C'era
una volta un re vedovo, uomo retto e virtuoso. Regnava con
giustizia, favoriva il commercio, si mostrava clemente nei confronti
dei
criminali, elargiva munifiche donazioni di denaro alle famiglie
indigenti del
regno, preferiva la pace ai conflitti armati con i regni confinanti. Il
popolo
lo amava, ed egli ricambiava quell'affetto organizzando feste e balli a
cui
l'intera popolazione -di nobili o di umili natali poco importava- era
invitata
a partecipare.
L'eccellente
sovrano aveva tuttavia un cruccio, rappresentato dal
suo unico figlio, Sehun. Il giovane gli sarebbe succeduto al trono
quando
sarebbe giunta la sua ora, e a questo scopo era stato educato sin dalla
più
tenera età. In tal senso, il ragazzo non aveva rappresentato
una delusione per
i suoi maestri. Parlava e scriveva in quattro lingue, andava di
frequente a
cavallo (benché rifuggisse le partite di caccia), sapeva
condurre una dama
durante un giro di valzer e tirar di spada. Aveva studiato aritmetica
ed
economia, aveva nozioni di diritto ed ingegneria meccanica, componeva
sonetti e
talvolta si lasciava convincere a dilettare gli ospiti con il suono
della sua
arpa. Sulla carta, chiunque lo avrebbe reputato un principe esemplare.
Le
premesse affinché diventasse un regnante degno dell'amato
padre c'erano tutte.
Eppure Sehun presentava delle peculiarità caratteriali che
preoccupavano
grandemente il maturo genitore. Egli infatti trovava che il figlio
fosse
viziato e capriccioso, ostinato come un mulo nonché deciso
ad avere sempre
l'ultima parola in una discussione. Non era un cattivo giovine. Non
mancava né
di pietà né di galanteria. Raramente,
però, Sehun obbediva agli ordini se
questi non erano di suo gradimento. Pur rispettando il padre, non si
esimeva
dal contraddirlo e ribattere alle sue osservazioni quando si trovavano
in
disaccordo. Non contento, si permetteva di farlo in pubblico, al
cospetto della
corte e dei loro consiglieri. Un tale comportamento era inaccettabile
per l'erede
al trono, mormoravano gli uomini di fiducia del re. Persino Joonmyun
-questo
era il nome del sovrano- se ne rendeva conto, e afflitto si
rimproverava per
non aver saputo imbrigliare in tempo l'indole polemica e ribelle del
figlio e
domarla. Sehun non era più il fanciullino che si dilettava
con la filosofia
socratica e a cui, in virtù del suo essere il più
giovane abitante del palazzo,
venivano condonate piccole e grandi marachelle. Joonmyun lo aveva
trattato
troppo a lungo con l'indulgenza che si riserva ai bambini, ma era ormai
ora che
entrambi accettassero la realtà. Sehun era un uomo adulto,
il cui dovere era
sposarsi e assicurare una discendenza al regno. La
difficoltà maggiore, senza
dubbio, stava nel farglielo capire.
Il
giorno in cui Joonmyun annunciò, durante il concilio
ristretto,
che il figlio avrebbe presto preso moglie, i ministri presenti si
prepararono
spiritualmente ad assistere ad una scenata coi fiocchi.
“Giammai!”
obiettò con veemenza Sehun, in verità troppo
sbalordito
dalla notizia per reagire con la solita aggressività.
“Un'alleanza
con un altro regno è auspicabile, nonché
necessaria,
per mantenere lo status quo e rafforzare la nostra posizione a livello
territoriale” proseguì Joonmyun impassibile, come
se non avesse udito la
protesta del principe. “Non esiste alleanza più
solida e duratura di quella
contratta attraverso un matrimonio. Prima di lasciare questo mondo devo
saperti
felicemente accasato e con una numerosa prole che garantisca il
proseguo della
nostra dinastia, figliolo. Ti prego di non mostrarti irragionevole,
perché non
vi sono scuse che tengano”.
Sehun
non era l'ultimo degli idioti. Sapeva che il padre stava
dicendo il vero. Tuttavia non volle darsi per vinto: “Datemi
una moglie, Sire,
e posso giurarvi di fronte al Concilio che morirete senza mai provare
la gioia
di tenere un nipotino sulle ginocchia” ribatté
duramente.
I
ministri accolsero quell'affermazione con esclamazioni di pura
sorpresa mista a indignazione.
