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Autore: KaterinaVipera    02/09/2018    3 recensioni
Amira si reca in un piccolo villaggio sperduto nella campagna inglese a trovare la cugina, in cerca di un posto dove iniziare la sua nuova vita, lontana da casa e da tutte quelle persone che le hanno voltato le spalle quando ne aveva più bisogno.
Ciò che cerca è la possibilità di ripartire e, soprattutto, la tranquillità che negli ultimi mesi le è stata negata.
Ma, la vita, ha in serbo per lei tutt'altro e fin da subito si ritrova in una realtà che non sapeva esistesse; le persone che, all'inizio le sembrano solo strane si riveleranno per quello che sono veramente: creature straordinarie che credeva fossero solo fantasia e lei dovrà decidere se essere solo lei, una semplice ragazza, o, al contrario, farne parte ed accettare ciò che le dice il suo cuore: lei appartiene a lui, è sua, solo che ancora non lo sa.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ci guardiamo negli occhi.

O meglio, io lo sto guardando, non riesco a capire se anche lui riesce a vedere me, ma so per certo che ha i suoi occhi puntati da questa parte e quello sguardo non mi piace per niente.
Ho appena scoperto che sono licantropi e se tutte quelle cose lette nelle storie sono vere, è altamente probabile che lui riesca non solo a vedermi ma anche a fiutarmi.
Mi allontano svelta da questo posto, cercando di non cadere ma anche di salvare il filmato, pronta a mandarlo a qualcuno.

Ho le prove!

Loro sono dei licantropi e Garreth… lui è l’alfa!

Ora TUTTI i discorsi acquistano senso. Quelli di mia cugina, quelle mezze frasi di Alan e capisco anche tutta la venerazione che l’intero villaggio prova nei confronti di Garreth!
È il capo di un branco di lupi e pensare che io… che io iniziavo a provare un certo interesse per lui, nonostante il carattere strano e lunatico.

Ah, ho usato il termine lunatico per definire il comportamento di un lupo.

Mi ci verrebbe quasi da ridere se non fosse che sto scappando prima che lui mi trovi e… non so cosa voglia farmi, ma sono convinta che non mi piacerebbe per niente.

Mi sento così sciocca!

Continuo a camminare, accecata dalla luce del display e solo una volta che sono sicura di aver salvato le prove, rivolgo il telefono in terra e con la torcia, mi illumino il sentiero.
Ho il fiato corto, mi fa freddo – sfido io, è novembre, notte fonda e sono in canottiera – ma sto anche sudando per la paura e per questa specie di fuga.
Mi fermo un istante, guardandomi intorno e accorgendomi troppo tardi di aver superato la strada del paese e di essere non so dove.
Potrei tornare indietro, su questa stessa strada, in fondo non è così accidentata e se non ricordo male, quando l’ho fatta di giorno, ho visto che determinati tronchi erano segnati con della vernice rossa per segnare il tragitto ma, proprio quando decido di voltarmi, il telefono comincia a squillare.

 

‘Howl
7 days to the wolves
Where will we be when they come
7 days to the poison
And a place in heaven
Time drawing near as they come to take us’

 

Una suoneria davvero a tema, la stessa di Edoardo e solo perché ci piace lo stesso gruppo musicale.
Guardo il display, vedendo con raccapriccio e disperazione che il numero appartiene a Garreth e che, in lontananza, riecheggia il mio nome.
Non posso tornare assolutamente indietro, quindi comincio a correre più veloce che posso, aiutata dalla misera luce della torcia e, di tanto in tanto, da quella della luna che fa capolino dalle nuvole.
So che se, o quando, mi troverà – il quando mi spaventa di più – per me ci saranno solo due opzioni: o mi ucciderà o mi costringerà a rimanere qui per sempre, in modo che non divulghi il loro segreto.

“Amiraaaaa!”

La sua voce risuona nel silenzio del bosco, facendomi andare nel panico e smettere di ragionare.
Non che finora lo abbia fatto egregiamente, dal momento che mi sto addentrando nel bosco, in una zona che non conosco, inseguita da un maledetto lupo mostruoso che non vede l’ora di sbranarmi.
Mi nascondo dietro un grosso tronco, distanziandomi dal sentiero, per riprendere fiato e far riposare un po' le gambe, approfittandone per chiamare l’unico che potrà aiutarmi anche se lontano.
Le mani mi tremano per la paura e per il freddo, ho fretta e questo non contribuisce a farmi cercare il suo numero più velocemente.

Ti prego, Edo, rispondi!

“Il numero da lei chiamato non è al momento...”

Porca puttana!

Cosa ho fatto di male?!

Calma, devo stare calma.

Prendo un respiro profondo, cercando di far tornare il battito cardiaco ad una velocità accettabile e provando a tenere ferme le mani, scorro fino a trovare la nostra chat.
Mi avvicino il telefono alla bocca, pronta per sussurrare, quando sento dei rumori non molto lontani da dove mi trovo.
Mi affaccio oltre il tronco, guardando a giro ma con questa oscurità è praticamente impossibile vedere tanto oltre.

“AMIRAAAAAA!!!”

Garreth si è fatto molto più vicino e sono costretta ad uscire dal mio nascondiglio e continuare a correre per non farmi trovare.

