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Autore: xingchan    30/08/2018    4 recensioni
"[...] prima che potesse scivolare nel mondo dei sogni una luce improvvisa rossa come il sangue le avvampò davanti alle palpebre abbassate provocandole se non dolore, qualcosa che rassomigliava ad un fastidioso e potente fuoco che la investì in pieno."
[Post Manga; Lieve OOC]
Genere: Angst, Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Jaken, Kohaku, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Finché non si chiudono gli occhi


Le braci ardenti del fuocherello scoppiettarono con forza, come se volessero richiamare l'attenzione di Rin per invitarla a riavviare la fiamma. Attenta a non far cadere a terra gli iris blu che aveva in grembo, la ragazza fece quanto implicitamente suggerito: gettò nel mezzo due rametti secchi e li rimestò cautamente con un terzo. Era stato Jaken stesso a raccoglierli, proprio per far fronte alle sue esigenze contro il freddo della notte - e tutto questo senza che Sesshomaru gli ordinasse di farlo. Più tardi il piccolo kappa si era accasciato davanti al fuoco, aveva mangiato un po' del pesce che lei e Kohaku gli avevano offerto e si era trascinato sul manto morbido di Kirara per finire addormentato immediatamente dopo. 
Essendo un demone, il suo aspetto non era mutato di un giorno ma la ragazza aveva l'impressione che fosse decisamente più esausto: si era lamentato apertamente di Sesshomaru - quando anni prima faceva la stessa, identica cosa di lei - facendole intendere quanto il demone fosse diventato intrattabile nei suoi confronti. D'altro canto però nelle ultime ore si era dimostrato seriamente preoccupato di ciò che le stava succedendo, esattamente come lo erano Sesshomaru e gli altri. Questo le dava motivo di credere di come il kappa in fondo fosse sempre stato premuroso con lei.
La giovane posò un'occhiata distratta nella direzione dove si erano accampati, e lo vide russare della grossa insieme a Kohaku, rivestito della sua tenuta da sterminatore per essere pronto al minimo inconveniente. Rin sospirò, distogliendo lo sguardo arrabbiato dal giovane. Quell'atteggiamento sconsiderato del ragazzo la preoccupava molto, perché in cuor suo sapeva perfettamente che questo lo avrebbe portato in guai seri, se non peggio. Rin ammetteva a se stessa di non poter capire fino in fondo cosa si provasse a portarsi una colpa così grande per il resto della vita, ma per tantissimo tempo aveva sperato che un giorno Kohaku avrebbe fatto pace con se stesso e con i sentimenti contrastanti che nutriva per la sorella. Ora però, più di ogni altra cosa, sperava che non gli capitasse niente di male. 
Sospirò di nuovo, e tastandosi distrattamente i capelli si rese conto di avere alcune ciocche ribelli ancora piuttosto umide. La pesca improvvisata li aveva resi fradici insieme al kimono così se li portò al petto per offrirli al calore del fuoco, per poi districarli con le dita come le aveva insegnato Kaede insieme a tante altre cose. 
Rin aveva appreso tantissimo grazie alla vecchia sacerdotessa, e molte di queste lezioni erano incentrate perlopiù sulle attività che coinvolgevano il suo stesso ruolo come la classificazione e la preparazione di piante medicinali, il combattimento con l'arco e il saper leggere e scrivere. Rin trovava la conoscenza delle erbe medicinali molto più utile rispetto a tutto il resto: tantissime volte aveva visto bambini e adulti riprendere salute e vigore dopo aver assunto la pianta giusta, e altrettante volte si era curata lei stessa, che fosse colta da un'infezione o da un più banale raffreddore. Finché aveva reso la cura per se stessa qualcosa che prescindeva dalla sua persona, e tutto per lo stesso identico motivo: se le fosse successo qualcosa di grave, seppure una febbre fosse degenerata in morte, non avrebbe più rivisto Sesshomaru; e conseguentemente a ciò lui non avrebbe più potuto farle visita ed un giorno arrivare per prenderla con sé. Sebbene fosse oramai dotata di conoscenze impartite dalle più importanti sacerdotesse della zona di Musashi - a parte i poteri spirituali - e fosse pronta per affrontare da sola il mondo esterno in tutte le sue forme, aveva basato la sua vita sul pensiero della promessa formale di Sesshomaru e vedere quel progetto dissolversi nel vento della morte sarebbe stato difficile da sopportare, specialmente per lui. 
Ora però le sembrava che tutti quegli sforzi fossero stati totalmente inutili. La sua mente ritornò immediatamente all'illusione, a quei volti diventati ormai ignoti dei suoi genitori e dei suoi fratelli, a quelle grida acute che aveva sentito da loro e che per qualche arcano motivo non avevano mai abbandonato i suoi sogni più angoscianti: quella vita che adesso non le apparteneva più si era ripresentata alle sue porte, facendola ripiombare nell'orribile trauma da cui era ormai guarita; e dalle parole del maestro Miyoga e del maestro Totosai c'erano poche probabilità che lei riuscisse a scamparla. 
Ebbe l'impressione vivida di vedere gli iris blu che aveva raccolto con Kohaku sfiorire velocemente proprio come i fiori gialli di Jukai. Le venne l'impulso soffocante di mettersi ad urlare: la voce però le morì in gola, e lei rimase ferma, immobilizzata dal terrore, con le mani sospese a mezz'aria ritirate quanto più possibile dai fiori. 
Ma sembrò riacquistare subito le proprie facoltà motorie, perché in un lampo di piena e consapevole lucidità gettò i fiori nello stagno, per poi prendersi il viso fra le mano soffiando via dalle labbra un singulto. 
Perfetto. Ora li vedo anche da sveglia!
Con il cuore che le batteva come se fosse impazzito, sentì alcune lacrime pizzicarle gli occhi. Ma prima che potesse concedersi libero sfogo udì dei passi lenti e leggeri avvicinarsi che lei riconobbe immediatamente. Si asciugò in fretta le lacrime rimaste intrappolate agli angoli degli occhi, e voltandosi si rese conto che Sesshomaru aveva posato uno sguardo contrariato sul giovane sterminatore placidamente addormentato. 
"La mia decisione di venire a controllare Kohaku di persona è stata saggia, a quanto vedo."
"Lascialo dormire, Sesshomaru. Ha perso molte energie, poveretto." 
Il demone fece suo malgrado come suggerito, e la ragazza lo vide spostare la sua attenzione al bordo dello stagno per osservare i fiori che lei aveva gettato via, sparsi fra i fiori di loto colorati; e Rin intuì subito che Sesshomaru doveva aver interpretato un simile gesto da parte sua come una prova inconfutabile del suo malessere, dal momento che sapeva che lei amava i fiori sin da bambina e che mai li avrebbe gettati se non fosse stato necessario.
