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Autore: Nao Yoshikawa    05/09/2018    2 recensioni
Esistono tanti tipi di famiglia.
E ognuno cerca la propria a modo suo.
Takumi e Soma, Kuga e Tsukasa, Megumi e Shinomiya, Ryou e Akira, sono coppie tra loro diverse, ma accomunati da un desiderio comune: quello di costruirsi una famiglia.
Ma tra problemi, malintesi e situazioni avverse, le cose non saranno per niente facili.
TRATTO DAL SECONDO CAPITOLO:
Tsukasa si portò una mano sul viso. Per quale assurdo motivo in natura aveva permesso a Kuga di prendere la situazione in mano?
“Kuga… abbassa la voce”.
Terunori però gli fece segno di tacere.
“Se ho detto che le pago vuol dire che le pagherò. Cosa pensate che siamo noi, dei barbari? E’ solo un piccolo ritardo, può capitare, amico. Ah, sì? E lo sai io cosa ti rispondo, vaffa...”
“No, no, no!”, Tsukasa gli strappò prontamente il telefono dalle mani. “Pronto? Sì, chiedo scusa, mio marito è un po’ nervoso. Certo, ma certo, assolutamente, non si preoccupi. Grazie, mille grazie. Buona giornata”.
Chiuse la chiamata. Poi sospirò e guardò Kuga, il quale se ne stava imbronciato.
“Terunori, ti prego, per favore… potresti evitare di litigare con ogni essere vivente e non?”
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Kuga Terunori, Souma Yukihira, Takumi Aldini, Tsukasa Eishi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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13 - Sono cose che capitano

Avere a che fare con due gemelli e allo stesso tempo lavorare era un grande impegno. Malgrado Takumi e Soma si fossero messi d’accordo per fare a turno, delle volte risultava davvero impossibile, specie quando lo Yukihira si riempiva e allora c’era bisogno di una mano in più.
Era in quei momenti che Takumi prendeva i suoi figli, li metteva in auto e li portava con sé. Il che era una gran faticaccia.
“Scusate”, ansimò con tra le mani due seggiolini. “Qualcuno mi da una mano oppure no?”
“Oh, i miei nipotini adorati!”, esclamò Joichiro. “Lascia, faccio io”
“Comunque io sto bene, eh. Non sono mica stanco”, si lamentò.
“Se dici così, penserà che ti mancano le sue attenzioni”, commentò Soma, mentre suo padre poggiava i seggiolini sopra uno dei banconi.
“Ah, fantastico. Non sono sicuro che il connubio neonati-cucina sia esattamente sicuro. Ci sono coltelli, fuoco, pericoli in ogni angolo!”
“Lascia fare”, lo tranquillizzò Soma, prendendo in braccio Hajime. “Questo è il loro posto. Dunque, Haji. Quella che vedi si chiama planetaria e serve ad impastare. Poi c’è il forno, la griglia, i coltelli...”
“Questa cosa non mi piace. Saresti capace di regalargli un set di coltelli per il suo primo compleanno!”
“Io?”, domandò sorridendo nervosamente. “No, assolutamente no”.
Takumi lo guardò male, riprendendosi Hajime.
“Zitto e lavora”.

A differenza dei loro migliori amici, Kuga e Tsukasa avevano preso la cosa molto più alla leggera. Stavano infatti ancora dormendo beatamente, ignari del fatto che tra di loro ci fosse un intruso. E no, non si trattava di Simba.
Terunori fu costretto a svegliarsi quando capì di essere a due passi dal cadere dal letto. Il motivo era semplice: Rindou si era infilata tra le lenzuola, fra lei e Tsukasa.
“Eh? Rindou, ma che ci fai qui?”
“Umh… non voglio dormire sola in camera mia”
“Cosa? Ma questo è assurdo. Avanti, spostati, stiamo stretti”
“Ah… che succede?”, si lamentò Tsukasa.
“Rindou non vuole dormire nel suo letto”
“Andiamoooo!”, borbottò lei. “Come farete quando vostro figlio verrà da voi perché non vuole dormire da solo?”
