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Autore: Crissi_Baby80    05/09/2018    9 recensioni
Sono trascorsi sette mesi da quel giorno di Pasqua del 1789 in cui la storia cambiò. Cosa è accaduto? Cosa accadrà? La fic “Come narcisi a primavera” continua con toni meno allegri. Racconteremo di Oscar e André; di Colombine, Alain e Girodelle; di tutti i personaggi noti e… di altri.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Domenica 22  Agosto 1789 - Palazzo Jarjayes


André varcò l’ingresso delle scuderie guidando i loro cavalli. Erano sempre state un luogo tranquillo, infatti aveva passato non poche ore a sonnecchiarci da ragazzo, quando cercava di sottrarsi alle faccende senza fine impostegli dalla nonna, ma ora non aveva incrociato un’anima, non una cameriera, non un domestico, e ciò era molto strano. Era domenica, ma la servitù era sempre indaffarata in un palazzo nobile come quello dei Jarjayes.
Ricordò il giorno in cui aveva lasciato quel luogo insieme ad Oscar. Il generale era venuto personalmente ad augurargli buona fortuna.
“Se tu fossi stato nobile, avrei caldeggiato la vostra unione dal profondo del cuore perché so che l’avresti fatta felice”, gli aveva detto.
Gli aveva fatto piacere udire quelle parole e al tempo stesso gli avevano ribadito la propria condizione di inferiorità. Non che si sentisse più in quel modo oramai, ma aveva sperato che un giorno il Generale avesse potuto guardarlo semplicemente come una persona, al di là delle differenze sociali. Il vecchio De Jarjayes era stato la sola figura maschile nella sua vita, lo rispettava, in un certo qual modo provava dell'affetto, e forse anche lui gliene voleva, ma non abbastanza da accettarlo senza riserve come genero.
Ora, lui ed Oscar, erano di fatto una coppia. Di matrimonio non se ne era più parlato, d’altronde avevano affrontato ben altre urgenze in un solo mese. Ma la realtà era che André sentiva che Oscar non era felice. Oh, non per lui, per loro… la passione non avrebbe potuto essere più travolgente, ma qualcosa la disturbava, la esauriva, rendendo i suoi sonni agitati.
- Signor André!
La voce lo fece quasi sobbalzare.
- Jerome, che piacere vederti!
- Il piacere è mio di rivedervi sano e salvo! Madame Colombine ci ha riferito dei rischi che avete corso a Parigi.
- E tu come stai? Nessuno a darti una mano? Vedo che i cavalli sono un pò trascurati.
Il ragazzo chinò il capo.
- Signore, io faccio quel che posso, ma ormai da solo… E devo anche aiutare nell’orto e in cucina…
- Come sarebbe a dire “da solo”?
Jerome rialzò lo sguardo.
- Oh, nessuno vi ha riferito… Ecco, dopo la presa della Bastiglia, gran parte dei domestici ha lasciato il servizio, sa… tutti un pò infervorati e illusi che la fortuna stesse per cadere loro addosso. Sono rimaste solo un paio di cameriere, il maggiordomo personale del generale, un cocchiere e qualche contadino. Troppo pochi per mandare avanti l'intero palazzo.
La delusione si dipinse sul volto di André. Il mondo stava cambiando in fretta e non sempre nel giusto modo.
- Mi spiace ti sia ritrovato tutto questo peso addosso, Jerome.
-Non preoccupatevi, Signore, ho le spalle robuste! - esclamò con un ampio sorriso il ragazzo, mostrando i muscoli. Era cresciuto nei pochi mesi trascorsi dalle festività pasquali, fisicamente e caratterialmente. In altezza aveva ormai raggiunto André, le spalle si erano fatte più larghe e le gambe, un tempo magre e ossute, erano ora possenti. Sul volto i tratti fanciulleschi avevano lasciato il posto ad una fisionomia più spigolosa, tipica dell'età adulta, così come un filo di barba. Ma ciò che aveva trasformato il giovane in un uomo era qualcosa che non si poteva vedere con gli occhi, o almeno non completamente. Nel suo sguardo, ancora affamato di vita, vi era un velo di stanchezza inusuale per quell'età, ma la rivoluzione era giunta perfino li a palazzo Jarjayes, colpendo ogni individuo indistintamente. E Jerome era dovuto crescere in fretta, per non soccombere.
