sei allontanata, e non abbiamo più avuto modo di parlare. Ti ho anche cercata, hai trovato i miei messaggi?-
-Si, certo.-
Lo guardò … e non seppe cosa pensare: da una parte era felice che l’avesse pensata e addirittura cercata, le sembrava incredibile che quell’uomo, un professore tra l’altro, si fosse preoccupato per lei, una studentessa fra tante altre; dall’altro, però, una nuova situazione si stava facendo avanti e non sapeva più come gestire quel rapporto: temeva che, coinvolgendolo, lo avrebbe messo nei guai. E poi non poteva certo dirgli che era una dea.

Inoltre si stava rendendo conto...che il suo atteggiamento stava mettendo in ridicolo Genzo.

-Che troia, fare la fidanzatina con lui e poi incontrarsi di nascosto con Misugi-sensei!-

-Come se non lo sapesse nessuno nella Kami!-”

A quel pensiero distolse lo sguardo, le sue dita stringevano il nodo del fazzoletto attorno allo specchio.

-Professore, io…-

Questa situazione non poteva andare avanti, eppure Yayoi sentiva chiaramente la sua anima lacerarsi all'idea di allontanare Misugi-sensei; che davvero...stesse provando amore verso quell'uomo?
Ci fu uno strano silenzio, molto diverso da quello che c’era stato prima nella stanza: questo dava una sensazione crescente di ansia, come se da un momento all’altro le cose sarebbero andate male.
L’aria, fresca dalla finestra aperta, si stava riempiendo di un profumo che ricordava l’incenso.

Yayoi lo riconobbe: era il profumo che usava sempre il professore. A lei piaceva molto, era avvolgente e la rilassava molto, le ricordava gli incensi che sua nonna utilizzava durante i rituali.
-Hai … avuto modo di leggere il libro che ti ho dato?-
-Ah si! Grazie, è stato molto utile e interessante.-
-Bene, mi fa davvero piacere. Ognuno di noi deve poter seguire i propri sogni, giusto?-
Yayoi si voltò nuovamente verso Misugi-sensei, colpita da quelle parole; lui le stava sorridendo, affabile come sempre.
-Lei sognava di lavorare qui, professore?-
-Vuoi la verità? No.-
L’uomo si abbassò, piegando le ginocchia per poter guardare la studentessa con più agio, e una zaffata del suo profumo arrivò alle narici della ragazza, tanto che lei d'istinto ne inspirò un pochino, sentendo subito i muscoli rilassarsi e la testa alleggerirsi.

L’uomo guardò verso la finestra aperta: il cielo adesso stava tendendo al viola e uno stormo di rondini volava vicino all’edificio, pareva una piccola nuvola scura.
-Ma ho sempre sognato poter insegnare, aiutare i ragazzi nella loro crescita. Certo, non è un lavoro facile, e nemmeno molto retribuito, ma mi ha sempre dato un sacco di soddisfazioni.
E tu? Cosa sogni, tu?-
Yayoi rimase sorpresa: era la prima volta che qualcuno gli faceva una simile domanda e dovette pensarci seriamente. Cosa sognava di fare, lei?
… le tornò in mente il sorriso di Amaterasu, il suo ricordo, e la risposta le sgorgò fuori dall’animo.
-Danzare. Vorrei poter danzare per rendere felici le persone.-
-Immaginavo: quando danzi, sembri un’altra persona. Si vede che ti piace molto.-
Sorrise, grata di quei complimenti, ma poi ripensò alla sua reale situazione, anche se non perse quella piega sulle labbra.
-Purtroppo conosco solo le danze cerimoniali del tempio di Ise, o quelle tradizionali. Mi piacerebbe … poter ballare anche con musiche diverse, conoscere nuovi passi.-
Le aveva viste in televisione: mille e più ballerine che compivano ogni sorta di passo, piroetta, acrobazia e figura che le parevano possibili solo nella sua testa; invece erano tutte lì, ed erano vere, reali e lei nella sua camera, di nascosto, aveva provato tante e tante volte a ricopiarle, assimilarle, farle sue.
Ma ogni volta che veniva scoperta da una delle miko più anziane veniva subito punita, e le ricordavano che il suo destino era uno solo, e che non sarebbe mai cambiato.
-Ma io diventerò la kannushi di Ise. Purtroppo … non ho tempo per questo.-

E tuttavia, mentre quei ricordi le passavano davanti agli occhi, all'improvviso la figura di Genzo apparve come un lampo a ciel sereno, mentre si avvicinava alla miko e, con prepotenza, ne staccava la presa dal braccio di Yayoi, mettendosi a sua protezione con il suo Akita a fianco che ringhiava aggressivo.

-Come osa mettere in questo modo le mani addosso alla divina Amaterasu?! Vuole forse portare sciagura al tempio di Ise?!-

-Bada di stare al tuo posto, insolente di un Wakabayashi! Solo perché possiedi un Inugami non ti credere di essere il padrone di questo posto!-

-Io sono il protettore della divina Yayoi ed è mio compito impedire che le venga fatto male, come lei stava facendo!-

-Razza d'insolente! Vado a chiamare la Signora Madre e vedremo chi finirà nei guai!-

-Genzo perché?! Mia nonna ti punirà di certo!-

-Meglio te che me. Tu hai il diritto di fare quello che vuoi nella tua camera.-”

Era la prima volta che Yayoi si ricordava quell'avvenimento, come aveva potuto dimenticarlo?