“Ah, no. Di certo io non lo accontento. Vero, Tsukasa?”.
Quest’ultimo si massaggiò la testa, stanco.
“Se vuole rimanere qui, che rimanga, a me non da fastidio”
“COSA?! MA SENTILO! È così che i bambini vengono su viziati!”
“Sssh, Kuga!”, lo chiamò Rindou. “Piano, sono solo le nove e mezza”
“Ah, sì, sono le… LE NOVE E MEZZA?! RINDOU, MA PERCHÉ NON CI HAI SVEGLIATI?!”
“Ma voi non mi avevate chiesto di svegliarvi!”, si giustificò la ragazza.
C’era voluta un’altra ora prima che tutti e tre uscissero di casa. Sì, perché Rindou non ne voleva proprio sapere di starsene da sola, anche perché si sentiva un po’ preoccupata, non aveva idea se la sua relazione con Eizan avrebbe o no avuto futuro, poteva immaginare che stare accanto a lei, in quelle condizioni fosse… magari un po’ strano.
Poi, come se non bastasse, c’erano tante cose che non poteva fare.
“Kuuuga”, si lamentò entrando in cucina. “Vorrei tanti del sashimi e un bicchiere di champagne”
“Te lo sogni, non puoi mangiare queste cose!”, rispose lui.
“Non sono io, è tuo figlio che ha voglia di sashimi e champagne”
“Non va bene lo stesso. Comunque sia… ho trovato il nome perfetto per lui o lei che sia!”
“Davvero?”, chiese Tsukasa con una punta di preoccupazione nella voce.
Lui annuì, fiero di se stesso.
“Se è un maschio lo chiamiamo Lion, se è una femmina Lionne. È francese, ti piace?”.
Eishi sorrise nervosamente, doveva immaginarsi un’uscita del genere da parte sua.
“Amh… emh… sì… carini… ma non ti piacerebbero dei nomi un po’ più normali?”
“Sono orribili”, borbottò Rindou. “Ma ti immagini una ragazza che si chiama Lionne? Non troverebbe mai un fidanzato, e questo non lo possiamo permettere!”
“Ah, è così?!”, proclamò Kuga offeso. “Molto bene, allora. Visto che siete tanto bravi, trovatelo voi un bel nome. Tsk, assurdo, la mia opinione non conta mai niente!”.
Tsukasa scosse il capo. Kuga stava già iniziando a dare di matto, non osava neanche immaginare quello che sarebbe successo più avanti.

Non avere Yukio in giro per casa era strano. Ryou si sentiva in parte sollevato, ma in parte a disagio. Oramai si era abituato ad avere quel bambino allegro che sgambettava per casa, che giocava, cantava, rideva. Stava forse sentendo la sua mancanza? Era possibile?
Pensava ciò mentre si ritrovava a riordinare i cassetti. Con un bambino intorno c’era sempre un disordine infernale. Dopo aver svuotato il possibile, mise da un lato ciò che avrebbe dovuto buttare e dall’altro ciò che invece aveva tenuto. Ciò che gli saltò all’occhio furono dei disegni fatti da Yukio, quel ragazzino sembrava avere una vera e propria passione. Tra i vari scarabocchi colorati, qualcuno attirò la sua attenzione. In uno erano rappresentati una donna e un bambino, e lì Ryou che probabilmente doveva trattarsi proprio di Jun e Yukio. Quest’ultimo era stranamente maturo per la sua età, non si lamentava mai, ma era ovvio che soffrisse. Poi ce n’era un altro. Un omino disegnato che gli ricordava vagamente se stesso e un’altra figura più piccola. Sembravano felici, almeno lì. Possibile che Yukio gli si fosse affezionato a priori, nonostante i suoi trattamenti poco gentili?
In fondo, i bambini non volevano nulla, solo amore e una famiglia.
Sospirò, conservando accuratamente quei disegni. Probabilmente avrebbe conservato in un posto più sicuro quello in cui era ritratto.