“Edo, io lo sapevo!” bisbiglio al microfono, mentre guardo in terra attenta a dove sto mettendo i piedi. “Adesso ho le prove!”

Prendo fiato e continuo a muovermi, sapendo che se mi fermo, lui mi troverà e per me sarà la fine.
Non posso chiamare la polizia: non crederebbero MAI alla mia storia, mi rispedirebbero a casa di Anna. Anche se, con lei, dovrei essere al sicuro. Ma chissà cosa potrebbe accadere durante il tragitto dalla stazione di polizia a casa sua.
Non riesco a vedere più niente, nemmeno quel qualcosa contro il quale vado a sbattere.

La colluttazione mi fa perdere l’equilibrio e cadere con il sedere per terra, tra le imprecazioni mie e quelle di un uomo.
Sento che qualcuno sta parlando e alla sua voce se ne aggiungono altre due, ma non sono capace di mettere a fuoco né le voci né quello che si stanno dicendo.
Apro gli occhi, chiusi durante la caduta, per focalizzare alla belle e meglio, i tre individui che, di notte, sono a giro nel bosco.
Li guardo spaventata e sconvolta, scoprendo che i muscoli non riescono più ad obbedirmi e temendo che siano gli amici di Garreth.

“E questa da dove è sbucata?”

“Ehi, stai bene? Ce la fai ad alzarti?”

Li guardo ancora un po' notando che sulle spalle hanno tutti e tre dei fucili. Quindi, no, non sono qui per me.

“Ragazza, capisci la mia lingua?” domanda uno di loro, con più calma, porgendomi una mano.

Quando capisce che non gliela afferrerò, fa un cenno con la testa agli altri due e insieme mi aiutano a rimettermi in piedi, sorreggendomi per le spalle per accertarsi che sia stabile sulle gambe.

“Parli la mia lingua?” scandisce piano e con calma, mentre stappa una fiaschetta e me la porge.

“Sì… sì, io… capisco...” balbetto, col fiato corto e il cuore che sta impazzendo, bevendo di buon grado qualsiasi cosa ci sia dentro alla boccetta.

So che sto perdendo tempo, ma il liquido amaro e alcolico mi ha dato un minimo di calore e so che mi servirà se voglio restare viva.
Sono anche ben consapevole che sto tergiversando troppo col nemico ma, a questo punto, non so più chi sia l’amico e chi il nemico.

“Che ci fai nel bosco a quest’ora? Da chi stai scappando?” mi domanda, togliendosi il cappotto e mettendomelo sulle spalle.

“Io… io non sto scappando...” la voce mi esce roca, fatico a riconoscerla come mia, stringendomi nel cappotto e trovando sollievo.

“Eri in canottiera, in mezzo al bosco a mezzanotte passate, quasi in ipotermia. Una tipica passeggiata.” mi prende in giro uno.

“Se hai paura di qualcuno, ti proteggeremo noi. Adesso ti portiamo al furgone e poi alla polizia.” mi mette una mano sulla schiena, spingendomi verso una direzione ignota.

Solo che io non ci voglio andare con loro, anche se forse – e dico forse – sarei più al sicuro e mi guardo indietro per cercare di scorgere una certa persona; loro se ne accorgono e fraintendono.

“Chiunque ti abbia fatto del male, ora non te ne farà. Stai tranquilla.”

“E la caccia, Ed? Ormai eravamo vicini.”

“Non ti preoccupare, John. La portiamo alla polizia e noi ritorniamo qui a finire il lavoro.”

“Ma Jackson vorrà le nostre deposizioni.” si lamenta uno.

“E’ un mio caro amico, basterà portargli la testa di una di quelle bestiacce.”

I tre ridono ed io devo trovare un modo per liberarmi anche di loro e avvisare Judy del pericolo che corrono. Magari lei, se scopre che io so del loro segreto, sarà l’unica che non vorrà farmi fuori.
Mi divincolo dalla sua presa, facendo un passo indietro, immaginando i loro sguardi increduli.

“Io devo tornare a casa.” mi tolgo il cappotto e lo restituisco al proprietario, che però non lo prende.

“Non essere sciocca, hai bisogno di cure e di denunciare il tuo aggressore.”

“Non sono stata aggredita da nessuno.” e più o meno, per ora, è la verità. “Sto bene.” ecco, questa è una piccola bugia. “Ho solo dimenticato il giacchetto.”

Ritorno sui miei passi, alla ricerca del cellulare, tasto coi piedi il terreno per trovarlo.

“Almeno permettici di riportarti a casa.” insiste l’uomo.

“Caricala sul furgone e facciamola finita. Io voglio cacciare.”

Alla fine, riesco a trovarlo ma è grazie all’ultimo modo che avrei sperato.
Garreth mi sta chiamando e la suoneria al massimo del volume, risuona forte, riecheggiando intorno a noi.
Riaggancio la chiamata credendo di averlo fatto in tempo, ma nel giro di un istante, sento provenire dal fitto oscuro del bosco, un potente ululato, che rompe il silenzio.

“State pronti. Quella bestia è vicina.” dice uno di loro, poi mi prende per un polso, trascinandomi alle sue spalle, per proteggermi.

