Fanfic su artisti musicali > EXO
Ricorda la storia  |      
Autore: Il_Genio_del_Male    01/09/2018    6 recensioni
Questa è la storia di un principe capriccioso, il quale scoprì che l'amore è sì dolce come il miele, ma anche amaro come fiele.
[Fiaba!AU]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kai, Kai, Sehun, Sehun, Suho, Suho, Un po' tutti, Xiumin, Xiumin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quei fagiani maledetti'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

C'era una volta un re vedovo, uomo retto e virtuoso. Regnava con giustizia, favoriva il commercio, si mostrava clemente nei confronti dei criminali, elargiva munifiche donazioni di denaro alle famiglie indigenti del regno, preferiva la pace ai conflitti armati con i regni confinanti. Il popolo lo amava, ed egli ricambiava quell'affetto organizzando feste e balli a cui l'intera popolazione -di nobili o di umili natali poco importava- era invitata a partecipare.

 

L'eccellente sovrano aveva tuttavia un cruccio, rappresentato dal suo unico figlio, Sehun. Il giovane gli sarebbe succeduto al trono quando sarebbe giunta la sua ora, e a questo scopo era stato educato sin dalla più tenera età. In tal senso, il ragazzo non aveva rappresentato una delusione per i suoi maestri. Parlava e scriveva in quattro lingue, andava di frequente a cavallo (benché rifuggisse le partite di caccia), sapeva condurre una dama durante un giro di valzer e tirar di spada. Aveva studiato aritmetica ed economia, aveva nozioni di diritto ed ingegneria meccanica, componeva sonetti e talvolta si lasciava convincere a dilettare gli ospiti con il suono della sua arpa. Sulla carta, chiunque lo avrebbe reputato un principe esemplare. Le premesse affinché diventasse un regnante degno dell'amato padre c'erano tutte.


Eppure Sehun presentava delle peculiarità caratteriali che preoccupavano grandemente il maturo genitore. Egli infatti trovava che il figlio fosse viziato e capriccioso, ostinato come un mulo nonché deciso ad avere sempre l'ultima parola in una discussione. Non era un cattivo giovine. Non mancava né di pietà né di galanteria. Raramente, però, Sehun obbediva agli ordini se questi non erano di suo gradimento. Pur rispettando il padre, non si esimeva dal contraddirlo e ribattere alle sue osservazioni quando si trovavano in disaccordo. Non contento, si permetteva di farlo in pubblico, al cospetto della corte e dei loro consiglieri. Un tale comportamento era inaccettabile per l'erede al trono, mormoravano gli uomini di fiducia del re. Persino Joonmyun -questo era il nome del sovrano- se ne rendeva conto, e afflitto si rimproverava per non aver saputo imbrigliare in tempo l'indole polemica e ribelle del figlio e domarla. Sehun non era più il fanciullino che si dilettava con la filosofia socratica e a cui, in virtù del suo essere il più giovane abitante del palazzo, venivano condonate piccole e grandi marachelle. Joonmyun lo aveva trattato troppo a lungo con l'indulgenza che si riserva ai bambini, ma era ormai ora che entrambi accettassero la realtà. Sehun era un uomo adulto, il cui dovere era sposarsi e assicurare una discendenza al regno. La difficoltà maggiore, senza dubbio, stava nel farglielo capire.

 

 

 

Il giorno in cui Joonmyun annunciò, durante il concilio ristretto, che il figlio avrebbe presto preso moglie, i ministri presenti si prepararono spiritualmente ad assistere ad una scenata coi fiocchi.

 

“Giammai!” obiettò con veemenza Sehun, in verità troppo sbalordito dalla notizia per reagire con la solita aggressività.

 

“Un'alleanza con un altro regno è auspicabile, nonché necessaria, per mantenere lo status quo e rafforzare la nostra posizione a livello territoriale” proseguì Joonmyun impassibile, come se non avesse udito la protesta del principe. “Non esiste alleanza più solida e duratura di quella contratta attraverso un matrimonio. Prima di lasciare questo mondo devo saperti felicemente accasato e con una numerosa prole che garantisca il proseguo della nostra dinastia, figliolo. Ti prego di non mostrarti irragionevole, perché non vi sono scuse che tengano”.