“Ehi, Ryou, hai finito di… Ryou?”.
Quest’ultimo sollevò lo sguardo.
“Che vuoi tu?”
“Ma… piangi?”.
Piangere lui? Effettivamente aveva gli occhi lucidi, ma non se n’era neanche accorto.
“No che non piango, perché dovrei?!”.
Curioso, Hayama si chinò.
“Ma quello è un disegno di Yukio? Non me lo aveva ancora fatto vedere”
“Beh, ebbene? È mio, raffigura me e lui”
“Lo sai, qualcosa mi fa pensare che alla fine tu ti stia affezionando a quel ragazzino, anche se non lo vuoi. Pensi che potrai mai amarlo come se fosse un figlio tuo?”
“Oh! Tu fai troppe domande a cui io non so rispondere. Perché non mi lasci in pace e basta?”, sbuffò alzandosi con il disegno tra le mani.
Ryou, sembra incorreggibile ma dai sentimenti stranamente trasparenti come acqua. Forse quello era un buon segno, o almeno così sperava.
Subito dopo suo marito tornò.
“Piuttosto, a che ora dobbiamo prendere Yukio?”
“Alle tre e mezza”
“Le tre e mezza...”, guardò l’orologio. “Le tre e mezza? Ma sono le quattro!”
“Che? Non è possibile!”
“Non lo dico io, lo dice l’orologio! Come hai potuto dimenticarlo?”
“E tu allora?”
“Io ero occupato! Fanculo! Senti, andiamo e basta!”, affermò nervoso, cercando le chiavi della sua auto.
Era stato ironico quando aveva detto a Yukio che lo avrebbe lasciato a scuola, non aveva di certo intenzione di agire seriamente! Era stato un caso, com’era potuto passare loro per la mente qualcosa di così importante?
Dopo aver rischiato una multa per eccesso di velocità, dopo aver ignorato i semafori e dopo uno e due incidenti mancati, arrivarono alla scuola del bambino. Quest’ultimo, con l’espressione spaventata e le lacrime agli occhi, stringeva la mano alla sua maestra davanti all’entrata.
“Yu-Yukio”, ansimò Hayama senza respiro. “Stai bene?”
“Aaaaah!”, piagnucolò. “Non è giusto! Vi siete dimenticati di me! Volevate lasciarmi qui, potevo finire nel negozio dei bambini smarriti!”
“Non ti abbiamo lasciato qui, non ci siamo accorti dell’ora!”, tentò di tranquillizzarlo.
“Lei è il padre?”, domandò la maestra, una giovane donna dall’espressione dolce e affabile.
“S-sì, possiamo dire di sì. Mi spiace, io e mio marito eravamo così impegnati che non ci siamo accorti del tempo che passava. Tutto a posto, Yukio?”.
Lui si strofinò gli occhi.
“Sì. Adesso però vorrei un gelato. Me lo compri?”
“Sì, certo che te lo compro”, sospirò prendendolo in braccio. “Grazie… e scusi ancora”
“Non si preoccupi. Avere a che fare con un bambino non è affatto facile”
“Già…. Non lo dica a me”.
Ryou si era limitato ad aspettare in macchina. Incredibile come si fosse precipitato, e fortuna che continuava ad affermare di essere totalmente immune all’affetto di quel bambino. Stava mentendo a se stesso, seppur invano.
Hayama aprì lo sportello posteriore e adagiò Yukio sul sedile.
“Ryou! Ci sei anche tu!”
“Anche io? Chi credi che abbia guidato? Ho rischiato di investire qualcuno”
“Perché sei un bravo genitore che farebbe qualsiasi cosa per il proprio figlio”, lo pizzicò Akira.
“E tu invece sei semplicemente irritante”.
Yukio prese a ridere.
“Gelato, gelato!”, esclamò infine.

Rindou mancava da un po’, e Kuga non sapeva se sentirsi sollevato o preoccupato. Quella ragazza era un vero uragano, non poteva permettere che facesse cose strane, soprattutto non adesso che custodiva il suo futuro!