Nel giro di qualche secondo, vediamo sbucare dall’oscurità un lupo, dal manto nero come la notte che a fatica si distingue e nessuno di noi esseri umani è stupito dalle sue dimensioni mastodontiche.
E, devo ammettere, che questo è anche più grande di quella che ho trovato io.
L’animale mostra i denti ed inizia a ringhiare, rimanendo però fermo sul posto, le zampe divaricate leggermente e la schiena incurvata, pronto all’assalto.

“John, Cooper… cercate di non colpirlo troppo. Voglio la testa intatta e la pelliccia da portare a mia moglie.”

Guardo l’uomo che ha parlato, lo stesso che è stato gentile con me, e capisco che se non farò qualcosa, uccideranno il lupo e ho il forte sospetto, se non certezza, di sapere di chi si tratta.

“NO!”

Senza rendermene conto, urlo e invasata, gli sfilo il fucile prendendolo dalla canna e facendolo cadere a terra a causa del peso.

“Che cazzo fai, stupida?” allunga la mano per riprenderselo ma mi allontano in tempo, continuando a trascinarlo.

Onestamente, non so cosa sto facendo, ho la testa vuota e non riesco a trovare una spiegazione al mio comportamento.
Ho paura di queste creature, di Garreth in particolare, temo che mi ucciderà per non essere riuscita a farmi gli affari miei ma, al tempo stesso, nel profondo voglio che non gli venga fatto alcun male.
Guardo i tre uomini, lanciando poi una fugace occhiata al lupo alle mie spalle, sapendo benissimo di essere in mezzo ai due fuochi.
Per quanto ne so, questo lupo potrebbe non essere Garreth e quindi non sapere chi sono io o, se lo fosse, potrebbe comunque non riconoscermi e sbranarmi insieme ai questi tre.
Perché cazzo non sono rimasta a casa, al caldo e sopratutto, a farmi gli affaracci miei?!
Ormai, dato che gli ho fregato il fucile, tanto vale che, in caso di bisogno, lo usi per difendermi; quindi, con uno sforzo non da poco, cerco di sollevare l’arma e di imbracciarla.

“Ehi, ragazzina… non fare cazz-”

Mentre cerco di sollevarlo, premo per sbaglio il grilletto – non sapevo nemmeno che si trovasse proprio lì – facendo partire il colpo.
Lo sparo riecheggia in tutto il bosco, anche più lontano, spaventando uno stormo di uccelli che scappa impaurito.
Il calcio del fucile mi colpisce violentemente la spalla, facendomi gridare per il dolore – o più per lo spavento del rinculo e del rumore - e volare l’arma a terra come succede con me, stordita ma le urla che sento non sono le mie.
Con le lacrime agli occhi e un dolore tremendo alla spalla che si dirama anche lungo la schiena, sollevo di poco la testa per vedere l’uomo sdraiato mentre si tiene la gamba che perde tanto sangue.

Succede tutto in un attimo: il lupo con un balzo mi sorpassa e si precipita sui tre uomini che distratti dal loro amico, vengono colti impreparati dall’attacco dell’animale.
Le imprecazioni vengono sopraffatti dai latrati del lupo e dalle urla di dolore dei tre uomini.
Non ho il coraggio di guardare e non sono nemmeno tanto stupida di rimanere qui un secondo di più.
Sofferente e frastornata, mi metto in piedi come meglio riesco e senza voltarmi mai indietro, corro più veloce che posso.
Con la mano sinistra mi tengo il braccio dolorante e prego di non essermelo rotto o slogato, mentre continuo la mia folle corsa, senza sapere bene dove sto mettendo i piedi, inciampando ma riprendendomi in tempo per non cadere.
Non voglio pensare che fine abbiano fatto i tre cacciatori, perché altrimenti dovrei pensare a che fine farei io e adesso, l’unica cosa che conta, è nascondersi in casa.
Sono sicura che mia cugina non permetterebbe MAI che mi venga fatto del male. Anche se Garreth è l’alfa.
Il dolore alla spalla e alla caviglia mi stanno debilitando, costringendomi a fermarmi un secondo, riprendendo fiato, poggiandomi con la spalla sana ad un tronco.
La mia pausa finisce nel momento esatto in cui sento, provenire non molto distante da dove sono scappata, un possente ululato.
Mi guardo velocemente intorno e grazie ad uno spicchio di luna, che gioca a nascondino tra le nuvole, riesco a intravedere la strada che divide in due il bosco.
Cerco di non badare al dolore, stringo i denti, proiettandomi con la mente a casa di Anna, dove potrò stare al caldo e al sicuro, e continuo la fuga.
Tiro un sospiro di sollievo quando scorgo le luci dei lampioni del paese, ritrovandomi a pochi metri dalla piazza.
Mi ricordo la prima volta che mi sono trovata in questo preciso punto, con tante idee in testa e tanta speranza nel cuore, mentre adesso ho solo un pensiero e una speranza: sono licantropi e spero di sopravvivere a tutto questo.
Vorrei riprendere a correre, ma anche respirare, vorrei già essere a casa, nella mia camera.

Troppe cose tutte insieme.

Sputo in terra la troppa saliva dovuta alla corsa e dopo aver ripreso delle belle boccate, corro gli ultimi metri che mi separano da casa.
Purtroppo non riuscirò ad entrare in camera passando dall’albero, quindi dovrò farlo dalla porta di cucina, cercando di fare il minimo rumore possibile.
Sto per aprire la porta, quando mi blocco con la mano a mezz’aria.