Rin avrebbe tanto voluto ricevere un cenno consolatorio da lui, ma non poteva di certo pretenderlo, non in quel momento così critico. Sesshomaru aveva altro a cui pensare: ad intercettare sua madre per avere la pietra Meido ed informazioni su Noroi innanzitutto, e se era tornato senza dire una parola e senza svegliare tutti per spronarli a seguirlo significava soltanto che non ci era riuscito per il momento, ed il suo silenzio indicava che fosse nervoso. Non lo si poteva leggere dall'incurvatura delle sue labbra, né da un qualsiasi segno del suo corpo, però Rin sapeva che quando Sesshomaru era indispettito il taglio già sottile dei suoi occhi si allungava, e l'increspatura nel mezzo si accentuava nello stesso istante in cui la mascella si serrava, seppure di poco. 
Per un istante il pensiero che fosse in quelle condizioni per lei - ancora di più che stesse cercando sua madre nonostante a casa di Kaede avesse espresso un certo disappunto all'idea di vederla - le riempì il cuore di tenerezza; e quel senso di calore nel petto sembrò traboccare nel momento in cui Sesshomaru le si sedette accanto. 
Però tentò di non rendere troppo evidente la felicità per quel gesto così semplice continuando ad asciugarsi le punte dei capelli. 
Non poteva lasciarsi andare a sentimentalismi simili, non quando aveva provocato grane a Sesshomaru. Non era pentita di ciò che aveva fatto - come poteva, d'altronde? Aveva salvato una vita e non poteva essere più fiera di così - ma non sapeva che quella spada potesse ospitare un potere in grado di infliggerle un simile dolore e che questo Noroi - cominciò ad odiare quel nome - fosse con tutta probabilità tornato in vita e avesse così ripristinato l'accesso a Jukai su Tenseiga. 
Vide la spada guaritrice fare compagnia a Bakusaiga al fianco di Sesshomaru, come tanto tempo addietro, e lasciò andare un sospiro affranto.
"Mi dispiace" mormorò con voce sottile.
Proprio quando Sesshomaru era ritornato per portarla con sé dopo un'attesa durata molto più di quanto dettasse la sua maturità sessuale lei rovinava tutto: aveva rovinato quella mattina da soli alla radura, aveva distrutto ciò che aspettava da una vita intera e aveva procurato altri problemi a Sesshomaru invece di alleviare quelli che sicuramente già popolavano la sua esistenza di Signore delle Terre dell'Ovest. 
"Non è stata colpa tua."
Lapidario - come sempre, del resto - ma a Rin non era sfuggito affatto quella leggerissima sfumatura di irritazione, così come aveva colto il movimento fin troppo veloce delle braccia che si incrociavano nelle maniche del suo kimono. Scosse la testa, torturandosi nervosamente i capelli: era stanca di essere sempre giustificata. 
"Jaken ha ragione quando dice che sono un'ingrata."
"Jaken dovrebbe tenere il becco chiuso."
"Ed anche Kohaku ha ragione quando dice che sono una stupida."
"Quell'umano ha voglia di finire ammazzato fin da ragazzino."
La ragazza si voltò, controllando se Kohaku casualmente fosse sveglio e avesse sentito le loro parole. Ma non lo era - anzi, era sprofondato nel pelo di Kirara con la bocca spalancata dalla stanchezza - e Rin ritornò a voltarsi in direzione di Sesshomaru. 
"Vuole la redenzione per i suoi crimini, ma non è mettendosi in costante pericolo che riuscirà a trovarla" rispose tristemente.
Sesshomaru non replicò, continuando a fissare un punto indefinito davanti a sé; ma ora era spuntata una nota pensierosa nel mezzo del suo volto affilato. Per qualche secondo Rin si perse nel rosso del fuoco che gli colorava i capelli, la coda, gli abiti - ogni angolo in cui la luce della fiamma aveva la sfacciataggine di posarsi su di lui - ma una strana associazione con il colore del sangue le allertò i sensi distogliendola da quella che era diventata una consuetudine in quelle poche volte che erano riusciti ad incontrarsi - rimanere incantata ad osservarlo fra una battuta e l'altra finché non avvampava come una sciocca. 
Un brivido di paura le salì lungo la spina dorsale, e i sensi demoniaci di Sesshomaru dovevano averlo avvertito immediatamente, perché il demone ruppe la sua posizione statuaria per voltarsi verso di lei con aria preoccupata. 
"Non è stato niente!" disse Rin quasi urlando, ma il tentativo di rassicurarlo fu troppo energico e troppo spaventato perché qualcuno - chiunque - le potesse credere. 
"Non lo metto in dubbio" replicò lui, ma a Rin quella risposta suonò così impercettibilmente pregna di sufficienza che si sentì in dovere di smentirsi ulteriormente, che quel colpo di paura non era stato nulla per cui preoccuparsi e che non c'era motivo di darsi pena per un'emozione che poteva tranquillamente tenere sotto controllo da sola.
Che ormai era cresciuta e maturata, e non solo fisicamente.
"Ma insomma! Non sono più una bambina spaventata!" 
Sesshomaru allargò un poco le labbra in un sorriso, posando dolcemente la mano sulla sua testa. L'attirò altrettanto delicatamente a sé fino ad averla avvolta nel suo abbraccio, e sebbene fosse un po' imbarazzata e avesse ancora una volta inconsapevolmente ancorato le dita all'armatura Rin si lasciò andare a quel gesto - così semplice, eppure così ardentemente desiderato - perché niente sarebbe stato più rasserenante per lei di Sesshomaru che la cingeva con le sue braccia marmoree. Il calore di Sesshomaru aveva lo stesso effetto del sole che riscalda la neve fino a scioglierla, e Rin credette di sciogliersi sul serio quando finalmente sentì la tensione distendersi e farsi strada dentro di lei qualcosa di più tenero e più forte allo stesso tempo. 
Sesshomaru affondò il viso fra i suoi capelli, e dopo un attimo di sopresa iniziale Rin trovò l'audacia di gettargli le braccia al collo, sorridendo fra sé. Dopo aver rivisto tutto quell'orrore, si sentiva decisamente rincuorata. 
"Non hai nulla di cui avere paura."
Sesshomaru soffiò piano nel suo orecchio con una cadenza consolatoria e rabbiosa insieme, e nello stesso istante le carezzò la schiena salendo lentamente con la mano fino ad infilare le dita affusolate fra i suoi capelli all'altezza della nuca, per poi premere piano per condurre il suo sguardo di pece in direzione del suo, chiaro e liquido come la luce del mattino. 