“Altezza,
non vi sembra il caso di moderare i termini?” un saggio
precettore,
tale Minseok, intervenne per sedare l'animo bellicoso dell'allievo.
“Non
vorrete mancare di rispetto al re; non sarebbe da voi”
aggiunse con voce mite.
“Caro
maestro, non è la volontà di mancare di rispetto
a mio padre
che mi spinge a parlare così, ma la
verità” incrociò le braccia sprezzante.
“Se
dovessi sposarmi, l'unica discendenza che potrei vantare sarebbe
bastarda,
frutto di un altrui seme. Le donne non sono affatto di mio
gusto” sottolineò
guardando il padre con aria di sfida. “Potreste invitare a
corte le più belle
fanciulle, le più cortesi e intelligenti e coraggiose e
incantevoli di tutti i
regni conosciuti. La mia risposta sarebbe sempre una sola: no,
grazie”.
Il
disinteresse nei confronti del gentil sesso palesato dall'erede
al trono giungeva inaspettato alle orecchie dei molti gentiluomini
presenti, ma
non a quelle di Joonmyun né di Minseok. Il padre non se ne
stupiva poiché anche
lui, da ragazzo, aveva nutrito un folle e intenso amore per Kyungsoo,
il cuoco
di corte, il quale si era licenziato appena aveva saputo delle
imminenti nozze
del re. Minseok, dal canto suo, conviveva more uxorio
con Lu Han, uno
degli stallieri del castello, e non aveva faticato a riconoscere nel
principe,
già da adolescente, una versione più giovane di
se stesso.
Il
sovrano, ricordando il mai dimenticato sentimento giovanile e
ancor più determinato a mettere il figlio di fronte alle sue
responsabilità, se
ne uscì con una proposta singolare.
“E
sia, allora. Ti cercheremo un marito” proferì,
incurante del
chiacchiericcio esterrefatto dei ministri. “L'importante
è che provenga da una
famiglia ricca ed influente”. Ignorando lo sguardo attonito
del principe, si
rivolse al cerimoniere di corte. “Organizzate un ballo
sfarzoso come mai se ne
sono visti. Che siano invitati i figli maschi di tutte le casate nobili
nel
raggio di cento miglia; principi, conti, duchi, baroni, qualsiasi
titolo è bene
accetto”.
Invero,
Sehun tentò di reagire. Scosso, preso in contropiede,
provò a fare la voce grossa. Pensò addirittura di
sbattere un pugno sul tavolo
e lasciare che fosse l'ira a guidare le proprie azioni, a costo di
pronunciare
parole di cui avrebbe potuto pentirsi in seguito. Non vi
riuscì, perché il re
lo precedette.
“Potere
e doveri vanno a braccetto, figliolo. Se non sei in grado
di affrontare un compito tanto semplice, temo che non sarai mai pronto
per
succedermi” lo gelò. E nel silenzio pregno di
tensione che era calato nella
sala, spezzato solo dal fruscio delle sue vesti e dai tacchi degli
stivali che
battevano a terra, Joonmyun si congedò dal concilio.
Sehun
era effettivamente testardo e malmostoso. Pertanto, invece
di fare buon viso a cattivo gioco, preferì sfidare
l'autorità paterna e la sera
del ballo si presentò nel salone dei ricevimenti vestito a
guisa di un semplice
garzone. Non un mantello ricamato, non ricchi broccati e velluti
adornavano il
suo corpo, bensì una camiciola bianca e braghe di tela
talmente umili che
nemmeno un servo avrebbe osato indossarle. La chioma bionda era
volutamente
spettinata, le mani prive di anelli. C'era da meravigliarsi che non si
fosse
presentato scalzo o in camicia da notte.
Il re strinse le labbra, trattenendo un sospiro. Si chiese quando si
sarebbe
deciso, l'amato figlio, a crescere.
La
festa, nonostante la gaffe di Sehun, iniziò e procedette
bene.
Sembrava che ciascuna famiglia con nobili origini e dotata di progenie
maschile
avesse risposto all'invito del sovrano. Giovani di antico o
più recente
lignaggio, figli di re e visconti e marchesi, di diversa altezza e
avvenenza,
attendevano di essere presentati al principe Sehun e scambiare con lui
poche
parole. Un maggiordomo di palazzo prese ad elencarne, uno per uno, nomi
e
titoli.