Sì...Genzo l'aveva protetta, allora come tante altre volte. Lui c'era sempre per lei. Mentre lei...
Sentì qualcosa sulla sua mano e si accorse che era la mano del professore; si voltò a guardarlo, il volto di lui era tinto di tenera preoccupazione, che le fece battere il cuore.
-Tu puoi fare qualunque cosa, Yayoi. La tua vita è tua: puoi diventare Kannushi ma puoi anche essere la più straordinaria danzatrice che io abbia mai visto.
E qualsiasi cosa sceglierai … se lo vorrai … io sarò accanto a te a sostenerti.-
Lo guardò stupita, di colpo si rese conto che quell'odore d'incenso si era fatto più forte, perfino più pesante, tanto che quasi faceva fatica a respirare; lo vide molto vicino e sentì una sensazione di disagio crescere, tanto che aveva l'impulso di alzarsi...ma non ce la faceva, il suo corpo era come bloccato su quella sedia.

Le salì un leggero panico mentre rispondeva alle parole dell'insegnante.
-Davvero … professore?-
Lui sorrise con aria leggermente divertita, arrivando a sfiorarle i capelli con le dita.
-Sai qual è il mio nome, te l’ho detto. Puoi usarlo, sai?-
Yayoi percepì chiaramente che la silenziosa tensione stava mutando in un'aspettativa che non le piaceva per niente: certo, il professore le piaceva, era molto gentile e disponibile, la incoraggiava sempre a seguire i suoi sogni però… però questo era sbagliato!

-Professore … perché è venuto qui? Non viene mai nessuno in questa parte di edificio …-

Voleva alzarsi, alzarsi e andarsene da quella stanza il più velocemente possibile; ora sentiva chiaramente il profumo nel professore irritarle la gola e, ogni volta che respirava con il naso, lo sentiva entrarle nel cervello e confonderla e indebolirla.

Mai come in quel momento desiderò che Wakabayashi la raggiungesse e interrompesse quel momento.

-Beh, forse sarebbe meglio allora se tu non fossi Amaterasu.-

-Perché dici questo?-

-Perché saresti felice. Ed è quello che desidero per te.-”

Lo sentì avvicinarsi, i loro nasi si sfioravano mentre il tramonto scendeva e la splendida luce del sole, lentamente, lasciava posto alle ombre della sera.
-… cercavo te, Yayoi.-

La ragazza, a quel punto, reagì d'istinto e, spingendo con una mano il petto del professore, scattò all'indietro e ribaltò la sedia, cadendo a terra; tossì mentre continuava a stringersi al petto lo Yata no Kagami e cercava di rialzarsi in piedi mentre il professore la guardava sconvolta.

-Yayoi…-

-Mi perdoni professore-coff coff, ma non mi sembra decoroso un simile comportamento-coff coff all'interno dell'edificio scolastico-coff coff.

Devo tornare in dormitorio, tra poco scatta il coprifuoco.-

La ragazza si rialzò in piedi e, con la mano libera, frugò nella tasca della gonna alla ricerca del suo cellulare mentre si dirigeva verso la porta; la mano di Misugi fu più veloce di lei e bloccò il passaggio, il corpo del professore era quasi appoggiato sulla schiena della studentessa.

-Perché ti comporti in questo modo, Yayoi? Non eri così fredda prima dell'Obon...-

Sentì quella mano accarezzarle i capelli dietro la schiena e un brivido le scese lungo il corpo, sentì ancora una volta quel profumo iniziava ad intorpidirla.

-Yayoi, non capisci che ti amo? Voglio solo il meglio per te…-

-Non mi tocchi!-

La ragazza si voltò di scattò dicendo quella frase ad alta voce; le mani, rapide, liberarono lo specchio dalla sua stoffa, pregando che la poca luce rimasta nella stanza bastasse. Lo Yata no Kagami sembrò ascoltarla, un riflesso bianco colpì e accecò il volto di Misugi-sensei, che fece un verso strozzato mentre indietreggiava e si copriva il volto con le mani, un filo di fumo si sollevò e qualcosa cadde a terra simile a cera.

Spaventata, Yayoi raccolse al volo la stoffa per ricoprire lo specchio, e spalancando la porta della stanza scappò via dal corridoio, scendendo lungo le scale mentre cercava, nuovamente, il suo cellulare, trovandolo e chiamando velocemente il numero di Wakabayashi.

Dietro di lei non sentì il professore inseguirla, ma non frenò la corsa nemmeno quando fu fuori dall'edificio scolastico, sentendo turbata che il ragazzo non stava prendendo la chiamata.

“Oh no è ancora agli allenamenti!”

Stava per voltare l'angolo quando una figura le apparve davanti e le afferrò la mano con il cellulare; con suo orrore, era Misugi-sensei, vide chiaramente uno dei due occhi all'altezza del naso e questo che stava scendendo verso la bocca, come se la faccia dell'insegnante fosse stata fatta di cera.

-Dove credi di andare, Yayoi?! Tu sei mia!-

-Mi lasci!!-

La ragazza diede uno strattone, ma la presa dell'uomo era salda e, anzi, stava stringendo sempre di più, al punto tale che lei stava perdendo presa sul cellulare, dove sentì una voce.

> Pronto? Yayoi?

-Genzo! Aiuto!-

Misugi, a quel punto, la spinse contro il muro, facendola sbattere sull'intonaco; il cellulare le scappò di mano mentre Genzo, allarmato, le chiedeva dove fosse e che stava succedendo. Per tutta risposta, il piede del professore colpì con forza il telefono, spaccandogli lo schermo; colpì una seconda volta e lo spense definitivamente.