Quelli che vide erano occhi che la bramavano e che la tenevano stretta nella loro incondizionata adorazione; e inavvertitamente Rin si sentì diversa, come se in quell'istante per Sesshomaru ci fosse solo lei. Niente più preoccupazioni, niente più demoni o esseri umani, niente di niente.
Il martello nel suo petto prese a farsi più dirompente e doloroso, tanto che poteva udirlo direttamente nelle orecchie, rubandole con forza le parole che Sesshomaru le aveva mormorato. Nel mentre le sue mani continuarono a lambirle piano i capelli fino ad arrivare a raccoglierle il viso, mandandolo letteralmente a fuoco. 
"Farò tutto ciò che è in mio potere per liberarti." 
Al pensiero che lui fosse pronto a mettere tutto a sua disposizione una lacrima carica di commozione le cadde lungo la guancia, e subito Sesshomaru calò la testa per raccoglierla con la punta calda della sua lingua. E sarebbe stato meglio se non l'avesse fatto, perché a quel gesto così intimo Rin perse completamente quel già misero barlume di raziocinio che le era rimasto. 
Ma Sesshomaru non si fermò: unì la sua fronte con quella di lei, per poi fare lo stesso con i loro respiri caldi e densi fino a farli diventare uno solo. Rin avvertì immediatamente il desiderio che vi scorreva, scoprendo che era lo stesso che lei aveva covato per anni nel cuore delle notti di Musashi e rimasto in silenzio per non farlo esplodere. 
Le sue palpebre si fecero incredibilmente pesanti e la sua mente diventò completamente leggera, svuotata da ogni cosa e carica soltanto della strana e avida sensazione di pretendere fino in fondo ciò che lui aveva cominciato. E Sesshomaru la esaudì, carezzandole le labbra con le sue finché non proseguì quel contatto con la lingua. 
Completamente ammaliata dalle sue attenzioni, Rin rispose schiudendo le labbra per accoglierlo dentro; e le carezze della sua lingua calda erano troppo forti e troppo sconvolgenti perché lei potesse trattenersi dall'avvicinare il viso di Sesshomaru con una mano per incitarlo ad approfondire e con l'altra dall'aggrapparsi alla sua spalla per non cedere. Fu come se Sesshomaru non aspettasse altro, perché si insinuò ulteriormente nella sua bocca, ringhiando sommessamente dal profondo della gola, con il controllato desiderio iniziale che si trasformava in impazienza, in foga crescente. 
Anche se priva di esperienza, la ragazza tentò di riversare in quel primo bacio tutto l'amore che aveva dovuto reprimere per anni, ma il bisogno di aria la costrinse a gemere contro la bocca di Sesshomaru, e lui la lasciò immediatamente andare, per poi morderla piano con le zanne lungo la linea del viso e lenirla immediatamente dopo, leccandola con un trasporto sempre più languido, sempre più flebile. 
Rin si rese conto che Sesshomaru si stava progressivamente calmando, così alzò il mento in una muta richiesta di proseguire quel gioco dolce e irruento insieme, ma era troppo stordita anche solo per potersi rendere conto che lui l'aveva allontanata da sé; e quando ad un tratto percepì l'assenza del suo alito caldo sul suo collo fino a scomparire aprì gli occhi, scoprendoli offuscati dal desiderio. 
Doveva essersi disegnata sul viso bollente un'espressione di disappunto ridicolmente buffa, perché Sesshomaru emise un verso molto simile al suono di una risata trattenuta.
"Avevi bisogno di respirare" spiegò atono. "E comunque, Kohaku si sta svegliando."
Lo guardò con perplessità, voltando meccanicamente il capo verso il resto del gruppo accampato a poca distanza da loro. Vide Jaken stiracchiarsi vistosamente e lo sterminatore voltarsi su di un fianco e sbadigliare, e non sapeva proprio dire cosa fosse più consono in un frangente simile - se approfittare ancora dei pochi minuti a disposizione o seguire il pragmatismo di Sesshomaru. 
"Voleremo a palazzo non appena mia madre riconoscerà il mio richiamo."
"Va bene."
Rin gli regalò un sorriso prima di rimettersi faticosamente in piedi ed andare ad avvertire i suoi compagni, ma dovette arrestarsi di colpo perché avvertì un dilaniante squarcio spaccarle in due la testa, mozzandole il respiro. 
Rammentò con sgomento la sensazione di morte di Jukai, mentre veniva legata ancora una volta da spire fatte di tenebra; e ogni cosa - lo stagno, il fuoco, persino la figura bianca di Sesshomaru - si oscurò finché nella sua visuale comparvero le venature sinuose della corteccia di un albero. 
Il terrore ebbe la meglio, e Rin sentì i suoi polmoni esplodere in un acuto grido di paura. 



L'inizio della primavera era il periodo in cui Rin accompagnava Kaede quasi tutti i giorni nella foresta per poter fare rifornimento di erbe medicinali da essiccare durante l'estate e conservare durante l'inverno. 
L'inizio della primavera era anche il periodo in cui Rin lasciava Ah-Uhn libero di potersi muovere e di potersi rifocillare come e quanto voleva. E perché no, anche di potersi trovare un compagno. 
Con la cesta sulle spalle, Rin lo vide girovagare per la foresta e chinare di tanto in tanto le teste per poter annusare una pianticella per verificare se fosse commestibile. 
"E' la stagione degli amori!" ridacchiava sempre Kagome quando si schiudevano i primi fiori di ciliegio, e puntualmente Rin si ritrovava a pensare che no, quel genere di cose non le si addicevano nonostante avesse un'indole abbastanza romantica e avesse oramai raggiunto un'età da marito.
Avere quattordici anni significava essere pronte per diventare mogli e madri per la maggior parte delle donne del villaggio, ma quelli che si svolgevano erano quasi sempre dei matrimoni combinati fra famiglie. Secondo Kaede quattordici anni erano troppo pochi, ma era così che andava il mondo. 
Ma quel rito obbligato per una qualsiasi ragazza non riguardava Rin. Lei era una protetta di una sacerdotessa, non una semplice allieva: nessuno l'avrebbe mai obbligata a unirsi in matrimonio con un giovane scelto da altri. Nessuno l'avrebbe mai forzata a vestirsi di un kimono nuziale, né a presentarsi con le guance rigate di lacrime silenziose al tempio dopo aver implorato per tutta la notte precedente la propria famiglia di origine di non cederla a nessuno.
Nessuno l'avrebbe mai costretta ad avere la sorte delle ragazze della sua età. 