E se Alan mi stesse aspettando?

Anche lui è sicuramente uno di loro, Garreth potrebbe averlo lasciato qui di guardia, in attesa del mio ritorno.

Non ho altri posti dove andare e poi ho bisogno urgente di antidolorifici e di una bella dormita, anche se dubito fortemente di riuscire a prendere sonno in maniera naturale.

Devo tentare.

Dio, ho così paura.

Abbasso la maniglia stando attenta a non far cigolare i cardini e poi, una volta dentro, a non far scattare la serratura.
Mi muovo in punta di piedi e con passo felpato, cadenzato e con il respiro ridotto al minimo, salgo le scale.
Solo quando sono finalmente al sicuro nella mia camera a porta chiusa, butto fuori l’aria e mi rilasso un attimo.
Dopo aver riacquistato un minimo di energie, accendo la piccola lampada del comodino vado a rovistare nell’astuccio dei medicinali, prendendo i blister delle pasticche e mi guardo a giro per la bottiglia d’acqua.

Grandioso!

L’ho finita e non ne ho più.

Sospiro e socchiudo gli occhi, poi, armata di pazienza, compio un ultimo sforzo dirigendomi nel piccolo bagno per riempire il bicchiere.
Metto sulla punta della lingua una pasticca di antidolorifico, una di antinfiammatorio e per sicurezza, anche una contro il mal di pancia, tracannando l’acqua.
Una volta deglutite, bevo un secondo bicchiere per dissetarmi e un terzo per mandare giù otto… dieci… facciamo dodici goccioline per dormire, di quel intruglio alle erbe di Anna.
Ritorno in camera come se avessi combattuto una guerra e mi distendo sul letto, osservando il soffitto fino a che, intorno a me, diventa tutto nero.

 

Mi sveglio di colpo, spalancando gli occhi, per colpa di qualcuno che sta bussando con insistenza alla porta.

“Amira, tutto bene? Posso entrare?”

Mia cugina inizia ad avere la voce preoccupata, segno che devono essere diversi minuti che prova a chiamarmi, senza successo.
Sto per aprire bocca, invitandola ad entrare, troppo stanca e indolenzita per muovermi, quando mi ricordo di quello che è accaduto e immaginando in quali pessime condizioni mi trovo, mi alzo velocemente – si fa per dire – dal letto e corro alla porta, per bloccare la maniglia e non farle vedere in che stato mi trovo.

“N-no!” dico con un filo di voce roco, appena udibile. “Non puoi entrare.”

Non c’è bisogno nemmeno di fingere, sto male e parlare mi risulta difficoltoso.

“Che cosa hai fatto? Ti senti poco bene?” prova ad abbassare la maniglia, ma glielo impedisco anche se questo sforzo mi provoca una fitta dolorosa alla spalla.

“Ho solo un po' di raffreddore, meglio se non entri.” rantolo, tirando su col naso e tossendo. “Hai bisogno di qualcosa?”

“Ero venuta ad avvisarti che stiamo per partire.”

Cosa?!

“E do-dove andate…?” chiedo preoccupata, perdendo quella poca voce che mi era rimasta.

“Andiamo a trovare i genitori di Alan, te ne avevo parlato.”

E quando me l’avrebbe detto?

“Ah… sì, sì mi ricordo.”

“Se vuoi rimandiamo, almeno non starai da sola.” mi dice apprensiva.

“No! No, vai pure. Mi basta un giorno a letto.”

“Ma sei sicura Amira? Mi dispiace saperti sola quando stai male.”

“E’ solo un lieve raffreddore, sto benissimo. Ci vediamo quando tornate.” mento, cercando di trattenere un colpo di tosse.

“Cerca di non affaticarti e chiama per qualsiasi cosa. Mi raccomando, stai attenta.”

“Lo farò.”

La sento tergiversare ancora qualche istante dietro la porta e parlare con Alan, non riuscendo però a capire cosa si stiano dicendo. Altri passi verso la mia camera, mi fanno intuire che qualcuno si sta avvicinando e riconosco subito il passo lento e cadenzato, forse un po' pigro in questo caso, di Alan.

“Amira, sei molto brava a raccontare balle, sappi che ho ripulito io le tue impronte di fango prima che Anna le vedesse… Ah, un’ultima cosa, bel colpo col fucile… Ci vediamo presto e non combinare altri guai, Garreth ti tiene sott’occhio!”

Rimango pietrificata con la schiena alla porta mentre Alan va via. Sento la porta principale chiudersi e mi affretto alla finestra stando attenta a non farmi vedere e dopo essermi assicurata che siano veramente andati via, con le solite tre pastiglie di eri sera, vado in bagno e le mando giù con dell’acqua, assumendo poi altre cinque goccioline di tranquillanti per essere certa di dormire.
Ritorno nella mia stanza, mi infilo un maglione di lana, caldo e morbido, e sdraiandomi nuovamente sopra il letto, mi addormento.