-Così quel maledetto rompiscatole non ci disturberà più. E ora torniamo a noi due, mia amata…-

Yayoi sentì le sue budella contorcersi dall'orrore mentre cercava di liberarsi da quella presa; di nuovo il profumo dell'insegnante si fece forte, pungente, e sentì il suo fisico ancora una volta iniziare a perdere forza. Provò a trattenere il respiro mentre indietreggiava e si dimenava come una furia.

-Non so cosa ti abbia detto quel maledetto Inugami, ma io e te siamo destinati a stare insieme, mia cara. Ti ho aspettata e cercata per così tanto tempo che ho dovuto trovare un modo per poter tornare da te, capisci?

Tu sei la mia sola e unica moglie, la mia amata Yayoi.-

L'altro braccio del professore iniziò ad avvolgerle la vita e la ragazza si sentì in trappola, percependo anche il bisogno di dover respirare. Quel volto di cerca si era ora indurito in un'espressione picassiana, con gli occhi completamente storti e la bocca che sembrava pendere giù dal mento, sorretta da uno degli angoli di quel sorriso terrificante.

-Io ti amo, Yayoi.-

Il volto si avvicinò verso di lei e per la ragazza sembrò essere la fine, quando un'ombra colpì il professore, facendolo indietreggiare e la studentessa si ritrovò per la seconda volta a terra, a tossire e prendere fiato mentre una figura la schermava; quale non fu la sua sorpresa, quando si voltò a guardare, nel riconoscere l'elegante kimono estivo della madre di Ken Wakashimazu.

-S...signora Wakashimazu…-

-YAYOI!-

La ragazza sentì l'abbaiare di un cane e in un attimo Genzo arrivò in suo soccorso, prendendola tra le braccia e aiutandola a sollevarsi da terra.

-Stai bene?!-

-Sì…-

-Professor Misugi, si allontani immediatamente dalla mia studentessa.-

Le parole della donna furono taglienti mentre esibiva un ventaglio chiuso ma dall'aria pesante al professore, il quale si stava schermando la faccia con il braccio e la mano, parlando il più tranquillamente possibile.

-Stavo soltanto bloccando Aoba dato che non stava rispettando il regolamento secondo il quale dovrebbe essere nel dormitorio in questo momento.-

-Dubito fortemente che quello che ho visto sia stato un far rispettare le regole, professore. Se ne vada immediatamente o non mi limiterò alle semplici parole.-

E dicendo questo la donna aprì il ventaglio con un movimento secco, rivelando così sottili lame di metallo lì dove le stecche tenevano la carta piegata dell'oggetto; al tempo stesso l'Akita di Genzo aveva iniziato a crescere e a ringhiare feroce, abbaiando e agitandosi sul posto contro Misugi.

A quel punto l'uomo batté in ritirata, allontanandosi nel buio mentre la donna richiudeva lentamente il ventaglio e il cane, dopo aver seguito per qualche metro l'aggressore, si fermava e tornava indietro ancora nervoso.

Yayoi, intanto, era ancora tra le braccia di Genzo, sebbene ora riuscisse a tenersi in piedi da sola.

-Grazie sensei…-

La donna si voltò a guardare i due in silenzio, per poi porgere alla ragazza un piccolo sacchettino.

-Sciogli questo in acqua calda stasera. Forza, tornate in dormitorio: io devo fare rapporto al preside Gamo.-

 

Ken e Shun avevano avuto l’autorizzazione non solo del padre di Ken, ma anche dello stesso preside per allenarsi la sera in solitaria, dopo cena; i due si ritrovavano davanti al dormitorio per poi raggiungere insieme la palestra, dove era solito attenderli Wakashimazu-sensei.
La prima volta Nitta fu molto restio a mostrare le sue ali all’adulto, giudicando l’idea del senpai fuori di testa: non era particolarmente più forte nel suo aspetto demoniaco ma era certamente più veloce, e se con il demone della lanterna non si era completamente mutato fu solo perché c’erano troppi testimoni.
Per le prime sere, così, Shun si allenò in forma umana, dimostrando non solo di essere effettivamente svelto nel muoversi, ma anche di essere svelto nell’imparare: Ken gli mostrava in modo chiaro dov’erano i suoi errori e come rimediare, e il Tengu riusciva a migliorarsi in pochissimo tempo, tanto che, se il senpai non fosse stato più esperto di lui, di sicuro i due sarebbero stati alla pari.
Tuttavia non bastavano quel tipo di allenamenti per Wakashimazu: non voleva solo aiutare e migliorare Shun, voleva soprattutto migliorare se stesso; il suo livello era al pari di quello di suo fratello maggiore e il padre era troppo impegnato con i suoi doveri d’insegnante. Pertanto insistette ancora, ogni sera, per convincere il Tengu a trasformarsi, anche solo un pochino.