 

Sehun non era l'ultimo degli idioti. Sapeva che il padre stava dicendo il vero. Tuttavia non volle darsi per vinto: “Datemi una moglie, Sire, e posso giurarvi di fronte al Concilio che morirete senza mai provare la gioia di tenere un nipotino sulle ginocchia” ribatté duramente.

 

I ministri accolsero quell'affermazione con esclamazioni di pura sorpresa mista a indignazione.

 

“Altezza, non vi sembra il caso di moderare i termini?” un saggio precettore, tale Minseok, intervenne per sedare l'animo bellicoso dell'allievo. “Non vorrete mancare di rispetto al re; non sarebbe da voi” aggiunse con voce mite.

 

“Caro maestro, non è la volontà di mancare di rispetto a mio padre che mi spinge a parlare così, ma la verità” incrociò le braccia sprezzante. “Se dovessi sposarmi, l'unica discendenza che potrei vantare sarebbe bastarda, frutto di un altrui seme. Le donne non sono affatto di mio gusto” sottolineò guardando il padre con aria di sfida. “Potreste invitare a corte le più belle fanciulle, le più cortesi e intelligenti e coraggiose e incantevoli di tutti i regni conosciuti. La mia risposta sarebbe sempre una sola: no, grazie”.

 

Il disinteresse nei confronti del gentil sesso palesato dall'erede al trono giungeva inaspettato alle orecchie dei molti gentiluomini presenti, ma non a quelle di Joonmyun né di Minseok. Il padre non se ne stupiva poiché anche lui, da ragazzo, aveva nutrito un folle e intenso amore per Kyungsoo, il cuoco di corte, il quale si era licenziato appena aveva saputo delle imminenti nozze del re. Minseok, dal canto suo, conviveva more uxorio con Lu Han, uno degli stallieri del castello, e non aveva faticato a riconoscere nel principe, già da adolescente, una versione più giovane di se stesso.

Il sovrano, ricordando il mai dimenticato sentimento giovanile e ancor più determinato a mettere il figlio di fronte alle sue responsabilità, se ne uscì con una proposta singolare.

 

“E sia, allora. Ti cercheremo un marito” proferì, incurante del chiacchiericcio esterrefatto dei ministri. “L'importante è che provenga da una famiglia ricca ed influente”. Ignorando lo sguardo attonito del principe, si rivolse al cerimoniere di corte. “Organizzate un ballo sfarzoso come mai se ne sono visti. Che siano invitati i figli maschi di tutte le casate nobili nel raggio di cento miglia; principi, conti, duchi, baroni, qualsiasi titolo è bene accetto”.

 

Invero, Sehun tentò di reagire. Scosso, preso in contropiede, provò a fare la voce grossa. Pensò addirittura di sbattere un pugno sul tavolo e lasciare che fosse l'ira a guidare le proprie azioni, a costo di pronunciare parole di cui avrebbe potuto pentirsi in seguito. Non vi riuscì, perché il re lo precedette.

 

“Potere e doveri vanno a braccetto, figliolo. Se non sei in grado di affrontare un compito tanto semplice, temo che non sarai mai pronto per succedermi” lo gelò. E nel silenzio pregno di tensione che era calato nella sala, spezzato solo dal fruscio delle sue vesti e dai tacchi degli stivali che battevano a terra, Joonmyun si congedò dal concilio.

 

 

 

Sehun era effettivamente testardo e malmostoso. Pertanto, invece di fare buon viso a cattivo gioco, preferì sfidare l'autorità paterna e la sera del ballo si presentò nel salone dei ricevimenti vestito a guisa di un semplice garzone. Non un mantello ricamato, non ricchi broccati e velluti adornavano il suo corpo, bensì una camiciola bianca e braghe di tela talmente umili che nemmeno un servo avrebbe osato indossarle. La chioma bionda era volutamente spettinata, le mani prive di anelli. C'era da meravigliarsi che non si fosse presentato scalzo o in camicia da notte.
Il re strinse le labbra, trattenendo un sospiro. Si chiese quando si sarebbe deciso, l'amato figlio, a crescere.

