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Autore: _Circe    01/09/2018    2 recensioni
Si dice che le paure si sviluppino tra i sei e dieci anni. Prima si è troppo curiosi di scoprire il mondo, troppo avidi di nuove esperienza.
Per questo si cerca di toccare il fuoco anche se mamma ha detto che brucia, ecco perché si prova a correre quando ancora non si sa camminare.
Bugie. Solo bugie.
Leslie ha sette anni e non ricorda neanche un momento in cui non abbia avuto paura.
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si portò le ginocchia ancora più vicine al petto, cercando di rendere la sua figura già minuta pressoché invisibile.  

Lì, nella grandezza dell’armadio di sua madre, si trovava Leslie, una bambina tanto piccola quanto bizzarra, fragile come lo stelo di una margherita e docile come un agnellino. Una lacrima si fece strada tra le sue ciglia, seguita da altre che cominciarono a colare copiose bagnandole il viso e facendole sentire uno spiacevole sapore salato in bocca.  
Soffocando i singhiozzi fece passare il tempo e, con un groppo in gola, dopo quelle che potevano essere minuti o ore, si costrinse a uscire da quel nascondiglio improvvisato, come tutte sere andò in bagno e si sciacquò la faccia paffuta e imporporata dal pianto e si lavò le mani con una saponetta che sua madre aveva comprato da uno di quei cataloghi che le piacevano tanto e che promettevano cosmetici super naturali e testati su ogni cosa possibile 

Corse in salotto, dove c’erano i suoi genitori ad aspettarla. Andò verso suo padre prendendo lo slancio per saltargli in braccio, e subito trovò due braccia pronte ad accoglierla.  

“Papà…è tornato, è sempre lì, dietro di me, io lo so, lo so!” disse in preda all’agitazione, pur sempre sussurrando, per paura di farsi sentire dalla madre. “Tesoro, stai tranquilla. No…no, non piangere, lo faremo andare via” sussurrava anche lui, per il medesimo motivo. Cullandola e abbracciandola cercava di infonderle tutto il calore possibile, per quanto un po’ di affetto potesse giovare al problema di sua figlia. Le strofinava la schiena lentamente con le sue mani, cercando di tranquillizzarla. Con la sua maglietta le asciugò le lacrime. Funzionava sempre, lui era il solo che riusciva a calmare la figlia.  

Non avrebbe funzionato per sempre, però. 

Claud, Leslie, venite dai. Aiutatemi un po’ ad apparecchiare.”  

“Su, amore,” bisbigliò il Sig. Curtonpercependo già l’irritazione nel tono della moglie “andiamo, altrimenti mamma si arrabbia. Poi chiamano noi due pazzi!” 

Così diede un buffetto affettuoso alla piccola e la accompagnò nella stanza vicina, la sua grande mano che contornava quella minuscola di Leslie, ancora tremante come una foglia, ma con un sorriso sulle labbra. 

Finché ci fosse stato suo padre, pensava, sarebbe andato tutto bene. 

 
L’importante era non farlo sapere alla mamma. 

 Mangiarono come facevano sempre: padre e figlia in silenzio e la madre che continuava a parlare nella speranza di coinvolgere il coniuge e la piccola Leslie. Non aveva mai avuto un buon rapporto con sua figlia, ma era sicura che non fosse colpa sua, lei agiva solo nella speranza che crescesse meglio, più…sana. 
Il parto era stato difficile, per un periodo, dopo il lungo travaglio, si era sentita depressa, non aveva più appetito e provava di continuo un senso di colpa spiacevole e opprimente. Tutto ciò era passato, però.  

Quello che era rimasto era la continua ansia e l’adonia, l’assenza di piacere. Non si era lasciata toccare e non aveva toccato il marito da sette anni, da quando era nata Leslie. 

 
“Mamma, papà, George come sta?” Un silenzio accompagnò la domanda della bambina. 
Entrambi i genitori rimasero spiazzati dalla domanda, ma fu Cloud a rispondere. 

 “Sta bene tesoro, non è un lavoro facile, ma lui è felice di farlo” sorrise il padre. 

 “Ma cosa fa? Non è mai qui a tenermi compagnia.” 

