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Autore: OrangePaint    31/08/2018    1 recensioni
Piccola storia ambientata nella terza stagione, prima che John e Mary si sposino.
Sherlock si trova in ospedale. Ho provato a raccontare dal punto di vista di John la situazione che si trova ad affrontare di nuovo, il pericolo di perdere il suo migliore amico un'altra volta e i suoi sentimenti.
Tre capitoli più un epilogo.
[Johnlock]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Sollievo




Al tuo arrivo Sherlock è seduto sulla sua poltrona, le ginocchia portate al petto. Ha il viso un po’ imbronciato, non si è accorto che sei alla porta – al solito, spalancata; indossa una maglietta e dei pantaloni della tuta grigi, ma a casa in primavera fa ancora freddino, perciò ha messo anche la vestaglia.
Non sai se bussare o meno e dopo averci pensato per un tempo leggermente troppo lungo decidi di farlo.
«Sherlock…» ti annunci, portando il pugno allo stipite della porta delicatamente. Lui si volta e ti osserva per qualche secondo, gli occhi trasparenti che ti esaminano, facendoti sentire – come sempre – spiato. Quando la smetterà di dedurmi così? Ti ritrovi a pensare.
«John… non sapevo che saresti venuto, oggi».
Si alza con un movimento ampio e si gira, dandoti le spalle. Ostenta una voce noncurante mentre recupera dei fogli sparsi in giro e cerca di mettere in ordine la stanza.
«Non devi mica bussare, comunque. Cioè, sei tu».
Questa affermazione, per qualche motivo, ti procura un piccolo, incontrollato sorriso e il tuo cuore salta un battito. Ti fai sempre un sacco di problemi per nulla.
La sua voce ha assunto il tipico tono di quando vuole tenerti il broncio; mugugna ed è spigoloso ma non dice cose taglienti.
«E tu non devi certo mettere la stanza in ordine per me, perciò siediti. Non devi affaticarti» gli rispondi, e ti sorprendi di quanto la tua voce suoni dolce.
Lui sembra ugualmente colpito; ti guarda per un attimo con occhi interrogativi, inarcando un sopracciglio, poi si volta ti nuovo, mettendosi a sedere. Tu porti lo sguardo verso la tua poltrona e ti rendi conto che non c’è più. Senti un dolore indefinito al petto ed assottigli gli occhi per un attimo, deglutisci impercettibilmente, poi ti metti a sedere sul divano.
«Sherlock… Lo sai, vero, che io ci sono? Che mi puoi parlare di qualsiasi cosa?»
«John, sembri mia madre» dice lui, gesticolando con una mano.
Sei un po’ irritato da quell’affermazione, ma gliene hai già dette abbastanza due giorni prima, quindi decidi di ammorbidirti ancora un po’. Non sei tornato a casa per battibeccare.
«Non puoi biasimarmi per essere preoccupato. L’altro giorno, sei… sei quasi… quasi morto».
Il solo pensiero ti fa contorcere lo stomaco e per un momento ti mozza il respiro. Qualcosa preme sul tuo torace, ma decidi di ignorarlo.
«Sì, ma sono vivo. È stato solo un errore di calcolo. Sciocco da parte mia, concordo, ma errare è umano, dopotutto».
Ne parla come se avesse sbagliato a fare la spesa, ciò ti irrita un po’. Tanto. Quella sensazione sui polmoni si fa più insistente.
«Smettila. Smettila di dire che è stato un errore»
La tua voce sta tremando. Calmati. «Se fosse stato davvero un errore di calcolo, adesso staresti sveglio giorno e notte al microscopio a cercare di capire dove hai sbagliato, Sherlock, so come sei, non accetti così facilmente di sbagliare. Non ti fermeresti a ‘è stato un errore’, se davvero avessi tutto sotto controllo come dici».
Alzi la testa e cerchi i suoi occhi, cercando una conferma alla tua ipotesi. Lui ha un’espressione allibita dipinta sul volto; sai benissimo cosa sta pensando.