André notò che, oltre a delle evidenti macchie scure al di sotto degli occhi, sintomo di poco riposo, mostrava un importante taglio sul labbro inferiore, tumefatto.
- Qui non c'è alcun Signore, chiamami André. - disse avvicinandosi al ragazzo con un gran sorriso, che sperava potesse nascondere la commozione che gli stava inumidendo l'occhio sano.
Jerome sorrise, abbassando il capo in segno affermativo.
- Cosa hai fatto al labbro? - gli domandò André blandamente.
- Oh, questo? Nulla... ve l'ho detto, sono ancora troppo maldestro con i cavalli. - il giovane tentò di assumere un tono convincente. Non stava dicendo la verità, ma non se la sentiva di buttare addosso altre brutture, all'uomo già provato dalla battaglia per la presa della Bastiglia. In realtà quel taglio era il dono d'addio di un servo di Palazzo Jarjayes.
Flavien, così si chiamava il “nulla” che gli aveva spaccato il labbro. Si era fatto notare fin dal primo giorno per il suo carattere arrogante, ma solo negli ultimi tempi, quando l'incertezza del futuro si era fatta più pesante, aveva dato il meglio, o il peggio, di sé.
Si trovavano nel cortile sul retro dopo una giornata durante la quale non erano riusciti neppure a mangiare un tozzo di pane, tanti erano i lavori da portare a termine, dopo la dipartita di parecchia servitù. Finalmente potevano buttare qualcosa nello stomaco e rilassarsi, ma la tranquillità durò meno di un respiro. L'argomento principe era, come di consueto oramai, l'odio per i Reali di Francia e per tutta la nobiltà, anche per quella per cui stavano lavorando. Jerome bevve un sorso di vino e, deglutito il liquido, disse la sua a riguardo.
“La famiglia De Jarjayes ha sempre trattato tutti bene. Generalizzare non porterà a nulla di buono”.
“Boiate. Sono degli sporchi sfruttatori come tutti gli altri!” - era sbottato Flavien stringendo i pugni, col solito astio.
“Sono stato a servizio in molte case ma in questa non mi sono mai sentito sfruttato. Qui l'ambiente è buono e il lavoro onesto.” - rispose Jerome seguitando a sorseggiare il vino. Ma le sue affermazioni avevano gettato fuoco su delle braci roventi.
“Lavoro onesto? Vorrei rammentarti che la figlia di Jarjayes è la solita aristocratica che sfrutta i servi per divertirsi.”
“Flavien, non parlare di cose che non sai. Anzi, fai un favore a tutti quanti, taci! Siamo stanchi delle tue stupidaggini.”
“Oh, oh... perché ti scaldi tanto Mercier? Ma certo... ultimamente non eri tu ad occuparti dei cavalli di quella donna...? E di qualcosa d'altro...?”
I pensieri di Jerome corsero a quei momenti. Era successo tutto in un attimo ed era stato quasi naturale, una inevitabile risoluzione: il pugno era partito ancor prima del pensiero, all'immagine volgare suggerita dal commento osceno di Flavien.
Il tutto era durato pochi minuti, senza un vero vincitore, ma a Jerome non importava quante ne avesse prese, poche o tante, l'importante era aver risposto all'offesa.
Guardò André in volto: sembrava così sereno, appagato … Pareva sollecitargli dettagli, ma Jerome non poteva raccontare ciò che era realmente accaduto, non senza ferirlo. E poi, era passato. E il passato resta alle spalle.
André lesse qualcosa sul viso del ragazzo, intuì la verità repressa, lui che per anni aveva soffocato il suo animo, e scelse di non forzarlo con inutili domande.