Rin non avrebbe mai avuto la sorte dell'ultima sposa del villaggio, Kaoru. Kaoru era una ragazza allegra e bellissima, una delle poche ragazze del villaggio di Musashi - se non l'unica - che non considerasse la protetta della sacerdotessa una demone, anche se i suoi genitori le avevano comunque proibito di rivolgerle la parola. 
Aveva gli occhi grandi ed era esile come un uccellino, proprio come Rin. Era corteggiata apertamente nella stessa misura in cui Rin era ammirata silenziosamente. Il suo sorriso sembrava riempire di luce una casa intera, tant'era luminoso. Rin credeva di averci perso la testa, per quel sorriso. 
Quel sorriso però, si era spento. 
La notte delle nozze di Kaoru, Rin e Kaede avevano sentito delle urla disperate squarciare il silenzio appena poche ore dopo i festeggiamenti. Avevano creduto che fosse un attacco di un demone malvagio, così avevano afferrato i loro archi e le loro frecce per poi sgusciare via dalla capanna, guidate da Inuyasha accorso anche lui come alcuni abitanti di Musashi in risposta a quell'orribile suono di dolore verso la casa della coppia. 
Una volta dentro avevano visto Kaoru con il volto pallido, gli occhi vacui e del sangue che partiva dalle parti intime sporcare il futon nuziale. 
Nonostante fosse ancora troppo piccola per capire cosa fosse successo, Rin si era fatta coraggio nonostante la terribile scena e si era avvicinata accanto al corpo della ragazza, prendendole una mano abbandonata per non farla sentire sola. Nel frattempo Kaede aveva ordinato ad un uomo di andare a prendere dell'acqua fresca e dei semi di papavero per anestetizzarla. 
Il marito di Kaoru, Souma - uno dei nove pastori del villaggio - non sembrava affatto spaventato di fronte a quello scempio: con un sorrisetto soddisfatto dipinto in volto, aveva fissato Rin a lungo puntando i suoi occhi freddi addosso a lei, sul suo seno, sui suoi fianchi. E Rin si era sentita a disagio, come se fosse stata completamente nuda.
"Che diavolo di uomo sei?" 
Kagome lo aveva ripreso, furibonda come poche volte, e Inuyasha lo aveva trascinato fuori urlandogli in faccia quanto fosse stato un emerito bastardo per non aver avuto rispetto nei riguardi di Kaoru e per averla presa con la forza.
Presa con la forza. 
"Cosa vuol dire?"
Kaede non aveva risposto a quella sua domanda, ma lo aveva fatto Kagome per lei - e Rin apprezzava molto il fatto che lei fosse decisamente più diretta. Ma non quella volta, affatto. Quella volta avrebbe fatto meglio a tacere. 
"Significa che è stata violentata."
"Mia piccola Rin" aveva detto Kaoru con voce debole, prima che i semi di papavero facessero effetto "spero con tutto il cuore che il tuo demone bianco sia gentile con te." 
Quale demone bianco? Si riferiva forse ad Inuyasha? Ma lui era solo un fratellone, per lei, al pari di Kohaku.
Rin poggiò la cesta e raccolse tristemente da terra una manciata di fiori di ciliegio caduti dal proprio albero, portandolo al naso per inspirarne il profumo. Avrebbe voluto raccogliere la bella e dolce Kaoru violentemente calpestata, avrebbe voluto salvarla dall'abisso di angoscia e delirio in cui era finita e ridonarle quel sorriso per cui tutti avrebbero fatto follie. 
Chissà se Kaede le avrebbe permesso di portarglieli, nonostante tutto quel lavoro con le erbe da sbrigare. 
Probabilmente no. 
La sera scese di colpo - o forse era lei che non si era accorta dell'ora tarda? - e la vecchia sacerdotessa chiamò il suo nome da una distanza che a Rin parve davvero considerevole.
Rin ripose i fiori nella cesta delle erbe e la recuperò per caricarsela velocemente sulla schiena. Si affrettò per arrivare al punto in cui Kaede l'aveva chiamata, oltrepassando gli alberi contrassegnati da alcune incisioni, rispondendo con la voce per rassicurare la sacerdotessa. 
Ma si rese conto che la voce non riusciva ad uscire. 
Per una frazione di secondo credette con sgomento di averla nuovamente persa - proprio come quando da bambina l'aveva persa per aver assistito all'assassionio della sua famiglia - ma non ebbe il tempo materiale per realizzare pienamente ciò che le stava succedendo, perché un braccio la afferrò con violenza da dietro serrandole la gola, e una mano le tappò la bocca nel tentativo di impedirle di urlare - ma come poteva farlo, se la voce non l'aveva più?
"Sta' zitta, piccola" sibilò una voce minacciosa nelle sue orecchie che lei riconobbe come quella di Souma. "Vediamo cosa succede quando si prende con la forza una principessa dei demoni!"
Strattonò via la cesta, spargendo il lavoro di un'intera giornata a terra - spargendo i fiori che lei aveva colto per Kaoru - e prese ad armeggiare con l'obi del kimono. Non essendo quello di Rin un capo di abbigliamento comune al villaggio, Souma stava impiegando un lasso di tempo molto ampio per slacciarlo; e chiamando a raccolta il suo coraggio e sangue freddo, Rin utilizzò quel tempo afferrando il coltellino delle erbe che aveva nella manica con la mano libera e ferendo Souma alla coscia con un taglio secco e poco profondo. Ne rimase turbata - sebbene fosse poco grave, una ferita simile necessitava di un intervento tempestivo - ma ringraziò comunque mentalmente Kohaku, Kagome e le loro lezioni di combattimento mentre si preparava a correre il più lontano possibile per lasciarsi alle spalle le urla di dolore del giovane pastore. 
"Rin!"
"Rin!"
Le voci di Kaede e Inuyasha le diedero nuovo slancio nella corsa, ma inavvertitamente venne afferrata di nuovo, stavolta per il braccio, e voltata con forza brutale verso il viso di Souma contratto in un ghigno feroce. 
"La sacerdotessa e il demone non riusciranno a proteggerti."
Le inflisse uno schiaffo talmente forte che la mandò a terra facendole lacrimare gli occhi, e d'un tratto sentì la propria voce farsi strada strisciando come un serpente nella sua gola. Urlò con quanto fiato avesse il nome di Inuyasha e di rimando udì distintamente la risposta del fratellone. 
"Sto arrivando, Rin!"
Ne fu rincuorata, ma il sollievo si dileguò quasi istantaneamente.