«Sì, so dedurti anche io. Ti conosco, cazzo. E fammi dire che…» respira, John. Non è una buona idea, non dirlo. Lascia correre. Dimenticati di questo peso sul torace.
«… che non puoi farmi questo. Non di nuovo».
Ecco, l’hai detto. Che vittimismo, dottore, non è da te. Ti guardi le mani chiuse a pugno sulle ginocchia; tremano. Qualche goccia ci cade sopra e ti fa accorgere che stai piangendo. Patetico.
Non ottieni alcuna risposta dal tuo migliore amico, così continui con il tuo discorso egoista. La diga ormai si è aperta e le parole scorrono, pesanti come un fiume in piena.
«Non voglio che ti succeda qualcosa. Non voglio perderti. So che ti ho detto di averti perdonato, ed e così, davvero, ma… ma io non so come sia riuscito a sopravvivere la prima volta. E lo so, sono un cazzo di soldato, ho visto la morte in faccia più di una volta, ma perderti è stata l’esperienza…»
Respira.
«L’esperienza più dolorosa della mia vita. Prima di incontrarti, ero perso. Ero soltanto un guscio vuoto, andavo in giro senza sentire niente, era tutto intorpidito, tutto appannato. Ed è stato così anche prima che tu… tornassi. Sei straordinario, te l’ho detto, ma non le tue deduzioni, cioè, anche quelle, ma intendo che tu… lo sei. Tu lo sei».
Quanti lamenti, John. Una delle poche volte che riesci a parlargli a cuore aperto e sono soltanto stupidi piagnistei.
«Perciò non farti questo, non ridurti così. Non fare questo a me. Qualsiasi sia la ragione che ti spinge a farti del male, non può essere più forte di quanto lo sia tu. Per favore, Sherlock… per me. Fallo per me»
È un pianto sommesso il tuo, non stai certo singhiozzando a dirotto. Le lacrime che scendono silenziose sono poche; rimani stoico anche in una situazione di questo tipo e un po’ saresti fiero di te stesso, se non avessi appena terminato un discorso totalmente egoista e vittimistico di fronte al tuo migliore amico – un sociopatico che di sicuro non prova alcuna empatia – che ha appena rischiato la vita. Ti fai pena da solo.
È in questo momento che una realizzazione ti colpisce; un’amara epifania prende forma nella tua mente, come se l’avessi sempre saputo ma mai realizzato:
Quand’è che mi sono innamorato di Sherlock Holmes? Quando ho cominciato a negarmi i miei stessi sentimenti?
Tiri su col naso e ti ricomponi, cercando di non badare troppo alla vergogna che ti sta riempiendo tutto il corpo. Sulle maniche, il tuo maglione è un po’ umido per via delle lacrime.
Sei pronto a una reazione senza un briciolo di compassione, dura e cinica, da Sherlock Holmes insomma. Alzi di nuovo i lucidi occhi blu verso il tuo amico.
Sta tremando. Ti si è avvicinato ed ora è in piedi accanto al divano; sembra che non sappia cosa fare. Di solito adori le rare volte che lo lasci senza parole e pensando a questo abbozzi un sorriso, un piccolo sorriso triste.
«John».
Il modo in cui dice il tuo nome ti fa rabbrividire, come sempre. Cerchi di non darlo a vedere.
«Scusami». Si siede accanto a te. «Non volevo farti provare queste cose… non so che dire. Mi dispiace… mi dispiace».
Si prende il viso tra le mani e sospira sonoramente. Cosa? “mi dispiace”? Ok, questa reazione non l’avrei prevista neanche tra mille anni, pensi.
«Non ne faccio neanche una giusta, eh? Quando si tratta di te».
Ora guarda dritto davanti a sé, come se avesse paura di incontrare i tuoi occhi. La sua bocca traccia un sorriso malinconico, sembra davvero distrutto; vederlo così ti distrae e ci metti qualche istante per elaborare ciò che ha appena detto.