“La
vostra bellezza è incomparabile” si fece avanti
Chanyeol, duca
di Val Verdissima, offrendo allo scapolo d'oro un raro cane della
Tasmania.
“Un cane con sei zampe? Orrore” esclamò
quegli, annoiato. “E poi, non mi
garbano le vostre orecchie enormi. Non siete certo abbastanza bello per
me”
concluse con uno sberleffo.
“Avete
un animo indomito e una lingua arguta” tentò la
sorte
l'erede del ducato di Landa Desolata, di nome Baekhyun. In regalo
recava con sé
un'oca parlante della Patagonia.
“Un'oca
in un vaso per pesci rossi? Ridicolo” sbadigliò.
“E poi,
non mi piace il vostro sguardo. Temo non siate abbastanza intelligente
per me”
ridacchiò crudele.
Andò
avanti a tal maniera, i pretendenti scartati uno dopo l'altro
e per di più feriti nell'orgoglio, fino a che non fu il
turno dell'ultimo della
fila. Costui era Jongin, principe della Terra dei Fagiani, e chiunque
lo
conosceva di fama. Si narravano soltanto meraviglie sul suo conto: che
conoscesse a fondo ben sei lingue, che scrivesse trattati di retorica
in latino
e di astronomia in greco; che fosse il più formidabile
allevatore di segugi del
Paese, che danzasse con indescrivibile grazia, che esercitasse la
propria
carica con equità e benevolenza, e infine che né
uomini né donne potessero
resistere al suo fascino. Incontrandolo di persona, Sehun ne
capì il motivo.
Jongin era alto, con la figura di un atleta e il volto finemente
cesellato da
eroe antico. La pelle brunita testimoniava il suo amore per l'aria
aperta, il
nero sguardo liquido suggeriva una profonda bontà d'animo,
la bocca pareva
sorridere di un segreto noto a lui soltanto. Simile ad un dio, era
certamente
l'uomo più bello che Sehun avesse mai visto. E se le voci
che correvano sul suo
conto erano vere, il principe straniero vantava un intelletto vivace e
un
carattere amabile. Era impossibile trovargli un difetto.
Quando
Jongin si inginocchiò, il capo chino in segno di omaggio,
Sehun avvertì un brivido lungo la schiena. I palmi delle
mani gli si
ricoprirono di sudore freddo, mentre al contrario una sensazione di
calore gli
invadeva il corpo. Il cuore gli balzò in gola. Che fosse...?
“Sarò
franco con voi, principe” parlò Jongin, rivelando
una voce
altrettanto piacevole. “Non mi trovo qui per mia
volontà bensì per il volere di
mio padre, re Jongdae. Sono spiacente di presentarmi a mani vuote,
poiché i
doni che porto sono stati scelti per compiacere vostro padre, e a lui
verranno
consegnati dal mio valletto” disse rivolgendo un inchino a
Joonmyun. “Tuttavia,
non mi vergogno di fare una tanto misera figura al vostro cospetto. Vi
ho
osservato, principe, e ciò che ho visto mi ha rattristato.
Mi era stato
riferito quanto brillante fosse la vostra intelligenza, quanto abile
foste con
i cavalli, quanta gentilezza dimostraste nei confronti dei poveri.
Ebbene, non
avete dimostrato alcuna cortesia verso i miei rivali; vi siete servito
delle
vostre capacità oratorie unicamente per offenderli e
umiliarli. Se aveste
dimostrato un po' di empatia, se vi avessi udito pronunciare una parola
gentile, vi avrei offerto me stesso, anima e sangue. Avrei potuto
imparare ad
amarvi e a rendervi felice. Invece, stando così le cose,
rinuncio volentieri
alla competizione”.
Il
suo tono di voce, sommesso ma inflessibile, severo, ebbe il
potere di colorire di rosso il volto di Sehun. La trepidazione provata
in
attesa che parlasse e -come gli altri- cercasse di adularlo con qualche
complimento ben formulato era sparita nell'attimo in cui
l’erede di Terra dei
Fagiani aveva iniziato a rinfacciargli i suoi difetti. Chi era mai,
quell'arrogante pallone gonfiato, per deriderlo di fronte a tutti,
sminuirlo,
rimbrottarlo neanche fosse un bambino indisciplinato? L'ira lo travolse.