Vide l'aspetto di Souma cambiare, la sua pelle andare a fuoco e consumarsi come una pergamena mandata alle fiamme, e alzarsi fino a scoprire i fasci di fibre muscolari rosso bruno che celava al di sotto della pelle, lasciando che il sangue racchiuso fuoriuscisse a pioggia andando a bagnare il terreno davanti a lei.
Rin rimase seduta a terra ad assistere alla scena, totalmente paralizzata dal terrore, mentre Inuyasha arrivava con un salto, e scostava via con un'artigliata quell'immagine dalla sua vista, infliggendole lo stesso, lacerante dolore striato e totalizzante che stava riservando a Souma in quel momento. Il sangue di Souma le schizzò sul kimono blu ornato di piccole carpe rosse e bianche. Rin tentò di pararsi il volto con le mani ma fu troppo tardi: sentì il sangue macchiarle la pelle, e quando vide con i suoi occhi le sue mani ormai sporche, il liquido denso e rosso le corrose la pelle. Atterrita, alzò lo sguardo in direzione di Inuyasha, scoprendo che il suo viso era deformato in una smorfia di rabbia. 
Inaspettatamente, una breccia luminosa si aprì davanti a lei, e la collera del volto di Inuyasha si trasformò in disorientamento, e contemporaneamente i suoi tratti mutarono in quelli di un altro demone - Sesshomaru - con un'espressione altrettanto destabilizzata. 




Si ritrovò fra le braccia di Sesshomaru con la fronte imperlata di sudore, il fiato corto e le guance rigate di lacrime mentre l'immagine di Souma le tormentava ancora i pensieri. Si tastò la guancia, laddove Souma l'aveva colpita nell'illusione, sentendola dolorante sotto il tocco della sua mano. Ciò che le fece più male però fu il lamento di Tenseiga, e lo sguardo confuso del demone mentre la aiutava a rimettersi in piedi e la lasciava freddamente fra le braccia di Kohaku. 
Voltò il capo in direzione di Sesshomaru ma lui non la degnò neanche di un'occhiata. Così lo guardò per un tempo che le parve interminabile, cercando di intercettare il suo sguardo che però non voleva saperne di incontrare il suo; e dall'espressione risentita resa ancora più profonda dall'austerità della sua figura, Rin comprese.
Sesshomaru aveva visto ogni cosa, non c'erano dubbi. 
Aveva visto un episodio importante della sua vita al villaggio di Musashi che lei non gli aveva mai raccontato, che aveva preferito tenere per sé per cause di forza maggiore; ed ora doveva essere ferito e decisamente deluso da lei. Ma per quanto stranamente non si sentisse in colpa, Rin si aggrappò con forza alla tenuta dello sterminatore; e nel momento in cui lui la strinse con maggior forza invocò flebilmente il nome di Sesshomaru, sperando erroneamente che l'udito sviluppato del demone lo tradisse esattamente in quel momento. 
"Oh, niente onorifici?" disse una voce femminile vagamente familiare. 
La ragazza si voltò all'indirizzo di quella voce, così come fece Jaken, e rivide con genuino stupore la madre di Sesshomaru: anche se nella mente di Rin il suo viso era oscurato dal tempo, ricordava che le sue fattezze erano molto simili a quelle di Sesshomaru.
"Esatto."
Sesshomaru rispose alla madre con un vago tono di sfida, e d'istinto gli occhi di Rin si spostarono frenetici su di lui, cercando ancora una volta invano un contatto visivo.
"Sospettavo che i kimono fossero per quell'umana" proseguì lei sospirando. "Avresti potuto scegliere fra le ragazze demoni da me indicate, invece di dare la tua fedeltà ad una come lei."
Per Rin fu una stilettata colma di divertita sufficienza, come se, più che non approvare l'unione di suo figlio con lei ne avesse fatto una relazione priva di ogni valore, incentrandosi su un discorso che prevedeva delle candidate ad un matrimonio combinato. 
Proprio come accade fra gli esseri umani.
"Mi sembra di averti già detto che non ho intenzione di incontrare nessuno che mi proponga un contratto di questo genere." 
"Sai che a me andrebbe bene se tu decidessi di non farlo" replicò la sua interlocutrice. "Continuerei ad avere il dominio sui Territori dell'Ovest, anche se dovrò continuare comunque a condividerlo con te."
"Bando alle sciocchezze, madre" replicò freddamente - con un tono quasi ostile - il suo interlocutore. "Voglio la pietra Meido, e delle informazioni." 
"L'hai lasciata qui di tua iniziativa appena qualche anno fa - troppa responsabilità, avevi detto - ed ora la vuoi perché adesso ti fa comodo? Presumo che sia per la tua umana" disse lei scuotendo la testa. Incrociò i suoi occhi dorati con quelli della giovane, e solo allora Rin si rese conto di avere qualcosa al collo - la pietra Meido - che le gravava leggermente sul petto. Si affrettò a sfilarsela, lasciando che Kohaku provvedesse a restituirla a Sesshomaru. 
"Si può sapere come ha fatto a finire in Jukai?" 
"Se ti sei resa conto di come stanno le cose, questa conversazione sarà meno noiosa."
"Quel luogo era stato reso inaccessibile con la morte di Noroi, siccome Totsuka gli fu assegnata come arma."
"Ma non era Totsuka che voleva" azzardò Sesshomaru.
"Sì, conosco la storia..." replicò seccata. "Era Tessaiga, ciò che voleva. Sapeva però che Toga avrebbe dato le sue spade più importanti ai figli: a te l'oggetto dei tuoi desideri e al mezzodemone Tenseiga" concluse, cogliendo appieno l'impazienza di Sesshomaru. "Certamente lo credeva, lo credevano in molti. Anche tu lo pensavi." Osservò il figlio con un'espressione sarcastica e compassionevole insieme, e Rin si chiese come riuscisse a racchiudere due sentimenti agli antipodi nella medesima occhiata. "Solo io e pochi altri sapevano del piano che Toga ti aveva riservato. Personalmente non ho mai messo bocca su questa faccenda, tranne quella volta, quando arrivasti con i tuoi due cuccioli di uomo e mettesti felicemente a repentaglio la tua vita per loro. Anche a dispetto dell'evoluzione di Tenseiga, sebbene ormai avesse acquisito una tecnica offensiva."
"Stavolta non si tratta di una tecnica offensiva. Noroi ha fatto in modo che Tenseiga avesse il potere di Totsuka sul proprio padrone con sangue umano, condannandolo alle illusioni di Jukai" ribatté Sesshomaru utilizzando le parole di Totosai e Miyoga, e Rin si sentì chiamata direttamente in causa, proprio come era avvenuto a Musashi. 
Che Tenseiga la considerasse la sua padrona? 