 

La festa, nonostante la gaffe di Sehun, iniziò e procedette bene. Sembrava che ciascuna famiglia con nobili origini e dotata di progenie maschile avesse risposto all'invito del sovrano. Giovani di antico o più recente lignaggio, figli di re e visconti e marchesi, di diversa altezza e avvenenza, attendevano di essere presentati al principe Sehun e scambiare con lui poche parole. Un maggiordomo di palazzo prese ad elencarne, uno per uno, nomi e titoli.

 

“La vostra bellezza è incomparabile” si fece avanti Chanyeol, duca di Val Verdissima, offrendo allo scapolo d'oro un raro cane della Tasmania.


“Un cane con sei zampe? Orrore” esclamò quegli, annoiato. “E poi, non mi garbano le vostre orecchie enormi. Non siete certo abbastanza bello per me” concluse con uno sberleffo.

 

“Avete un animo indomito e una lingua arguta” tentò la sorte l'erede del ducato di Landa Desolata, di nome Baekhyun. In regalo recava con sé un'oca parlante della Patagonia.

 

“Un'oca in un vaso per pesci rossi? Ridicolo” sbadigliò. “E poi, non mi piace il vostro sguardo. Temo non siate abbastanza intelligente per me” ridacchiò crudele.

 

Andò avanti a tal maniera, i pretendenti scartati uno dopo l'altro e per di più feriti nell'orgoglio, fino a che non fu il turno dell'ultimo della fila. Costui era Jongin, principe della Terra dei Fagiani, e chiunque lo conosceva di fama. Si narravano soltanto meraviglie sul suo conto: che conoscesse a fondo ben sei lingue, che scrivesse trattati di retorica in latino e di astronomia in greco; che fosse il più formidabile allevatore di segugi del Paese, che danzasse con indescrivibile grazia, che esercitasse la propria carica con equità e benevolenza, e infine che né uomini né donne potessero resistere al suo fascino. Incontrandolo di persona, Sehun ne capì il motivo.
Jongin era alto, con la figura di un atleta e il volto finemente cesellato da eroe antico. La pelle brunita testimoniava il suo amore per l'aria aperta, il nero sguardo liquido suggeriva una profonda bontà d'animo, la bocca pareva sorridere di un segreto noto a lui soltanto. Simile ad un dio, era certamente l'uomo più bello che Sehun avesse mai visto. E se le voci che correvano sul suo conto erano vere, il principe straniero vantava un intelletto vivace e un carattere amabile. Era impossibile trovargli un difetto.

Quando Jongin si inginocchiò, il capo chino in segno di omaggio, Sehun avvertì un brivido lungo la schiena. I palmi delle mani gli si ricoprirono di sudore freddo, mentre al contrario una sensazione di calore gli invadeva il corpo. Il cuore gli balzò in gola. Che fosse...?

 

“Sarò franco con voi, principe” parlò Jongin, rivelando una voce altrettanto piacevole. “Non mi trovo qui per mia volontà bensì per il volere di mio padre, re Jongdae. Sono spiacente di presentarmi a mani vuote, poiché i doni che porto sono stati scelti per compiacere vostro padre, e a lui verranno consegnati dal mio valletto” disse rivolgendo un inchino a Joonmyun. “Tuttavia, non mi vergogno di fare una tanto misera figura al vostro cospetto. Vi ho osservato, principe, e ciò che ho visto mi ha rattristato. Mi era stato riferito quanto brillante fosse la vostra intelligenza, quanto abile foste con i cavalli, quanta gentilezza dimostraste nei confronti dei poveri. Ebbene, non avete dimostrato alcuna cortesia verso i miei rivali; vi siete servito delle vostre capacità oratorie unicamente per offenderli e umiliarli. Se aveste dimostrato un po' di empatia, se vi avessi udito pronunciare una parola gentile, vi avrei offerto me stesso, anima e sangue. Avrei potuto imparare ad amarvi e a rendervi felice. Invece, stando così le cose, rinuncio volentieri alla competizione”.

 

Il suo tono di voce, sommesso ma inflessibile, severo, ebbe il potere di colorire di rosso il volto di Sehun. La trepidazione provata in attesa che parlasse e -come gli altri- cercasse di adularlo con qualche complimento ben formulato era sparita nell'attimo in cui l’erede di Terra dei Fagiani aveva iniziato a rinfacciargli i suoi difetti. Chi era mai, quell'arrogante pallone gonfiato, per deriderlo di fronte a tutti, sminuirlo, rimbrottarlo neanche fosse un bambino indisciplinato? L'ira lo travolse.