- Forza Jerome, vediamo cosa c'è da fare con questi cavalli... - André prese ad arrotolare le maniche della camicia pronto ad aiutare il giovane.

Oscar scese le scale con uno spirito migliore dell’andata, nonostante tutto, ansiosa di rivedere Nanny, qualunque punizione potesse avere in serbo per loro.
- Zia Oscar!
Riconobbe immediatamente la vocina squillante.
- Buon giorno, Auguste.
- Buon giorno a voi, sono immensamente felice di rivedervi.
- Lo sono anch’io, nipote. - E stranamente si rese conto della verità di quelle parole.
- E’ vero che eravate presente quel giorno alla Bastiglia?
- Si, Auguste, è vero.
- E’ vero che avete infangato il nome dei Jarjayes?
- Da chi avresti sentito questa accusa?
- Il generale Boiller  lo diceva al signor nonno.
- Bouillé? - lo corresse ed il piccolo annuì dandosi una sberletta in fronte - Suppongo che… sì, dal suo punto di vista… sì. - disse sorridendo per il gesticolare del nipote.
- E’ vero che vivete nel peccato con André?
Si chinò appena, e con un sorriso si preparò ad una spiegazione semplice e complessa ad un tempo.
- Quando due persone si vogliono bene, non c’è peccato, Auguste. - disse in tono confidenziale. - Ma chi ti ha detto queste parole?
- Monsignor Dauphin, il confessore di Madame, lo diceva a Nanny e gridava.
Oscar si raddrizzò in tutta la sua statura, adombrata. Aveva ben presente tal monsignore e l’aura infernale che emanava ed impregnava qualsiasi ambiente al suo solo ingresso. Un essere che non aveva mai perso occasione per tuonare contro qualunque membro della famiglia, promettendo fiamme e supplizi eterni per la minima sciocchezza. Sua madre lo teneva come confessore ufficiale solo perché parente lontano ma disgraziatamente influente, e comunque era certa, non gli  confessava alcunché di intimo e reale.
Arrivava regolarmente a sorpresa , non invitato, si tratteneva a pranzo, spesso anche a cena per ingozzarsi a scrocco, eppure nonostante il buon appetito, manteneva un fisico fin troppo asciutto che unito allo sguardo arcigno lo rendeva ancora più detestabile.
Secondo il parere di André, tanta acidità era probabilmente dovuta alla grande invidia per coloro che, differentemente da quanto accaduto a lui, non erano stati obbligati a prendere i voti. Anzi, si diceva che in gioventù, fosse stato un ragazzo dissoluto.
- E Nanny come ha reagito?
- Ha gridato più forte e se ne è andata in cucina borbottando parole che maman mi vieta di ripetere.
Oscar sorrise.
- Non ti devi preoccupare per l’anima mia, Auguste.
- Oh, ecco dov’eri finito! - esclamò Colombine arrivando a passo svelto. - Andiamo, giovanotto, c’è un bel bagno che ti attende! - lo agguantò e lo sollevò tra le braccia, vincendo strepiti e capricci - Di’ arrivederci a zia Oscar… - aggiunse incamminandosi col figlio al collo.
- Ma per André mi devo preoccupare? - continuò il bimbo.
- No, stai tranquillo Auguste: André sta benissimo.
- Perché monsignore ha detto quelle brutte cose? - si udì la vocina chiedere, già più flebile giungendo dal corridoio nel quale erano svoltati, seguita immediatamente da una serie interminabile di perché?
Perché? Oscar aveva smesso di domandarsi perché su tante cose nell'ultimo mese, eppure aveva avuto tempo di riflettere là immobilizzata al letto. Aveva smesso di porsi domande su sé stessa, sulla rivoluzione, su André... su lei e André. Perché tutto andava così dannatamente veloce? Si toccò la ferita, quella che l'aveva portata così vicina a perdere tutto. Aveva smesso di porsi domande per evitare di doversi rispondere.


Marron Glacé stava rimestando le verdure per la cena e lo vide con la coda dell'occhio.