"Non potrebbe essere possibile. Noroi morì ucciso da Toga qualche tempo dopo aver conosciuto la sua umana..." 
...Izayoi.
Rin annuì mentalmente, seguendo parola per parola il filo precedentemente tracciato da Totosai e Miyoga e che ora la madre di Sesshomaru stava riproducendo, arricchendolo di altri dettagli che la fecero sentire avida di conoscerli.
"Sai perfettamente che quando muore un demone la sua spada perde il suo potere demoniaco, a meno che il padrone non disponga altrimenti come Toga ha fatto per te e per il mezzodemone nato da lui."
"Si chiama Inuyasha!" protestò Rin a voce alta, ma la demone non sembrò minimamente turbata né indispettita da quell'atteggiamento. 
"Inuyasha, eh? Un mezzodemone che ha un nome che risalta la sua parte demoniaca, tuo padre era davvero ironico quando voleva!" 
"Allora vuol dire che Noroi è ancora vivo" constatò Sesshomaru, aggirando il discorso sul fratellastro.
"Potrebbe essere, sì" confermò la demone. "Oppure è egli stesso confinato nella Jukai: non è vivo ma neanche morto."
I tratti di Sesshomaru si assottigliarono nel tentativo di comprendere cosa sua madre volesse fargli intendere, ma Rin credette di comprenderlo subito.
"Né vivo né morto?!"
"Non ci hai pensato?" rise l'altra, e fu una risata così pienamente sincera che Rin si chiese se Sesshomaru ne sarebbe uscito furente o meno. "Avresti dovuto: in fondo la tua umana è in quello stato in bilico fra vita e morte quando è vittima delle illusioni di Jukai. Almeno, finché non le si chiuderanno gli occhi. Quindi anche il fautore di quelle illusioni potrebbe trovarsi nella medesima condizione. D'altronde, non potrebbe essere altrimenti, siccome era definitivamente morto. Potrebbe aver trovato un passaggio da lì."
Finalmente Sesshomaru tornò a guardare Rin per un istante, per poi dire la stessa identica cosa che passò nella testa della ragazza in quel momento. "Dunque potrebbe essere là."
"Ricorda che è solo una ipotesi."
"Se riesco ad entrare in quella dannata foresta posso cercare Noroi con il mio fiuto e mettere fine alla questione una volta per tutte" continuò lui. "Mi basterà usare la pietra Meido per entrare..." 
"Sesshomaru, sei proprio un ingenuo!" La demone scosse la testa, alquanto divertita. "La pietra Meido apre un varco nel regno dei morti, non nel mezzo della linea del confine dove invece si trova Jukai. Se sei riuscito a recuperare la tua umana è stato solo grazie al contrasto diretto della tua aura demoniaca, tanto potente da cozzare contro quella di Jukai fino a sottometterla. Non devi considerare Jukai come un mero luogo pregno di aura demoniaca, consideralo come un vero e proprio demone. Per te non è possibile entrare: solo chi viene colpito da Totsuka può farlo. Tenseiga imprigiona questo potere senza volerlo, utilizzando il meccanismo inverso, e da quel che mi hai detto ti rifiuta. Peccato che anche impugnandola non riusciresti comunque a fare nulla: questo tipo di maledizione è destinato soltanto a chi ha anche una sola goccia di sangue umano." 
"Perciò" intervenne Kohaku, con una voce - fredda, quasi spaventosa - che non utilizzava da anni "se io dovessi usare Tenseiga in questo momento riuscirò ad entrare."
Il cuore di Rin mancò di un battito e la sua angoscia crebbe a dismisura, tanto che protestò apertamente contro lo sterminatore. "Che cosa ti salta in testa, Kohaku?!" gridò, prendendolo per il bavero della tenuta. "Tu non farai niente, è chiaro?"
"Ragazzo, hai idea di cosa dici?" gli disse con aria grave la demone. "Le tue qualità di sterminatore di demoni per quanto eccelse siano non sono abbastanza per cercare un demone maggiore all'interno di un altro demone senza finire succube di quelle illusioni." 
Kohaku abbassò gli occhi, affranto.
"E comunque, non importa quanti esseri umani ci siano per combattere contro nemici di quel calibro: solo la vittima può tentare di sconfiggerlo." 
Rin finalmente capì suo malgrado cosa significasse non sentire più la terra sotto i propri piedi. Comprese immediatamente di non avere alcuna speranza di salvarsi, perché cosa poteva lei, umana e piccola, di fronte ad un potere tanto grande?
Si coperse il viso sconvolto con entrambe le mani, cacciando indietro un singhiozzo, mentre pensava che nonostante lei avesse imparato qualcosa sui demoni malvagi con le missioni di Kohaku sarebbe morta lo stesso, perduta in una illusione che l'avrebbe poi annientata con una facilità disarmante. 
"Rin e Kohaku devono restarne fuori" disse Sesshomaru con voce tonante, e d'istinto Rin alzò il capo per osservarlo con meravigliata fascinazione: la stava proteggendo - nonostante fosse rimasto scosso da ciò che aveva visto nell'illusione - e non solo lei, ma aveva incluso anche Kohaku sotto la sua ala protettiva. Proprio come aveva fatto tanto tempo addietro.
"Solo lei potrebbe, ma non avendo poteri demoniaci le sarà impossibile a priori. Già, è così che funziona questa maledizione. Ecco perché per un essere umano non c'è via di scampo." 
"Dev'esserci un modo!" disse Jaken, sconvolto.
"Un modo ci sarebbe, sì" disse la demone, riflettendo - o fingendo di riflettere - sulla risposta da dare al kappa. "Cercate lo Higan bana."
"Il giglio rosso?!" domandò perplessa Rin, memore degli insegnamenti di Kaede. 
"Che io sappia fra gli esseri umani è conosciuto anche come fiore della morte o giglio rosso - oppure qualcosa che si avvicina molto a queste definizioni - ma ciò che si racconta sono solo sciocchezze. In realtà conferisce potere demoniaco a chi non ne possiede, o a chi non ne possiede abbastanza."
"Quel fiore è velenoso..." asserì la ragazza.
"Soltanto il suo bulbo, non ogni sua parte."
"Dove si trova?" chiese Sesshomaru con impazienza.
"Voglio dirtelo, Sesshomaru, per l'amore che nutro per te in quanto figlio mio. Ma la pietra Meido rimane qui."
"Molto disinteressato e autentico, il tuo amore."
"Forse la tua umana è talmente in balìa dei suoi sentimenti effimeri che non può fare a meno di offrirtelo senza pretendere nulla in cambio, ma io non sono così sempliciotta."