 

Apro gli occhi, ritrovandomi nella sala prove, una stanza rettangolare, illuminata da tre finestre e da una fila di neon. Sposto lo sguardo a giro, trovandola esattamente come la ricordavo: la sbarra di legno, lo specchio che ne ricopre quella affianco e delle panche con sotto gli appendiabiti.
Mi muovo, non propriamente a mio agio, non capendone il motivo, dato che io qui ci ho passato interi pomeriggi, pestando il vecchio parquet che tante volte mi ha visto di faccia.
All’angolo c’è un vecchio tavolino di plastica, polveroso e pieno di scritte, con sopra lo stereo e una marea di CD, sparsi un po' ovunque.
Mi avvicino, prendendone un paio per leggerne i titoli, rimettendoli poi sopra la pila.
L’aria è strana, sembra pesante, come se fosse diverso tempo che nessuno ci mette più piede; alzando gli occhi riesco a intravedere i granellini di polvere che vengono colpiti dalla luce del sole.
Volto il busto di lato, continuando ad osservare la sala quando, oltre il vetro comunicante con il corridoio, comincio ad intravedere la sagoma di una persona.
Sorrido felice al pensiero di rivedere Edo ma una volta davanti al vetro, compare la figura di un uomo, il volto insanguinato solo a metà e con l’altra metà deformata e allungata, in una sorta bestiale maschera raccapricciante che, privo di occhi, mi guarda e ghigna malevolo, battendo il pugno al vetro, crettandolo.
Mi copro il viso con entrambe le mani, urlando.

 

“AAAAAAAAAAAAAHHH!!!”

Mi giro non trovando più il letto ma solo il pavimento, contro il quale mi schianto con la spalla destra, quella già infortunata.
Urlo per il dolore, sentendo nello stesso istante un rumore forte, del legno che si frantuma a causa di un colpo possente.

“AMIRA!”

Sposto lo sguardo sulla porta, ancora chiusa, mentre sento dei passi per niente delicati salire le scale e indirizzarsi verso la mia camera.
Ho solo il tempo di mettermi seduta per terra, con la schiena appoggiata al letto, che la porta viene spalancata, mostrandomi un Garreth preoccupato e inferocito.
Sta fermo sulla soglia della stanza, le mani strette a pugno tanto da farsi sbiancare le nocche, trucidandomi con lo sguardo.
Terrorizzata e quasi del tutto incapace di tenere gli occhi aperti, allungo la mano sinistra, afferro il primo oggetto che trovo, provando a lanciarglielo contro, per non farlo avvicinare.

“Lancio piuttosto scarso, rispetto all’ultima volta.”

Sollevo gli occhi, offuscati dal sonno e non so cosa, spaventandomi quando lo vedo venire verso di me a grandi falcate.

“Va… via...” fatico a parlare, provando ad allontanarlo con una leggera pedata sulla gamba, che non lo scalfisce minimamente.

Quando si ferma davanti a me, si piega sulle ginocchia, prendendomi il mento tra le dita e spostandomi il viso per osservarmi.

“Lashhiiii-ami...” fatico a respirare, gli poggio una mano sul viso cercando di spostarlo ma senza risultati.

“Guardami! Che cazzo hai combinato, ragazzina?” mi chiede con tono autoritario e minaccioso.

La sua voce mi giunge alta, provocandomi forti fitte alla testa e smorfie di dolore.
Provo a girare la testa per non doverlo guardare negli occhi, cercando altro da lanciargli per farlo andare via. Tento di ricordare dove ho lasciato il telefono per poter chiamare aiuto, ma la mia testa è pesante e vuota, non ho memoria delle ultime cose che ho fatto.
Garreth mi impedisce di girovagare con lo sguardo, riportandomi con gli occhi sui suoi, così seri, arrabbiati e profondi.

“Mi ucci… derai!” cerco di urlare, ma non sono nemmeno tanto sicura di essere riuscita a parlare.

“Ma cosa stai dicendo?!”

“Lo scio… lo farai…”

Provo a divincolarmi, a tentare di scivolargli di lato, ma tutto quello che ottengo è – decisamente senza volerlo – di aiutarlo a caricarmi tra le sue braccia e portarmi in bagno.
Mi fa scendere, continuando comunque a sorreggermi con un braccio, mentre allunga l’altro per prendere il pomello della doccia, azionarlo e bagnarmi la faccia con dell’acqua fredda.
Spalanco la bocca e gli occhi, più lucida ma anche più infreddolita.
Lo guardo confusa e allibita dalle sue azioni ma quando realizzo cosa sia venuto a fare qui, più in forze di prima, lo spingo via uscendo poi dalla doccia.

“Allontanati da me!” gli ringhio contro, a corto di fiato, ottenendo finalmente quello che voglio.

Garreth preso alla sprovvista dal mio improvviso risveglio, perde l’equilibrio che lo costringe ad andare all’indietro se non vuole cadere.
Mette distanza tra noi due, permettendomi di uscire dalla doccia e realizzare quello che è successo finora, solo che appena mi lascia libera, le gambe mi cedono nuovamente, costringendomi ad aggrapparmi a lui per non rovinare a terra.
Mi accompagna fuori dal bagno e quando percorriamo il corridoio, lancio uno sguardo alla porta d’ingresso, trovandola spalancata con pezzi di legno ovunque e parte dello stipite saltato.

“Che cos’hai fatto alla porta?” domando allarmata, spostandomi una ciocca di capelli fradici dal viso, per guardarlo meglio.

“Tu non aprivi. Poi ti sei messa ad urlare. Dovevo entrare a tutti i costi.” dice seccato lui, portandomi in camera e facendomi sedere sul bordo del letto.