Lo pregò con gli inchini, con le parole, con i suoi stessi occhi, fin quando non lo esasperò tanto da convincerlo per sfinimento.
-Sei davvero testardo, te l’hanno mai detto?-
-No, ma sono bravo a non darlo a vedere.-
Chiesero il permesso al padre e, incredibilmente, questo acconsentì, anche se il suo sguardo s’indurì visibilmente a quella richiesta e guardò il figlio con aria turbata, parlandogli solo una volta in tutta la sera.
-Non ferirti.-
E così, dopo dieci giorni da quando avevano iniziato ad allenarsi, Shun rivelò per la prima volta parte della sua forma demoniaca: le sue ali si mostrarono dietro la sua schiena, nere ed ampie, e i suoi stessi occhi si oscurarono, la sclera si perse dentro l’iride e la pupilla.
Ken lo guardò affascinato.
-Certo che, se non sapessi che sei tu, avrei paura.-

Il Tengu lo guardò sorpreso, facendo pendere la testa da un lato proprio come un volatile incuriosito.
-Non hai paura di me?-
Il karateka ci pensò, poi fece spallucce.
-Ancora no. Pensi di riuscire a farmene, stasera?-
Il Tengu parve guardarlo indifferente, i suoi occhi neri erano così acquosi e animaleschi che era difficile capire cosa stesse effettivamente pensando; oltretutto la presenza di Wakashimazu-sensei non permetteva a lungo conversazioni di quel tipo, tanto che Ken si era già messo in posizione, che aspettava d’iniziare, fremente.
Wakashimazu-sensei impartiva l’inizio e la fine dello scontro con un movimento di mani e un'unica parola, ma con l’eco della palestra vuota era difficile capire cosa dicesse; qualche secondo dopo, cadeva a piombo il silenzio, turbato solo dal muovere costante dei piedi dei due avversari.
Come sempre il primo a muoversi fu Shun, e fin da subito si parlò di uno scontro tra la velocità e l’esperienza: il Tengu si muoveva come fosse stato fatto d'aria, i suoi movimenti erano rapidi e solo l’osservazione e il costante allenamento permettevano a Ken di difendersi. Ma gli era praticamente impossibile attaccare: Nitta, infatti, era così veloce che ogni calcio veniva evitato all’istante e subito risposto con un ulteriore attacco.
Wakashimazu si sentì il corpo pesante, come se la gravità fosse aumentata improvvisamente nella stanza: ogni movimento veniva visto subito e bloccato anche prima di subito, così come ogni attacco diventava sempre più veloce e aggressivo; ad ogni schivata, ad ogni parata, ad ogni passo indietro si sentì sopraffare sempre di più, proprio come con Aoandan.

La frustrazione iniziò a crescere e arrivò lo sbaglio: il pugno di Nitta gli arrivò in faccia, buttandolo a terra.
Il comando di Wakashimazu-sensei fermò lo scontro e a quel punto il Tengu si rese conto di quello che era successo, scuotendosi: pian piano si era concentrato solo sul suo avversario, su come si stava muovendo e su come schivarlo e colpirlo; ogni pensiero era stato messo da parte fino a che non ebbe come obbiettivo toccarlo, raggiungerlo, colpirlo. Sorprenderlo.
Shun respirò e si rese conto che stava ansimando leggermente, segno che comunque aveva fatto fatica, e questo lo sorprese: gli allenamenti fatti con Katagiri non gli avevano mai provocato una tale sensazione e, soprattutto, una tale fatica. Non era stanco solo il suo corpo, lo era anche la sua mente.
-Ken, tutto bene?-
Nitta guardò il senpai a terra e d’istinto fece un passo avanti, ma questo lo fermò alzando una mano, rimettendosi lentamente in piedi, scuotendo il capo; quando si girò da un lato della bocca scendeva un sottile rivolo di sangue che Ken asciugò sul kimono, prima di rimetterti in posizione da combattimento.
-Sono pronto!-
Non si sarebbe arreso davanti a lui. Forse il Tengu sarebbe riuscito a sorprenderlo e, probabilmente, a spaventarlo, ma lui non avrebbe indietreggiato: era una spada, un Musha, destinato a dare la sua vita per proteggere il suo futuro padrone, e se quest’ultimo era minacciato da esseri come quello allora li avrebbe affrontati e sconfitti.
Wakashimazu-sensei diede l’ordine, e questa volta fu Ken a partire per primo. Come sempre il demone schivava e contrastava, e di nuovo l’umano si sentì di sopraffatto da quella potenza; respirò ad ogni colpo, ad ogni passo, e si concentrò su Shun. Ne percepì i colpi che lo sfioravano, il suo corpo era costantemente in bilico tra l’evitare e l’essere colpito brutalmente e questo fece fluire fiumi di adrenalina in ogni suo muscolo. I suoi occhi guardarono il volto del suo avversario, che appariva e scompariva dalla sua vita, e pian piano le braccia del demone diventavano visibili; il tempo, ad ogni respiro, prese a rallentare, permettendogli di combattere appieno.
Wakashimazu-sensei percepì un’ombra alle sue spalle ma i suoi occhi quasi non sbattevano più le palpebre, tanto erano ipnotizzati a guardare la scena; la sua voce riuscì comunque ad uscire dal suo corpo, precisamente da dietro la sua schiena.
-Vieni avanti Kozo. Guarda mio figlio diventare una spada.-
Il vecchio insegnante si fece avanti in silenzio, sedendosi affianco del karateka, osservando la scena in silenzio, le mani sulle ginocchia; anche i suoi occhi s’incatenarono a guardare il combattimento e dovette prendere un profondo respiro per riuscire a parlare.
-Oramai suo fratello non lo può più raggiungere.-
-Lui è l’ultimo erede dei Musha: tutto il sapere del clan è in lui.-
-Diventerà una spada in tutto e per tutto?-
-Sì.-
-… povero ragazzo.-
A quell’affermazione Wakashimazu-sensei abbassò lo sguardo con aria incupita: era certo che sua moglie ne avrebbe sofferto alla notizia, ma oramai era impossibile fermare il destino di Ken.