"Adesso basta!" ringhiò Sesshomaru in risposta a quella provocazione, e di contro sua madre lo guardò accigliata. "Lo cercherò senza il tuo aiuto, allora."
"Il fiore ha la caratteristica di nascondere bene la sua aura demoniaca. Non ci riuscirai da solo, se non ne conosci l'odore. La tua umana invece sembra conoscerlo, potrebbe individuarlo con poco sforzo."
Per la prima volta, la madre di Sesshomaru le riconosceva competenza in una materia; e sebbene Rin ne fosse un po' compiaciuta, quel timore reverenziale nei confronti di quella demone rimase a persistere per tutto il tempo in cui lei la fissava negli occhi.
"Non la porterò con me, se non posso aprire un varco per recuperarla."
"Sulle sponde del fiume Tsuya" riprese lei, chiudendo le mani che stringevano la pietra Meido. "Ma questa te la consegnerò solo domani all'alba. Devo rendere noto che il proprietario di questa pietra non è più Inukimi."
"Ho fretta" borbottò Sesshomaru, ma lei scosse la testa alquanto serafica. 
"Sesshomaru, non vedi che la tua umana è stanca? Non avevi fatto preparare degli ambienti per lei? Kyo, vieni qui!"
Rin stava ancora chiedendosi se la storia degli ambienti destinati a lei fossero uno stupido scherzo della madre di Sesshomaru quando dall'interno del palazzo uscì una ragazzina alta, dai folti capelli bianchi raccolti in una crocchia e da lunghi ed evidenti segni demoniaci di un colore scurissimo che le solcavano gli zigomi marcati. Vestiva di un kimono azzurro cielo, molto simile ad uno che Rin aveva lasciato a Musashi. 
I suoi occhi d'ambra scrutarono i presenti con sparuta curiosità, soffermandosi dapprima su Sesshomaru ed infine proprio su di lei: e da come aveva sgranato gli occhi, doveva essersi resa conto immediatamente che lei era una umana.
"Mia signora Inukimi, mio signore Sesshomaru" sussurrò la ragazzina mentre faceva un lungo inchino. 
Inukimi stava per darle disposizioni, ma Sesshomaru la prevenne, facendo un cenno in direzione di Rin. "Conduci Rin nelle sue stanze."
Kyo sembrò scossa dalla voce tonante di Sesshomaru - come se avesse covato paura nei suoi confronti per anni - ma sembrò ricacciare indietro quel timore con estrema facilità quando si avvicinò a lei. Le porse insieme ad una mano un accenno di sorriso che Rin ricambiò spontaneamente. 
"Mia signora Rin, venite con me" disse soltanto, e Rin rimase interdetta da tanta formalità; ancora di più rimase interdetta dall'onorifico con cui aveva accompagnato il suo nome. 
Signora?!
Osservando la totale mancanza di reazioni da parte sua, Kyo la incitò a seguirla sciogliendola dolcemente dalla stretta di Kohaku, e solo il contatto con le mani forti di Kyo risvegliò Rin dal senso di imbarazzo che l'aveva colta al sentirsi chiamare signora: nel farlo, la voce della ragazzina demone non aveva nessuna cadenza derisoria, né carica di sufficienza. Aveva semplicemente il tono pacato e riverente che si deve ad una persona di alto rango. 
Cercò lo sguardo di Sesshomaru per cogliere un assenso o una conferma qualsiasi, e lo trovò ad annuire, stavolta con una leggera nota malinconica malcelata dalla sua quasi perenne impassibilità. 
Si lasciò condurre dalla ragazza demone, cullata dalle sue mani leggere che la sorreggevano saldamente per il braccio, seguita a ruota da Kohaku e da Jaken, mentre la voce dolce di Kyo si insinuò nelle sue orecchie come un balsamo ristoratore. 
"Come avete già sentito, mia signora Rin, io mi chiamo Kyo. Sono la vostra ancella." 
Non appena udì nuovamente la forma di cortesia Rin arrossì, ritornando a sentirsi pesante e stanca. "Non è necessaria tutta questa formalità, Kyo" l'avvertì con voce nervosa. "Puoi darmi tranquillamente del tu!"
"Oh, no!" disse Kyo, quasi spaventata a quell'idea. "Il signore mi ha detto espressamente che voi siete la signora, dunque devo chiamarvi come si conviene! Ma non pensate a questo, ora. Sarete molto stanca, vi preparo un bagno!"
Prima di sparire dentro il castello, Rin si chiese da quanto tempo Sesshomaru avesse architettato tutto questo per lei, ed inevitabilmente si sentì così ingrata - ecco, la voce di Jaken la tormentava anche quando era in silenzio - che alcune lacrime cominciarono a rigarle le guance; ma non ebbero il tempo di rotolare fino al mento, perché Kyo se ne accorse, e le asciugò pazientemente con un fazzolettino di lino. Accortasi del gesto, Rin la osservò, decisamente perplessa da quella premura da parte di una persona appena conosciuta: le riservava una cura che rasentava la devozione, e, cosa più sorprendente, Kyo sembrava addirittura felice. 
"Non preoccupatevi, signora Rin" mormorò Kyo, riponendo il fazzoletto nella manica del suo kimono. "Il signor Sesshomaru vi aiuterà di sicuro."
La portò in un lungo corridoio, dove Kyo fece scorrere una porta di carta di riso ornata di motivi floreali intrecciati fra loro. E non appena Rin posò gli occhi sugli interni, giurò a se stessa di non aver mai visto nulla di simile prima. Mise piede su una piccola sala dal pavimento in legno sormontate da pareti di un giallo tenue, dove in disparte vi erano un tavolo di ciliegio e dei cuscini per sedersi, foderati di seta rossa. La sala terminava con un gradino ampio, che dava inizio ad una piccola scalinata al centro dove svettava quella che doveva essere una vasca in marmo, con uno strano congegno che partiva dalla base di un caminetto posto al lato opposto del tavolo. Ai due lati, due porticine scorrevoli con gli stessi disegni della porta principale dovevano portare a quelle che gli altri avevano definito altre stanze. E difatti, non appena una sorridente Kyo aprì quella a sinistra Rin vide un futon di una piazza brillare di un vivace color arancio stagliarsi al centro della camera. Con il groppo in gola che persisteva fin dall'ingresso in quel piccolo appartamento, Rin indietreggiò di un passo, sentendosi maledettamente a disagio.
"No, io... non posso..." fremette piano, e Kyo si voltò con aria interrogativa verso di lei, così come fecero Kohaku e Jaken.