“Tsukassan, vai a vedere cosa Rindou sta combinando”
“Lo sai che se ti lascio da solo combini guai. Metti troppo peperoncino ovunque!”
“Ma perché nessuno apprezza l’arte del piccante? Va da lei, subito!”.
E in effetti Kuga si dimostrò essere molto convincente, forse a causa del coltello affilato che teneva in mano. Tsukasa quindi si arrese, uscendo dalla cucina e notando come Rindou si fosse addormentata con la testa poggiata ad uno dei tavoli. Strano, forse era una delle conseguenze della gravidanza?
“Emh… Rindou?”, chiamò picchiettando sulla sua testa. “Svegliati”
“Mamma, ancora cinque minuti”
“Non puoi stare qui, i tavoli sono per i clienti! Coraggio, alzati!”.
Con la coda dell’occhio, Eishi si accorse di qualcuno che era appena entrato.
“Benvenuto a Le petit… Eizan?!”.
Davanti a lui c’era proprio il ragazzo, il quale aveva un’espressione strana.
“Scusate se sono venuto qui, ma a casa non c’eravate e quindi...”
“Oh, Eizan!”, esclamò lei. “Sei venuto per me?”
“Effettivamente sì. Dovrei parlarti”.
Lei non aveva colto il suo tono strano, mentre Tsukasa, master in ansia e panico, se n’era accorto immediatamente. Non era stato molto felice di lasciare i due da soli, probabilmente perché immaginava che sarebbe successo qualcosa di strano.
Eizan e Rindou andarono fuori. Quest’ultima era avvolta in una felpa pesante, stava iniziando a far freddo.
“Sicuro che non vuoi parlare dentro?”
“No… è meglio di no”, rispose nervoso. “Sai, ho pensato molto a tutta questa faccenda”
“Oh… ah… ebbene?”.
Possibile che non riuscisse a capire da sola quello che voleva dirle? Era abbastanza ovvio!
“Questo è… troppo strano! Sul serio, non ero pronta ad un’evenienza del genere, se solo me lo avessi detto prima...”
“Se te lo avessi detto prima cosa? Che sarebbe cambiato? Avresti evitato di avvicinarti a me?”
“Non lo so, d’accordo? Il fatto è che adesso non mi sento più sicuro”.
Rindou sentì gli occhi divenire lucidi. In genere si sarebbe arrabbiata, ma ultimamente era più emotiva del solito.
“Quindi… vuoi rompere con me?”.
Eizan stesso non si aspettava di certo di doversi ritrovare ad asciugare le sue lacrime.
“Eh… aspetta, ma perché ti disperi così? Andiamo, non piangere!”.
Ma Rindou non sembrava propensa ad ascoltarlo.
“Accidenti”, imprecò.
Subito dopo sentì qualcuno picchiettargli su una spalla: dietro di lui c’erano Tsukasa e Kuga. Quest’ultimo teneva in mano un mestolo e aveva un’espressione degna di un pazzo omicida.
“Vattene via, subito”
“Che… eh? Ma sei pazzo?”
“Sì, sono pazzo. E se non te ne vai subito, ti darò un colpo in testa così forte da renderti irriconoscibile!”.
Eizan indietreggiò. Non ci teneva particolarmente a ricevere quel tipo di trattamento.
“V-va bene, me ne vado!”, esclamò.
“Bravo, e non tornare più!”, gli urlò contro, mentre Tsukasa si apprestava a consolare Rindou.
“Ehi, stai bene?”
“No”, si asciugò le lacrime. “Perchè ho effettivamente pensato che potesse andare bene? Eizan è sempre stato un bastardo, anche quando andavamo a scuola era così”
“Non pensarci! Tu meriti di meglio!”, la rassicurò Kuga. “Di certo quell’idiota non si avvicinerà più a te, o troverà la furia mia e della mia spatola!”
“Magari non ci facciamo arrestare, eh?”, sospirò suo marito. “Puoi stare tranquilla, Rindou. Tu hai noi”.