“E far esplodere la porta ti sembra un buon metodo per entrare?” gli chiedo sarcastica, ritrovando un po' di energie.

“Sono dentro. Quindi sì, è un buon modo.”

Si guarda intorno, alla ricerca di non so cosa.

“Non ti aprivo perché stavo dormendo e stavo anche sognando. C’eri tu nel sogno.” non ho la più pallida idea perché me lo sia lasciato sfuggire; credo di avere ancora i sensi intorpiditi.

“Quale onore. Adesso faccio parte anche dei tuoi sogni.”

“Era un incubo. Tu eri senza occhi e… pieno di sangue e avevi...” mi blocco con i brividi lungo la schiena al solo ricordo, sapendo che, continuando, verrà fuori il tanto temuto discorso e, lo so, anche la mia sentenza.

“Cosa avevo?” domanda lui, un misto tra l’interessato e lo stupito.

“Avevi mezzo volto di lupo.” bisbiglio senza avere il coraggio di guardarlo, ma quando azzardo a farlo noto che nemmeno lui sta guardando me, ma ha ancora lo sguardo perso a giro.

Sbruffa, come a corto di pazienza, a passi lunghi si reca in bagno e quando ritorna da me, ha in mano il bicchiere colmo d’acqua.

“Tieni, bevi. Ti devi ripulire da tutto lo schifo che ti sarai sicuramente ingoiata.” mi dice con tono scontroso, fulminandomi con gli occhi.

“Tu che ne sai?” gli domando scontrosa a mia volta e anche parecchio seccata.

“Quando ti ho trovata eri mezza addormentata e in bagno c’è un flacone quasi vuoto di tranquillanti.” mi risponde secco lui, la voce venata di rabbia.

“E’ roba di Anna quella. E poi cosa te ne importa, eh? Sei qui o per uccidermi o per costringermi al silenzio, rapendomi, forzandomi a rimanere qui per sempre. Se mi ammazzo da sola, tanto di guadagnato per te che non devi faticare.” sbotto.

“E’ questo quello che pensi?” domanda lui e dal tono di voce sembra quasi ferito.

Alzo le spalle, bevendo un sorso d’acqua e continuando a guardare in terra.

“Perché pensi che ti voglia uccidere?”

“Oh andiamo Garreth! Lo sai benissimo perché!” lo guardo male a mia volta, stanca di farmi prendere in giro. “So cosa siete tutti voi! Mi hai vista ieri sera e mi hai seguita nel bosco. Non mi sono certo illusa che volessi fare due passi insieme a me!” cerco di non farmi prendere troppo né dal panico né da qualsiasi altra emozione.

“Adesso tu sei qui e non credo che sia per una visita di cortesia. Quindi, Garreth, cosa ne farai di me?” gli domando alzando gli occhi lucidi verso di lui.

Sarei voluta stare calma durante la sua sentenza, ma proprio non ci riesco.
Mi pento di non essermi fatta gli affari miei e di essere andata a cacciarmi nei guai che mi costeranno così cari.
La testa è offuscata, lo sterno si muove con fatica e credo che abbia ragione lui: ho ingurgitato troppe medicine.
D’improvviso tutto in lui cambia, lo sguardo si rilassa, addolcendosi, i nervi gli si distendono e le mani non sono più chiuse a pugno. Anche il respiro gli si regolarizza, tornando a respirare con molta più calma e non come un toro inferocito.
Si muove verso di me con calma, come se fossi io l’animale da non spaventare e quando mi è vicino, mi si siede accanto, spostandomi il volto nella sua direzione invitandomi a guardarlo.

“Devi stare tranquilla, non sono qui né per farti del male né tanto meno per ucciderti.” gli scappa un piccolo sorriso sospirato, spostandomi una ciocca di capelli piuttosto annodata dietro l’orecchio e fermando la mano sulla spalla che mostra un bel livido violaceo, sfiorandolo delicatamente che quasi non ne percepisco il tocco.

“Verrai a stare da me.” esordisce e così come si è seduto, si rialza iniziando a frugare tra la mia roba.

“Puoi ripetere, prego?!”

Solo che lui non mi ascolta o finge e continua a cercare una valigia finché non la trova, prendendo a infilarci la mia roba.
Anche se a fatica, mi alzo e mi posiziono davanti a lui, impedendogli di fare altro.

“E chi ti dice che io voglia venire con te?” incrocio le braccia al petto.

“Non mi interessa quello che vuoi o non vuoi. Farai esattamente quello che dirò io!” anche lui incrocia le braccia al petto, intimorendomi con lo sguardo.

“Scordatelo!” prendo il borsone, tolgo quello che ci aveva infilato, riponendolo poi sotto il letto.

“Okay ragazzina, l’hai voluto tu.”

In una frazione di secondo mi ritrovo il mondo sottosopra, caricata sulle spalle di Garreth e portata al piano di sotto.
Quando capisco che sta per imboccare l’uscita, inizio a scalciare, a graffiarlo e prenderlo a pugni ma ogni movimento mi costa troppa fatica e la spalla inizia a dolere più forte di prima, dandomi fitte che mi impediscono subito di fare altri movimenti.