Persino lui, adesso, era diventato debole rispetto al figlio.
Questo, intanto, sentì che il corpo cominciava a pesare sempre meno: ogni membra si era accordata con la sua mente e la sua volontà e lo seguiva obbediente; i suoi movimenti divennero sempre più leggeri e oramai sentì di non dover più pensare a come contrattaccare, o quale parte del corpo usare: tutta la sua conoscenza fluiva nei suoi muscoli ed essi agivano con il solo scopo di schivare e colpire.
Shun percepiva quel mutamento e, stavolta, fu lui a sentirsi in difficoltà verso l’umano; eppure questo non lo preoccupava, anzi: oramai il desiderio di colpire Wakashimazu era stato superato da qualcosa di molto più semplice e, al tempo stesso, inconcepibile per il Tengu. Egli voleva semplicemente … continuare a lottare con lui. A muoversi con lui. A respirare con lui.
I loro movimenti era diventati parte di una grande energia, una danza che li univa e li separava senza un principio o una fine visibile.
Tuttavia Nitta sbagliò e fu colpito al ventre dal calcio di Ken.

In quel momento si percepì chiaramente la sensazione che qualcosa si fosse infranto come vetro, e tutti rimasero immobili all’avvenimento; il karateka guardava il demone scioccato, come se non si aspettasse di riuscire effettivamente a buttarlo a terra, ansimando. Il Tengu, da parte sua, guardava il ragazzo con aria affascinata: era stato buttato tante e tante volte, ma quella era la prima volta che non si sentiva umiliato o deluso, o arrabbiato; per la prima volta si sentì sollevato, rinfrancato nello spirito e girò di scatto la testa, sentendo qualcosa salirgli sugli occhi.
A quel punto Ken si riscosse e percepì il suo corpo fargli male, tanto che mosse braccia e gambe per riuscire a sciogliere l’acido lattico, rivolgendo lo guardo verso suo padre; rimase molto colpito nel vedere la presenza di Kira-sensei, il quale semplicemente gli fece un cenno con il capo, rivolgendo la parola al padre del ragazzo, a bassa voce come a non voler farsi sentire.
Ken guardò Shun e lo vide ancora accucciato a terra, tanto che si avvicinò a lui, preoccupato di avergli fatto seriamente male.
-Ehi, tutto bene?-
Nitta annuì e si alzò lentamente, le ali dietro la sua schiena lo bilanciarono, aprendosi e chiudendosi dietro la sua schiena.
-Sto bene.-
-… grazie, è stato pazzesco.-
Il kohai guardò il suo senpai sorpreso mentre la sclera degli occhi tornava bianca e le iridi ricomparivano negli occhi.
-Mi ringrazi?-
-Certo! È stato uno scontro formidabile, non mi battevo in questo modo da tempo. Sei migliorato tantissimo, complimenti.-
-Ah, grazie. Ti fa male?-
Ken si sorprese a quella domanda, poi si ricordò del pugno preso in faccia e si toccò la guancia destra; appena la sfiorò sentì un male cane prendergli tutto quel lato del volto e gemette dolorante, ridacchiando divertito.
-Eh si, a quanto pare fa proprio male!-
-Mi dispiace.-
Il senpai guardò il ragazzo davanti a sé e si preoccupò di rasserenarlo.
-Ma no, figurati! Sono stato disattento io, avrei dovuto schivarti.
E tu, tutto bene? Non credo di averti tirato un calcio troppo forte ma spero che non ti faccia male.-
-No, sto bene.-
A quel punto furono interrotti dal battito di mani di Kira, e i due ebbero reazioni opposte: Ken s’imbarazzò leggermente ma era soddisfatto mentre Shun si sorprese di quello sconosciuto, e d’istinto si nascose dietro la schiena del senpai, facendo scomparire le ali per poi rivolgere uno sguardo poco amichevole all’uomo.
-Complimenti ragazzi, complimenti davvero. È stato incredibile.

Ah, non preoccuparti ragazzo: non dirò a nessuno della tua forma demoniaca.-
Nitta non si fidò molto ma lo stesso annuì, ringraziando in silenzio mentre Wakashimazu-sensei si avvicinava al trio, invitando tutti ad uscire dalla sala dato che era ora di andare a riposarsi.

 

Takeshi fece molta fatica ad addormentarsi, come sempre: da quando aveva perduto la memoria sapeva di essere un demone e di potersi muovere nei sogni e divorare gli incubi, ma non era mai riuscito a completare la sua mutazione in forma demoniaca. Era come se gli fosse stato portata via, strappata dal suo stesso corpo.
Poteva mutare il colore dei suoi occhi, entrare e muoversi nei sogni, ma doveva combattere con le sue sole forze, privo di poteri o strumenti; anche per questo aveva imparato a combattere a mani nude e continuava ad allenarsi con Kira-sensei.
Probabilmente l’assenza della sua parte demoniaca gli rendeva difficile addormentarsi, prendere sonno; o forse il motivo per cui faticava così tanto era che aveva paura di non riuscire a svegliarsi più.
Sapeva bene che il suo compito era proteggere Maki, la reincarnazione della dea del sole e futura sovrana del Giappone: fin da piccolo, da quando poteva ricordare effettivamente, gli era stato detto, ridetto e ripetuto fino a che non era diventata la parte sostitutiva del suo essere demone; entrava solo nei sogni di lei, si occupava di lei, mangiava i suoi incubi e oltre a lei non era mai andato da nessun altro.
Fissò il soffitto sopra di lui, eseguendo i suoi esercizi di respirazione per rilassarsi, svuotare la mente e prendere sonno; glieli aveva insegnati la nonna di Maki e li aveva sempre seguiti alla lettera. Di solito funzionavano e riusciva ad andare oltre la sua insonnia, ma quella notte neanche questi sembravano bastare.
Le preoccupazioni continuavano a tornare a galla come tappi di sughero in una bacinella d’acqua.
Da quando quel ragazzo, Yuzo, si era presentato affermando la sua lealtà alla dea Amaterasu, Maki aveva ripreso ad essere più serena, arrivando persino a frequentare più spesso persone anche al di fuori di lei e Sawada, il che faceva molto piacere al ragazzo.