 

“Anche a me era stato detto che non esistevano eguali a voi per spirito e galanteria, principe Jongin” borbottò, grondante veleno. “Evidentemente sono stato male informato. Non siete che un volgare, villano, indisponente e presuntuoso predicatore di morale e buone maniere, eppure siete il primo a non mettere in pratica quanto rimproverate agli altri” lo accusò.

 

Joonmyun si alzò, pronto ad intervenire e a ridurre al silenzio il figlio. Sehun non si rendeva conto di chi aveva appena insultato. Passi un nobile di rango inferiore: ma un principe! Il figlio di un re che disponeva di un esercito, che avrebbe potuto decidere di impiegarlo per muovere guerra contro di loro! Era inaccettabile. Sehun aveva davvero oltrepassato il limite.

 

Jongin non si mostrò minimamente scosso dalla sfuriata. “Quanto fuoco” scrollò le spalle, divertito. “Non immaginavo di potervi irritare in tal modo, giacché sembrate considerare me ed i miei concorrenti un branco di idioti affatto degni della vostra considerazione. Mi sbaglio, forse?”

 

“Non questa volta, signore” Sehun ormai tremava di rabbia. “Nessuno tra i presenti mi dà l'impressione di possedere le qualità richieste ad un futuro consorte regale, né quelle caratteriali e personali che io cerco nel mio compagno di vita. Voi meno di tutti”.

 

“Avete gusti difficili, soave principe” lo motteggiò Jongin con un sorriso di scherno. “Esigete la perfezione nonostante voi stesso siate ben lontano dal raggiungerla. Accettate un consiglio da parte di un volgare, villano, indisponente e presuntuoso predicatore di morale e buone maniere: se volete un marito degno di tali aspettative non vi resta che fabbricarvelo da solo. Magari utilizzando lo zucchero, con la speranza che tanta dolcezza si trasferisca a voi”.

 

Ridendo apertamente, ripeté l'inchino a Joonmyun e voltò le spalle ai reali, andandosene dalla sala seguito da una marea di mormorii ed esclamazioni. Non pochi tra i pretendenti gli rivolsero occhiate colme di ammirazione. Per quanto fiero, però, il principe Jongin non si sarebbe mai aspettato che il suo bizzarro suggerimento venisse ascoltato.

 

 

 

La notte stessa, nelle cucine reali, Sehun convocò tutti i cuochi e gli sguatteri presenti nel castello. Ne raccolse talmente tanti che una stanza sola stentava a contenerli tutti, giacché oltre ai cucinieri di palazzo vi erano anche quelli al servizio degli altolocati ospiti. Un nobile non si poteva definire tale, infatti, se non viaggiava con un seguito di almeno venti persone. Riunita quell’affollata cricca, il principe rivelò loro la ragione per cui erano stati buttati giù dal letto ad un’ora improba.

 

“Desidero che mi aiutiate a costruire un principe di zucchero. Dovrà avere le fattezze di uomo normale, alto a sufficienza da non sfigurare in mia presenza, e ben solido affinché non si sciolga”.

 

Gli ordini vennero eseguiti. Sotto la sua guida, i pasticcieri crearono un composto elastico e duttile che, una volta cotto nel forno, assumeva una parvenza di pelle umana. Modellatane la figura, procedettero a definirne i dettagli: mani e piedi di marzapane, due mandorle per occhi, bucce d'arancio candito per labbra, numerosi rotoli di liquirizia per i capelli. Il risultato era sontuoso. Il tono caramellato dello zucchero di canna, scelto da Sehun per dare colore alla carnagione del fantoccio, si sposava mirabilmente con il nero lucido della chioma.

 

“Splendido” decretò l'erede al trono. “È bello come il principe Jongin, ma a differenza sua non usa la bocca per sputare cattiverie” mormorò sovrappensiero. Distribuì una moneta d'argento a tutti, congratulandosi per l'ottimo lavoro. Infine si fece aiutare da due valletti per trasportare l'uomo di zucchero fin nelle sue stanze.

