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Autore: audry_ enne    03/09/2018    2 recensioni
Dal testo: “Tra chi non voleva che dimenticare e ricominciare e chi ancora sentiva l'odio e il desiderio di vendetta bruciare nelle proprie vene, né per Hermione né per Draco quello sarebbe stato un anno semplice.
Assorti nei loro continui discorsi, gli studenti del castello non provavano nemmeno a nascondere le tante opinioni correnti che, in ultima analisi, si potevano ridurre ad un'unica considerazione: sarebbe stato meglio non fossero tornati, nessuno dei due.”
Perché, quando una guerra finisce, ci vuol più coraggio a ricominciare a vivere che a farsi trascinare via…
Naturalmente i personaggi sono della mitica Rowling, io li ho solo presi in prestito, :P!
Spero di aver risolto i problemi col testo. Buona lettura (spero)!
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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ORO NERO


Un altro passo e il cono d'ombra del pilastro della stazione non sarebbe più stato l'ultimo nascondiglio utile.

Un altro passo e il pulviscolo che danzava attraverso i pallidi raggi di sole che entravano dalle vecchie vetrate della stazione avrebbe avvolto anche lei, riportandola in quel mondo da cui si era abilmente eclissata non più di tre mesi prima, quando tutto era cambiato. Tutto era crollato.

Alla fine della guerra avevano detto tanto di lei: che era un'eroina, che aveva salvato il mondo magico, che era la strega più brillante mai esistita. L'avevano inseguita, intervistata (interrogata?), assillata: non le avevano permesso di dimenticare. La fama può avere i suoi lati negativi.

E lei li aveva lasciati fare, tutti: amici, giornalisti, curiosi. Finché non era stata più in grado di affrontare le difficoltà di un giorno semplice, quelle che non contemplavano fughe e stratagemmi, mangiamorte e salvataggi in extremis. Perché, finita l'euforia della vittoria, tutti volevano dimenticare la guerra e lei – come Harry e Ron, del resto – la ricordavano troppo, di fronte a loro era impossibile non ricordare...

Così Harry e Ron avevano optato per un nascondiglio glorioso e definitivo, l'accademia per ufficiali Auror del Ministero della magia! E magari un bel fidanzamento, preludio di un altrettanto bel matrimonio tra gli eroi ... quello che tutti si aspettavano: e vissero felici e contenti!

Hermione, invece, aveva optato per la sua adorata biblioteca, in attesa che tutto si calmasse e potesse tornare a vivere come una normale studentessa e soddisfare il suo desidero di conoscenza. Niente fidanzamento/matrimonio, doveva rimettere insieme i cocci della sua vita, capire se quel compagno che il fato le aveva messo accanto da accudire per tutta la guerra era quello destinato alla sua vita.

Naturalmente Ron non l'aveva capita, aveva capito solo che non sarebbe rimasta con lui, che voleva andarsene e scegliere un’altra via per ricostruire qualcosa di nuovo da un’altra parte e, molto probabilmente, non con lui ... Quel che le aveva urlato contro, prima di andarsene via a testa alta e senza chiedere, senza cercare di capire, le bruciava ancora dentro : "Rimarrai da sola, ‘Mione! SOLA !"

Quanto odiava chi la chiamava ‘Mione...

Un ultimo sguardo indietro, un ultimo sospiro ad occhi chiusi... un passo avanti: la regina dei Grifoni è tornata!

Il silenzio l'attorniava mentre lei, sguardo fiero e andatura decisa, nel suo mantello lungo fino a nasconderle i piedi, avanzava verso il treno. La folla, che si apriva al suo passaggio, si richiudeva dietro di lei e migliaia di occhi la fissavano: era veramente lei? Tornava ad Hogwarts? Dove era stata finora? E l'accademia? Sola?

Lei non sentiva nessuno, stringeva le braccia sotto il mantello e, ostentando una calma che non le apparteneva, marciava dritta verso il treno, in uno scompartimento vuoto riservato a quelli del settimo anno; solo lì, lontano da sguardi curiosi, si lasciò cadere sul sedile e respirò: era andata meglio del previsto, almeno nessuno l'aveva fermata per parlare!

***************************

"Vado o non vado?"

Il muro che divideva il binario 9 e ¾ dal mondo "reale" si ergeva davanti a lui, solido e uniforme, come sempre, come se niente fosse mai successo. Ma già il fatto che lui vi si trovasse davanti aveva un che di straordinario.

Elegante, sprezzante e altero, Purosangue ricco e snob, Draco Malfoy non era mai stato in una stazione babbana: sia mai che respirare la stessa aria l'avesse potuto infettare con chissà quali virus!

Ma erano altri tempi, altre idee, un altro mondo che era finito, incenerito dalla guerra: il velo dei pregiudizi in cui il ragazzo era stato allevato da un padre troppo esaltato ed integralista era stato squarciato nel peggiore dei modi non più di qualche mese prima, quando in un pallido e desolante mattino di Aprile aveva capito cosa era diventato: un'inutile pedina di scambio, materiale da sacrificare alla gloria del "Signore Oscuro".