 “È nell’esercito” si affrettò a dire Jeanette, sua madre, con la voce colma di orgoglio, diventata più acuta.  

“Ma…è pericoloso?” 

 “Certo che lo è, Leslie! Cosa credi? George ha molto coraggio, ha smesso di credere a cose che non esistono” mentre parlava continuava a mangiare, come se stesse dicendo alla figlia le previsioni del tempo “si è dato da fare e si è fatto valere nelle cose in cui crede, cose reali, Leslie, reali.” 

 “Jeanette!” urlò scandalizzato il padre.  

“Leslie, va’ a letto” e la sua voce di addolcì, ma vedendo che non otteneva risposta, indurì il tono. 

“Subito.”  

 

Allora la testolina bruna e riccia della bambina corse via, oltraggiata da tono usato dal padre.  

Una volta che la loro figlia se ne fu andata, si permisero di parlare liberamente, per quanto possibile. 

Liberi di gridare, di arrabbiarsi. Come se non si sentisse da tre metri di distanza, nella stanza di Leslie.  

“Ti sembra il modo di trattare Leslie, quello? Non sei normale!” sbottò il padre, rosso in viso tanta era la rabbia. 

 
 “Tu stai dicendo che io non sono normale?” sottolineò l’Io in una maniera che a Cloud sembrò sinceramene ridicola, sbuffò nel tentativo di fare una risata, ma le riuscì soltanto un grottesco verso gutturale.  

“È solo una bambina, Jeanette” Ogni discussione che facevano stancava Cloud a livelli altissimi. Da irritato quale era, si trasformo in stanco, sfinito. La voce incrinata, il tono supplichevole, tutto in Cloud esprimeva sconforto, anche la sua schiena era piegata, come se dovesse sopportare un peso più grande di lui, quasi dovesse subire la pena del titano Atlante. 
 I capelli brizzolati, il corpo ben strutturato, il viso duro, ma con due enormi occhi marroni che tradivano un animo anche troppo mansueto. Si poteva benissimo definire un bell’uomo, ma in quel momento sembrava invecchiato di anni, oppresso da un fardello troppo pesante. 

 “Io non mi riferisco a lei, ma a te, Cloud, a te.” Disse isterica lei, per poi proseguire. 
 “Non dovresti assecondarla! Tu ci credi, è questo il problema! Perché non può essere normale? Normale, chiedo tanto? Potremmo portarla dallo psicologo, potremmo mandarla da uno specialista. Non vuoi fare nulla di tutto ciò, va bene! Almeno non incoraggiarla, però. Smettila di comportarti così, per favore!”  
Ora anche la sua voce tradiva una nota di tristezza, un groppo in gola che non voleva formarsi, ma che alla fine non riuscì a evitare di crearsi, e così Jeanette scoppiò finalmente in lacrime.  

“Anche per me è difficile, cosa credi? Non sono senza cuore, ma… speravo fosse diversa, che non fosse come loro!”  

Allora le gambe le cedettero e lei si lasciò cadere sulla sedia, dalla quale prima si era alzata per aprire la finestra, dato che aveva decisamente bisogno di cambiare aria.  

“Tesoro…” Cloud le si avvicinò inginocchiandosi davanti a lei, in modo da mettersi alla sua stessa altezza, viso a viso. “Non sarà come loro, stai tranquilla. Non succederà mai.” A quel punto prese le mani di Jeanette fra le sue, ma lei le ritrasse subito per coprirsi il viso, le lunghe unghie laccate glielo graffiavano, lasciando linee bianche nel nero del mascara colato per colpa delle lacrime. 

 “Come fai a dirlo, eh? Come fai ad esserne sicuro? Lo sai che è una malattia ereditaria? Lo sai che non c’è cura?” 
 Ormai gridava, le urla acute erano strazianti, il dolore le lacerava il petto ed il pensiero di quello che avrebbe potuto essere sua figlia la distruggeva.  

“Non puoi… non puoi dirlo, non puoi assicurarmelo…” continuò lei, la voce che si affievoliva ad ogni parola, finendo la frase quasi sussurrando, come se non avesse più fiato in corpo, come se non valesse la pena respirare, come se la sua vita fosse ormai finita. 