 

 

 

Joonmyun non volle credere al triste, ridicolo spettacolo offerto dal figlio. Lo vide stringere tra le braccia un pupazzo di zucchero a grandezza naturale, vestito di tutto punto, e lo ascoltò affermare che intendeva sposare lui e nessun altro.

 

“Mi avete chiesto di accasarmi, padre mio” cantilenò petulante Sehun. “Eccovi accontentato. Ho trovato un marito che mi aggrada. In futuro potremmo persino adottare un paio di orfanelli e rendervi nonno. Cosa ne pensate? Date il vostro consenso alle nozze?”

 

Il re si rendeva conto che quella del figlio era una provocazione bella e buona. Ma era stanco, stufo di stare dietro ai suoi capricci e rimediare ai suoi errori. Era ora che Sehun sbattesse il naso contro la realtà. Voleva sposare un uomo di zucchero? Prendersi gioco della sacralità del matrimonio con quella farsa? Ebbene, era liberissimo di farlo.

 

“Hai compiuto la maggiore età, sicché io non posso oppormi in alcun modo. Te ne pentirai” lo avvertì, sentendosi vecchio e inutile. “Quando avrai compreso l'immensità dell'errore che stai per commettere, non venire a piangere da me”.

 

Sehun annuì baldanzoso. Il principe Jongin si sarebbe dovuto mangiare le mani.

 

 

 

Le nozze vennero organizzate in fretta e furia. I nobili pretendenti, invitati a restare per assistere alla cerimonia, furono costretti a veder sfilare Sehun e il suo sposo di zucchero, sorretto dal povero Minseok, in sella ad una coppia di magnifici destrieri bianchi. Il corteo attraversò la città e ovunque venne accolto da reazioni costernate. I sudditi più smaliziati ne risero a lungo; i più creduloni arrivarono a convincersi che il principe fosse impazzito. Jongin assistette alla scena con una strana amarezza nello sguardo.

 

 

 

In capo a pochi giorni, l'intero regno era venuto a sapere del folle sposalizio. Incurante delle voci sul suo conto che iniziarono a circolare, anche al di fuori del palazzo, Sehun trascorse molte ore insieme al marito, passeggiando all’ombra dei giardini reali. Era un compito gravoso. Il clima caldo della bella stagione metteva a repentaglio l'integrità dell'uomo di zucchero, pertanto il principe si ritrovava a ripararlo dal sole con un grande ombrello. Il fedele Minseok seguiva l’assurda coppia passo passo, trasportando il principe consorte dentro una carriola.
Durante una di queste passeggiate, al precettore capitò di udire Sehun sospirare, mentre carezzava dolcemente il volto del marito fantoccio: “Sì, sei bello come Jongin e infinitamente più dolce. Ma se soltanto, come lui, mi parlassi!”

 

Minseok rimase in silenzio, e finse anzi di non aver sentito alcunché. Nella sua mente, tuttavia, un'idea andava formandosi.

 

 

 

I pretendenti avevano lasciato il palazzo da tempo e la vita coniugale di Sehun andava avanti nel più patetico dei modi. Ogni mattina tirava fuori dal letto il marito, lo vestiva, si assicurava che lo zucchero non si fosse sciolto, sostituiva le mandorle e le arance ammuffite con altre fresche. Dopo averlo portato a passeggio, lo metteva a sedere su un’ottomana e gli parlava. Si confidava con lui come non gli era mai capitato prima di allora. Di fronte allo sguardo senza vita dello sposo, alle sue labbra che non proferivano verbo, tenendo tra le sue quelle mani di marzapane dorato, Sehun si scopriva di capace di aprire il proprio cuore e parlare di sé senza riserve. Talvolta gli capitava di chiamare il principe con il nome di Jongin, e ciò lo faceva imbestialire.

 

 

 

Pur trascinandosi lento, il primo mese di matrimonio giunse al termine. Sehun, alla faccia di chi continuava a mostrarsi scettico sulla questione (Joonmyun compreso), stabilì di festeggiare la ricorrenza dando un gran ballo a corte. Non lesinò sulle partecipazioni, anzi ordinò che fossero invitati i sudditi al completo, principi e nobili da ogni angolo del regno e anche gli ex pretendenti. Al suo sarto personale fece confezionare due abiti in seta, uno per sé e uno per il marito. I cuochi furono esortati ad esprimere tutto il loro estro creativo al fine di realizzare pietanze straordinarie nel gusto e nell’aspetto. I giardinieri si affannarono a potare i cespugli e piantare nuove aiuole di fiori variopinti. Gli sguatteri e le domestiche sbatterono tappeti e arazzi fino a riempirsi gli occhi di polvere. I camini vennero puliti da cima a fondo, l’argenteria e le armature lucidate fino a splendere. I musici impararono nuove ballate e madrigali con cui allietare l’evento.