“Stupida femmina.” sbuffa, mettendomi a terra ma senza lasciarmi andare. “Smettila di agitarti e ascoltami: non voglio farti del male, ma devi venire con me. Sarai più al sicuro.” questa volta parla con calma, con tono meno perentorio e decisamente più accondiscendente.

“E’ stata mia cugina a dirti di portarmi da te?”

“No.”

“Allora non capisco perché ti ostini a volermi portare da te.” gli dico stanca, massaggiandomi le tempie e prendendo dei bei respiri. “Senti Garreth, io…” mi perdo tra i pensieri, dimenticandomi per un attimo quello che volevo dire e lui ne approfitta.

“Vedi?! Non hai niente da obiettare, quindi verrai con me.” mi carica nuovamente sulle spalle dirigendosi incurante delle mie lamentele alla sua auto.

Mi costringe a sedermi dal lato del passeggero e dopo avermi agganciato la cintura, chiude lo sportello prendendo poi posto alla guida.

“Guarda che questo è considerato sequestro di persona.” gli faccio notare, incrociando le braccia al petto, in cerca di calore.

“Strano, io ti ho visto chiaramente salire di tua spontanea volontà.” dice con un sorrisino furbo.

Non obietto più niente, consapevole che anche qualora mi avessero visto essere costretta a salire, nessuno potrebbe fargli o dirgli niente. È lui che comanda e, quindi, lui che decide per gli altri.
Per gli altri, non per me.
Basterà aspettare che si distragga, che esca di casa o che abbia da fare qualsiasi cosa ha da fare un alfa di un branco di mezzi uomini e mezzi lupi e io potrò sgattaiolare via e tornare a casa di Anna.
Sarebbe meglio potessi tornarmene a casa mia, ma dubito che riuscirei ad arrivare così tanto lontano in così poco tempo.
Sospiro, iniziando a sentirmi nuovamente stanca, con uno strano fastidio alla pancia e troppi brividi di freddo, che mi fanno tremare appena.

“Hai freddo?” mi chiede, lanciandomi un’occhiata.

“Sì, un po'.” evito di dirgli il perché, dato che sappiamo benissimo che è grazie a lui se ho così tanto freddo, dal momento che mi ha fatto uscire con solo un maglione indosso e i capelli bagnati.

Passano alcuni minuti nel silenzio più totale.

“Garreth?”

“Mmh?”

“Dimmi la verità: perché devo venire a stare da te?” gli chiedo, la voce bassa e senza la voglia di litigare, ma solo quella di capire.

“In questi giorni non è saggio che tu rimanga da sola, anche se sei umana.” è serio e concentrato mentre parla, continuando a guardare la strada, perso in chissà quali pensieri.

“Cosa credi che accadrà?” sono curiosa, vorrei tanto che mi dicesse qualcosa in più di questo villaggio.

Ormai sono a conoscenza della verità, perché non rendermi partecipe anche della loro vita o dei suoi pensieri?
Garreth non mi risponde, ostinandosi nel suo mutismo e continuando a guidare fino a che non arriviamo a casa sua.

“Siamo arrivati. Forza scendi.”

Scende lui per primo, aspettandomi davanti alla porta di casa, lasciandomi credere che mi stia dando del tempo per decidere o per abituarmi, ma sono perfettamente consapevole che non è affatto così.
Lo seguo all’interno dell’abitazione, a disagio a stare da sola con lui e questa volta non è per la paura che mi faccia del male.
Nonostante i sentimenti di timore e sospetto che avevo e ho nei suoi confronti, sono spinta a provare anche altro per lui: una sorta di attrazione, di incanto che mi spinge da una parte a voler sapere di più di lui, a volerci parlare e conoscerlo meglio ma dall’altra, mi porta anche ad averne un certo turbamento, perché alla fin dei conti, io non lo conosco e non posso essere interessata o anche solo incuriosita da uno sconosciuto, mezzo lupo poi.
Solo perché qui tutti si fidano di lui, non vuol dire che lo debba fare anche io, sopratutto se è così dispotico e autoritario.

“Non sei mia prigioniera, ti puoi aggirare per la casa e per il giardino liberamente.” mi dice, portandomi al piano di sopra, indicandomi man mano che ci passiamo davanti, le varie stanze, non sapendo – e non lo deve sapere per il momento – che io ci sono già stata.

Tranne che nell’ala Ovest.

Accidenti, adesso non riuscirò a concentrarmi su altro finché non mi sarò ricordata dove l’ho già sentita una cosa simile.

“Qui c’è la camera degli ospiti, dove dormirai tu.” apre la porta, permettendomi di sbirciare dentro. “Il bagno è proprio di fronte. Quella là,” indica una porta un po' più isolata “è la mia camera.”

“E scommetto che camera tua mi è preclusa. Dico bene?” lo punzecchio, con un sorrisino ebete sulla faccia.

“Esatto.” risponde secco, lanciandomi una delle sue ennesime occhiate poco simpatiche.

“Aaaaahh, ho capito! Tu sei la bestia e camera tua è l’ala Ovest.” sdrammatizzo, ricordandomi finalmente da quale film d’animazione l’ho estrapolata.

Ma, a quanto pare, Garreth o non ha mai visto ‘La bella e la bestia’ o non è molto pratico di battute divertenti, perché più indisposto di prima, sbruffa dal naso come un toro inferocito e dopo aver emesso un verso molto simile ad un ringhio, se ne ritorna al piano di sotto.