"Sacrificabile" così l'aveva definito suo padre, questo aveva detto un padre del suo unico figlio, dell'ultimo discendente dei Malfoy. E lui si era sentito morire, lui aveva visto incenerirsi tutta la sua vita, quella in cui non aveva fatto altro che cercare di rendere orgoglioso di lui quel padre severo e pretenzioso, in attesa di un suo cenno di assenso, di un moto di orgoglio che non era mai arrivato e che, in quel momento aveva capito, non sarebbe mai giunto. Allora l'aveva fatto, aveva finto di non riconoscere Potter quella sera nel salone di casa sua, non l'aveva consegnato al Lord Oscuro, e si era defilato, nascosto, esiliato...solo sua madre era riuscita a toglierlo, seppure solo per un momento da quel rifugio sicuro, quando lo aveva pregato di allontanarsi dalla scuola nel momento della battaglia finale, quella stessa madre che (l'aveva saputo poi) per lui aveva tradito Voldemort, nascondendo l'inganno di Potter.

Ma la sua fama era rimasta immutata: rimaneva il figlio di mangiamorte, mangiamorte egli stesso, il traditore che aveva fatto entrare Bellatrix e l'esercito dei servitori del demonio nella sua scuola, la causa di tanto dolore e di tanti morti ...

La tortura non avrebbe mai avuto fine, la guerra per uno come lui non sarebbe mai finita!

Draco si voltò verso sua madre, la vide più spaventata di lui.

Torturandosi con i denti il labbro inferiore, chiuse gli occhi e attraversò.

Quando la folla lo vide, rimase incredula: con quale coraggio quella lurida serpe si ripresentava ad Hogwarts? Che voleva ancora? Un mormorio sempre più irritato si alzava al suo passaggio, insulti e minacce non erano poi tanto sussurrati, qualcuno provò perfino a sbarrargli la strada, a spintonarlo a farlo cadere ma per fortuna il suo fisico da cercatore lo tenne in piedi.

Draco capì che non sarebbe stato semplice passare inosservato (come cambiano le cose, eh?)...

Tirò dritto senza guardare e senza respirare, quasi corse fino al treno. S'infilò dentro e si lasciò cadere nel primo scompartimento che gli parve vuoto e lontano da tutti. Non aprì neppure gli occhi mentre si accasciava sul sedile.

Sapeva che era appena iniziata un'altra battaglia!

*******************

La notizia era arrivata ad Hogwarts insieme ai Thestral che, purtroppo, quell'anno troppi studenti potevano vedere.

I professori, naturalmente, lo sapevano già da prima ma avevano sperato in un'accoglienza se non calorosa almeno col beneficio del dubbio, almeno da case più dedite all'altruismo e alla giustizia, come Grifondoro e Tassorosso. Ma non avevano fatto i conti con gli infiniti lutti e i troppi dolori che la guerra aveva lasciato dietro di sé, quasi fosse il lungo strascico di una sposa rimasta vedova appena pronunciato il fatidico sì.

Tra chi non voleva che dimenticare e ricominciare e chi ancora sentiva l'odio e il desiderio di vendetta bruciare nelle proprie vene, né per Hermione né per Draco quello sarebbe stato un anno semplice.

Assorti nei loro continui discorsi, gli studenti del castello non provavano nemmeno a nascondere le tante opinioni correnti che, in ultima analisi, si potevano ridurre ad un'unica considerazione: sarebbe stato meglio non fossero tornati, nessuno dei due.

Hermione aveva dalla sua il fatto di essere un'eroina. Tutti le riconoscevano della gratitudine e, di conseguenza, si limitavano ad osservarla con riverenza e rispetto quando la incontravano nei corridoi o se la ritrovavano in classe durante le lezioni...salvo lasciarsi sfuggire un sospiro di sollievo appena spariva dalla portata dei loro occhi! Ma le loro parole non sfuggivano alle sue orecchie: altera, saccente, impettita, scostante, fredda come un ghiacciolo: per forza era rimasta sola! Alla fine della guerra nemmeno Potter e Weasley, i suoi amici, la dovevano più sopportare. Conosceva un sacco di cose, vero, ne sapeva dare anche di più ma, Merlino, era un peso esagerato! Sempre triste, sempre seria, sempre ligia alle regole...che pluffe! Gli studenti Corvonero erano giunti alla conclusione che lei fosse la prima a non sopportarsi e, dato che era intelligente e capiva benissimo di essere fondamentalmente al di fuori di ogni schema civile del mondo della magia, evitava di proposito di rendersi ancora più pesante al resto della comunità : Si auto-esiliava, dunque!

 " e poi dicono che quella di Corvonero sia la casa dei geni...mah!!!" Pensava Hermione ogni volta che sentiva quell'immensa mole di sciocchezze! Ma quelle sciocchezze le facevano male, eccome! Erano come spilli che le si conficcavano nell'anima. Era sola, si sentiva così male che spesso si ritrovava ad abbracciarsi da sé per darsi un po' di calore. Non sapeva neppure lei cosa avrebbe dato pur di aver lì Ginny, a cui scriveva in continuazione. Ma la sua amica aveva altro a cui pensare, doveva cercare di non far finire nell'oblio della disperazione quel che rimaneva della sua famiglia dopo la morte di Fred. Una volta si era costretta a essere meno intransigente, a farsi piacere ciò che tutti pensavano lei fosse ma si era sentita più falsa di un galeone di legno. Non era un patto che lei poteva accettare e aveva accettato il costo per essere quel che si è: il desiderio irrealizzabile di una carezza, un sorriso, un po' di calore. Aveva rinunciato a farsi amare. Anche se era e rimaneva il suo primo pensiero.