«Cosa… cosa intendi?» Che gli salta in testa, ora? Cosa ha a che fare quello che gli è successo, con te?
Lui ignora la tua domanda; «Sei un mistero, John. Non riesco a capirti», sussurra.
Si passa una mano nei riccioli scuri prima di guardarti e scoprire la tua espressione a dire poco confusa.
«Perché sei qui, oggi?»
«Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro, Sherlock» rispondi, arrossendo al ricordo di quello stupido sfogo di qualche minuto prima.
«Voglio dire. Perché ti importa tanto di me? Giuro che ci ho pensato, ma non ci arrivo. Come potevo immaginare che tu saresti stato così male per ciò che ho fatto, dopo che…»
Dopo che, cosa?
Non dici nulla. Aspetti silenziosamente che finisca di parlare.
«…dopo che hai scelto lei».
Quella frase ti fa gelare il sangue. Non senti il tuo cuore; potresti anche essere morto. Ma non ti importa, non in questo momento.
«Cosa significa?» lo fissi, smarrito.
«Io ho… scelto… lei?»
Lui replica silenziosamente guardandoti come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo.
«Eri morto, Sherlock! Cosa significa che ho scelto lei? E poi, stai dicendo che avevo una scelta?»
Ti alzi dal divano e ti allontani da lui, camminando verso la finestra, come se potesse aiutarti ad assimilare tutto quello che sta succedendo. Ti giri a guardarlo; nel frattempo si è messo in piedi.
«Stai dicendo… che ho una scelta?»
Le tue parole lasciano la bocca come un leggero soffio di vento. Dal tono, sembra che tu non riesca a credere a quello che stai dicendo. Ed è così, in effetti.
Dio, fate proprio schifo a comunicare, voi due.
La persona di fronte a te, che ti stava fissando, ora guarda in basso.
«John, io…»
«No, no no no. Zitto. Tu sei Sherlock Holmes. Sei sposato con il tuo lavoro. A te non interessano queste cose» ripeti ad occhi chiusi, come se parlassi a te stesso prima che con lui. Ti sei ripetuto talmente tante volte quelle parole che non hanno quasi più effetto, ormai.
Ti rendi conto che stai camminando verso di lui adesso, e lui sta indietreggiando lentamente. Punti i tuoi occhi seri nei suoi.
«Mi stai dicendo che c’entro qualcosa… con quello che ti sei fatto?»
Lui continua a guardarti; ha smesso di scappare. Ora è fermo in mezzo alla stanza, tu l’hai raggiunto e siete a pochi centimetri l’uno dall’altro. Sembra un ragazzino spaventato, pensi. È visibilmente in panico; daresti qualsiasi cosa per prendergli il battito adesso, eh?
«John, come faccio? Come faccio a spiegarti, dopo tutto quello che hai passato a causa mia? Come posso dirti che sono così debole da non riuscire a sopportare di vedere l’uomo di cui sono innamorato, con un’altra? Che per due anni l’unica cosa che mi manteneva sano di mente era l’idea di rivederti! E ora sono a pezzi, distrutto, mentre tu stai bene e sei passato oltre? Tu mi reputi una macchina, ma sono solo un disastro emotivo, è questa la verità»
Parla a raffica, senza prendere fiato. Sta quasi urlando, esasperato, come se avesse voluto liberarsi di quelle parole da anni. Quello sguardo glaciale è ora caldissimo e velato da lacrime troppo modeste per poter scendere sul viso.
Cos’ha detto? Non è possibile. …È possibile?
«Sei innamorato di me?»
Silenzio. L’orologio sul tavolino scandisce i secondi con un rumore assordante. I vostri occhi si sfidano. Nessuno di voi due sembra voler distogliere lo sguardo, per quanto, un minuto? Due, venti? Un’ora? Non ti importa. Vuoi solo sentire la risposta a quella folle domanda. Quella che non avresti mai pensato di potergli porre.