“Anche
a me era stato detto che non esistevano eguali a voi per
spirito e galanteria, principe Jongin” borbottò,
grondante veleno.
“Evidentemente sono stato male informato. Non siete che un
volgare, villano,
indisponente e presuntuoso predicatore di morale e buone maniere,
eppure siete
il primo a non mettere in pratica quanto rimproverate agli
altri” lo accusò.
Joonmyun
si alzò, pronto ad intervenire e a ridurre al silenzio il
figlio. Sehun non si rendeva conto di chi aveva appena insultato. Passi
un
nobile di rango inferiore: ma un principe! Il figlio di un re che
disponeva di
un esercito, che avrebbe potuto decidere di impiegarlo per muovere
guerra
contro di loro! Era inaccettabile. Sehun aveva davvero oltrepassato il
limite.
Jongin
non si mostrò minimamente scosso dalla sfuriata.
“Quanto
fuoco” scrollò le spalle, divertito.
“Non immaginavo di potervi irritare in tal
modo, giacché sembrate considerare me ed i miei concorrenti
un branco di idioti
affatto degni della vostra considerazione. Mi sbaglio, forse?”
“Non
questa volta, signore” Sehun ormai tremava di rabbia.
“Nessuno tra i presenti mi dà l'impressione di
possedere le qualità richieste
ad un futuro consorte regale, né quelle caratteriali e
personali che io cerco
nel mio compagno di vita. Voi meno di tutti”.
“Avete
gusti difficili, soave principe” lo motteggiò
Jongin con un
sorriso di scherno. “Esigete la perfezione nonostante voi
stesso siate ben
lontano dal raggiungerla. Accettate un consiglio da parte di un
volgare,
villano, indisponente e presuntuoso predicatore di morale e buone
maniere: se
volete un marito degno di tali aspettative non vi resta che
fabbricarvelo da
solo. Magari utilizzando lo zucchero, con la speranza che tanta
dolcezza si
trasferisca a voi”.
Ridendo
apertamente, ripeté l'inchino a Joonmyun e voltò
le spalle
ai reali, andandosene dalla sala seguito da una marea di mormorii ed
esclamazioni. Non pochi tra i pretendenti gli rivolsero occhiate colme
di
ammirazione. Per quanto fiero, però, il principe Jongin non
si sarebbe mai
aspettato che il suo bizzarro suggerimento venisse ascoltato.
La
notte stessa, nelle cucine reali, Sehun convocò tutti i
cuochi
e gli sguatteri presenti nel castello. Ne raccolse talmente tanti che
una
stanza sola stentava a contenerli tutti, giacché oltre ai
cucinieri di palazzo
vi erano anche quelli al servizio degli altolocati ospiti. Un nobile
non si
poteva definire tale, infatti, se non viaggiava con un seguito di
almeno venti
persone. Riunita quell’affollata cricca, il principe
rivelò loro la ragione per
cui erano stati buttati giù dal letto ad un’ora
improba.
“Desidero
che mi aiutiate a costruire un principe di zucchero.
Dovrà avere le fattezze di uomo normale, alto a sufficienza
da non sfigurare in
mia presenza, e ben solido affinché non si
sciolga”.
Gli
ordini vennero eseguiti. Sotto la sua guida, i pasticcieri
crearono un composto elastico e duttile che, una volta cotto nel forno,
assumeva una parvenza di pelle umana. Modellatane la figura,
procedettero a
definirne i dettagli: mani e piedi di marzapane, due mandorle per
occhi, bucce
d'arancio candito per labbra, numerosi rotoli di liquirizia per i
capelli. Il
risultato era sontuoso. Il tono caramellato dello zucchero di canna,
scelto da
Sehun per dare colore alla carnagione del fantoccio, si sposava
mirabilmente
con il nero lucido della chioma.
“Splendido”
decretò l'erede al trono. “È bello
come il
principe Jongin, ma a differenza sua non usa la bocca per sputare
cattiverie”
mormorò sovrappensiero. Distribuì una moneta
d'argento a tutti, congratulandosi
per l'ottimo lavoro. Infine si fece aiutare da due valletti per
trasportare
l'uomo di zucchero fin nelle sue stanze.
Joonmyun
non volle credere al triste, ridicolo spettacolo offerto
dal figlio. Lo vide stringere tra le braccia un pupazzo di zucchero a
grandezza
naturale, vestito di tutto punto, e lo ascoltò affermare che
intendeva sposare
lui e nessun altro.