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A Draco, se possibile, era andata peggio. Senza alcuna forma di protezione che non fosse la sua, ormai sempre più debole, maschera di alterigia, superbia e menefreghismo, il ragazzo si muoveva per la scuola come fosse un fantasma. O un appestato. Gli studenti lo odiavano apertamente, lo insultavano e consideravano la sua presenza ad Hogwarts come l'ennesima regola massacrata dai soldi e dall'influenza di paparino: peccato che se dei primi era rimasta qualcosa, dopo la guerra della seconda non c'era più traccia! Così, gli studenti non esitavano a insultarlo alla prima occasione buona, naturalmente alla larga dalle orecchie dei professori. In un castello tanto grande c'era sempre un luogo dove un insulto, un pugno o uno sgambetto passassero inosservati; e il giardino era così grande...
Il ragazzo, allora, aveva preso a saltare le lezioni, evitando come la peste soprattutto quelle con i Grifondoro. Sempre più di rado consumava i suoi pasti nella sala Grande, difficilmente lo si vedeva fuori dalle mura amiche del covo Serpeverde e, comunque, sempre solo. Stava male, Draco, ma non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura! E non voleva la pietà di nessuno, ammesso che qualcuno avesse provato a concedergli almeno quella: del resto gli studenti Serpeverde già erano visti col fumo negli occhi, accompagnarsi a Malfoy non era certo la più brillante delle idee!

La solitudine è un grande dono quando è ricercata, ma se imposta diventa la più terribile delle torture. E Draco la sentiva peggio delle cruciatus. Eppure a sua madre continuava a scrivere che le cose non andavano poi tanto male e che lo studio lo impegnava tanto...le avrebbe mentito fino all'eternità se fosse servito a farla stare più tranquilla!

I giorni passavano lenti e dolorosi per i due ragazzi. I professori invitavano sempre più spesso le quattro case al dialogo ma era come se i ragazzi non sentissero nemmeno le grida. Era perfino peggio, perché anche gli studenti in teoria predicavano la concordia ma nella pratica non riuscivano ad accettare questa specie di pace a metà che si era creata nella scuola, con Grifondoro e Serpeverde sempre sul piede di guerra e Corvonero e Tassorosso a far da cuscinetto. Di questa situazione, Draco ed Hermione erano i capri espiatori per eccellenza.

In tutto questo, i due ragazzi non si erano ancora incontrati a scuola, impegnati com'erano a nascondersi e a proteggersi dalla esagerata generosità e dall'incredibile affetto loro dimostrato.
O forse si erano trovati qualche volta nella stessa stanza, ma nessuno dei due aveva dato segni di accorgersi della presenza dell'altro.


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C'era chi si chiedeva cosa sarebbe successo nel momento in cui i due si fossero realmente visti.
Una mattina di inizi ottobre, la scuola venne accontentata.

Hermione aveva fatto presto quella mattina, si era alzata con la precisa idea di far colazione presto e in pace, anche se non prevedeva ci sarebbe stata molta gente in Sala Grande: era sabato! Niente lezioni, perciò tutti dormivano!

Anche Draco contava sulla mancanza di lezioni e il conseguente deserto in giro per la scuola per fare colazione tranquillo e, per una volta, in sala e non in camera, ma aveva fatto con un certo comodo, sicuro che tanto non gli sarebbe servito perdere altro, preziosissimo sonno.

 Perciò quando la ragazza aprì il portone per uscire, se lo trovò davanti.

Fu un attimo. Gli occhi si incontrarono, non poterono fingere di non essersi visti. Non si salutarono, non abbassarono lo sguardo, solo un minimo scansarsi per permettere il passaggio di entrambi. E un pensiero li colse, improvviso e fulmineo, entrambi e contemporaneamente: " sei come me!"

E un lento sfiorarsi delle vesti.

La consapevolezza di quel pensiero attraversò il loro sguardo e li scosse dalle fondamenta...non potevano far finta di non aver capito, di non essersi riconosciuti.

 

È incredibile quanta fatica si debba fare per cogliere i pettegolezzi sul proprio conto, ascoltandoli di nascosto, e quanto sia facile, invece,  sapere quelli che riguardano gli altri, ascoltandoli tranquillamente mentre fai finta di leggere o passeggiare o .... fare qualcos'altro! I geni Corvonero e i dolci Tassorosso non si facevano scrupoli a parlar male degli assenti!