La ragazza continuava a sognare Orochi ma era molto più sicura di sé, tanto che la Yamagata sembrava funzionare molto di più e la barriera la teneva al sicuro.
Eppure Takeshi non si sentiva tranquillo: il rapporto tra la ragazza e gli Hyuga era diventato ulteriormente più freddo e distaccato e il ragazzo aveva la sensazione che prima o poi la sua cara amica lo avrebbe messo spalle al muro, facendolo scegliere fra lei e Kojiro e sua sorella Naoko.
E dopo che la ragazzina lo aveva aiutato e si era preoccupata per lui quella scelta si era rivelata impossibile da fare…

-Sawada! Io ci sarò sempre se avrai bisogno! Voglio aiutarti!-”

Arrossì al ricordo e si coprì gli occhi con le braccia, sospirando rumorosamente: assurdo che si sentisse così agitato dopo che quella ragazza gli aveva rivolto la parola … quante volte? Due volte? Eppure, dalla festa dell’Obon, tutto attorno a lui aveva iniziato a cambiare, persino se stesso.

E soprattutto Maki.

Si concentrò su quel pensiero, ricominciando gli esercizi di respirazione, sperando quanto meno in uno stato di riposo che gli permettesse il sogno lucido; pensò alla sua amica, al suo incubo ricorrente, alla strada che lui percorreva per raggiungerla, respirando lentamente, rilassando i muscoli.
La sua mente, inizialmente, gli mostrò un’oscurità fitta, palpabile, e sulle prime restò fermo, temendo di svegliarsi al minimo movimento; si concentrò di nuovo sui suoi pensieri, provò a distinguere qualche suono, fino a sentire un lamento in lontananza.
Alzò il capo, si concentrò e stavolta percepì chiaramente un ruggito.

Orochi.
Seguì il suono del ruggito senza troppo sforzo, nel mondo onirico era in grado di rendere il suo corpo simile ad una piuma o ad un masso e, in un batter d’occhio, si trovò davanti all’immagine di Maki, sulla spiaggia, che sollevava la mano al cielo e innalzava la barriera per difendersi da Orochi; la grande cupola verde si aprì attorno a lei come un ombrello, proteggendola dall’attacco delle bestie.
Come sempre, Sawada andò a dare man forte all’amica, chiamandola.
-MAKI!-
Questa parve non sentirlo, il suo sguardo fisso sulle otto teste di drago le quali parevano meno aggressive del solito, studiandola dalla spuma del mare dove erano emerse.

Takeshi, approfittando di quella apparente calma, si avvicinò all’amica e allungò una mano verso la barriera.
Una forte scossa elettrica, dalla punta delle sue dita, guizzò lungo il suo braccio e ricoprì il suo corpo, tanto da mozzargli il fiato e farlo cadere all’indietro, sofferente.
Alzò lo sguardo sorpreso: elettricità?! Da quando la barriera emanava questo?!
-Maki! Maki!!-
La chiamò ancora ma stavolta era certo che la ragazza non lo stesso ascoltando, e osservandola meglio si rese conto che, effettivamente, qualcosa non andava: la ragazza aveva lo sguardo fisso sulla bestia ma non v’era alcuna emozione da quello sguardo, paura o coraggio che fossero. Sembrava … assente.
-Maki! Maki mi senti?! MAKI!-
Orochi, a quel punto, si voltò verso il ragazzo, accorgendosi di lui, ed una delle teste rise divertita mentre le altre sette, lentamente, si voltavano tutte nella stessa direzione.

“-A quanto pare sembra che anche sia stato ingannato da questo fantoccio...-”

-Cosa?!-
La testa si avvicinò lentamente al Baku, arrivandogli così vicino da poterlo sfiorare con uno dei suoi baffi; il ragazzo si rese conto che era in pericolo, Orochi poteva benissimo attaccarlo all’improvviso, così scatto posizione di difesa, i pugni e le braccia a coprire il volto.

Intanto, il mostro continuò a parlargli, altre due teste si unirono a quella conversazione.

“-La mia sposa, al momento, non è in questo sogno: qualcuno ha trasportato il suo inconscio da un’altra parte, in un altro sogno … -”

“-Il che ci farebbe comodo se non fosse per la Yamagata che la protegge.-”

“-A quanto pare quella pietra è più potente di quanto immaginavo. O meglio: chi la controlla è più potente di quanto ci aspettavamo...-”

“-Maledetto Susanoo, codardo che ti nascondi…-”

Takeshi avvertì le altre teste iniziare a sibilare come serpenti e si tenne pronto: se davvero Maki non era lì allora non gli conveniva restare. Tanto, da quel che aveva capito, la Magatama stava svolgendo il suo compito di protezione, anche se non era controllata dalla ragazza stessa.