Il respiro si spezzò: non era la prima volta da quando se ne era andato che la mente le giocava brutti scherzi. Lo vedeva ad ogni angolo, nel cortile, nel giardino, invece il suo André non c'era e forse non sarebbe più tornato.
Per questo non volle credere alla speranza, già troppe volte fallita, ma l'ombra avanzò oltre la soglia - Nonna...
Ella posò lentamente il cucchiaio e si pulì le mani nel grembiule prima di voltarsi verso di lui già con gli occhi colmi di lacrime. Il suo bambino era lì in piedi e le sorrideva. Era tutto intero e più bello che mai, pensò, ed un singhiozzo le sfuggì mentre le braccia si alzavano verso di lui invitandolo a farsi avanti. E André non se lo fece dire, la raggiunse in due passi veloci e la strinse a sé.
- Puzzi..  - bofonchiò Marron col viso affondato nella sua uniforme.
- Ho aiutato Jerome nelle scuderie. - si giustificò con un sorriso lui.
- Andrò a prenderti delle camicie pulite. Ma dopo. Ora siedi qui e fatti guardare.
André obbedì, sedette a tavola voltato verso sua nonna della quale stringeva ancora entrambe le mani.
- Hai fame, André? Sì? Ho della torta fatta stamattina, ti va?
- Puoi giurarci che mi va, nonna.
Marron sciolse una mano dalla sua presa per donargli una carezza sulla guancia.
- Arriva subito, insieme a un bel bicchiere fresco di tè.
Si mosse verso la credenza delle stoviglie, poi di nuovo al tavolo per liberare il dolce dalla campana di vetro in centro tavola, tagliarne una generosa fetta, posarla in un grazioso piattino e servirla ad un bramoso André.
Si sedette accanto a lui, guardandolo mangiare con ingordigia.
- Che buona! Nonna, non hai idea da quanto non assaporo qualcosa di così delizioso!
- Oh sì che ce l'ho un'idea, sono quaranta giorni che non ti vedo! Quaranta giorni durante i quali è successo di tutto!
- Mi dispiace… - mormorò il nipote posando la forchetta per riprendere le mani della nonna nelle sue. - Ma noi…
- Io te lo dicevo che dovevi restare al tuo posto…
- Nonna…
- Va bene, va bene... ma... non è questo il modo giusto di fare le cose.
- E quale sarebbe il modo giusto? - la istigò lui sorridendo, pienamente consapevole di cosa intendesse dire.
- Non mi far parlare... se solo aprissi la bocca sarebbero guai per tutti, me compresa. Che il signore mi perdoni… - e si fece il segno della croce.
Oscar apparve in cucina proprio in quell'istante alle loro spalle.
- Quale sarebbe la tua grave colpa? - la canzonò.
Marron si portò entrambe le mani alla bocca per soffocare un urletto di gioia e lesta l’afferrò per l'uniforme, tirandola giù per poterlesi allacciare al collo.
- La mia bambina! Signore!
Oscar non ebbe neppure il tempo di fiatare che le sue guance erano già strette tra le due mani piccole ma forti della sua tata.
- Ma stai bene? Mangi abbastanza? Guarda qui! Sei tutta pelle e ossa!
- Si, non ti preoccupare. Sto bene. Ora sto bene. - assicurò, tutta ingobbita per stare occhi negli occhi con la vecchina.
- Perché non mi avete mandato notizie? Morivo di paura!
E con lo scatto degno di uno scoiattolo, la destra di Marron, lasciò il volto di Oscar per scaricarsi con un violento ceffone sul capo di André.
- Ma … nonna! Perché a me?
- Perché lei è madamigella Oscar e tu uno sciagurato! - fu la spiegazione - Ora stai bene? cosa vuol dire? - chiese con voce tenera tornando a rivolgersi ad Oscar.
- Vuol dire che me la sono vista brutta. Molto brutta, Nanny.
- Madame Colombine non mi ha raccontato nulla…
- Gliel’ho proibito io, non volevo angustiarti.