È così, Draco seppe che i Corvonero erano convinti che la Granger non fosse più un problema per la fama della loro casa ( " che idioti!"-pensò- "solo perché la mezzosangue non sta più sempre con la mano per aria non significa che non ne sappia sempre molto più di voi!"), che avevano fatto un discreto bottino con le scommesse perché avevano vinto contro i Tassi, indovinando il fatto che "i due" non avevano mandato in aria la scuola incontrandosi, ma ne avevano perso un altro bel po' col fatto che non si fossero parlati; scoprì che il regno della mezzosangue era come sempre la biblioteca ma che ogni tanto, anche se sempre più raramente, andava in guferia; che i suoi rapporti con il resto del trio non erano un granché, anzi, qualcuno diceva che lei aveva lasciato Ron, buttandolo in una tale frustrazione che il poveretto si consolava come poteva ( vedi edizioni ad ok della Gazzetta del Profeta); che era sempre sola e tale desiderava restare, forse una forma di stress post bellico che la rendeva asociale e acida come un limone, incapace di sorridere e/o ridere, approcciarsi a qualcuno e che era irrimediabilmente destinata a fare la fine della Mc Grannit (il che, secondo alcuni, era un delitto viste le grazie della ragazza...).
Draco rimase di sasso: non una parola di conforto o comprensione, non un moto di aiuto, non una parola di gratitudine. Ma quella è la tipa che aveva loro salvato le vite! Era la so- tutto- io che aveva rischiato ogni cosa per il mondo magico e che, alla fine dei conti, ci aveva rimesso molto più di molti di loro! Aveva rinunciato a tanto, troppo forse, e ora si ritrovava con un pugno di mosche in mano, specie se era vero che anche Lenticchia e lo Sfregiato l'avevano lasciata sola in quel castello.

Dopo ogni guerra il meccanismo della dimenticanza è necessario, vero, ma c'era un limite anche a quello: come pensava di poter mai avere una chance di riscatto lui, mangiamorte e figlio di mangiamorte, se lì dentro nessuno voleva dare conforto neppure a lei, che si meritava di camminare su un tappeto rosso?

Anche Hermione ebbe la sua parte di novità. Scoprì che Malfoy lasciava raramente le sue stanze, il più delle volte solo su ingiunzione della preside a causa delle continue assenze a lezione; che l'unico posto dove lo si vedesse con una certa frequenza era la guferia, anche se nessuno sapeva chi avesse il coraggio di intrattenere un rapporto con lui, "infido e viscido figlio di mangiamorte" ("Magari la madre? Inutili Tassi" pensò, vergognandosene un po', la ragazza); seppe che i Tassorosso erano delusi per aver perso un sacco di soldi perché lei non aveva schiantato Malferret davanti alla sala grande ma che ne avevano recuperato qualcuno dal fatto che non si fossero neppure insultati; che il ragazzo aveva lasciato la squadra di Quidditch; che perfino le altre serpi lo avevano messo da parte per non rovinare ancora di più il loro nome ( perfino i Greengrass avevano provveduto a scindere immediatamente il contratto matrimoniale tra Draco ed Astoria a cui erano stati costretti...); che solo un elfo ancora lo serviva ma era sempre più sconsolato perché il padrone lo faceva lavorare poco; che se avessero potuto scegliere l'avrebbero buttato fuori dal castello, ma ci doveva essere un motivo misterioso e illegittimo per il quale la Mc Grannit e il Ministero lo proteggevano e lo tenevano lì.

All'anima della bontà dei Tassorosso! E dell'intelligenza Corvonero! Ma lo sapevano quelle mezze calzette che senza Draco e sua madre non ci sarebbe stato nessuno Harry - Salvatore del mondo magico? Che quel " vigliacco, codardo, infido, ecc." aveva compiuto il gesto più coraggioso che lei, la più coraggiosa delle Grifondoro, aveva visto compiere in tutta la guerra? Ancora ce li aveva davanti agli occhi: Lucius e Bellatrix lo guardavano straniati e fiammeggianti, iniettati di odio, ma a loro modo speranzosi, mentre aspettavano che il ragazzo confermasse loro l'identità di Potter e lui...non lo fece! Lo sapeva che era lui, il magico trio era lì, a casa sua, in mano al signore oscuro, e non li aveva consegnati... Con gli horcrux ancora integri e senza bacchette, Voldemort li avrebbe uccisi senza nemmeno faticare e i Malfoy sarebbero divenuti potentissimi, ma lui, Draco, non li aveva traditi... Chi più di lui meritava una seconda possibilità ?

Ce li avevano tutti contro...


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Ad ottobre le colline intorno ad Hogwarts esprimono a pieno la loro magia solo agli occhi che le sappiano guardare con la giusta nostalgia. La nebbia le ricopre come a proteggerle, un manto leggero e candido che si dissolve sotto i primi raggi di un sole ogni giorno più freddo, lasciando solo un velo di goccioline, lucenti e fredde come piccoli cristalli. Dalla foschia emergono appena alberi ormai spogli che fanno da contraltare a quei pochi arbusti le cui ultime foglie arrugginite resistono stoicamente. I primi raggi di sole si specchiano sul lago Nero che sembra assorbirne la luce e il calore con avidità, quasi fossero essenziali per l’universo di vite che si muove nei suoi abissi.

Dalla torre di Grifondoro lo sguardo spaziava verso orizzonti infiniti e dava una sensazione di libertà che inondava il cuore di Hermione, seduta sul davanzale a godersi lo spettacolo della  nascita di un nuovo giorno.

Dal sotterraneo di Serpeverde, l’inizio del giorno ha, invece, i colori di un’aurora boreale, un baluginare di venti verdi, gialli o violetti che cadono verso il fondo del lago, rincorrendosi ed esplodendo come cascate luminose ed effimere in cui si stagliano le ombre dei tanti mostri che lo popolano.

Per Draco era come guardare in uno specchio la propria anima: attimi di luce improvvisa, brevi lampi di speranza in un so che cosa che sembrava farlo stare meglio e, subito, i mostri della sua esistenza a ricordargli chi era, cos’era, cosa non avrebbe mai potuto essere.