“Garreth, aspetta.” alzo gli occhi al cielo, seguendolo fino in cucina, fermandomi però alla porta. “Stavo solo scherzando.” dico con un filo di voce, stanco e arrochito.

Mi porto una mano alla tempia, massaggiandola appena, facendo scorrere le dita tra i capelli ancora umidi, cercando di far passare il capogiro. “Scusami.” chino lo sguardo, seriamente dispiaciuto per averlo offeso contro la mia volontà.

La mia era solo una battuta innocente.

“Tè o caffè?” chiede più rilassato, dandomi le spalle per riempire il bollitore.

“Tè, per favore.” cerco di essere più gentile ed affabile, grata che non mi porti rancore per quella frase.

Poso le mani sul ripiano liscio, di legno chiaro, giocando con le maniche del maglione, osservandolo muoversi con calma, prendere due tazze e metterle sul tavolo, davanti a me.

“Latte o zucchero?”

“Niente, grazie.” dico con la voce più bassa di un tono, a causa del mal di gola e del mio mutismo.

Osservo i suoi movimenti, i muscoli che si contraggono anche per i piccoli gesti, le sue spalle, la schiena dritta e più in basso…

Oh porca miseria!

Lo stavo facendo di nuovo!

Chiudo gli occhi, cercando di cancellare gli ultimi pensieri che mi stavano per affiorare alla mente.
Sono solo grata che lui non riesca a sentire i miei pensieri, o potrei benissimo seppellirmi qui.

“Stai bene?” chiede voltandosi all’improvviso con il bollitore in mano, versando poi il contenuto nelle tazze.

Gli rivolgo uno sguardo vago.

“Hai chiuso gli occhi e sei diventata rossa.” ridacchia.

“No… cioè, io… Sì, tutto bene.” balbetto come una sciocca, sapendo di non stare bene per niente.

Primo, perché sono sola con lui e ho il cuore che batte come un forsennato e la mente mi gioca brutti scherzi; secondo, inizio ad avere un fastidioso quanto pungente mal di pancia.
Beve un sorso del suo caffè, scrutandomi oltre il bordo della tazzina.
Fingo di non averlo visto e soffio sulla mia bevanda per farla raffreddare, afferrando il manico per sollevare tazza per poi non bere niente e rilasciarla sul tavolo.

“Siete tutti dei… lupi?” domando, guardando il liquido scuro emanare un leggero vapore biancastro.

“Sì, tranne Anna e te, ovviamente.”

Lo guardo colpita dalla sua risposta, che credevo non mi avrebbe dato. Più fiduciosa, provo a fargliene altre.

“E quindi tu sei il capo, giusto?”

“Sì.”

“E comandi tutti loro?”

“Sì.”

“Attento che non ti si secchi la lingua.”

“Senti Amira, sarebbe meglio che tu non sappia così tante cose di questo villaggio né di me. Quando torneranno Alan ed Anna, saluterai tua cugina e te ne ritornerai a casa tua. In Italia.” dice burbero.

Lo guardo sconvolta.

Perché adesso che ho la certezza che non mi sarà fatto del male e potrò anche tornare in Italia, sono così dispiaciuta di essere cacciata?!
Ora che dovrei essere tranquilla sulla mia incolumità, preferirei che mi costringesse a rimanere.

“Cosa?! E perché dovrei tornare? Sono qui per stare con mia cugina, non per farmi dare ordini da te!”

“Sei qui, nel mio villaggio, nel mio territorio. TUTTI, tu compresa, fate quello che ordino io!” alza la voce, battendo entrambe le mani sul tavolo, facendo saltare i cucchiai, producendo un rumore metallico.

Mi alzo dallo sgabello, sconcertata.

“Ma guarda te se devo prendere ordini da un peluche gigante!!!”

Gli do le spalle, pronta ad andarmene non solo dalla stanza, ma da casa sua, per ritornarmene da Anna, quando la fitta allo stomaco diventa più intensa, tanto da costringermi a fermarmi e poggiare la mano alla parete.
Prendo dei respiri profondi, credendo che questo basti a farli passare, ma non succede niente e, anzi, il dolore aumenta, accompagnato da un altro capogiro.

“Che ti succede? Ti senti male?” domanda improvvisamente preoccupato Garreth, avvicinandosi e mettendomi una mano sulla schiena.

“Sì, sto male. Lasciami andare!” gli ringhio contro, cercando di spostarlo per andare via.

Ovviamente non mi ascolta e dopo avermi presa in braccio, mi carica nuovamente sulla sua auto, per una direzione ignota.






*ANGOLETTINO MIO*

Allooooooooooooooooora, eccoci di nuovo qui.....
La canzone della suoneria è: Seven days to the wolves, dei Nightwish...
Spero che abbiate gradito questo capitolo, io mi sono divertita a scriverlo e il mio beta a leggerlo/correggerlo xD
Non so quando potrò aggiornare (se sarò puntuale o meno) perchè in settimana saprò se dobbiamo tornare in Italia in questi giorni o la settimana prossima, quindi avrò tanto da fare in casa, per i preparativi della partenza....

Sappiate che aggiornerò appena mi è possibile e che l'8° capitolo è già work in progress :*

Un abbraccio,
la vostra Nina <3
 

  
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