Susanoo la stava difendendo; quindi il fratello della dea del sole era vicino a lei. Che si trovasse alla Kami no michi?!

“-Beh … poco male … -”

“-Vorrà dire che nel frattempo di divertiremo con te.-”

Le teste attaccarono praticamente tutte insieme, cercando di chiudere ogni via di fuga al Baku.

Questo usò tutto il suo potere, creando un colpo di energia dorata per evitare l’assalto, per poi lanciare la sabbia del sogno in faccia ad uno dei draghi, che indietreggiò furioso mentre gli altri ruggivano.
Takeru approfittò del momento per fuggire, immergendosi di nuovo nell’oscurità e correndo più che poté, sentendo ancora alle sue spalle i ruggiti e la presenza del mostro che, fortunatamente, non lo avrebbe inseguito.

A quel punto Orochi si fermò dall'inseguirlo, restando immerso nel mare in burrasca e rivolgendosi nuovamente alla figura della sua “sposa” davanti a sé.

“-Ho fatto come mi hai chiesto: il Baku se n'è andato.-”

A quel punto “Maki” si mosse: la barriera verde perse elettricità e scoppiò come una bolla di sapone mentre la ragazza si muoveva verso il bagno asciuga, i suoi corti capelli si fecero più lunghi e la sua voce, per quanto rimase femminile, cambiò decisamente tono.

-Bene. Ora possiamo parlare. Ti propongo un accordo, Orochi.-

Intanto Takeshi stava continuando a correre nell'oscurità di un sonno senza sogni i incubi, una grande galleria oscura che non portava da nessuna parta.

Il demone si trovò completamente spaesato: se davvero Maki non era lì nel mondo onirico, dov’era?! E soprattutto perché non poteva raggiungerla?! Lui ora cosa doveva fare?!
Non gli era mai capitato qualcosa del genere e si sentì sopraffare: era solo, debole in un mondo dove il rischio di smarrirsi era molto alto. Aveva mancato al suo compito e la sua dea poteva essere in pericolo; provò a concentrarsi, a richiamare a sé la sua metà demoniaca e strinse i denti mentre si faceva avvolgere dalla sua aura dorata.
La chiamò, la supplicò, la invocò fino a gridare e creare un secondo colpo di energia, che si disperse in quell’oscurità assoluta; ma niente, continuava a rimanere solo.
Si guardò intorno, ma vide solo buio.

Provò ad ascoltare, ma c’era solo silenzio.

Si guardò e notò che il suo corpo stava iniziando a diventare trasparente, segno che presto si sarebbe svegliato.

Un baku incapace di dormire, di vagare nei sogni, e di proteggere la sua signora. Un totale disonore.
Respirò mentre delle lacrime dolorose iniziavano a scivolargli sul volto, cadendo e scomparendo a loro volta nel buio, e chiuse gli occhi, sdraiandosi di schiena e coprendosi con gli avambracci, preparandosi a svegliarsi sconfitto, sconvolto e sconfortato.
-Aspetta, non svegliarti.-
Una voce. Qualcuno gli aveva parlato?! Possibile?!

Si scoprì il volto, gli occhi spalancati, ancora coperti da un velo di lacrime; sopra di lui quello che a prima vista pareva un fantasma, o uno spirito: era impalpabile e bianco come una nuvola, ma luminescente, di un color argento. Aveva un volto e un corpo ma non si riusciva a definire se fosse maschio o femmina; gli abiti erano antichi e maschili ma i capelli erano sciolti e lunghi come quelli di una ragazza, di un color bianco argento. Gli occhi erano baluginanti e fermi in un’espressione di torpore e preoccupazione.

Una mano, lenta, si avvicinò al ragazzo.
-Sei triste?-
Takeshi riuscì solo ad annuire.
Un sorriso, piccolo ma tenero, si formò sul volto pallido e la mano si fermò a pochissima distanza dal volto del Baku, non toccandoglielo anche se sembrava volergli asciugare le lacrime.
-Non preoccuparti: ti sei solo perso, in questo e nel loro mondo è facile perdersi, specie quando non si è del tutto completi. Come te e me, giusto?
Ma adesso ti aiuterò a ritrovare la strada.-
La figura, con grande calma, si mise dritta con la schiena, e la stessa mano che aveva provato a sfiorare il volto di Takeshi si rivolse all’oscurità, e parve indicare una direzione; da sotto di loro fiori bianchi iniziarono a sbocciare, i petali erano piccoli ma bianchissimi, formando davvero un percorso, una piccola strada che si muoveva in quel fitto nero, perdendosi ma continuando a illuminare il cammino.
Sawada si alzò in piedi, stupito mentre la figura al suo fianco abbassava la mano, unendola all’altra e rivolgendo di nuovo la parola al ragazzo.
-Segui la via. Ti riporterà da lei.-
Lei? Proprio … lei? Colei che Takeru stava cercando?

Non lo disse a parole, ma si espresse con tutta la forza del suo sguardo; la pallida figura sorrise ancora una volta, sempre con gentilezza.
-Ma certo che si tratta di lei. Dopotutto è la mia amata sorella, e tu mi avevi promesso che l’avresti protetta.-
-Te … l’avevo promesso?-

-Sì. Tu...e tutto il tuo clan, molto tempo fa. Non ricordi?-

“-Ti affido mia sorella. Dovrai proteggerla, capito? -”

-Immaginavo che anche tu avresti incontrato degli imprevisti.