Per tutti gli altri, erano solo gli ultimi giorni per starsene fuori, andare a divertirsi prima che il freddo e la neve li costringessero a starsene al caldo nelle sale comuni. Perciò la preside concesse agli studenti un giorno di libertà, un'uscita ad Hogsmeade. Non se lo fecero ripetere due volte: tutti corsero alle carrozze e si fiondarono in città per godersi un giorno di tranquillo shopping o anche solo per una passeggiata e una burrobirra.

“Tutti a Hogsmeade? Nessuno in giro per il Castello e, perciò, libertà di muoversi senza rischiare di fare brutti incontri!” questo era stato il primo pensiero quasi-positivo che aveva preso forma nella testa di Draco da quanto aveva rimesso piede a scuola. Finalmente poteva alzare gli occhi al cielo, respirare aria fresca, permettersi il lusso di bighellonare senza pensare a proteggersi. Lasciò che i suoi piedi seguissero i percorsi che la sua mente costruiva, senza porsi limiti o regole … Regole. Incredibile quante ne aveva dovuto seguire e subire lui, senza mai infrangerle, lui che a scuola era considerato il re degli scapestrati, sempre fuori negli orari proibiti, sempre nei luoghi vietati, sempre con i bocca le parole illecite … Quanta incoerenza ci può essere in una vita! Certo, lui aveva contribuito alla grande alla costruzione di quella recita a soggetto: sempre insolente, sempre arrogante, vietato mostrare un tentennamento, un’incertezza, una fragilità: era Malfoy!

Forse Malfoy era così, ma Draco era fragile e, quando se ne era accorto, aveva dovuto faticare per ammetterlo, almeno con se stesso. E poi c’era lei, Narcissa … Mamma … non poteva crogiolarsi in quella sua nuova consapevolezza, non se questo significava aggiungere pesi e pensieri a sua madre. Perciò la maschera da “Malfoy” se l’era tenuta addosso, anche se erano evidenti crepe e rattoppi. Era riuscito a farla reggere in maniera decente, o almeno credeva, fino alla partenza per Hogwarts, ora si trattava di continuare a farlo almeno fino a Natale e poi ... si vedrà! Con un sospiro, Draco abbandonò i suoi pensieri e si staccò dalla colonna cui si era poggiato per seguire un altro improvviso sentiero disegnato dalla sua mente. Si sistemò il mantello e si addentrò nel giardino: gli era sembrato di sentire dei passi e, sebbene fosse impossibile che qualcuno fosse rimasto al castello se non forse Gazza, non aveva nessuna voglia di provare a vedere a chi appartenessero.

Quel pomeriggio Hermione, invece, aveva deciso di passarlo, come al solito, in biblioteca. Marciava verso la sua meta senza neppure guardare dove metteva i piedi percorrendo a grandi passi i corridoi vuoti.

In sala regnava il silenzio. Si poteva sentire perfino il dito che seguiva le rune che si susseguivano sulla pergamena, custodi di antichi segreti e ancor più antichi desideri: una volta qualcuno (non ricordava più chi) le aveva detto che dietro ogni scoperta e/o conoscenza c’è il desiderio e il lavoro di chi non si è voluto arrendere ad una realtà che gli stava stretta. Hermione quasi si perdeva a seguire i suoi pensieri che, troppo spesso, partivano da un segno e finivano poi chissà dove. Ci provava a concentrarsi e a non deviare dal programma di studi (precisissimo) che si era dato quel giorno ma proprio non ci riusciva. Eh sì che i pensieri che si rincorrevano non erano per niente piacevoli: la guerra, le macerie, gli amici che non avrebbe più rivisto, Fred, Harry, Ron … Basta! Doveva uscire da lì, aveva bisogno di aria, luce. Il giardino, ecco! Del resto, un libro si può leggere ovunque.

Fuori, la luce e l’aria fresca le snebbiarono la mente. Un leggero ed improvviso sorriso le si aprì sul volto, il primo dopo tanto tempo. Forse era sola, vero, ma era sé stessa e questo era molto più di quanto molti altri potessero dire di sé. Si sentiva di nuovo …

Un fruscio improvviso la riporto sulla Terra: c’era qualcun altro. Chi altri poteva esser rimasto al castello? Non erano andati tutti al villaggio? Si voltò appena a tempo per vedere uno scintillio di    alamari argentei e un ciuffo biondo sparire in direzione della parte più interna del giardino.

 

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Un prefetto non viene meno ai suoi doveri neppure quando risulta perfettamente inutile effettuarli o addirittura dannosi per la propria salute. In questo Hermione era più precisa di Percy Weasley, anche se la ronda serale aveva un unico fine ormai: aumentare il suo raffreddore  e quello degli altri prefetti. Doveva comunque ringraziare la prof.ssa Mc Grannit per aver insistito a che lei non rinunciasse all’incarico: così facendo, infatti, aveva avuto modo di ricostruire un almeno apparente rapporto con gli altri prefetti dal momento che, volenti o nolenti, dovevano collaborare. E Halloween si avvicinava velocemente. Lei non aveva, naturalmente, tutta questa voglia di festeggiare o di organizzare festeggiamenti perciò aveva lasciato agli altri tale incombenza, offrendosi di sostituirli nelle ronde serali. “Tanto con questo freddo nessuno mette il naso fuori dalle sale comuni e non ci metterò niente!”, li aveva rassicurati mentre loro già pensavano a zucche e pipistrelli. E, in effetti, così era: il vento gelido che faceva tremare le vetrate e i relativi spifferi che gelavano corridoi e aule, lontani dal calduccio delle sale comuni, e il ghiaccio e la neve che ricoprivano ogni angolo del giardino e dei chiostri interni erano ottimi deterrenti, anche per i più “valorosi” tra gli scapestrati della scuola, perfino per i Serpeverde che, in fin dei conti, al freddo erano più abituati, visto il gelo che c’era nei loro sotterranei, almeno a giudicare dall’aula di pozioni.