- Angustiarmi? Starmene qui senza uno straccio di notizia, con tutto quello che è accaduto, ti pare invece una bella cosa da farmi? Appena vedo tua sorella… due scapaccioni di quelli giusti le rifilo! Ah se mi sentirà quella benedetta figliola! Madame o non madame! Non si nascondono queste cose a me, neppure a fin di bene!
Ci fu un istante di silenzio, come quando da piccoli attendevano che lo sguardo terrificante della nonna  tornasse ad una espressione più conciliante.
E il silenzio permise agli incubi di Oscar di riaffiorarle nella mente, vividi come non mai.
Il dolore, lo smarrimento, poi le grida di Alain, di André.
André che l'aveva presa tra le braccia e portata via dalla piazza, che le ripeteva “Resta con me! Resta con me”, e lei non riusciva a parlare, le scoppiava la testa con il mondo che girava.
L'avevano sdraiata a terra, soccorsa. Aveva sentito mani che premevano per fermare il sangue, alla gamba, al braccio, al costato.
Era riuscita a muovere una mano, a prendere la sua, aveva sentito le sue lacrime.
“Sto per morire?” aveva chiesto, quasi fosse una affermazione.
“Ma no che dici…”
“Non posso morire, non adesso che… Sposami André!… dimmi che mi sposerai!”
“Lo sai che lo farò. Non desidero altro… Oscar? Resta con me! Resta con me! “ aveva gridato mentre lei sveniva.
Aveva perso i sensi e in un certo modo, non li aveva ancora ripresi, oltre a non averlo ancora sposato.

- Dovevi vederla, nonna! Là davanti alla Bastiglia, ad urlare ordini più forte dei cannoni, indicandoci dove colpire quelle dannate mura. - stava spiegando André colmo d'orgoglio mentre gli occhi di Nanny si riempivano di lacrime. - Poi è stata colpita, - disse incupendosi - l'abbiamo portata via, c'era il dottor Lassonne, l'ha soccorsa immediatamente, ma ha perso comunque molto sangue... ci ha fatto spaventare, ma tutto è finito bene... è come nuova, nonna.
L'ultima frase scatenò nuovamente la Nanny tremenda che li aveva raddrizzati negli anni.
- Come nuova?! Stai dicendo che la mia Oscar è quasi stata ammazzata dalle pallottole e quello che concludi è “come nuova”?! Lo dico io se è nuova o no, non tu, non un dottore!
Abbassò il tono di voce.
- Dove sei stata colpita, bambina mia, fai vedere alla tua Nanny.
Oscar indicò il fianco sinistro, poco sotto il seno.
Marron mise mano alla giubba per spogliarla ove necessario.
- André, esci per favore. - disse senza degnarlo di uno sguardo.
- Fai pure, non c'è nulla che non abbia già visto. - replicò ingenuamente, concentrato sulle ultime briciole della sua torta.
La mestolata lo colpì su un braccio.
- Ma nonna!!!
- Esci subito di qui! Io ho allevato un gentiluomo, non un debosciato!
Come un cane bastonato il nipote si alzò dalla sedia, massaggiando il braccio.
- Potresti essere un po più gentile, però... Vado vado - aggiunse subito notando il mestolo sollevarsi ancora nell'aria.
Nanny tornò alla camicia che nel frattempo Oscar aveva provveduto a liberare da giacca, pantaloni e a sciogliere di gran parte dei bottoni.
Marron notò che non indossava più fasce a costringere i seni, ma che altre bende circondavano il costato. Le rivolse una muta interrogazione.
- Una pallottola ha rotto una costola, fa ancora male quando cavalco. - spiegò Oscar.
Nanny annuì sfilando le garze. Scrutò la cicatrice ancora violacea, ma ben rimarginata.
- Sei troppo dura con lui… - disse Oscar, mentre Nanny palpava il costato.
- Lo sono perché gli voglio bene. Se così non fosse, non mi arrabbierei tanto. Inoltre, è meglio se impari subito a trattarli o ti prendono la mano, questi giovanotti, specie se questo hai intenzione di sposarlo. - spiegò con naturalezza.