"Il signore mi ha detto che avete abitato in un villaggio di umani per anni, in poche parole che non siete abituata allo sfarzo del castello" la prevenne Kyo. "Quindi ho provato a rendere le vostre stanze agevoli."
Sebbene fosse imbarazzata e contenta da tutte quelle attenzioni, Rin trovava così distante l'idea di dividere il castello con Sesshomaru che le venne l'impulso di replicare che probabilmente non ci sarebbe stata una seconda volta in quelle stanze, non quando Sesshomaru sembrava arrabbiato con lei. 
Ma non disse neanche una parola.
"Voi due dovete stare fuori" disse Kyo all'improvviso in tono neutro verso Kohaku e Jaken. I due si guardarono per un secondo, e replicarono quasi all'unisono.
"Ho giurato al signor Sesshomaru di proteggere Rin a qualsiasi costo."
"Il padrone mi ucciderà se le succede qualcosa."
"Mi dispiace, ma queste sono le disposizioni del signore" ribatté lei senza scomporsi. "La signora ha bisogno di riservatezza."
"Rimarremo di guardia fuori, allora" sbottò Kohaku verso la ragazza, il cui unico segno di disapprovazione fu quello di aggrottare leggermente le sopracciglia.
"Fate come volete, signor Kohaku."
Kyo chiuse la porta, ritornando al tono cordiale che riservava soltanto a lei. "Vi aiuto a togliervi il kimono." 
"Faccio da sola."
"Vi prego, farò io."
La spogliò con cura, sottraendole dalle spalle la seta del kimono di Sesshomaru con un fruscio così leggero che Rin quasi non si accorse di non avere nient'altro che la sottoveste sudata. La aiutò poi ad entrare in acqua, placando il bruciore che sentiva in tutto il corpo a causa dell'illusione appena avuta - sedendosi a sua volta sul bordo e versando accanto a lei alcune gocce di un'essenza che Rin raccolse a due mani inspirandone il profumo. Orchidea.
"Ho scelto io le vostre essenze. Questa è essenza di orchidea. Qui ci sono iris e loto. Ve ne procurerò delle altre, se lo desiderate!"
Rin sorrise mestamente al ricordo degli iris, ritornando con la mente al bacio di Sesshomaru della sera precedente allo stagno colmo di fiori di loto e pensando che, con la fiducia tradita nei suoi confronti, di baci non ce ne sarebbero stati altri, che tutto quel che avevano progettato in tutti quegli anni non poteva più concretizzarsi, che era stata solo una stupida illusione - a voler pensare che lei potesse nascondere qualcosa di così importante a Sesshomaru senza incrinare il loro legame, senza incrinare la fiducia che Sesshomaru aveva riposto in lei. 
Avrebbe voluto vivere per sempre con lui, o perlomeno, finché la vecchiaia non avesse ceduto il posto alla morte; avrebbe voluto ancora abbracciarlo, baciarlo, fare l'amore con lui sotto le stelle della notte, coperti soltanto dall'oscurità - arrossì a quel pensiero così sfacciato, non potendo fare a meno di pensare alla bellezza scultorea che il demone celava al di sotto delle sue vesti, ma la tristezza lo rese maledettamente lontano. 
Avrebbe voluto stare per sempre con lui, magari passando il proprio tempo all'ombra degli alberi, a pescare pesci e a raccogliere fiori e frutti selvatici circondata da quella stessa natura che Rin amava da bambina e che Kaede le aveva fatto conoscere più a fondo. Sarebbe stato bello vedere la sua bellezza rimanere immutata nel corso del tempo, ancora di più sarebbe stato bello incrociare i loro sospiri come avevano fatto giù allo stagno anche nel loro ultimo giorno. Non avrebbe avuto importanza avere figli o non averli - perché la piccola e fragile Rin non poteva chiedere altro dalla sua vita - ma sarebbe stato bello vederlo amarli, vederlo ignorare totalmente la loro condizione di mezzidemoni. 
Ma cacciando indietro tutte queste prospettive, di cui era stata segretamente gelosa per tanto tempo, Rin pretese da se stessa la ragione di una vita tranquilla a Musashi contro l'irragionevolezza di una vita accanto a Sesshomaru.
Devo dirgli che non mi pento di niente - che l'ho fatto per proteggerlo - e che può anche lasciarmi, se è questo ciò che desidera.
Rin si alzò, facendo scivolare l'acqua calda dal suo corpo avvolto dalla sottoveste e prendendo da sé un'altra lasciata accanto alla vasca per lei.
"Signora, dove state andando?" chiese Kyo. 
"Dal signor Sesshomaru" disse, e l'aver utilizzato una così evidente forma di distacco le fece salire un groppo in gola. 
"Ma siete appena entrata!" gridò Kyo con una massiccia dose di nervosismo. "Devo rendervi presentabile prima che il signor Sesshomaru arrivi!"
"Devo parlargli, Kyo. Mi dispiace" disse, e per un attimo Rin si perse nei suoi bellissimi lineamenti affilati di demone cane. Non poté fare a meno di essere intenerita da lei, dalla miriade di attenzioni che aveva ricevuto da lei in una sola ora passata insieme.
"Grazie." 
Le diede un bacio leggero sulla fronte, e non ebbe il tempo di vederla arrossire furiosamente che la porta principale venne bussata quasi con violenza, rivelando poi un felicissimo Kohaku con in braccio una grossa cesta di pesche. 
"E questa?!" chiese sconcertata. 
"L'ha portata un tipo che doveva essere un inserviente" le rispose Jaken, alquanto commosso. "Ha detto che sono da parte di padron Sesshomaru per noi!"
"Mangiatele voi" rispose Rin distrattamente, ma Kohaku la contraddisse. 
"Non mangi da ieri sera, Rin" le ricordò premurosamente. "Dovresti mettere qualcosa sotto i denti." 
Soppesò cosa fosse più giusto fare, spostando nervosamente il proprio peso da un piede all'altro, mentre il kappa scoppiò a piangere, farfugliando sulla grandissima generosità del suo signore e di come lui lo avrebbe seguito fino alla fine del mondo. Ed il fatto che quell'inserviente non avesse detto nulla in merito a lei in particolare, le fece sentire il cuore di Sesshomaru distante come non era mai successo in quei lunghi dodici anni di separazione.






NDA
Arrivo! *va a sbattere contro il muro*
Avevo detto nella mia paginetta che mi sarei sbrigata a settembre ma sono riuscita ad aggiornare a fine agosto, in barba al computer tanto-decido-io-quando-accendermi-e-quando-bloccarmi-di-colpo.
Perdonate gli errori, ma non ne posso più con 'sto coso. 
Con quello nuovo farò la brava. Promesso. 
   
 
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