Hermione, imbacuccata nel suo mantello e con la sciarpa avvolta intorno al collo, armata di bacchetta illuminata e di un piccolo fuoco azzurro e scoppiettante che la seguiva da vicino impedendole di congelare, anche quella sera si apprestava a compiere il suo dovere. Il vento di burrasca delle sere precedenti sembrava essersi calmato, all’esterno del castello regnava un silenzio sovrannaturale rotto solo dal rumore lieve della neve che cadeva dai rami del Platano picchiatore; un cielo trapunto di stelle splendeva al di sopra dei tetti e una luna gigante illuminava tutto intorno, specchiandosi sull’immensa lastra di ghiaccio che racchiudeva ormai il lago: le chiare notti invernali erano uno spettacolo a cui difficilmente ci si abituava ad Hogwarts!

Hermione camminava lenta e controllava ogni angolo ma era quasi certa che anche quella sera nessuno si sarebbe fatto trovare in giro da lei o da Gazza: uno spiacevole contrattempo, le scale (a loro piace cambiare!) che si erano messe movimento mentre scendeva dal terzo piano, avevano prolungato il suo giro, facendola ritardare. Un ritardo provvidenziale, evidentemente, perché mentre percorreva uno dei corridoi tra le aule del secondo piano sentì una serie di rumori strozzati provenire dal fondo di uno di essi. Mentre prendeva nota di cambiare orari per essere meno prevedibile, Hermione corse per vedere che stava succedendo.

Una voce urlò “La Granger! Via! Via!”

Hermione fece in tempo a vedere quattro ombre in fuga e, giunta all’altezza di una delle colonne, trovò a terra uno studente, raggomitolato su se stesso, le mani a protezione del capo, gli abiti laceri e le braccia tumefatte. Respirava ma doveva essere svenuto. Mormorando qualche incantesimo di primo soccorso, si avvicinò: sul braccio ancora si vedeva l’ombra di un marchio, quello dei mangiamorte.

La mattina dopo la preside della scuola radunò tutti i prefetti e i capiscuola nel suo ufficio, d’urgenza;

Accanto a lei, una Hermione Granger che definire furiosa era poco. Vennero informati dei fatti. Ora il ragazzo era stato portato in infermeria e affidato alle cure di Poppy Chips; obbligo di tutti scoprire chi fossero i quattro fuggitivi visti dal prefetto grifondoro; per ora 200 punti in meno ad ogni casa, annullata la festa di Halloween e tutte le uscite fin quando non fossero venuti fuori i colpevoli. Quindi la preside si lasciò cadere, affranta, sulla sua poltrona: non avrebbe mai creduto possibile una cosa del genere proprio lì, nella sua scuola, il cui unico fine era quello di far crescere unite le future generazioni di maghi.

Nel ritornare alle proprie case, i ragazzi parlottavano tra loro; solo Hermione stava zitta e stringeva i pugni, camminava quasi correndo. La sua figura emanava un’aura di furiosa frustrazione e di indomabile ira: meglio non essere nei paraggi quando sarebbe scoppiata, poco ma sicuro! Poi si girò e, guardandoli fisso negli occhi, cercò di parlare nella maniera più calma che le riuscisse: “ Riferite questo agli altri studenti: quando scoprirò chi erano quei quattro – perché lo scoprirò! – mi accerterò personalmente che vengano accompagnati ai cancelli di questa scuola e che vengano sbattuti fuori con una nota di infamia e biasimo peggiore di quanto possano immaginare! E informerò il Ministro della magia perché prenda provvedimenti restrittivi: non sono degni né di questa scuola né della loro magia!” E sparì.

La notizia che l’eroina della guerra magica aveva pubblicamente preso le difese di un Mangiamorte fece il giro del castello in un lampo. Studenti e quadri si voltavano a guardarla mentre passava fiera come mai era stata nei corridoi e si chiedevano chi fosse diventata. Certo non era più la stessa del “magico trio”, quella che al terzo anno aveva mollato un pugno sul naso di Malfoy, che non perdeva occasione per fargli fare una brutta figura, che veniva derisa e denigrata da lui : quella non lo avrebbe mai difeso! No, decisamente non era più quella che era…

Ma cosa ne sapevano loro di chi era Hermione Granger? Di chi è Hermione Granger? Lei era sempre lei, quella che non avrebbe sopportato un’ingiustizia mai e poi mai, verso chiunque si compisse, che non avrebbe mai cercato vendetta ma solo giustizia e mai attraverso atti di vigliaccheria … “Grifondoro, culla dei coraggiosi di cuore: audacia, fegato, cavalleria …” aveva detto il Cappello parlante quando li aveva smistati. E lei era quel che era sempre stata, una grifona nel difendere il diritto alla libertà degli elfi come nel difendere il diritto a ricominciare di chi aveva perso la guerra.