«…Disperatamente», ammette lui finalmente, abbassando la voce a un mormorio e lanciando improvvisamente lo sguardo di lato, mentre arrossisce leggermente sugli zigomi.
Senti le ginocchia che stanno per cedere. Non credono neanche loro a quello che sta succedendo.
Non riesci a trovare qualcosa di sensato da dire. Sposti la tua mano sinistra adagiandola sulla sua nuca, mentre le tue dita si immergono nei riccioli e tu tiri piano verso di te, inclinando il suo viso in avanti e facendo in modo che la sua fronte si appoggi sulla tua. Lui impone una finta, debole resistenza prima di seguire il tuo movimento.
Hai gli occhi chiusi, convinto quasi di essere in un sogno. Un sussurro lascia le tue labbra tremanti.
«Dimmelo».
«Eh?»
«Sherlock, dimmelo»
«Ah…»
Pausa.
«So… sono innamorato di te, John. Ti amo»
Al sentire quella voce pronunciare quelle parole, il tuo cuore prende a battere furiosamente. Socchiudi un poco gli occhi. Le vostre fronti si toccano ancora, la tua mano è sempre appoggiata sulla sua nuca. Osservi i suoi occhi chiusi, le ciglia curve e scure che tremano leggermente a qualche millimetro dalle tue. Il suo respiro è irregolare e intermittente, segno che il suo cuore sta andando a mille.
Ti sporgi verso l’alto e appoggi delicatamente le labbra sulle sue. Lui sussulta per un attimo, poi sposta la sua mano sulla tua spalla e con l’altra accarezza piano il tuo avambraccio, scorrendo con i polpastrelli lungo i filamenti del maglione.
Finalmente. Finalmente, dio, finalmente, è tutto ciò che riesci a pensare mentre le tue labbra si schiudono, intrappolando tra loro il suo labbro inferiore. Lui ti segue impacciato nei movimenti, stringendo tra le dita il tessuto del tuo maglione mentre tu ti perdi in quel bacio così giusto, tutt’a un tratto l’unica cosa che abbia mai avuto senso. La tua lingua passa oltre le sue labbra con decisione, incontra i suoi denti e si insinua fino a trovare la sua e accarezzarla dolcemente. Ottieni un timido verso in risposta dal consulente investigativo, che sembra ugualmente inebriato da quell’atto folle che sta accadendo tra di voi.
Non ti importa più di nient’altro; sei esattamente dove vorresti essere, per la prima volta da tanto, troppo tempo.
Dopo un bacio durato qualche istante o qualche ora, comunque troppo poco, le tue labbra si ritirano di malavoglia. Ti scolli dal tuo amico, che protesta piano con un mugolio; è ancora avvinghiato da un abbraccio che non vuoi sciogliere.
A un palmo da te, il detective accarezza la tua guancia con un sorriso vero, incredulo; potresti giurare di avere la medesima espressione sul viso.
«Sei sempre tu, John Watson», mormora infine, l’unica persona che abbia mai dato un senso alla tua vita.
Piove. Il tuo sguardo blu si è perso negli occhi azzurri di Sherlock Holmes, quel pomeriggio al 221b di Baker street, e non accenna a voler tornare indietro.
Io amo Sherlock Holmes, pensi, e finalmente sei a casa.


















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Ebbene, questo capitolo segna la fine della mia storia. Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, ma ultimamente sto annegando tra gli esami di settembre *risata che si trasforma in pianto*, perciò non ho avuto molto tempo per la revisione:( . In ogni caso, spero che vi sia piaciuta! Ho voluto dare spazio all'introspezione di John quindi gli eventi sono relativamente pochi. Questo capitolo è più lungo degli altri ma essendo quello "decisivo" non me la sentivo di dividerlo. Comunque c'è ancora l'epilogo, quindi aspettate con ansia!:) Grazie per aver letto e grazie se lascerete una recensione. A presto!
OP
  
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