Oscar la guardò, la sua piccola, tenace Nanny mentre con delicatezza riavvolgeva la fasciatura.
- Nonna… nonna, ti spiace se ti chiamo così?
Lo sguardo di Marron incrociò quello lucido di colei che mai si era atteggiata a padrona e con tutto l'amore la ricambiò con un abbraccio.


Il generale Jarjayes l'aveva guardata uscire senza provare a trattenerla oltre. La lacerazione era ancora troppo recente, il futuro in movimento e tutto poteva peggiorare nel giro di una notte in Francia. Si augurava solo che se fosse accaduto, Oscar ricordasse che erano una famiglia, nonostante tutto.
Uscì sul balcone in tempo per vedere sua figlia Colombine ridere ad una battuta di André. Erano in giardino, passeggiavano e chiacchieravano come quello che in effetti erano: amici d'infanzia.
- Se solo fossi stato nobile… - mormorò ricordando le proprie parole il giorno in cui se ne erano andati a Parigi per fronteggiare le rivolte e poi... si erano perduti. Ma rifletté che forse, era l'uomo giusto al momento giusto.
Suo dovere e suo desiderio era che le cose riprendessero in quel modo che, ne era sinceramente convinto, era il verso in cui doveva andare il mondo. Ma se così non fosse stato, con una figlia abbandonata dal marito e tornata sotto la podestà genitoriale, ringraziava che André e Oscar si trovassero dall'altra parte.
- Cosa avete di così divertente da raccontarvi, voi due? - esclamò Oscar raggiungendoli in giardino.
- Solo esempi di vita da camerata. - motivò André.
- Ah, e perché non fai ridere anche me? - lo stuzzicò Oscar, fissandolo torvo, con quello sguardo indagatore che compariva ogni qualvolta si sentiva, a ragione o torto, messa da parte. O come quando da piccoli, lo sorprendeva con l’ultima ditata di marmellata ancora stretta tra le labbra.
- Tu sei il mio comandante, non ne rideresti.
Lei annuì severa.
- Allora è meglio ch’io rimanga all'oscuro?- concluse sorridendo.
- Assolutamente sì. - replicò lui, con tono suadente, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
Dalla terrazza del proprio studio Jarjayes assistette alla scena. Non poteva udire le parole che i tre stavano scambiandosi, ma le movenze, i sorrisi, persino la postura delle loro figure, ne rendevano chiaro l'argomento: la serenità. Una grossa parte di lui ribolliva a quella vista, e la cosa lo irritava, irritava la parte che era felice per loro. Il realista che in lui era ancora radicato nel profondo, li avrebbe voluti in galera; il padre, l'avrebbe rinchiusa in casa e magari rinchiuso “lui” in galera. L'uomo intelligente sapeva di non poter fare nulla per cambiare la situazione. Poteva solo aspettare. Aspettare l’evolversi degli eventi.

Arrivò Nanny di corsa, trottando sulle sue gambette ed allungò una sacca ad André.
- Camicie pulite per entrambi, pantaloni di ricambio e qualcosa da mangiare stasera.
- Spero tu ci abbia messo più cibo che vestiario, nonna! - esclamò il nipote.
- Eh no, caro mio, dovrete farmi visita più spesso se vorrete mettere su carne!
- Ma nonna, hai messo tutto il guardaroba qui dentro!!!
- È perché ti conosco! sei sbadato con le camicie!
- Ma no, non è vero
- È vero, è vero, nonna ha ragione! Ora posso affermarlo: Grandier, sei un disordinato!
- Ma no, non è vero! - ripeté.
- Eccome se lo è.
Sembrava fossero proprio una famiglia, pensò Jarjayes, una famiglia nella quale non poteva sentirsi parte.
Colombine li accompagnò ai cavalli, salutò André, salutò Oscar, ma le ultime parole sorpresero entrambi.
- Come sta Alain?
   
 
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