Che poi c’era da chiedersi chi avesse realmente  vinto la guerra, se mai ci fosse mai stato un vincitore …

C’erano ancora parti del castello che dovevano essere ricostruite e le cui macerie ancora erano lì a ricordare l’orrore dell’ultima battaglia; e c’erano famiglie che ancora piangevano i congiunti persi, figli senza padri (Teddy)e genitori senza figli (i Weasley); anime in pezzi e futuri da reinventare, incubi che perseguitavano la notte e fantasmi personali da affrontare: se quello significava essere vincitori, era una magra consolazione …

La domanda era, piuttosto, chi pensavano di essere loro? Loro che non tornavano a casa per non vedere la disfatta dei loro vecchi genitori o per non dover riviere dolorosi ricordi chiusi negli oggetti delle loro case, che stavano sempre in gruppo per non dover affrontare da soli i fantasmi che si affollavano dietro ogni angolo del castello e che dribblavano ogni discorso serioso perché avevano paura di ciò che poteva uscire dalle loro menti; che dicevano di voler andare avanti con la vita e poi la tenevano legata con le catene dell’odio. Forse non erano che bugiardi, piccoli struzzi che nascondevano la testa nella sabbia per non vedere la realtà amara che li circondava … Oro nero, sporco di vigliaccheria e maldicenza.

Questi, o simili, erano i pensieri che passavano nella testa di Hermione quando nei pomeriggi seguenti attraversava i corridoi che portavano all’infermeria e andava da Draco. Gli portava gli appunti per non farlo restare indietro con le lezioni, si informava da madame Chips sulle sue condizioni e andava via. Avrebbe voluto chiedergli scusa per non essere arrivata prima, per non aver fatto nulla per tutelarlo dalle maldicenze che avevano armato la mano di quegli idioti, per non averli ancora trovati e, onestamente, non sapere da dove cominciare vista l’omertà degli studenti. E ringraziarlo per il rischio che si era preso al Manor: non lo aveva mai fatto. Poi, venne dimesso ed Hermione non lo trovò più in infermeria. Madame Chips le disse che aveva insistito per ritornare alla sua stanza e che voleva starsene tranquillo.

Dopo quel che era accaduto era diventato ancora più guardingo, praticamente impossibile trovarlo per il castello. Solo, a volte, andava in guferia per spedire una lettera a sua madre. E fu lì che Hermione lo trovò, un po’ per sbaglio e un po’ per fortuna. Non sapeva da dove iniziare ma doveva dirgli qualcosa, e subito, vista la fretta con cui stava legando la pergamena alla zampetta del suo gufo. Stava ancora cercando le parole, contorcendosi le mani, quando…

-          Granger, se ti aspettavi un “grazie” lo dovresti sapere che non è nel mio stile!

-          No. Veramente volevo scusarmi …

-          Solita lagna da Grifondoro! Adesso dovrei dirti che non è colpa tua, che non ti devi scusare bla, bla … Non sono e non voglio essere io a liberarti la coscienza: se te la senti sporca, vatti a confessare altrove!

-          Ascolta, Malfoy…

-          Non. Chiamarmi. Malfoy. Non chiamarmi e basta!

-          Senti … è vero, lo so che non sono stata io a farti quel che ti hanno fatto, ma non ho fatto nulla per evitarlo perché, onestamente, non pensavo si sarebbe mai giunto a un tale livello di vigliaccheria! Non pensavo si sarebbe mai andato oltre le parole …

-          Bene, ora hai detto quello che dovevi dire. Te ne puoi anche andare.

-          No. Io devo ancora ringraziarti. Se avessi smascherato Harry, quella sera, ora non saremmo qui! Ti dobbiamo tutti qualcosa.

-          Hai finito? Puoi andartene ora?

-          Certo, non mi trattengo oltre. Scusami se ti ho disturbato. Non accadrà più.

Si girò per andarsene

-          Aspetta! Non lo ripeterò, perciò ascolta bene: Grazie per l’aiuto che mi hai dato, è molto più di quanto meritassi. E non ringraziarmi … non l’ho fatto per voi, l’ho fatto per me … in fondo, molto in fondo, ho una coscienza anche io.

-          Ciao Draco, ci vediamo.

 

A volte, la notte, gli incubi la tenevano sveglia. Dopo la guerra, tutte le notti erano spaventose. Poi era migliorato e, ad Hogwarts, nonostante tutto, le cose erano ulteriormente migliorate. Ma a volte ancora facevano capolino e, allora, non c’era verso di riuscire a riaddormentarsi. Quando era piccola e i “brutti sogni” la svegliavano, la mamma la consolava, le portava un bicchiere di latte caldo e le accarezzava i capelli fino a farla riaddormentare … Chissà dov’era ora la sua mamma, che facevano i suoi …

Si alzò dal letto di scatto: incupirsi con quei pensieracci non era per niente utile alla causa! Forse avrebbe potuto chiamare un elfo dalle cucine e farsi portare del latte ma le bastò uno sguardo fuori dalla finestra per capire che era notte fonda e non voleva disturbare nessuno. Quindi s’infilò una vestaglia e uscì: in cucina avrebbe trovato quello di cui aveva bisogno.