 “Ma possiamo sperare, pregare, credere che non sia così…e si aggiusterà tutto, possiamo provarci, insieme.” Ogni parola della moglie lo aveva colpito nel petto come una pugnalata, andando a parare propri dove faceva più male, proprio come desiderato da Jeanette 

“Ah! Questa sì che è divertente! Insieme!” La sua voce risalì di tono, acuta come prima, ma pur sempre rotta dal pianto.  

“Come puoi dire questo?” Con un gesto irritato lo spinse via e si alzò di scatto, voltandogli le spalle e andando verso la finestra, dalla quale entrava un’aria gelida, così dovette stringersi da sola in un abbraccio per riscaldarsi. Fuori la strada era desolata e centinaia di insetti si aggruppavano il più vicino possibile al palo della luce, quegli insetti le ricordarono lei stessa, che si aggrappava con le unghie e con i denti ad ogni attimo di luce e di felicità che trovava. Quando parlò, sempre stretta in quell’abbraccio che doveva darle forza e infonderle coraggio, cercò di farlo con la voce più fredda possibile, tentando di soffocare il groppo che aveva in gola. 

 “È tutta colpa tua. Se non tua, della tua famiglia. Erano le tue sorelle che sono morte dove meritavano di morire: in un ospedale psichiatrico, è lì che dovrebbero stare i pazzi, come loro, come Leslie, come…come ho pensato che fossi tu.”  

Decise che pur di infliggere al marito il dolore necessario per fargli aprire gli occhi riguardo alla figlia, avrebbe tentato di tutto. Non avrebbe pianto mentre gli infliggeva il colpo finale, ma mentre cercava di mantenere un tono dignitoso gli occhi traboccavano di lacrime.  

“Se tua, anzi, nostra figlia finirà i suoi giorni tra tranquillanti e medicinali che danno agli schizofrenici, sarà tua e tua soltanto la colpa, o il merito, dipende da come la vedi.” 

A quel punto, Cloud, abbandonato dalla forza, cadde a terra in ginocchio, estenuato e svuotato da tutto ciò che c’era di buono in lui e da quel poco amore che gli rimaneva per Jeanette. A detta di tutti Cloud era un uomo perfettamente normale, gentile ed educato, sempre pacato e cordiale. Alcuni lo definivano un po’ lunatico, cosa che può risultare irritante, ma poi tutti lo giustificavano, in fondo chi non ha mai un momento no 

Ma nessuno sapeva davvero.  

Nessuno, nemmeno la sua famiglia. Era peggiorato negli ultimi anni, dopo il matrimonio. I primi mesi erano stati tutte rose e fiori, come sempre d'altronde, poi le cose erano peggiorate, erano andati sempre più degradando come coppia, fino a quando si è accorto di aver smesso di fare il partner e di aver iniziato a fare il genitore, aveva capito che per preservare quel poco di serenità che rimaneva nella sua vita avrebbe dovuto assecondarla sempre, soddisfare i suoi capricci e darle il contentino; non poteva restare arrabbiato con lei per più di cinque minuti, altrimenti Jeanette diventava insostenibile, alla fine cedeva sempre, forse per l’eco di un amore che era certo di aver provato, forse per pietà. Fatto sta che finiva per diventare più mansueto di un agnellino; c’è da dire in sua discolpa che le parole di Jeanette sapevano dove colpire, erano sempre di una precisione chirurgica e lui, ingenuo come pochi, ci credeva, ci credeva ogni volta.  

La moglie era un peso troppo grande persino per lui, che era così abituato.  

Esatto, abituato. Non era certo l’unica volta che si ritrovava a fare da genitore prima del tempo, c’erano state anche le sue sorelle, due gemelle molto…problematiche.  
Ma dopo di loro si era detto basta. Si era promesso che non sarebbe più successo e invece ci era ricascato come un cretino. 

 
 ‘Quel che non uccide ti fortifica’  

Cazzate, pensava Cloud, quel che non ti uccide ti distrugge e basta.  