“Mi
avete chiesto di accasarmi, padre mio” cantilenò
petulante
Sehun. “Eccovi accontentato. Ho trovato un marito che mi
aggrada. In futuro
potremmo persino adottare un paio di orfanelli e rendervi nonno. Cosa
ne
pensate? Date il vostro consenso alle nozze?”
Il
re si rendeva conto che quella del figlio era una provocazione
bella e buona. Ma era stanco, stufo di stare dietro ai suoi capricci e
rimediare ai suoi errori. Era ora che Sehun sbattesse il naso contro la
realtà.
Voleva sposare un uomo di zucchero? Prendersi gioco della
sacralità del
matrimonio con quella farsa? Ebbene, era liberissimo di farlo.
“Hai
compiuto la maggiore età, sicché io non posso
oppormi in
alcun modo. Te ne pentirai” lo avvertì, sentendosi
vecchio e inutile. “Quando
avrai compreso l'immensità dell'errore che stai per
commettere, non venire a
piangere da me”.
Sehun
annuì baldanzoso. Il principe Jongin si sarebbe dovuto
mangiare le mani.
Le
nozze vennero organizzate in fretta e furia. I nobili
pretendenti, invitati a restare per assistere alla cerimonia, furono
costretti
a veder sfilare Sehun e il suo sposo di zucchero, sorretto dal povero
Minseok,
in sella ad una coppia di magnifici destrieri bianchi. Il corteo
attraversò la
città e ovunque venne accolto da reazioni costernate. I
sudditi più smaliziati
ne risero a lungo; i più creduloni arrivarono a convincersi
che il principe
fosse impazzito. Jongin assistette alla scena con una strana amarezza
nello sguardo.
In
capo a pochi giorni, l'intero regno era venuto a sapere del
folle sposalizio. Incurante delle voci sul suo conto che iniziarono a
circolare, anche al di fuori del palazzo, Sehun trascorse molte ore
insieme al
marito, passeggiando all’ombra dei giardini reali. Era un
compito gravoso. Il
clima caldo della bella stagione metteva a repentaglio
l'integrità dell'uomo di
zucchero, pertanto il principe si ritrovava a ripararlo dal sole con un
grande
ombrello. Il fedele Minseok seguiva l’assurda coppia passo
passo, trasportando
il principe consorte dentro una carriola.
Durante una di queste passeggiate, al precettore capitò di
udire Sehun
sospirare, mentre carezzava dolcemente il volto del marito fantoccio:
“Sì, sei bello
come Jongin e infinitamente più dolce. Ma se soltanto, come
lui, mi parlassi!”
Minseok
rimase in silenzio, e finse anzi di non aver sentito
alcunché. Nella sua mente, tuttavia, un'idea andava
formandosi.
I
pretendenti avevano lasciato il palazzo da tempo e la vita
coniugale di Sehun andava avanti nel più patetico dei modi.
Ogni mattina tirava
fuori dal letto il marito, lo vestiva, si assicurava che lo zucchero
non si
fosse sciolto, sostituiva le mandorle e le arance ammuffite con altre
fresche.
Dopo averlo portato a passeggio, lo metteva a sedere su
un’ottomana e gli
parlava. Si confidava con lui come non gli era mai capitato prima di
allora. Di
fronte allo sguardo senza vita dello sposo, alle sue labbra che non
proferivano
verbo, tenendo tra le sue quelle mani di marzapane dorato, Sehun si
scopriva di
capace di aprire il proprio cuore e parlare di sé senza
riserve. Talvolta gli
capitava di chiamare il principe con il nome di Jongin, e
ciò lo faceva
imbestialire.
Pur
trascinandosi lento, il primo mese di matrimonio giunse al
termine. Sehun, alla faccia di chi continuava a mostrarsi scettico
sulla
questione (Joonmyun compreso), stabilì di festeggiare la
ricorrenza dando un
gran ballo a corte. Non lesinò sulle partecipazioni, anzi
ordinò che fossero invitati
i sudditi al completo, principi e nobili da ogni angolo del regno e
anche gli
ex pretendenti. Al suo sarto personale fece confezionare due abiti in
seta, uno
per sé e uno per il marito. I cuochi furono esortati ad
esprimere tutto il loro
estro creativo al fine di realizzare pietanze straordinarie nel gusto e
nell’aspetto. I giardinieri si affannarono a potare i
cespugli e piantare nuove
aiuole di fiori variopinti. Gli sguatteri e le domestiche sbatterono
tappeti e
arazzi fino a riempirsi gli occhi di polvere. I camini vennero puliti
da cima a
fondo, l’argenteria e le armature lucidate fino a splendere.