 

La sera del ballo, la sala dei ricevimenti era gremita di gente. Seduto sul trono, fiacco e invecchiato di colpo (si mormorava a causa dei dispiaceri procurati dal figlio), il re presiedeva la festa. Sehun fece il suo ingresso seguito dallo sposo, scortato come sempre nella carriola spinta da Minseok. La folla ammutolì. Il principe, noncurante, si chinò a baciare l’uomo di zucchero. Lo avrebbe sollevato e insieme avrebbero aperto le danze, come era costume. Era sul punto di accostare le labbra a quelle del marito, quando questi si animò. D’un tratto, spaventando i presenti e in particolare Sehun, si rizzò in piedi e saltò fuori dalla carriola. Puntando un dito contro l’erede al trono, le scorze d’arancia che gli formavano la bocca si mossero e da quella massa di zucchero e marzapane uscì fuori una voce stentorea.

 

“Fermatevi, Altezza, in nome della verità! Ponete fine a questo inganno. Non è me che amate, bensì il principe Jongin della Terra dei Fagiani” declamò. “Chiunque abbia occhi per vedere lo ha notato: mi avete creato identico a lui. Principe Jongin! Dove siete? Fatevi avanti, reclamate il vostro ruolo di legittimo sposo!”

 

Un fremito collettivo di eccitazione e attesa attraversò i partecipanti al ballo. Molte teste si girarono e occhi aguzzarono la vista per individuare la bella testa scura di Jongin in mezzo agli invitati. Joonmyun parve riacquistare un po’ del vigore perduto e diede segno di volersi alzare e prendere in mano la situazione. I ministri borbottarono tra di loro. Il fedele Minseok osservava la scena con trepidazione.
Sehun, dal canto suo, sentì posarsi su di lui gli sguardi della folla e, per la prima volta da quando aveva avuto l’idea di sposare un fantoccio, si sentì immensamente sciocco. Uno stolto, irragionevole, arrogante ragazzino che pensando di gabbare il mondo si era ridicolizzato con le sue stesse mani. Persino la sua creatura lo fissava con sdegno; lo accusava, lo svergognava. Per merito di quale prodigio era in grado di parlare? E perché rivelava il suo segreto più recondito, quello che nemmeno lui aveva il coraggio di pronunciare a voce alta?
L’umiliazione divenne troppo dura da sopportare, e il principe non vide altra soluzione se non la fuga. Scappò via dalla musica, dal vocio malizioso di chi sicuramente non vedeva l’ora di divertirsi a sue spese, dal padre deluso, dal buon precettore, dallo sposo e soprattutto da Jongin. Jongin che probabilmente stava sbeffeggiandolo e rideva alle sue spalle, lieto di essere riuscito ad umiliarlo ancora una volta.
Sehun corse a perdifiato nei corridoi illuminati dalle candele, lungo una delle scalinate che conducevano ai giardini. Lì, dove una notte senza luna lo nascondeva pietosa dal biasimo altrui, il giovane sfogò tutta la sua frustrazione. Asciugandosi lacrime dettate dalla rabbia e dal rimpianto, si ripromise di non tornare alla festa. Avrebbe trascorso la notte all’addiaccio, piuttosto.

 

 

 

Il mattino seguente, dopo ore insonni passate a camminare lungo i viali del parco, tanto irrequieto che nemmeno il profumo dei fiori aveva saputo calmarlo, Sehun si infilò di soppiatto a palazzo. Elusa la sorveglianza delle guardie e dei servitori che si apprestavano a svolgere le prime mansioni del giorno, il principe raggiunse gli appartamenti del padre. Voleva chiedergli scusa e ammettere i propri sbagli. Non sapeva ancora quali parole avrebbe utilizzato, né se sarebbero state efficaci, ma il suo desiderio di redimersi era più importante. Solo dopo aver supplicato il perdono del re sarebbe andato in cerca del suo sposo. Doveva capire, doveva-
Aprendo la porta, grande fu la sua sorpresa nello scoprire che non avrebbe dovuto allontanarsi di molto per cercare il marito: era nella stanza del padre, in piedi, che confabulava con il suocero. Sehun trasecolò.