 

°°°°°° 

                                                              
 “Muoviti, farai tardi a scuola!” Gridò Jeanette dalla cucina. 
Leslie si rigirò tra le coperte, senza alcuna intenzione di svegliarsi, almeno fino a quando un fascio di luce la investì e con un sonoro fruscio le coperte volarono giù dal letto finendo a terra, tirate da sua madre. 
“Ti vuoi sbrigare?” Sbottò ancora lei, visibilmente irritata. 
La bambina mugugnò qualcosa di incomprensibile, ma che di certo significava: ”Sì mamma, mi alzo subito.” 
Ma quando Jeanette ricominciò a blaterare, Leslie si alzò, ansiosa più che altro di mettere quanta più distanza possibile da suo madre. 
 Una volta pronta uscì di corsa da casa senza fare colazione, prendendosi un altro colorito rimprovero della madre. 
~°~°~ 

Si accasciò sulla sedia, ormai esausta…e non per i lavori domestici, ma per qualcosa di tanto diverso quanto complicato. 

 
Un giorno andrò a vivere con George e papà, e saremo felici, pensava una speranzosa Leslie. 
 

Perché a me? Pensava, intanto, una Jeanette in lacrime. 

 

~°~°~ 

Piegò leggermente la testa all’indietro, sentendosi tirare la treccia riccia crespa e scura. 
Il panico le montò nel cuore e l’ansia le impedì di fare qualsiasi cosa. 
Comunque, cosa avrebbe potuto fare una bambina di sette anni? 
Si tirò indietro cercando di urlare, ma la paura le aveva anche tolto la parola, oltre che paralizzarla quasi completamente.  
Poi si tranquillizzò, pensando che forse era solo William, uno dei suoi compagni di scuola che si divertiva a farle i dispetti, e poté tirare un sospiro di sollievo. 
Non aveva idea di quanto di sbagliasse.  
Tentò di allontanarsi e scappare sentendo una mano grande e callosa che le circondava il polso in una morsa dolorosa e che cercava di tirarla verso sé, provò ad aggrapparsi ad una ringhiera vicina, ma quando un’altra mano di un uomo che doveva essere molto corpulento le cinse la vita non ci fu più speranza, e fu trascinata nella più buia oscurità. 

~°~°~°~ 

“Tre giorni Jeanette, manca da tre giorni!” Urlò Cloud, indeciso se essere furioso, indignato o tremendamente spaventato per la sorte della povera figlia. Era terrorizzato. 

 
Decise che non era deluso, aveva capito ormai da tempo di cosa era capace quella donna che un tempo chiamava amore. 

 
“Cloud…io…non…” in una sinfonia di singhiozzi Jeanette provava a formulare una frase di senso compiuto, forse di scuse, forse di rimpianto, forse per difendersi.  
 
A lui non importava, non voleva sapere il significato di quelle parole, non era disposto ad aspettare.  
 

Non più. 

 
Così buttò le sue chiavi di casa a terra e le allontanò da lui con un calcio. 
 
 “No, basta, Jeanette.” 
 
E con il suono di una porta che veniva sbattuta con veemenza, se ne andò anche la sua ultima ancora di salvezza, lasciandola da sola a barcollare nel buio. 

~°~°~°~ 

 
Ritrovato il corpo di Leslie Curton. La piccola scomparsa oramai cinque mesi fa. Ulteriori approfondimenti in seguito, le indagini stanno procedendo. 
 Ci rivediamo per il telegiornale delle venti, buon proseguimento di giornata!” Lesse sorridendo la signora che lavorava in televisione, per il telegiornale. 
Dopo aver asciugato l’ultima lacrima che era disposta a versare per quella che un tempo era stata sua figlia, andò a letto, odiandosi per non aver creduto alla bambina. 
Rimasta sola, senza marito, senza figlia e con George molto lontano, Jeanette prese una di quelle pillole che le aveva prescritto il suo dottore e si tappò le orecchie con le mani, cercando di far fermare le voci e i rumori assordanti che sentiva da ormai cinque mesi.  
E così, quella notte, come tutte le altre che sono seguite e che seguiranno, dormì con la luce accesa, pur vedendo solo buio davanti a sé. 

 

 “L’adulto è sciocco e immemore quando 
Sottovaluta giovinezza” 

-O. Wilde. 

 

  
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