I musici
impararono nuove ballate e madrigali con cui allietare
l’evento.
La
sera del ballo, la sala dei ricevimenti era gremita di gente.
Seduto sul trono, fiacco e invecchiato di colpo (si mormorava a causa
dei
dispiaceri procurati dal figlio), il re presiedeva la festa. Sehun fece
il suo
ingresso seguito dallo sposo, scortato come sempre nella carriola
spinta da
Minseok. La folla ammutolì. Il principe, noncurante, si
chinò a baciare l’uomo
di zucchero. Lo avrebbe sollevato e insieme avrebbero aperto le danze,
come era
costume. Era sul punto di accostare le labbra a quelle del marito,
quando
questi si animò. D’un tratto, spaventando i
presenti e in particolare Sehun, si
rizzò in piedi e saltò fuori dalla carriola.
Puntando un dito contro l’erede al
trono, le scorze d’arancia che gli formavano la bocca si
mossero e da quella
massa di zucchero e marzapane uscì fuori una voce stentorea.
“Fermatevi,
Altezza, in nome della verità! Ponete fine a questo
inganno. Non è me che amate, bensì il principe
Jongin della Terra dei Fagiani”
declamò. “Chiunque abbia occhi per vedere lo ha
notato: mi avete creato
identico a lui. Principe Jongin! Dove siete? Fatevi avanti, reclamate
il vostro
ruolo di legittimo sposo!”
Un
fremito collettivo di eccitazione e attesa attraversò i
partecipanti al ballo. Molte teste si girarono e occhi aguzzarono la
vista per
individuare la bella testa scura di Jongin in mezzo agli invitati.
Joonmyun
parve riacquistare un po’ del vigore perduto e diede segno di
volersi alzare e
prendere in mano la situazione. I ministri borbottarono tra di loro. Il
fedele
Minseok osservava la scena con trepidazione.
Sehun, dal canto suo, sentì posarsi su di lui gli sguardi
della folla e, per la
prima volta da quando aveva avuto l’idea di sposare un
fantoccio, si sentì
immensamente sciocco. Uno stolto, irragionevole, arrogante ragazzino
che
pensando di gabbare il mondo si era ridicolizzato con le sue stesse
mani.
Persino la sua creatura lo fissava con sdegno; lo accusava, lo
svergognava. Per
merito di quale prodigio era in grado di parlare? E perché
rivelava il suo
segreto più recondito, quello che nemmeno lui aveva il
coraggio di pronunciare
a voce alta?
L’umiliazione divenne troppo dura da sopportare, e il
principe non vide altra
soluzione se non la fuga. Scappò via dalla musica, dal vocio
malizioso di chi
sicuramente non vedeva l’ora di divertirsi a sue spese, dal
padre deluso, dal
buon precettore, dallo sposo e soprattutto da Jongin. Jongin che
probabilmente
stava sbeffeggiandolo e rideva alle sue spalle, lieto di essere
riuscito ad
umiliarlo ancora una volta.
Sehun corse a perdifiato nei corridoi illuminati dalle candele, lungo
una delle
scalinate che conducevano ai giardini. Lì, dove una notte
senza luna lo
nascondeva pietosa dal biasimo altrui, il giovane sfogò
tutta la sua
frustrazione. Asciugandosi lacrime dettate dalla rabbia e dal
rimpianto, si
ripromise di non tornare alla festa. Avrebbe trascorso la notte
all’addiaccio,
piuttosto.
Il
mattino seguente, dopo ore insonni passate a camminare lungo i
viali del parco, tanto irrequieto che nemmeno il profumo dei fiori
aveva saputo
calmarlo, Sehun si infilò di soppiatto a palazzo. Elusa la
sorveglianza delle
guardie e dei servitori che si apprestavano a svolgere le prime
mansioni del
giorno, il principe raggiunse gli appartamenti del padre. Voleva
chiedergli
scusa e ammettere i propri sbagli. Non sapeva ancora quali parole
avrebbe
utilizzato, né se sarebbero state efficaci, ma il suo
desiderio di redimersi
era più importante. Solo dopo aver supplicato il perdono del
re sarebbe andato
in cerca del suo sposo. Doveva capire, doveva-
Aprendo la porta, grande fu la sua sorpresa nello scoprire che non
avrebbe
dovuto allontanarsi di molto per cercare il marito: era nella stanza
del padre,
in piedi, che confabulava con il suocero. Sehun trasecolò.