 

“Tu!” esclamò.

 

“Io” annuì l’altro.

 

“Cosa ci fai qui? Cosa ti ha reso in grado di parlare? Perché mi hai sbugiardato davanti a tutti?” lo investì con una raffica di domande.

 

“Non è gentile da parte tua rivolgerti al tuo consorte con modi tanto buschi” lo ammonì Joonmyun, nascondendo una smorfia divertita.

 

“Il mio consorte è muto e ha bisogno di un supporto anche solo per stare in piedi senza cadere” ribatté Sehun, scrutando con sospetto il marito. “Come è possibile, in nome di Dio, che-?”

 

L’uomo di zucchero si portò le mani al viso, che venne via rivelando il volto serio di Jongin. “Sorpresa” disse.

 

“Cosa?” il principe strepitò incredulo. “Cosa?”

 

“Il tuo legittimo consorte, ahimè, è deceduto. Il sole estivo lo ha sciolto” spiegò Jongin. “Il tuo precettore ha avuto l’idea di realizzare una maschera identica al suo volto che nascondesse il mio, mi ha fatto indossare i suoi vestiti, mi ha riempito i capelli di liquirizie e ieri sera mi ha trasportato sulla carriola per partecipare al ballo in tua compagnia”.

 

“Eri tu?” domandò, abbastanza stupidamente, Sehun. “Tu mi hai- hai osato-”

 

“È stato Minseok a svelarmi quali fossero i tuoi reali sentimenti. Io, onestamente, credevo che mi odiassi” scrollò le spalle con modestia.

 

“E così avete pensato bene di farmela pagare umiliandomi di fronte al mio popolo e ai miei amici” disse a denti stretti.

 

Jongin si avvicinò a lui. “Te lo saresti meritato, dolce principe” l’occhiata che gli lanciò di sottecchi fece avvampare Sehun. “In realtà speravo di indurti a confessare. Non immaginavo che te la saresti data a gambe tra le lacrime”.

 

“Non stavo piangendo” puntualizzò fieramente.

 

“Lo so” sorrise per la prima volta da che si conoscevano, e gli prese una mano tra le sue. “Mi dispiace”.

 

Sehun si concesse un respiro profondo. Ricambiò la stretta; vide le sue dita pallide intrecciarsi a quelle più scure di Jongin. Non erano mani di marzapane, la sua pelle non era di melassa, gli occhi che lo fissavano erano mobili e inquisitori, le labbra non erano fette d’arancia ma morbide e rosse come una bacca succulenta. Jongin era bello come il suo sposo di zucchero. Più bello, anzi, poiché parlava ed era vivo, capace di abbracciarlo, perdonarlo. Si chiese come potesse essere la vita insieme a lui. La risposta gli balenò in mente chiara e irrevocabile.

 

“Jongin” esitò. “Conosci già i miei sentimenti. E sono mortificato per il modo in cui ti ho trattato. Se per caso… Insomma, se volessi darmi una seconda possibilità, io…” faticò a concludere la frase. “Accetteresti di sposarmi?”

 

Il principe straniero non rispose subito. Parve riflettere, lo sguardo fisso in quello di Sehun quasi vi stesse cercando qualcosa -una conferma, una promessa, pentimento. “Sì” disse infine. Il suo sorriso avrebbe sciolto quintali e quintali dello zucchero più pregiato. “Penso che potrei imparare ad amarti”.

 

 

E così fu.

 

 

 

 

 

La fiaba qui raccontata ha origini popolari, sembra addirittura svizzere. Io l’ho un po’ rimaneggiata e ampliata (il libricino sui cui l’ho letta la prima volta contava sì e no dieci pagine, al 70% illustrate!). Spero che le mie modifiche siano di vostro gradimento.

 

Una cliccatina è sempre gradita: https://www.facebook.com/IlGeniodelMaleEFP/.

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > EXO / Vai alla pagina dell'autore: Il_Genio_del_Male