Dopotutto sei l’ultimo del tuo clan, e quando si è da soli, è difficile riuscire a superare le difficoltà. Specie se sono stato io stesso a causartele.-
Lo sguardo dello “spirito” s’intristì, come se le sue stesse parole gli avessero richiamato alla mente qualcosa di spiacevole, e Sawada abbassò lo sguardo imbarazzato, sentendosi in parte responsabile del suo cambio di umore ma troppo confuso da quello che gli stava dicendo.

Lo sconosciuto però gli parlò ancora, stavolta con più decisione.
-Mi dispiace averti portato a tutto questo, ma tu sei la mia unica speranza: solo tu puoi aiutare mia sorella, proteggerla da me stesso.-
-Da te stesso? Che vuoi dire?-
La luce color argento cominciò a spegnersi e lo spirito si guardò le mani, accorgendosi che stavano iniziando a svanire.
-Non mi resta molto tempo, devo tornare indietro prima che si espanda e la prenda.-
-Di che parli? Chi prende cosa? Chi sei?-
-In questo momento non è importante, Sawada.-
Lo ammonì, ma ancora una volta con incredibile gentilezza.

Quell’essere sembrava incapace di poter fare male a qualcuno, eppure aveva appena affermato che il Baku doveva proteggere sua sorella da lui.
Lo sguardo dell’essere si fece quasi supplicante.
-Ti prego, ti prego: proteggi mia sorella. È ancora presto, i suoi poteri e i suoi ricordi non si sono risvegliati completamente e purtroppo nella mia forma non resisterò molto a lungo. Già adesso io la sto frenando...-
Diventava sempre più trasparente, sempre più invisibile; Sawada fece un passo avanti verso di lui, provando a prenderlo.
-Aspetta!-
-Va Sawada. Va da lei. Presto!-
E scomparve, come fumo bianco.

Ma la scia di fiori continuò a restare davanti ai piedi del Baku.

Ancora confuso ma confortato da quella luce color argento, il ragazzo partì a correre, seguendo il percorso luminoso.
Il cuore iniziò a battergli, e non per la corsa: l’avrebbe ritrovata, l’avrebbe finalmente ritrovata. Non era stato tutto un suo abbaglio, una sua illusione. Finalmente, dopo anni in cui si era sforzato di non perderne l’ultimo frammento di ricordo, sarebbe riuscito ad incontrarla e magari a capire perché era solo, perché non ricordava più niente e se davvero era l’ultimo come gli aveva detto lo spirito.
L’orizzonte non esisteva, in quel mondo onirico, ma Takeshi sapeva che prima o poi quel sentiero sarebbe arrivato ad una fine.

Le sue orecchie, all’improvviso, sentirono un rumore in lontananza e accellerò la corsa, rischiando anche d’inciampare.
Quando riconobbe il suono, gli si mozzò il fiato: era una risata.
Una folata di vento lo mise in allarme e si schermò il corpo con un braccio, preparandosi ad affrontare un nemico; invece, con sua somma sorpresa, si trovò “bagnato” da una pioggia di luce e petali, sembrava neve d’inverno e pioggia d’estate unite assieme.
Alzò lo sguardo, ma vide che sopra di lui c’era ancora l’oscurità e non si vedeva la fonte di quella “nevicata”; era quello a cui si riferiva lo spirito? La mancanza di ricordi impediva a lei di non avere un sogno completo?
Sentì ancora una volta delle risa e abbassò lo sguardo, il cuore aveva ricominciato a battergli con forza nel petto.
Una manciata di colori esplosero davanti ai suoi occhi, un arcobaleno parve roteare proprio di fronte a lui e, avvicinandosi, capì che erano gli strati di un Junihitoe, il fondo bianco del vestito e lo sfondo scuro del sogno facevano risaltare il rosso, il verde e il viola.
Mai, come in quel momento, Takeshi si sentì prendere dal panico e dall’emozione: era davvero lì, davanti a lei.

Come sarebbe stata? Che aspetto aveva? Sapeva di lui? Lo avrebbe riconosciuto? Strinse i pugni, temendo di esplodere dall’emozione, e fece qualche passo in avanti.
La ragazza rise ancora e s’inginocchiò verso destra; lui si voltò a guardare e quale non fu la sua sorpresa nel vedere un Baku avvicinarsi a lei, dal manto dorato e l’aria pacifica.
Un … un Baku, come lui. Ma lui era l’ultimo … allora quella, quella … era la sua forma demoniaca.
-Baku …-
Vide la ragazza abbracciarlo, accarezzarlo e Takeshi non seppe trattenersi: pianse, sollevato, come un bambino. Si sentiva … incredibilmente felice.
A quel punto la figura parve notarlo e si voltò verso di lui, ma il ragazzo si schermò con le mani, ancora piangente, non voleva certo che lei lo vedesse in quello stato, era imbarazzante; provò a calmarsi, ma le emozioni erano tali che quasi non riusciva a respirare.
Finalmente, finalmente …
-… Sawada?-
Quella voce riuscì ad interrompere i suoi singhiozzi. No, non poteva essere.
Tolse le mani dal volto … e si svegliò.
Era stato talmente tanto intenso quel momento, talmente forte … che non era riuscito a mantenere il controllo e si era svegliato.
Aveva ancora le lacrime che gli scivolavano sul volto e un’espressione totalmente sconvolta che, pian piano, divenne prima di stizza, e poi di totale imbarazzo.
Ma possibile?! Possibile che in un simile momento fosse stato così imbranato?!?!?!?!?!?

   
 
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