“Tu!”
esclamò.
“Io”
annuì l’altro.
“Cosa
ci fai qui? Cosa ti ha reso in grado di parlare? Perché mi
hai sbugiardato davanti a tutti?” lo investì con
una raffica di domande.
“Non
è gentile da parte tua rivolgerti al tuo consorte con modi
tanto buschi” lo ammonì Joonmyun, nascondendo una
smorfia divertita.
“Il
mio consorte è muto e ha bisogno di un supporto anche solo
per
stare in piedi senza cadere” ribatté Sehun,
scrutando con sospetto il marito.
“Come è possibile, in nome di Dio, che-?”
L’uomo
di zucchero si portò le mani al viso, che venne via
rivelando il volto serio di Jongin. “Sorpresa”
disse.
“Cosa?”
il principe strepitò incredulo. “Cosa?”
“Il
tuo legittimo consorte, ahimè, è deceduto. Il
sole estivo lo
ha sciolto” spiegò Jongin. “Il tuo
precettore ha avuto l’idea di realizzare una
maschera identica al suo volto che nascondesse il mio, mi ha fatto
indossare i
suoi vestiti, mi ha riempito i capelli di liquirizie e ieri sera mi ha
trasportato sulla carriola per partecipare al ballo in tua
compagnia”.
“Eri
tu?” domandò, abbastanza stupidamente, Sehun.
“Tu mi hai- hai
osato-”
“È
stato Minseok a svelarmi quali fossero i tuoi reali sentimenti.
Io, onestamente, credevo che mi odiassi” scrollò
le spalle con modestia.
“E
così avete pensato bene di farmela pagare umiliandomi di
fronte
al mio popolo e ai miei amici” disse a denti stretti.
Jongin
si avvicinò a lui. “Te lo saresti meritato, dolce
principe”
l’occhiata che gli lanciò di sottecchi fece
avvampare Sehun. “In realtà speravo
di indurti a confessare. Non immaginavo che te la saresti data a gambe
tra le
lacrime”.
“Non
stavo piangendo” puntualizzò fieramente.
“Lo
so” sorrise per la prima volta da che si conoscevano, e gli
prese una mano tra le sue. “Mi dispiace”.
Sehun
si concesse un respiro profondo. Ricambiò la stretta; vide
le sue dita pallide intrecciarsi a quelle più scure di
Jongin. Non erano mani
di marzapane, la sua pelle non era di melassa, gli occhi che lo
fissavano erano
mobili e inquisitori, le labbra non erano fette d’arancia ma
morbide e rosse
come una bacca succulenta. Jongin era bello come il suo sposo di
zucchero. Più
bello, anzi, poiché parlava ed era vivo, capace di
abbracciarlo, perdonarlo. Si
chiese come potesse essere la vita insieme a lui. La risposta gli
balenò in
mente chiara e irrevocabile.
“Jongin”
esitò. “Conosci già i miei sentimenti.
E sono mortificato
per il modo in cui ti ho trattato. Se per caso… Insomma, se
volessi darmi una
seconda possibilità, io…”
faticò a concludere la frase. “Accetteresti di
sposarmi?”
Il
principe straniero non rispose subito. Parve riflettere, lo
sguardo fisso in quello di Sehun quasi vi stesse cercando qualcosa -una
conferma, una promessa, pentimento. “Sì”
disse infine. Il suo sorriso avrebbe
sciolto quintali e quintali dello zucchero più pregiato.
“Penso che potrei
imparare ad amarti”.
E
così fu.
La
fiaba qui raccontata ha origini popolari, sembra addirittura
svizzere. Io l’ho un po’ rimaneggiata e ampliata
(il libricino sui cui l’ho
letta la prima volta contava sì e no dieci pagine, al 70%
illustrate!). Spero
che le mie modifiche siano di vostro gradimento.
Una
cliccatina è sempre gradita: https://www.facebook.com/IlGeniodelMaleEFP/.