Scivolò quatta quatta lungo i corridoi, attenta a non far rumori che avrebbero richiamato l’attenzione di Gazza o della sua insulsa gatta (ma non dormono mai, quelli!), tenendo bassa la luce della bacchetta quel tanto che bastava a non farla sbattere contro qualcosa o cadere da qualche gradino malandrino. Davanti alla porta della cucina udì dei rumori, aprì piano e quel che vide la sorprese e non poco.

Dentro, Draco Malfoy “litigava” con le stoviglie magiche: alla maniera “babbana” non sapeva usarle e gli incantesimi di cucina erano per lui degli “esimi sconosciuti”: del resto, era un Malfoy! Gli bastava desiderare ad alta voce e almeno due o tre elfi avrebbero fatto a gara per esaudirlo! Ma giusto quella notte era stato preso da un attacco di bontà (o stupidaggine) e aveva deciso di lasciar dormire in pace il suo elfo e di andare a recuperare da solo del latte caldo per calmare i suoi nervi tesi e, nello stesso tempo, fare una passeggiata al chiarore della luna, che lo affascinava sempre. Ma ora non aveva la più pallida idea di dove cominciare e quelle stupide pentole non volevano collaborare … si sentiva perso, inutile e furioso!

Prima che il ragazzo facesse qualcosa di avventato, Hermione si decise ad entrare e a chiudere con delicatezza ma non troppa la porta, in modo che lui si accorgesse di non essere più solo.

-          Difficoltà a dormire, Granger?

-          Difficoltà con le cucine?

-          Uff… Non funzionano!

-          Fa provare me! Latte o altro?

-          Va benissimo il latte.

Pochi minuti dopo due tazze di latte fumanti erano poste sul lungo tavolo della cucina, insieme ad una ricca scelta di biscotti che Draco aveva trovato in una dispensa. Lo sguardo del ragazzo era perso ma pesante come il suo silenzio. Hermione lo comprese bene, era lo stesso silenzio che riempiva le sue giornate, quello di chi vorrebbe dire qualcosa ma non sa cosa e, soprattutto, non sa cosa potrebbe arrivare a dire una volta iniziato. Paura di ferire, di ferirsi, di dire cose sbagliate alle persone sbagliate, di non essere compresi. Lei qualche volta aveva provato a “parlare” con Harry, Ron e Ginny ma per loro era troppo ascoltarla: avevano i loro pesi e non erano pronti a condividerli. E forse neppure lei lo era.

-          A buon rendere, Granger!

Eccolo, batteva in ritirata, di nuovo. Giù, nel covo delle serpi, al freddo di una stanza che, ci avrebbe scommesso, doveva essere una galera come lo era la sua. Non poteva permetterglielo, tutto quell’inferno che si portava appresso l’avrebbe schiacciato e lui, da brava serpe, si sarebbe fatto schiacciare se non avesse trovato una via di fuga. E, da bravo Malfoy, non avrebbe mai e poi mai chiesto aiuto! Poteva provarci … lui poteva capirla, era nella sua stessa situazione!

-          Non ti conviene andare giù a berlo: si raffredda e, se ti becca Gazza, non riusciresti a sfuggirgli. Resta. Non ti disturberò.

Disturbarlo? Era già la seconda volta che glielo diceva. La guardò e, forse per la prima volta la vide: piccola, raggomitolata nella sua vestaglia, i capelli raccolti da uno stecchetto, le mani intorno alla tazza … quasi volesse sparire. A lezione non alzava più la mano, sedeva dietro, parlava solo se interrogata, ultima ad arrivare, prima ad andarsene. Le ronde preferiva farle da sola, ad Hogsmeade preferiva il tavolo più nascosto della biblioteca … si sentiva di troppo! Eppure lo sguardo su di lui non era di una che aveva paura di rimanere sola o che voleva fuggire via. No, voleva che restasse solo se anche lui ne avesse avuto voglia. E lui? Lui, cosa voleva fare? Nascondersi per il resto dell’anno e della vita? Continuare a subire e a mentire a sua madre? Arrendersi? Tanto valeva restarsene al Manor … E no, non gli stava chiedendo solo di restare e condividere una tazza di latte ma anche ciò che li aveva portati in quella cucina: le notti insonni, i fantasmi, le paure, i silenzi. Del resto lei non era messa meglio di lui, nel castello. Era circondata da ipocriti che davanti la osannavano e poi l’abbandonavano a se stessa: aveva salvato gli altri, poteva benissimo salvare se stessa! Forse poteva capirlo, era intelligente e coraggiosa … una via nuova!

Guardò il latte tra le sue mani e, poi, guardò lei.

-          Hai ragione, Granger. Biscotti? Cioccolato, vaniglia e zucca …

-          Per favore, chiamami Hermione. Her – mio – ne, però! Odio i diminuitivi!

-          Uhmm, Hermione! Draco, solo Draco!

Un accenno di sorriso sulle labbra di entrambi, non un abbraccio, vero, ma somigliava bene se a scambiarselo erano loro due!

Gli elfi, all’alba, li trovarono ancora lì, a parlare … sapevano che da quel giorno nel castello sarebbero stati in tanti contro di loro, ma ora non dovevano affrontarli da soli.

Forse era giunta, finalmente, l’alba di un giorno nuovo!

 

   
 
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