Lei batté le palpebre, rendendosi effettivamente conto dell’affetto che entrambi provavano nei suoi confronti. Forse perché erano una famiglia, e di conseguenza era giusto proteggersi a vicenda.
“Dai, vieni dentro”, disse Kuga. “Fa un freddo terribile, non ti puoi ammalare”.
La ragazza tirò su con il naso, sentendosi sinceramente sollevata. Non sarebbe mai stata sola perché aveva con sé la famiglia migliore e forse più strana del mondo.

Takumi era stanco. Dopo un'intensa giornata di lavoro, tutto ciò che avrebbe voluto era tornare a casa. Kou, nel sedile dietro e sul suo seggiolone, agitava le mani, lamentandosi.
"Lo che hai fame, piccola, ma devi aspettare. Se tuo padre non si sbriga giuro che lo lascio qui!", borbottò. Soma arrivò quale istante dopo, con addosso l'affanno.
"Eccomi"
"Sì, eccoti. Hai chiuso tutto? Perchè non può pensarci tuo padre?"
"Dai, Takumi. Sono stanco, possiamo andare". Il biondo si astenne dal rispondere e mise in moto l'auto, uscendo poi dal parcheggio. Kou continuava a lamentarsi e ad agitarsi.
"Soma, ti prego, prova a calmarla"
"E va bene!", esclamò lui voltandosi. "Su, Kou, stiamo per arrivare e...".
Ad un tratto calò il silenzio.
"Beh? Perché non parli più?"
"... Hajime non c'è..."
"CHE COSA?! COSA STRA-CAZZO VUOL DIRE CHE NON C'E'?!"
"Significa che non c'è!".
Il biondo frenò di botto.
"Lo hai lasciato al ristorante?!"
"Io pensavo fosse con te!"
"Non ci posso credere, tu hai lasciato nostro figlio al ristorante, dobbiamo tornare indietro subito!"
"Su, Takumi, starà bene! Sai quante volte dimentico le cose?".
Lui però gli lanciò uno sguardo che lo zittì completamente.
"Hajime non è una cosa, mi pare. Adesso sta zitto!".
Soma abbassò lo sguardo, mentre suo marito guidava come un forsennato verso la direzione opposta. Fortunatamente non si erano allontanati troppo. Dopo aver faticato tanto per chiudere tutto, Soma fu costretto a riaprire il ristorante. Trovò Hajime ancora sul suo seggiolone che dormiva tranquillo, probabilmente non doveva essersi accorto di niente.
"Haji!", Takumi lo prese subito in braccio. "Mio Dio, mi dispiace tanto... come ho potuto..."
"Beh, dai, sta bene...", Soma fece spallucce.
"Sì, sta bene! E tu sei un idiota!"
"Cosa?! Che ho fatto?!"
"Possibile che non te ne rendi conto? Quale sarà il prossimo passo? Io non voglio che a loro succeda nulla, ma lo capisci o no?!".
Soma scorse il suo tono spezzati. Non molto spesso Takumi si lasciava andare alle lacrime, mentre in quel momento gli sembrava molto provato.
"Takumi..."
"Scusa, sono stanco d'accordo? L'assenza di sonno, tutti i pensieri che ho per la testa. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma alle volte mi domando se ne sono in grado!".
Soma capì che sarebbe stato compito suo consolarlo. Si avvicinò, abbracciandolo e baciandolo in fronte.
"Fare il genitore è il lavoro più difficile al mondo. Capita a tutti di sbagliare. Ma Kou e Hajime crescono giorno dopo giorno e sono felici. Se non fosse per te penso che avrei combinato più guai io di chiunque altro"
"Tu lo pensi davvero?"
"Certo che si", gli accarezzò il viso. "Adesso però forse è meglio tornare in auto, Kou è rimasta da sola"
"Ecco, per l'appunto!", borbottò. Soma sorrise, scuotendo poi il capo. Se Takumi avesse saputo che era proprio lui il più forte dei due probabilmente si sarebbe sentito meglio. Spense le luci e poi si sbrigò a raggiungere la sua famiglia.



   
 
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